1. ONE
Alzai gli occhi al cielo,
dopo essere rimasta a
lungo in silenzio. Diedi una leggera pacca sulla spalla al ragazzo
seduto di
fronte a me, richiamando la sua attenzione. I suoi occhi verdi
scattarono verso
i miei. «Dobbiamo andare», dissi.
«Britney ci sta aspettando».
Si prese il labbro inferiore tra i denti e il suo sguardo venne di nuovo catturato da qualcosa oltre le mie spalle. Passai in rassegna ogni centimetro del Caffè, fino ad arrivare all’oggetto del suo interesse. Una bionda alta e formosa in bilico su un paio di trampoli, con un abitino che lasciava poco spazio all’immaginazione.
Mi lasciai sfuggire uno
sbuffo. «Harry, puoi tenere gli ormoni a freno per quindici
secondi?», chiesi
annoiata.
Lui ridacchiò
prima di alzarsi dalla sedia. Lo
imitai. «Già, non facciamo aspettare la piccola
Britney».
Lo inchiodai con lo
sguardo. «Non cominciare.
Perché, se proprio vogliamo essere onesti, in una scala da
uno a dieci
l’eccentricità di Brit è otto. La tua
dodici».
Lo accompagnai fino al
bancone. «Un cappuccino e
un caffè nero», disse al cassiere.
«Mettilo pure sul conto di mio padre, Tim».
La famiglia di Harry era
molto ricca e possedeva
numerosi immobili, tra cui il Central Styles Caffè, uno dei
posti più chic
della città che prevedeva solo un certo tipo di clientela.
Clientela con un
conto corrente bancario grande almeno la metà di quello
degli Styles.
Presi il mio amico a
braccetto e mi lasciai
guidare fuori dal locale, fino alla sua BMW nera. Salimmo in macchina e
Harry
mise in moto, facendo stridere le gomme sull’asfalto e
partendo a tutta
velocità. Non mi è mai piaciuto il suo modo di
guidare imprudente, soprattutto
perché gli incidenti causati da lui non si contavano sulle
dita delle mani.
Cercai la bocchetta da cui usciva aria calda con le dita.
«Rallenta»,
gli intimai. Lui si limitò a scuotere
la testa, sghignazzando.
Sfrecciammo per le strade
di Holmes Chapel per
diversi minuti, finché l’auto non si
infilò nel vialetto di una casa enorme,
circondata da un grande giardino piuttosto curato. Attraversammo la
stradina
sterrata, e non feci in tempo a bussare alla porta che venimmo
risucchiati all’interno
da un tornado biondo.
«Sempre insieme voi due, eh? Non mi sorprenderei se un giorno vi trovassi in un bagno a scopare», fece Britney, sistemando i nostri cappotti sull’appendiabiti. Harry mi rivolse un’occhiata sfacciata, alzando le sopracciglia. Gli diedi le spalle per nascondere il rossore sulle mie guance. Anche se sapevamo tutti che una cosa del genere non sarebbe mai stata possibile, i commenti di Britney erano sempre così imbarazzanti.
«Perché
ci hai fatto venire?», le domandò Harry diretto.
Ci sedemmo sul grande divano
bianco di pelle, una caraffa di tea e delle tazze erano state sistemate
sul
tavolino di mogano.
Britney si
scostò i capelli dalle spalle. «Io ho
chiamato Haley, tu sei un extra non
gradito. Ma visto che voi due siete come gemelli siamesi, me lo
farò andare
bene». Ci rivolse un sorriso amichevole. «Tra una
settimana sarà Halloween.
Voglio dare una festa, e voi mi aiuterete».
Harry alzò gli occhi al cielo e si accasciò allo schienale del divano. «E come?».
I lati delle labbra di
Britney presero una
piega furbesca. «La faremo a casa tua, che domande. Non
c’è niente di meglio
che una festa a casa Styles. E in quanto a te, beh, basterà
la tua presenza a
far venire tutti i ragazzi etero della scuola». Sospirai,
troppo stanca per
iniziare l’ennesima discussione su quell’argomento.
Britney confondeva la
bellezza con la popolarità.
Si era messa in testa di usarmi come esca per i ragazzi in qualsiasi
occasione
ne avesse bisogno. Lo sanno tutti che le ragazze popolari attirano gli
sguardi
maschili più delle altre, soprattutto se ricche. Quindi la
mia teoria era che
invece essendo molto conosciuta all’interno della scuola
(questo solo perché
frequentavo Britney e Harry e perché la mia famiglia
è sempre stata
benestante), non passavo inosservata agli sguardi maschili. Sarebbe
stato lo
stesso, anzi forse molto di più, per Brit se solo non fosse
che è dalla terza
media che rimane single per dieci minuti al massimo ogni due mesi.
Harry fece spallucce e
annuì, probabilmente per
lui era solo l’ennesima occasione di rimorchiare.
«Io do la casa, ma al resto
pensate voi».
«No, al resto
pensi tu», gli feci eco
io indicando Britney.
Lei rise. «Come sempre». Poi, dopo aver sorseggiato la sua tazza di tea non zuccherato: «Allora, stasera che si fa?».
Harry scostò i riccioli scuri che gli erano caduti sulla fronte e mi rivolse un’occhiata interrogativa.
«Non vengo in
discoteca», chiarii. «Ci siamo andati anche sabato
scorso!».
Britney scattò
in piedi. «Ma ci vengo io.
Ovviamente non con te e mantenendo
una distanza di sicurezza di almeno tre metri», disse,
indicandolo come fosse
stato una specie di maniaco.
Harry si drizzò
a sua volta, torreggiando su di
noi in tutta la sua altezza. «Oh, tranquilla, sei fuori
pericolo. Non mi sono
mai piaciuti i giocattoli di decima mano», e detto questo
uscì di scena, senza
preoccuparsi di salutare.
Quando fu sicura di essere
fuori dalla sua portata
d’udito, Britney si tornò a sedere accanto a me.
«Io ne ho abbastanza di
vederlo “all’opera”, quindi stasera
usciamo tu ed io. E basta. Intesi?».
Sospirai, facendo un cenno
d’assenso. Era
inconcepibile che i miei due migliori amici si odiassero a tal punto
dal farmi
scegliere continuamente tra l’uno e l’altro. Ma io
ero convinta che in fondo
(molto, molto, molto in fondo) un po’ di affetto reciproco ci
fosse. Giusto
quel tanto da impedir loro di prendersi a frustate. Senza contare che
era
grazie a Brit se io ed Harry ci eravamo conosciuti.
«Oh, buon
pomeriggio signorina Haley», mi salutò
una donna bassa e paffuta.
«Salve
Claire», dissi a mia volta, aiutandola a
mettere le tazze sporche sul vassoio. Britney fece una smorfia di
disapprovazione e sparì al piano di sopra. «Come
sta?».
L’anziana signora
ridacchiò, mentre le sue guance
tonde si tingevano di rosa. «Oh beh, non mi
lamento». Mi diede un leggero
buffetto sulla guancia. «E tu invece? Diventi sempre
più bella».
Prima che potessi
replicare, la voce acuta di
Britney mi ordinò di salire in camera sua. Salutai
velocemente la domestica e
obbedii alla mia amica.
«Che
c’è?», le domandai entrando. La trovai
in
biancheria intima, intenta a contemplare due abiti un po’
troppo corti e striminziti.
«Aiutami a
scegliere», m’implorò. «Rosso
o blu?».
«Un pugno nello
stomaco».
Mi rifilò quello
che tutti a scuola definivano “Lo
Sguardo”. Britney era famosa soprattutto per
quell’occhiata che tramortiva le
matricole indifese e intimidiva i ragazzi. Ma io la fissai di rimando,
ormai
completamente immune. «Britney, santo cielo, non voglio che
tu vada in giro
come una prostituta. Leva quella roba dalla mia vista e lascia fare a
me».
Spalancai la cabina armadio e mi seppellii fra le centinaia e centinaia
di
abiti. Dopo qualche minuto di meditazione, riemersi con in mano i
vestiti. Il
grazioso tubino nero che le avevo scelto bastò a placare la
sua ira, e forse anche
il fatto che le permisi di scegliersi le scarpe da sola.
Il mio entusiasmo per l’incombente serata in qualche club snob insieme a Britney scese ancora di più sotto lo zero, quando alla porta di casa sua si presentò Pete, il suo ragazzo attuale. Di tutti quelli che aveva avuto, Pete era quello che mi piaceva meno. “Giocatore di football senza cervello” penso che renda bene l’idea. Infatti, nonostante i nostri ripetuti e non poi così sottili tentativi di mandarlo via, lui insistette così tanto che fummo costrette a portarcelo dietro.
Così passai il più bel viaggio in auto di tutta la mia vita, da sola sul sedile posteriore, obbligata ad assistere alle loro effusioni vietate a minori di quattordici anni. Fu quando la mano di Pete si spostò più vicina alle zone intime di Britney che mi schiarii la voce. I due si voltarono in contemporanea, ma solo uno sembrava infastidito dalla mia presenza.
Sorrisi debolmente per
scusarmi. «Fa
un po’ caldo qui dentro… Potremmo aprire i
finestrini?». In realtà stavo
congelando, ma perlomeno dopo il mio piccolo intervento pensarono di
far finire
lì lo show.
Pete ci portò in
un locale appena fuori città dove
non eravamo mai state, e dopo esservi rimasta un paio di minuti,
appurai che
avevamo fatto male a non continuare ad evitarlo. L’enorme
sala era piena di
gente di almeno quattro anni più grande di noi, la cui
maggioranza ignorava la musica
a tutto volume per dedicarsi ad altre attività poco
raccomandabili. Dopo
esserci mimetizzate tra la folla per sfuggire a un Pete euforico e
ubriaco
fradicio, venimmo trascinate da lui e alcuni suoi amici verso i bagni.
I suoi
nuovi compagni di sbronza erano due uomini dalle spalle larghe e le
braccia
coperte da tatuaggi, con un marcato accento russo. Finimmo rinchiuse
nel bagno
degli uomini prima di rendercene conto, e il mio cervello non fece
neanche in
tempo ad allarmarsi che uno dei due estrasse dalla tasca dei jeans una
scatolina di legno.
«Pete, che
diavolo ci facciamo qui?», chiesi con
voce stridula.
Lui scoppiò in
una fragorosa risata e prese tra il
pollice e l’indice il bastoncino che l’uomo gli
porgeva. «Ci divertiamo un po’
tutto qui», biascicò con la bocca piena di vodka.
Alzò la bottiglia che reggeva
in mano verso di me. «Perché non provi a
rilassarti? Fatti un sorso». Si portò
lo spinello alla bocca e lo accese. Aspirò e
soffiò verso di me una grande
nuvola grigia che mi invase le narici e la mente.
«Pete,
piantala», mugugnai tra un colpo di tosse e
l’altro. Lanciai una richiesta d’aiuto con gli
occhi a Britney, ma constatai
che anche lei aveva optato per il “divertimento”.
«Ehi Brit, avanti andiamocene
di qui». Lei mi osservò come se mi vedesse per la
prima volta, i suoi occhi
erano già arrossati a causa dell’alcool.
«Hal, dà retta a Pete. È sabato sera
e…», smise di prestarmi attenzione e si rivolse
all’uomo calvo di fronte a lei.
«Ehi, ma lo sai che hai dei capelli davvero
belli?». Si avvicinò al tizio,
strusciandosi contro la sua figura imponente ed egli parve apprezzare.
« Pete! », lo
chiamai quasi urlando. Mi ignorò. «PETE! Idiota,
fa
qualcosa. Non lo vedi che è ubriaca? È la tua
ragazza cavolo!», inveii. Lui
barcollò verso di me, rovesciandomi addosso tutto il liquido
contenuto nella
bottiglia. Mi prese per un braccio, costringendomi a sentire
l’odore acre del
fumo e dell’alcool.
«Senti, piccola puttana guasta feste, o ti dai una calmata o te ne vai, con le buone o con le cattive. E ti consiglio di scegliere la prima opzione perché io non uso mai le buone maniere. Ehi ragazzi, mi è venuta un’idea. Perché non facciamo una cosa a cinque?».
Dopodiché proruppe in una risata sguaiata che mi schizzò la sua ripugnante saliva addosso.
Mi ritrassi,
schifata, correndo verso la porta del bagno. Abbassai la maniglia, ma
quella
non si mosse di un millimetro. Mi accovacciai per terra,
nell’angolo più
lontano dal gruppo. Cercai il cellulare nella borsa con la mano
tremante,
sperando di passare inosservata. Con un po’ di fatica lo
trovai e composi il
numero che ormai conoscevo a memoria.
Uno, due… otto
squilli. Stavo quasi per
riattaccare, quando la sua voce profonda rispose.
«Sì?». Sembrava leggermente
seccato, potevo udire la musica e il rumore in sottofondo, ma mi spinsi
a
parlare.
«Harry»,
cercai di eliminare il tremore dalla mia
voce, con scarsi risultati.
«Haley?».
Il fastidio era sparito, sostituito
dalla sorpresa.
Deglutii rumorosamente.
«Senti, io…», un
singhiozzo convulso mi bloccò le parole in gola.
«Haley che
succede?». Sentivo che man mano i suoni
in sottofondo scomparivano. «Haley?»,
ripeté.
Feci un respiro profondo.
«Pete ci ha portato in
un posto e… Britney è ubriaca, l-lo sono tutti.
Puoi venirmi a prendere? Mi
dispiace non volevo chiamarti, ma non sapevo a…».
«Dimmi dove sei».
#Allie