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Autore: Kalyptein    19/12/2013    3 recensioni
"Non ci sei mai andato" commenta, passando il dito lungo sul bordo del vetro. Lo sente, il tono d'accusa nella sua voce, la rabbia, la delusione. "Da Ian" precisa, sottolineando ogni sillaba, a denti stretti. "Credevo ti interessasse sapere che è ancora vivo" Mandy Milkovich ha gli occhi cerchiati di nero, una lacrima mista a trucco che le scende lungo la guancia, nascosta malamente. Non dicono niente. "Sei una merda"
Mickey non dice niente perché lo sa, lo sa, che ha ragione. Mickey non dice una parola, ma ha ancora l'odore di disinfettante nelle narici.
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Ian Gallagher, Mickey Milkovich, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti! Scrivere questo capitolo è stato un parto. 1) E' di un Angst pazzesco, perfino per me. 2) E' stata scritta quasi interamente sul cellulare e poi passata sul pc. 3) Non c'è un terzo punto però i primi due sono più che sufficienti. Allora, parliamo un po' di questa storia. Non è un'OS, è la mia prima storia a capitoli sul fandom di Shameless. Che poi, dire a capitoli è un po' eccessivo visto che ne saranno solo tre. Non ho la minima idea di quando posterò gli altri, per ora sono ancora molto work in progress.
Il titolo è palesemente ispirato dalla canzone dei Mumford & Sons e sarà tutto molto più chiaro nel prossimo capitolo, mentre il titolo del capitolo è una canzone dei Beatles, che troverete nel testo leggendo. E' completamente pov!Mickey ed è ambientata dopo la terza stagione (QUARTA STAGIONE, ASPETTO SOLO TE) e adesso devo assolutamente lasciarvi perchè c'è Tobey Maguire che mi chiama dalla tv. Alla prossima!









Turn off your mind, relax and float down stream
It is not dying, it is not dying





Mickey Milkovich si sente soffocare.
Anche se riesce a percepire il vento arruffargli i capelli, sparpagliandogli ciocche nere sulla fronte pallidissima, i suoi polmoni non ne vogliono sapere di riempirsi di quell'aria densa di smog e odori disgustosi. Chiude gli occhi, si appoggia alla parete sudicia del vicolo dove intrattiene i suoi soliti affari. Sbuffa, producendo una piccola nuvoletta di aria congelata.
Ce la può fare; è la terza volta che se lo ripete nell'arco di quindici minuti. Ma lo vede: nel fantasma di qualche vecchio livido sulla faccia, nell'inchiostro sulle dita che usava stringere, dentro ogni cicatrice, in ogni ruga d'espressione; è tra l'angolo del Kash and Grab, l'eco di una risata e un gemito trattenuto; nell'odore della divisa Security scadente, con ancora qualche vecchio alone di sperma; nel freddo pungente, nel caldo soffocante; lo rivede nello sguardo triste di Mandy, in quello di disprezzo di Lip, negli insulti di Terry.
Mickey si accende una sigaretta, proprio quando la prima goccia di pioggia gli cade sulla fronte, scendendogli lungo tutta la linea del naso. Si stringe di più nel cappotto ed esce dal vicolo, bestemmiando a nessuno in particolare.
Ian è ovunque, quando Mickey è stanco, quando si stringe le coperte al petto, quando è eccitato; quando ruba una birra dal frigo del Kash and Grab, quando dimentica di controllare gli scontrini, quando fa l'inventario, quando fuma una sigaretta dopo l'altra, quando qualche vecchietta gli chiede dov'è il ragazzino rosso? Mickey è sempre convinto che, voltandosi all'improvviso, potrebbe trovarsi faccia a faccia con un paio di occhi verdi, capelli rossi, le lentiggini sul naso, le labbra piene e sorridenti.
Perciò si volta, si volta e Ian Gallagher non lo trova.



Mickey si aggira per il reparto dell'ospedale più merdoso del South Side, stringendo tra le dita il filtro di una sigaretta ormai rovinata in modo irreparabile. Li ha sempre odiati gli ospedali, con tutto quel bianco che gli da alla testa, la puzza di piscio di vecchio e gli occhi vuoti dei pazienti. L'ultima volta che ci era entrato, era stato quando aveva visto sua madre morire di overdose, circondata da estranei. Lui e Mandy aspettavano fuori da soli, due bambini con meno di dieci anni che si tenevano per mano senza emettere un fiato.
Mickey stringe ancora una volta la sigaretta tra le mani, fermandosi di fronte la porta semi aperta della stanza 13-D. Abbandonato nel suo letto d'ospedale, le labbra tese anche nel sonno, le ferite non ancora completamente rimarginate. I pochi capelli rossi che sono ricresciuti sono coperti da un cerotto enorme. Gli viene quasi da sorridere quando si rende conto che il film trasmesso in televisione è uno di Seagal. Si appoggia alla parete troppo bianca del corridoio, fissando le luci al neon.
"Oggi è riuscito a fare una passeggiata con la sorellina" Mickey solleva lo sguardo di poco, e riconosce la voce dell'infermiera del reparto. Rimette a posta una ciocca di capelli color mogano sfuggiti alla sua acconciatura complicata e manda uno sguardo a Mickey. "Povero ragazzo"
E Mickey vorrebbe essere diventare parte di quel muro, o venire direttamente schiacciato, ma si massaggia solo le tempie, in senso orario, con un po' troppa forza. Cerca nelle tasche interne della giacca una sigaretta asciutta e un accendino funzionante per miracolo. Il filtro è già tra le labbra secche quando l'infermiera tossisce, sollevando un sopracciglio poco folto. "Il divieto di fumare in ospedale è proprio un'idea del cazzo" borbotta tra sé e sé, riponendo l'accendino nella tasca dei jeans logori e la sigaretta perfettamente allineante nel pacchetto, insieme alle altre.
Il corridoio è vuoto a causa della tarda ora, il silenzio è spezzato dal respiro inquieto di Mickey, lo scatto della penna della segretaria e quei cosi che fanno bip tutti intorno. "Dovresti entrare almeno una volta" dice la donna, facendo scattare ancora una volta la penna, scribacchiando qualcosa nella sua cartellina. Il grande orologio, bianco pure quello, attaccato alla parete segna le due in punto con uno sgradevole tac. Mickey rivolge un ultimo sguardo al profilo poco illuminato di Ian Gallagher e, come ogni giorno da un mese a quella parte, abbandona il reparto senza aver rivolto la parola a nessuno.



La luce filtra tra le tende sporche di casa Milkovich. La stanza di Mickey puzza di biancheria sporca, vomito e alcol. Mickey rimane steso nel suo letto, con lo sguardo fisso al soffitto, paralizzato in una morsa di gelo. Non ha niente a che fare con l'inverno più freddo nel ultimi dieci anni, a detta dei conduttori del meteo, né con il vetro di una vecchia bottiglia di birra che gli preme sulla pelle nuda delle caviglie. Mickey il gelo lo sente proprio dentro. Sente che si sta trasformando lentamente in un pezzo di ghiaccio. Parte tutto dal cuore – che ormai non sa nemmeno se ci sia o no – poi si irradia gradualmente nel petto – lo fa rimanere costantemente senza fiato - al bacino, lungo tutta la lunghezza delle gambe, le braccia.
E, appesa accanto ad una bottiglia quasi vuota di Jack Daniels, la sciarpa insanguinata di Ian Gallagher forse può ancora scaldarlo.



Mandy Milkovich ha gli occhi cerchiati di nero, la frangetta spettinata e una vecchia felpa appartenuta ai suoi fratelli, che le arriva a metà coscia. Mickey la ricorda sempre così, con il mano una padella e delle uova che cuociono, l'espressione concentrata tipica della sorella. Entra nella loro cucina, cerca una birra nel frigorifero e si sistema sulla sedia, sorseggiandola lentamente.
Mandy, alzando gli occhi truccati sul fratello, chiede: "Uova?" iniziando a versarne alcune sul piatto, perfettamente cotte, il rosso dell'uovo completamente intatto.
Mickey alza le spalle, si pulisce un angolo della bocca con la manica sinistra della felpa e, non appena Mandy gli posiziona il piatto di fronte, inizia a mangiare velocemente. Casa Milkovich in quei giorni è stranamente vuota e silenziosa. Terry ormai si è trasformato in un fantasma, un alone di qualche vecchio livido, troppo impegnato a rovinare la vita dei suoi altri figli. Il resto dei suoi fratelli è in carcere. Ingoia l'ultimo pezzo di uovo, pulendosi nuovamente con la manica della felpa, quella destra stavolta.
"Oggi vado dai Gallagher" mormora Mandy, sedendosi al alto opposto del tavolo scheggiato in più punti, al centro un posacenere stracolmo di sigarette spente. Mickey quasi sorride del suo patetico tentativo di fare la vaga, ma alla fine alza le spalle e: "Divertiti" dice, fissando il rosso dell'uovo nel suo piatto.
"Non ci sei mai andato" commenta, passando il dito lungo sul bordo del vetro. Lo sente, il tono d'accusa nella sua voce, la rabbia, la delusione. "Da Ian" precisa, sottolineando ogni sillaba, a denti stretti. "Credevo ti interessasse sapere che è ancora vivo" Mandy Milkovich ha gli occhi cerchiati di nero, una lacrima mista a trucco che le scende lungo la guancia, nascosta malamente. L'orecchino al naso trema leggermente, il respiro si va facendo sempre più pesante, il ginocchio che colpisce ripetutamente il lavello della cucina. Non dicono niente, Mickey finisce le sue uova masticando a stento, ed ingoiando a forza, Mandy spinge via il posacenere. "Sei una merda"
Mickey non dice niente perché lo sa, lo sa, che ha ragione. Mickey non dice una parola, ma ha ancora l'odore di disinfettante nelle narici.



Lay down all thoughts, surrender to the void
It is shining, it is shining






Lo conosce a memoria l'ospedale del South Side, Mickey. Sa bene che all'angolo tra il reparto di oncologia e quello delle malattie infettive c'è la macchietta delle merendine, che puntualmente scassina quando tutti si voltano. E sa anche che l'infermiera del pronto soccorso e lo specializzando del reparto di pediatria hanno una storia, e che si danno da fare nello sgabuzzino delle scope. Poi, appena qualche metro prima dell'uscita, c'è un'uscita secondaria, che porta ad un vicoletto non particolarmente pulito. E' il suo posto preferito, l'unico in cui nessuno gli rompe il cazzo se prende due tiri dalla sua sigaretta. Reclina la testa contro il muro, si stropiccia gli occhi con le dita che sanno di fumo. Mickey non si è mai considerata una persona dotata di particolare intelletto, però ultimamente si è ritrovato a pensare più spesso di quanto abbia mai fatto in diciotto movimentati anni di vita. Pensa tutte le volte che i suoi polpastrelli di incastravano nelle fossette di venere di Ian, sempre, quando accarezzava le sue guance spruzzate da piccole, tondissime lentiggini ed anche quando toccava il suo corpo piano per non essere maldestro con tutte quelle sue ferite aperte. Pensa fino a quando sente gli occhi pungere, fino a quando non strizza gli occhi per ricacciare indietro tutte le lacrime, fino a vedere puntini bianchi nell'aria. Come in quel momento.
La cenere della sigaretta ormai gli è finita tutta sulle scarpe e Mickey ha tirato a stento due tiri. Sputa per terra, alzandosi in piedi, gettando il mozzicone sulle scale antincendio.
Mickey lo conosce a memoria l'ospedale del South Side, per questo non si lascia ingannare dai corridoio tutti uguali, tutti bianchi, riconosce la mattonella crepata delle scale del secondo piano, saluta con lo sguardo l'infermiera che si occupa del reparto di terapia intensiva. Si ferma un attimo, come se si fosse appena schiantato contro un muro, vede una testolina rossa che non dovrebbe esserci, in tutto quel contesto bianco. La piccola Gallagher gira la testa con uno scatto, così veloce che Mickey non ha neanche il tempo di correre, coprirsi la faccia, buttarsi dalla finestra, fare qualsiasi cosa. Due paia di occhi color nocciola lo guardano ansiosi, curiosi, un po' tristi, ad un paio di metri di distanza.
"Sei il fratello di Mandy vero?" rompe il silenzio la ragazzina, tirando su con il naso, rompendo il silenzio che riecheggiava tra le pareti del corridoio. "Mickey"
Mickey stringe le mani a pugno, nascoste nelle tasche della sua giacca. Il tono di voce, il ciuffo che gli penzola sulla fronte, la forma delle labbra, il sopracciglio leggermente sollevato, tutto, tutto gli ricorda quell'altro Gallagher. "Perché sei qui?" chiede, ignorando la mancanza di segni vitali dell'altro.
Mickey sbatte gli occhi velocemente, come appena sveglio, boccheggia alla ricerca di una risposta vagamente credibile e: "Sono venuto a trovare mia madre" balbetta.
"Non è vero" dice convintissima lei, incrociando le braccia al petto. "Tua madre è morta" Si avvicina di qualche passo, squittendo nei suoi stivali di gomma. "Me lo ha detto Mandy"
Gli occhi della ragazzina diventano due fessure - così simili a quelli di Ian - le braccia stringono più forte. "Perchè sei qui?" dice serissima.
Mickey fissa un punto imprecisato sopra la testa della ragazzina, un pezzo di intonaco bianco che minaccia di cadere sul pavimento. Lei inizia a pestare i piedi per terra, con quel fastidioso squittio che fa irritare Mickey talmente tanto che: "Smettila" sbuffa, continuando a fissare rabbiosamente l'intonaco.
"Sei qui per Ian, vero?" lo riprende lei. "Non credevo foste amici, però"
Mickey sbuffa di nuovo. "Non siamo amici"
"Però sei qui"
"Già" Mickey sta per mandarla a fanculo, fare dietro-front e tornarsene da dove è venuto, con l'intenzione di prendersi a pugni ogni volta che il pensiero di un paio di occhi verdi gli balena in mente. Ha già fatto un passo indietro, quando la ragazzina si appoggia contro il muro, come fa esattamente lui, e si stropiccia gli occhi. Quando li rialza sono arrossati, e una lacrima gli scivola sulla guancia lentigginosa. "Sono scappata di casa. Fiona non mi lasciava restare dopo le sette di sera, e non volevo lasciarlo solo. Non si ricorda neanche chi sono" Mickey rimane sul posto, con gli occhi fissi su di lei, senza capire una sola parola. "E' a causa del trauma cerebrale. Ho rubato la sua cartella all'infermiera, Fiona non ha voluto dirmi nemmeno questo"
"Trauma?" ripete in uno stato di trance, le labbra si muovono ma nella testa di Mickey non connette. E Mickey, che non si è mai considerato una persona intelligente, riesce a formulare un solo pensiero, all'infinito, che riecheggia tra le pareti della sua mente:colpevole.
Lei annuisce piano, spazzando una lacrima con il dito. "Non conosco i dettagli, c'erano un sacco di parole strane e difficili sul fascicolo. Però quando si è svegliato Ian.. non sapeva più chi era, chi eravamo noi. Non sapeva nemmeno di essersi arruolato all'esercito. Non sapeva più niente"
Mickey si accascia contro il muro. Colpevole. Nella sua vita, non è la prima volta che viene giudicato colpevole. Ormai anche il suo avvocato di famiglia ha smesso di difenderlo davvero in tribunale, davanti al giudice. Colpevole.
"E' sempre agitato, nervoso, o confuso. Ha perso tutta della sua forza. Era il mio supereroe" Le sue parole sono diventate un sussurro, fanno da sottofondo al vuoto dentro di Mickey. "Adesso non mi riconosce nemmeno"
L'infermiera passa, con il suo passo svelto, e il fastidioso rumore dei tacchi sul pavimento di marmo. Regala una carezza alla ragazzina e un stretta al braccio di Mickey, che non risponde. Sbatte più volte gli occhi, fa qualche passo sconnesso, e si avvia verso l'uscita di sicurezza più vicina.
"Mickey?"
"Mh?"
Occhi nocciola lo guardano dal basso, velati da uno strato spesso di lacrime. "Mi riaccompagni a casa?"



Casa Gallagher è l'abitazione più brutta del quartiere, forse seconda solo a quella di qualche strada più giù dove hanno trovato un vecchio morto mentre si faceva il bagno. La ragazzina, Debbie si chiama, non ha smesso di parlare un attimo, e non sembra nemmeno interessata al fatto che Mickey non abbia proferito una sola parola. Camminano fianco a fianco, ogni tanto la mano di Debbie sfiora la gamba di Mickey, nel buio e nel freddo di Chicago. Mickey ha rubato una merendina dalla macchinetta per lei, e Debbie l'ha divisa con lui. Sono soli nel vialetto per casa sua, e in sottofondo si sentono parolacce e colpi, ogni tanto Debbie sobbalza ma si ricompone subito. Ha quattordici anni, gli ha detto. Tre meno di Ian. Alla sua età lui aveva già sparato con una pistola, sniffato la prima striscia di cocaina e derubato una vecchietta in un supermercato.
"Grazie per avermi accompagnato" dice lei, abbassandosi il cappello sotto le orecchie. "Ho lasciato il mio cuscino a casa"
Mickey solleva un sopracciglio. "Cuscino?"
"Sì" squittisce lei. "Il mio cuscino foderato di saponette. Si sta più tranquilli con una buona parola ed un'arma che con una buona parola e basta"
"Con un'arma e basta, io sono sempre tranquillo" ribatte lui, a voce bassissima.
"Grazie lo stesso" I suoi capelli svolazzano sotto il cappello di lana. Debbie gli ricorda terribilmente Ian, ogni sguardo è come una mazzata su un fianco: gli toglie il respiro. Distoglie lo sguardo, concentrandosi sul freddo che sente sulle guance. Concentrarsi sul dolore fisico è l'unico modo che ha per non pensare a quell'altro tipo di dolore, quello che non si può controllare.
Tutte le luci di casa Gallagher sono accese. La porta si apre, ed un Lip Gallagher incazzato ne esce quasi correndo, al seguito Mandy Milkovich e Fiona Gallagher. "Mick?" esclama sua sorella, scendendo velocemente le scale del portico.
Fiona la supera e si butta tra le braccia di Debbie, che lo stringe forte. "Scusa, Fiona" mormora tra i suoi capelli, balbetta mezze scuse e inizia a singhiozzare. Mickey sposta il peso da un piede all'altro, in imbarazzo. "Mickey mi ha trovato per strada e mi ha riaccompagnata"
Il diretto interessato si stringe nelle spalle, guardando altrove, ignorando i ringraziamenti della Gallagher grande. Quel tipo di calore, di affetto, Mickey non l'ha mai provato. Nessuno gli ha mai dato una carezza quando è caduto dalla bicicletta, suo padre non gli aveva mai chiesto dove passasse i suoi pomeriggi, nessuno lo aveva mai portato all'ospedale, aspettato e vegliato su di lui nel sonno. Lancia uno sguardo a sua sorella, un po' in disparte rispetto ai Gallagher. I loro occhi si incontrano e Mandy sorride a disagio, a bocca chiusa, perché sono uguali. E capisce perché non torni più a casa loro così spesso: è troppo invitante, quel calore, irresistibile.
Le ragazze entrano dentro casa, ancora strette in un abbraccio. Mickey ha già un piede in un mezzo alla strada quando: "Milkovich" sente alle sue spalle. Mickey si gira appena, giusto per cogliere l'immagine di Lip Gallagher ancora sul portico, con la mascella indurita. "Sta lontano dalla mia famiglia"

  
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