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Autore: Borderline1997    19/12/2013    0 recensioni
Questa storia è una via di mezzo tra il reale e l'immaginario, cita fatti che mi sono realmente accaduti mescolati con fatti che immaginavo, al momento, che potessero succedere. Il mio obbiettivo è quello di esternare i miei sentimenti e le sensazioni che provo ogni giorno, e di far capire alle persone che leggono quanto possa essere difficile questo periodo di transizione in cui si formano le persone, comunemente chiamato ''adolescenza''.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Ehi tu! Sì, proprio tu! - Mi voltai a guardare da dove proveniva quella voce, sembrava proprio che quelle parole fossero rivolte a me. Appena mi voltai, vidi una signora che mi fissava, era seduta proprio di fronte a me. Avrà avuto all'incirca settant'anni, a guardarla sembrava una come tante altre, niente di particolare; capelli bianchi, qualche ruga qua e là, due grandi occhi azzurri e un corpicino molto esile, è incredibile come il tempo possa mutare le persone, quelle che una volta erano bellissime ragazze, ora hanno il viso appesantito dai tanti anni che gravano su di loro, e che hanno rovinato quei lineamenti una volta così definiti e solari.

Comunque, con quelle parole, si voltò a fissarmi. - Sì signora? Mi dica pure. -

- Sai che sei proprio un maleducato? Togli quel piede da lì, la gente ci si deve sedere e sinceramente non credo che a qualcuno andrebbe di sedersi dove un altro ha appoggiato le sue scarpe sudicie. E poi, guardati. Sembri uscito da uno di quei pessimi film che fanno al giorno d'oggi. Con quei vestiti tutti neri e quei capelli azzurri. Scommetto che ascolti anche quella pessima musica che ascoltano i ragazzi d'oggi e che indossi catene e cose così. Cresci un po', che conciato così non arriverai a nulla. - Quelle parole mi turbarono molto. Ma non nel senso che mi fecero riflettere, anzi, tutt'altro. L'unico pensiero che mi frullava per la testa in quel momento, era quello di insultarla di rimando, eppure, non mi uscivano le parole di bocca. Non so per quale strano motivo, forse i miei genitori mi avevano educato troppo bene, forse non mi andava di farlo. Sta di fatto che l'unica cosa che riuscii a dire di rimando fu: - Sa signora, lei è fortunata ad aver incontrato una persona come me, perché io sono fin troppo calmo a volte. Se fossi stato un' altra persona, allora probabilmente in questo momento lei starebbe sentendo un vasto repertorio di insulti rivolti a lei. Ma io non sono il tipo. No. Quindi le dico solo che mi dispiace. Mi dispiace che ci sia ancora gente che la pensa come lei. I veri immaturi non sono quelli che pur avendo la realtà davanti agli occhi, si rifiutano di accettarla, quelli che si rifiutano di capire che il tempo passa e che lo cose cambiano. Mi creda signora, io queste cose le ho provate sulla mia pelle, fin troppe volte. Tutto cambia, prima o poi. Nulla è per sempre. -

A queste mie parole, la signora tacque per un momento, poi mi rispose: - Si, hai ragione, sono belle parole. Ma questo non giustifica comunque il fatto che tu abbia i piedi appoggiati sul sedile davanti a te, e nemmeno il fatto che tu vada in giro vestito completamente di nero e coi capelli tinti di blu. - E in effetti aveva ragione. Stavo divagando, com'era mio solito fare. A volte mi perdevo a pensare e passavo da un discorso ad un altro senza nemmeno rendermene conto. Sono fatto così, io. Sarò nato sbagliato, forse. Ma sinceramente, non me ne dispiaccio più, ho imparato ad accettarmi, e anche le persone che mi sono vicine hanno fatto lo stesso. Ora vivo molto più serenamente e in pace con me stesso.

In ogni caso, tornando in tema, a quelle parole decisi di non dare troppo peso, e di rispondere in maniera piuttosto superficiale, anche se non è mio solito dare questo tipo di risposte. Quello che dissi fu più o meno questo: - Vede signora, innanzitutto vorrei chiederle scusa per aver appoggiato il piede sul sedile, mi rendo conto che non è un comportamento propriamente educato, ma stavo comodo. Per quanto riguarda i vestiti ed i capelli, la risposta non è altrettanto semplice. Diciamo semplicemente che mi piacciono, un motivo c'è, ma è troppo difficile e lungo da spiegare, e non mi va proprio di parlarne agli estranei. Ora, se vuole scusarmi, la prossima fermata è la mia. -

Mi alzai dal mio posto, e suonai per prenotare la fermata. Il suono del campanello mi rallegrò un poco, non so per quale motivo, aveva un qualcosa che dava sicurezza, una caratteristica di poche cose nella mia vita. Pochi attimi dopo, l'autobus arrestò la sua corsa, e le porte si spalancarono. Scesi con calma i due gradini che mi separavano dal marciapiede ed attraversai la strada. Il gelido vento invernale tornò a sferzarmi il viso, come sempre in quel periodo dell'anno. Mi accesi una sigaretta, tirai una lunga boccata, e mi avviai verso la scuola. La signora di prima ancora mi guardò male ancora una volta, prima che l'autobus ripartisse lasciandomi solo, finalmente solo.

 

 

 

Era un freddo mattino, l'aria sibilava sul mio viso, era fredda come il ghiaccio. Non mi sentivo troppo bene, avevo un mal di gola che non mi lasciava un attimo in pace e continuavo a tossire, ma nonostante tutto avevo la mia fedele sigaretta tra le labbra, e questo mi dava un certo sollievo. Non so spiegarne il motivo, ma quando ho mal di gola le sigarette mi alleviano il dolore, penso sia più una questione psicologica che fisica, ma non saprei dirlo con certezza.

Quasi dimenticavo, non mi sono presentato. Mi chiamo Levi e ho 16 anni, probabilmente vi aspetterete che io dica di essere un ragazzo come tanti altri, ma non direi altro che un'enorme cazzata. Non sono un ragazzo come tanti altri, io sono io, e non assomiglio a nessuno. Ho il mio carattere, il mio modo di pensare e di esprimermi, che poi si rispecchia nel modo di vestire e nel modo di relazionarmi alla gente. Sono una persona alquanto strana, ad essere sinceri, sono sempre stato un sognatore, uno che pensava fuori dagli schemi, che combatteva per i suoi ideali e per realizzarli, ma poi sono cambiato. Anzi, tutto intorno a me è cambiato, e io di conseguenza.

E' ormai da qualche anno che vivo e penso in modo più realista, ma ragazzi, non abbandonate mai i vostri sogni, perché il mondo vi crollerà addosso. Io purtroppo ho preso questa decisione, quella di abbandonare il sogno, intendo, e ora vivo un'esistenza monotona, mi sento come se la mia vita non mi appartenesse, la vedo come un insieme di eventi che accadono, senza che io nemmeno me ne accorga, è strana come cosa, mi rendo conto che tutto sta lentamente cambiando, eppure questo non mi suscita alcuna emozione, proprio come un film in bianco e nero.

In questo momento starete pensando che dal lato fisico invece, potrei assomigliare a molti ragazzi della mia età. E vi sbagliate di grosso. Tanto per cominciare, vesto sempre, e dico sempre di nero, non sopporto i colori sgargianti, per niente. L'unica cosa che ho di sgargiante sono i miei capelli, che adoro; sono di un bell'azzurro acceso, per me sono il segno che nella mia vita c'è ancora qualcosa che posso cambiare, e questo è il mio pensiero, ho scelto proprio i capelli, perché sono la cosa più vicina al cervello che potessi facilmente cambiare, e ho scelto proprio il colore blu perché è un colore che simboleggia la calma e la riflessione.

Che dire ancora su di me...direi che può bastare, non vorrei cadere nella monotonia ed annoiarvi con lunghe descrizioni fisiche che sinceramente non vanno giù nemmeno a me.

Finita questa piccola descrizione, che serviva giusto a farmi conoscere a grandi linee, ritorno ai fatti di cui stavo parlando prima.

Avevo appena finito la mia sigaretta mattutina, ed era venuto il momento di entrare a scuola. Non amavo per niente quel posto, quelle mura mi facevano sentire come dentro una prigione, non fisicamente, questo è sottinteso, ma mentalmente sì, dopotutto a scuola bisogna sempre mantenere una certa linea di pensiero, che spesso e volentieri non coincide con la mia. Mi fa sempre sentire sottomesso, non libero di pensare alle cose a modo mio, non so per quale strana ragione. Forse è il fatto che non voglio essere emarginato, ed etichettato come ''strano'', perché al giorno d'oggi, purtroppo, ogni persona che ha un modo di pensare un po' fuori dagli schemi imposti dalla società, è considerato strano e viene di conseguenza allontanato, specialmente tra gli adolescenti. Questa cosa mi fa ribollire il sangue nelle vene, mi fa sentire come se un fuoco stesse bruciando dentro di me, e questo fuoco mi fa paura ma mi affascina al tempo stesso, in un certo senso mi fa sentire superiore agli altri, perché ormai secondo me, quasi tutti sono dei semplici burattini, manipolati dalla società a loro piacimento. La vita delle persone sta diventando qualcosa tipo: Nasce, studia, lavora, muore. E dov'è il vivere? Non ci vedo niente di quello che mi aspetto. Per me la vita è quella cosa che ti fa provare infinite emozioni, sia positive che negative, che ogni giorno riesce ad affascinarti di nuovo, come se fosse il primo, quella che ha sempre il fascino dello sconosciuto, perché alla fine quali certezze ci sono nella vita, veramente? Le uniche due certezze nella vita, a parer mio, sono quella di esser nato, e quella che prima o poi dovrai andartene. Io penso che la nostra adolescenza, e la nostra vita in generale vada vissuta, giorno per giorno, il più intensamente possibile, e non secondo degli schemi prefissati da chi ci ha preceduto. Una citazione che amo, e che ho letto e riletto, dice tutto sul mio pensiero riguardo alla vita: ''Quant'è bella giovinezza, che si fugge tuttavia! Chi vuol esser lieto, sia: Di doman non v'è certezza''.

Ok, lo ammetto, stavo di nuovo divagando. Com'è mio solito fare. Ma credo che fosse più interessante questo che la mia giornata scolastica, una delle tante, tutte diverse, tutte uguali.

 

 

 

 

Era appena passata l'ora di pranzo, quando mi ricordai che quel pomeriggio avrei dovuto incontrare l'assistente sociale, per discutere di un qualche psicologo che potesse seguire i miei cambiamenti adolescenziali, che avevano ormai assunto un risvolto alquanto strano, e oserei dire, spaventoso.

Ma in tutto questo non sapevo ancora cosa mi aspettava.

Tanto per cominciare, il tragitto in macchina fu uno strazio. Mia mamma, seduta sul sedile davanti, discuteva col suo amico di vari affari che non sono neanche stato a seguire. Io invece, seduto nel sedile dietro, da solo, navigavo.

Navigavo nei ricordi, era come se nella mia mente ci fosse una nave su di un mare in burrasca. Ogni secondo la situazione si ribaltava, e passavo dai ricordi più belli, a quelli più brutti. Il momento in cui ricordai mio padre, e il suo sorriso così sincero e pieno di affetto, fu quello in cui la nave affondò, trascinandomi sul fondo.

Fortunatamente, il viaggio non durò che pochi minuti, e una volta sceso dalla macchina dovetti per forza reprimere quei ricordi, anche se ormai quel mare si era calmato, e io mi stavo facendo tranquillamente cullare dalle onde. Quei ricordi erano fin troppo simili alla lama di un coltello, affascinante, ma al contempo tagliente.

Una volta dentro, la prima cosa che feci fu prendermi un caffè, ne avevo veramente bisogno. Tutto quello sforzo necessario a reprimere le lacrime mi era costato caro, e mi sentivo stanco, ma non solo in senso fisico, mi sentivo stanco di tutto, della mia intera esistenza.

Guardai il mio orologio, erano le quattro del pomeriggio. Poi feci scivolare la manica leggermente più in alto. Ed eccoli lì, così evidenti, rossi. Quei tagli, ricordi di una serata in famiglia finita male. Erano frutto di uno dei miei soliti attacchi d'ira, divenuti ormai incontrollabili. Ogni giorno era peggiore di quello precedente, bastava sempre meno a farmi incazzare. Ero arrivato al punto di non ritorno, dove gli errori che si fanno quando si è fuori controllo diventano irreparabili, e senza che ce ne si renda nemmeno conto, ti distruggono. La sensazione è quella che vada tutto bene, che prima o poi tutto finirà, che non avrai altre delusioni. Invece la realtà è un'altra. La realtà è che di delusioni ne stai avendo anche in questo momento, senza rendertene conto. E continuerai ad averne, e a soffrire per esse. Fino a quando non arriverà il giorno in cui tutto finirà, con la delusione di non aver potuto fare più di quello che hai fatto.

L'attesa fu estenuante. Stavo per scoppiare. Davanti a me c'era seduto un bambino, che continuava a fare rumore, gridare, cantare, piangere, e addirittura ruttare. Ecco perché io non sopporto i bambini, questi cinque verbi rappresentano esattamente tutto quello che fanno, a parte mangiare e dormire ovviamente. Ero talmente nervoso che dopo pochi minuti dovetti uscire a fumarmi una sigaretta, altrimenti l'avrei soffocato, lo posso giurare.

Erano passate quasi due ore, quando finalmente mi fecero entrare in quella saletta. Era piuttosto spoglia, con una scrivania in un angolo, qualche libreria, e delle scartoffie sparse un po' ovunque. Il colloquio che avvenne in quella stanza, fu una delle cose più inutili della mia vita. Due ore di coda, due cazzo di ore di coda, per farmi dare quattro numeri di telefono. - Loro potranno aiutarti meglio di quanto possa fare io. - Mi disse. Le avrei risposto che se voleva l'avrei potuta aiutare io ad andare ''in quel posto''.

Quando uscii, vidi una cosa che non mi aspettavo. Era calato un tetto di nebbia veramente impressionante, non si vedeva ad un palmo dal naso. E quel momento, quell'impatto, fu veramente magico. Non credo di poter descrivere bene la sensazione che ho provato, ma è stato qualcosa di veramente stupendo, era come se il mio stato d'animo fosse in perfetta armonia col mondo esteriore, come se quello che sentivo in quel momento, si proiettasse intono a me. Perché in fondo era quello che vedevo dentro di me, un tetto di nebbia che velava le mie emozioni, rendendole distinguibili solo da chi mi stava vicino.

  
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