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Autore: Dzoro    20/12/2013    1 recensioni
In un mondo abitato da manichini meccanici, dominato dai Vampiri e con seri problemi di immigrazione aliena, succede un evento impensabile: Carmilla, una bambina vampiro, torna umana. Il compito di proteggerla viene affidato ad un improbabile eroe, il medico-manichino Verzetti. Riuscirà a salvarla dalle grinfie del perfido tenente Controcazzi e a conquistare il cuore di Samanta, la bella manichina dal morbido seno di Seitan, e a pagare l'affitto?
Storia in pausa natalizia, ci vediamo a gennaio!
Genere: Avventura, Commedia, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Undici

Dentro la vetrina si trovavano due manichini, un maschio ed una femmina, in mezzo ad un allestimento fatto di vecchi giornali, poster di gruppi punk e microfoni vintage dalla testa squadrata. “Lei è Samanta.” Disse Verzetti, indicando la ragazza ad una decina di metri dalla vetrina.”Eravamo compagni di fabbrica.”
Carmilla la guardò affascinata: la manichina era vestita con dei pantaloni corti a vita alta color rosa shocking, e una canottiera nera a pois, con un ampio spacco sulla sua schiena di ceramica. Le sue labbra erano rosso acceso, i capelli erano una complessa pompadour nera. Dopo un minuto, un cenno col capo e un largo sorriso gli fecero capire che si era accorta di loro. Si appoggiò con entrambe la mani alla vetrina, e le sue labbra modularono un muto ciao dall’altra parte del vetro. La videro scomparire di corsa dalla vetrina, ed un attimo dopo spuntare dalla porta del negozio. Si lanciò verso Verzetti, saltando dritta tra le sue braccia, e gli schioccò un bacio sulla superficie liscia della sua faccia di ceramica, lasciando uno stampo rosato.
“Virzì! Echhè, sei diventato un timidone che nun me vieni più a trovà?” rise con una voce cristallina, stranamente appesantita da un marcatissimo accento.
“Ciao Sammy!” Verzetti rise, senza riuscire a non sembrare leggermente imbarazzato. Sentì una sensazione calda e morbida premersi sotto il suo petto. Resosi conto di cosa si trattava, sussultò.
“Samanta, sei…” si lasciò sfuggire un’occhiata sulla scollatura della ragazza. “… bellissima.” Lei notò l’occhiata indiscreta, e scoppiò a ridere:
“Hai visto che zinne? Belle, no? Me sun fatta l’impianto! Tutta robba naturale, fatta cor seitan, mica silicone bello mio! So’ morbide, no?” disse ridendo,e  stringendosi ancora di più contro Verzetti.”Ma tu invece come te vesti? Me sembri un penzionato, mannaggiattè!”
“Ciao!” si intromise Carmilla in quel momento. Samanta la notò.
“Anvedi sto topolino! Ciao amo’, come te chiami?” disse, chinandosi verso la bambina.
“Camilla!”
“Camillina, ma ciao topo amo’! Io sò Samanta, senz’acca.”
“Senz’acca?”
“Nun se sente, nun se scrive, no? Oh, Virzì, tu e sto topolino restate un po’ qui, che stacco tra un quarto d’ora e annamo a fare due passetti. Così me racconti tutto, va bene?”
Mentre parlava, l’impianto facciale muoveva le labbra in un movimento non del tutto naturale, simile all’animazione labiale di un videogioco dell’inizio del ventunesimo secolo. Samanta corse indietro fino alla porta, e la videro ricomparire a tempo record in vetrina. Verzetti era ancora scioccato. Ormai gli impianti stavano diventando sempre più comuni tra i manichini. Improvvisamente, si sentì davvero un pensionato.
“È simpatica!” Rise Camilla. “Parla buffo!”
“Già, un difettuccio di fabbrica. Niente di grave.” Confermò Verzetti.
“Perché, ci sono anche difettucci gravi?”
Verzetti rimase un attimo in silenzio, prima di rispondere. La domanda aveva frugato in un posto del suo animo di ceramica e transistor dove di solito preferiva non frugare.
“Sì Carmilla.” Rispose semplicemente.
 
Samanta ricomparve in strada quattordici minuti dopo, vestita con una minigonna nera e una pelliccia, che nascondeva più o meno efficacemente un top sportivo. Non aveva più i capelli, erano pochi i manichini che se li facevano impiantare, solitamente il lavoro richiedeva di cambiarli spesso. Si muoveva leggera sulle giunture di ceramica, senza emettere nemmeno il più flebile scricchiolio, esalando invece soavi zaffate di olio di rosa e gelsomino.
“Ma lo sai che penzavo proprio a tte, l’altro giorno? Dicevo ma ‘ndo cacchio s’è cacciato er Verzetti, ed ecco che mi spunti fuori! Oh, mica sarai telepatico?”
“Vabbè, mi hai scoperto, non dirlo a nessuno.”
“Ah ah, Virzì, che simpatico che sei!” Rise Samanta, appoggiando una mano sul braccio del manichino. “Cosa sto pensando ora?”
“Che sono simpatico.”
“Abbeh, questa era facile!”
“Ora stai pensando a me nudo.”
“Non è vero!” rise Samanta.
“Samanta, per favore, basta, c’è una bambina, arrossisco!” continuò Verzetti, fingendosi scandalizzato.
“Eddaje, scemotto!”
Erano tornati a camminare su via Murnau, ora la folla era perfino più numerosa.
”Ma sei ancora dietro a fare il dottore per li griggi?” chiese Samanta.
“Beh, per tutti, aiuto chi ha bisogno…” mentre lo diceva, lanciò un occhiata a Carmilla. Quanto era vero.
“Ma tu mi devi sta’ attento! Quei griggi so pericolosi, l’altro giorno hanno trovato quello schifo dei grappolacci loro in un quartiere di pipistrelli. Che voglio dì, nun sò mica razzista, ma un po’ de schifetto me lo fanno quelli, no?”
“Non dirlo a me, siamo stati in una loro mensa ieri, non ti dico l’odore…”
“In una menza? Ma Virzì, te sei fumato ‘a capoccia? Tu nun ce devi andà in ‘sti postacci, mannaggiattè! E pure er topolino te ce porti dentro. Ma poi, sto topolino chi è? E che te la porti dietro in camicina da giorno?”
“Dobbiamo comprare dei vestiti!” esclamò Carmilla.
“E c’ha raggione!” disse Samanta.
“Certo, ma vedi, è una storia lunga, in pratica…” tentò di dire Verzetti, prima che Samanta si fermasse, e lo interrompesse:
“Vabbè, me la racconti dopo che semo arrivati.”
Verzetti alzò la testa, e immediatamente sobbalzò per lo stupore:
“Otranto? Lavori per Otranto?” esclamò. Si trovavano davanti alla vetrina drappeggiata di velluto color latte, decorata con il simbolo dei fiori dorato. Accanto alla vetrina si trovava un ingresso argentato, simile a quello di una cattedrale, con una vetrata color turchese e statue di ammiccanti angiolette che si muovevano animate da un estasi apparentemente tutt’altro che mistica. Era il negozio personale di Manfredi Otranto, l’inventore della moda otrafu. “Samanta… uau!” rise.
“Che figata, eh? Avevo zentito che cercavano una manichina, c’ho mandato er curriculum e dopo un mesetto m’hanno chiamato. E te pagano pure bene! Oh, me aspetti un attimo qua fori, che vado su in vetrina che mi mettono tutti ‘sti nastrini carucci e te faccio vedè?”
“Sì, volentieri!” rispose Verzetti. Ma subito si ricordò del vero motivo che l’aveva portato lì. “Però… senti. Volevo chiederti un favore.”
“Dimmi caro, dimmi!”
“In questi giorni sto facendo…” Passò il mezzo secondo necessario per inventare una balla, “…disinfestazione nel mio appartamento. Sai, si è rimepito di scutigere ultimamente. Non è che potresti ospitarmi? Per un po’? Solo qualche ora, finché non finiscono.”
Samanta, man mano che ascoltava, annuiva. Poi sgranò gli occhi, ed esclamò:
“Oddio, te hanno cacciato fuori de casa!”
“No! No, che dici, è solo la disinfestazione!” balbettò Verzetti, evitando lo sguardo di lei.
“Virzì, macché disinfestazione, che nun c’hai i sordi neanche pe’ comprarti un vestito decente! Ti hanno cacciato?” lo incalzò Samanta. Verzetti tacque, imbarazzato. Quella ragazza lo conosceva molto meglio di quanto immaginasse.
“Virzì, ma povero cocco!” Samanta abbracciò di nuovo stretto il manichino. La sensazione del seno di seitan contro il suo petto era davvero piacevole. Quando lo lasciò andare, gli mise qualcosa in mano: erano delle chiavi, tenute insieme da un portachiavi a forma di maialino Lombardoni.
“Tieni, va pure che qui ce devo sta’ fino a mattina tardi! Ti ricordi dov’è casa mia, no? Ch’abbiamo fatto la festa de capodanno.”
Verzetti se lo ricordava bene. Samanta era rimasta tutta la serata a pomiciare su un divano con un loro altro compagno di fabbrica, Stucchi. Verzetti lo odiava, quello Stucchi.
“Sì, ma… No, dai, forse è meglio se lasciamo stare. È stata un idea stupida, mi troverò un albergo e…”
“Macché albergo e albergo! Vai pure, ci vediamo lì stamattina! Okay? Dai, me fa piacere, sono lì da sola. Okay?”
Verzetti annuì:
“Va bene.”
Samanta sorrise, e gli schioccò un altro bacio sulla guancia, creando un immagine parallela del primo stampo di rossetto sull’altra guancia.
“Dai che ci vediamo dopo! E da’ un vestitino decente a sto topolino, sò sicura che trovi quarcosa nel mio armadio. Okay?”
“Okay. Grazie.” rispose Verzetti, annuendo.
Samanta, sorridendo, corse dentro il negozio. Verzetti fissò confuso e imbarazzato il mazzo di chiavi, che teneva ancora in mano. Sentì una gomitatina colpirlo nello sterno: era Carmilla, con un sorrisetto furbo stampato sulla faccia.
“Ti piace lei, eh?”
“Beh, sì, è un’amica. Ci conosciamo da anni.” disse Verzetti.
“Ma non fare il finto tonto, che eri lì a fare il brillante! Ciao babi, ti leggo nel pensiero.” Carmilla terminò la frase con una voce nasale, incredibilmente simile a quella di Verzetti.
“Piantala, se anche fosse vero?”
“Ma anche tu le piaci! Hai visto come faceva finta di trovare divertenti le tue battute cretine?”
“Faceva finta? Erano davvero divertenti!” si indignò Verzetti.
“Mah.”
Mah cosa? Non hai visto come rideva?”
“Ma è quello che ti ho detto io prima! Se non le piacessi non riderebbe a tutte le tue cretinate! Uffi, voi uomini non capite mai niente finché non ve lo sbattiamo in faccia.” Sospirò Carmilla.
“Ehi, non ho intenzione di farmi insegnare a vivere da una bambina di otto anni.” Disse Verzetti, accigliato.
“Ne ho nove!”
“È la stessa cosa.” Tagliò corto Verzetti.
Samanta spuntò in vetrina in quel momento. Indossava un abito da sera otrafu, molto diverso dalle gonnelline di pizzo dozzinali che le ragazzine seguaci di quella moda compravano nei discount gothic: le decorazioni erano fatte di velluto, e sembravano avere la forma e colori delle farfalle: erano un esplosione di sfumature di azzurro e blu, abbinate a piccoli tocchi di arancione. Il bustino e la gonna erano sorretti da stecche di ossa di balena, sottilmente scolpite al laser dalle abili mani degli stilisti di Otranto. In testa aveva una cuffietta blu elettrico, dal quale spuntavano due trecce bionde. Con una faccia fintamente ossequiosa, fece la riverenza ai due, alzando gli orli della gonnellina. Carmilla rise, e batté le mani, facendo scoppiare a ridere anche la manichina. Samanta li salutò scuotendo la mano.  
“Ce l’hai su un vassoio d’argento, Virzì.” Sussurrò Carmilla al manichino, con il suo consueto sorrisetto di chi la sa lunga.
“Sei una piccola impertinente e non ho intenzione di risponderti. Andiamo, su.” Sbuffò Verzetti, e si avviarono verso la metropolitana.
   
 
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