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Autore: Glitch_    21/12/2013    3 recensioni
[Derek-centric, Sterek, post 3a] «Sarà come se il vostro subconscio prendesse vita dando forma a una realtà parallela: ogni notte sognerete di una vita diversa da questa – sempre la stessa, come se fosse un mondo alternativo a quello in cui vivete – fino a quando non saprete più distinguere la realtà dal sogno, o fino a farvi credere di dover scegliere in modo estremo quale delle due vite vivere»
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Chris Argent, Cora Hale, Derek Hale, Peter Hale, Stiles Stilinski
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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PARTE SECONDA


 

 

"Previously I never called it solitude

and probably you know

all the dirty shows I've put on

blunted and exhausted like anyone

honestly I tried to avoid it

honestly

Back when we were kids

we would always know when to stop

and now all the good kids are

messing up

Nobody has gained or

accomplished anything"

Comforting Sounds – Mew @ YouTube


 

 

"Every night, I dream you still here.

The ghost by my side, so perfect so clear.

When I awake, you disappear,

Back to the shadows

With all I hold dear…

With all I hold dear…

I dream you're still here"

Still here – Digital Daggers @ YouTube

 


 

Derek comprese fin da subito quali fossero i molteplici modi in cui quella maledizione l’avrebbe fatto lentamente impazzire: erano già quasi due settimane che ogni notte sognava della sua vita alternativa e le cose andavano così bene da essere spaventose.

Poteva vedere di nuovo com’era la sua famiglia prima dell’incendio, nella sua semplicità e nel pieno della sua vitalità e ciò era una tortura sia perché al risveglio non ce l’aveva più, sia perché sapeva che di lì a poco l’avrebbe persa una seconda volta, che nel sogno sarebbe presto successo qualcosa di tragico. Non poteva neanche parlarne con Cora, perché come avrebbe mai potuto condividere con lei dei ricordi di una famiglia che non era del tutto la sua? Cora forse poteva capirlo, ma quella non era la sua vita e inoltre Derek temeva di essere giudicato: era da persone senza cuore affezionarsi a una famiglia alternativa? Cora si sarebbe sentita "tradita"?

Per non parlare del fatto che l’inquietava che si stesse affezionando a quella famiglia.

Il suo affetto era sbagliato perché quella situazione era fittizia, e al risveglio tra l’altro non aveva più accanto a sé né Laura né i suoi genitori, né tantomeno la vita serena che lì aveva, e ciò gli faceva un male del diavolo.

Derek non sapeva fino a che punto lasciarsi andare nei suoi affetti nell’altra vita, non sapeva con chi parlarne e sentiva la crescere in sé la tentazione di dormire anche nel pomeriggio pur di fare una capatina in più in quel piccolo mondo dove tutto era ancora felice e sano.

E di lì a poco avrebbe perso tutto, perché la maledizione puntava a quello, al ripetersi degli eventi: l’ansia stava cominciando a roderlo dentro e certe volte avrebbe voluto urlare a se stesso in sogno di stare attento.

E poi c’era Stiles.

La maledizione aveva unito le loro vite alternative in modo assai semplice: Paige era diventata la sorella di Stiles. E lei presto sarebbe morta.

Derek si sentiva un po’ in colpa per questo: sapeva già che Stiles in qualche modo avrebbe rivissuto la perdita di un genitore, così come lui avrebbe rivissuto la morte della propria famiglia, ma Paige in teoria avrebbe dovuto essere una pena solo sua, non era il massimo sapere che di riflesso sarebbe stata aggiunta anche alle sofferenze di Stiles.

Tra l’altro non era neanche troppo difficile capire su quali punti interrogativi personali era stata creata la vita alternativa di Stiles, era abbastanza intuibile che almeno una volta Stiles si fosse chiesto anche lui come sarebbe stata la sua vita senza l’esistenza della licantropia e del sovrannaturale in generale; forse si era anche chiesto come sarebbe stato non essere figli unici: non sarebbe stato poi un pensiero inusuale per qualcuno che era cresciuto senza un fratello o una sorella – e di conseguenza la maledizione gli aveva "dato" Paige.

Cora continuava a chiedergli di parlare con Stiles, Peter invece più che dirglielo a parola glielo comunicava con delle occhiate serie ogni tanto velate di preoccupazione che era meglio confrontarsi con il ragazzo: Peter stava intuendo a grandi linee cosa stesse sognando Derek e come gli aveva già detto una volta lui rispetto a Cora ricordava tutto meglio e quindi stava aspettando i suoi tempi per spingerlo a scambiare due chiacchiere sulla loro famiglia alternativa. Derek apprezzava il gesto, davvero, ma non sapeva quando sarebbe riuscito a farlo.

Parlare con Stiles tra l’altro non era solo difficile per il senso di colpa legato a Paige, ma anche perché tramite lei stava "spiando" la vita di Stiles: non era propriamente imbarazzante, ma gli faceva comunque troppo l’effetto di stare guardando qualcosa dal buco di una serratura in maniera impunita, non lo faceva sentire del tutto pulito.

Al momento Stiles, oltre a Cora e Peter, era l’unica persona del mondo reale che Derek avesse incontrato anche in sogno ed era strano conoscere la sua infanzia senza averlo mai incontrato sul serio in quel periodo della sua vita. Nel sogno stavano perfino costruendo una sorta di rapporto, stavano sviluppando delle piccole abitudini ogni volta che si vedevano, mentre in realtà non avevano mai condiviso nulla di simile e la loro relazione era stata sempre pressoché l’opposto di quella del sogno: questo sì che era imbarazzante.

L’altro Stiles, quello bambino, era molto legato a sua sorella perché era l’unica persona ad ascoltarlo e a prestargli attenzione oltre ai loro genitori.

Paige gli aveva detto che suo fratellino era in cura perché iperattivo – non che Derek non l’avesse subito notato – e che ciò gli stesse dando problemi a stringere delle amicizie. Stiles era così pieno di curiosità ed energie da essere logorante per chi gli stava accanto: gli altri bambini della sua età non erano interessati a fissarsi sui suoi stessi interessi o a sviscerare per ore argomenti come l’estinzione dei dinosauri; tutti preferivano collezionare le miniature dei dinosauri senza porsi problemi sul perché non esistessero più, amavano andare dritti al punto e divertirsi, essere più semplici e lineari, e di conseguenza trovano Stiles stancante e un tipo troppo strano da avere come amico – lo evitavano spesso.

Paige era l’unica ad ascoltare tutte le lunghe e articolate ricerche che Stiles faceva sulle cose più stravaganti e buffe che attiravano la sua attenzione, era paziente e buona con lui e i due erano legati da un forte e tenero affetto fraterno; avevano entrambi una mente brillante e un piglio sarcastico, anche se dove Paige era più mordace, Stiles tendeva a essere più timido e goffo.

Derek adorava anche la parte di Paige che si preoccupava per suo fratello, per questo qualche volta le aveva proposto di andare a mangiare qualcosa tutti e tre insieme: in questo modo Derek non avrebbe sottratto a Paige del tempo che lei avrebbe potuto spendere con suo fratello e Stiles avrebbe potuto interagire con una persona diversa dai propri familiari.

«Sicuro che non ti secchi?» gli aveva chiesto Paige la prima volta che lui gliel’aveva proposto.

«È tuo fratello, e tu mi hai già abituato al sarcasmo di famiglia, andrà bene». Lei gli aveva replicato con un pugno sulla spalla.

Durante la prima uscita, Stiles era stato entusiasta ma silenzioso, quasi intimidito da quella novità, ma poi davanti a una porzione di patatine fritte era tornato in sé. La curiosità di Stiles l’aveva reso un bambino precoce per la sua età e tutto sommato non era così seccante passare ogni tanto un paio di ore con lui e Paige: Derek conosceva il sarcasmo degli Stilinski tramite Paige, sapeva come ribattere a lei e quindi anche a Stiles e il tempo insieme a loro trascorreva abbastanza velocemente.

Stiles però, al contrario di Paige che era una persona un po’ solitaria, era un tipetto appiccicoso e nel giro di poche uscite non diventò raro per Derek ritrovarsi all’improvviso Stiles aggrappato alla manica della sua giacca in mezzo alla strada quando s’incontravano per caso: il bambino lo vedeva e correva da lui gridando a ripetizione il suo nome, e poi iniziava a parlargli a raffica delle cose più assurde che aveva fatto a scuola. Era un po’ invasivo, ma Derek aveva già accumulato abbastanza esperienza con Cora: sapeva come essere paziente con i bambini della sua età.

Gli Stilinski poi erano brava gente, erano più modesti degli Hale, ma avevano accolto Derek di buon grado e gli avevano dimostrato di fidarsi abbastanza di lui da affidargli entrambi i figli. Non era raro che Derek passasse dalla lavanderia di Claudia quando Paige era lì per aiutare la madre: la signora lo salutava sempre con affetto e ormai lui era andato a cena da loro già più di tre volte.

La vita in quel sogno stava trascorrendo in maniera incredibile, era tutto sereno e piacevole e quindi terrorizzante al risveglio: quando Derek apriva gli occhi sulla vita vera sentiva mancargli tutto ed era perfino terribile scoprire di non avere in realtà nessun ricordo dell’infanzia di Stiles; era una mancanza assurda e tratti inspiegabile e inaspettata, come credere di avere in tasca una penna di riserva e poi scoprire di non averla affatto.

Non aveva voglia di incontrare Stiles nella realtà, si sentiva troppo colpevole e imbarazzato nei suoi confronti.

Poi sognò di Paige che una volta andò ad assistere a una sua partita di basket con Stiles – fu la prima volta che il bambino venne con lei – e Derek al risveglio si sentì un po’ morire dentro: Stiles nel dopo partita l’aveva guardato con occhioni adoranti raccontandogli tutta la propria lunga ed estenuante ricerca sull’evoluzione storica del pallone da basket, e Derek alla fine per farlo tacere gli aveva infilato in bocca una manciata di patatine, sorridendo. Derek si era affezionato a Stiles e Stiles adorava Derek, l’idolatrava come poteva fare qualsiasi altro bambino della sua età che si fissava su un ragazzo più grande rendendolo il proprio mito personale.

Ma tutto stava per finire, Paige sarebbe morta a breve, e ciò era devastante.

Poco dopo il decimo compleanno di Stiles, però, "arrivò" Scott e le cose cambiarono: Stiles guadagnò il suo primo miglior amico della propria età, i due bambini cominciarono a fare ogni minima cosa insieme e il tempo che Stiles passava con sua sorella e Derek diminuì drasticamente. Stiles non smise di dare a Derek degli abbracci stritola ossa ogni volta che andava a casa Stilinski per cena, né tantomeno smise di chiamarlo a gran voce tutte le volte che lo incontrava per caso per strada, ma Derek provava un gran senso di nostalgia quando lo vedeva chiudersi in camera a provare un nuovo videogame con Scott invece di stare in soggiorno o in cucina a infastidirlo come al solito. Era però una novità buona: Stiles stava crescendo e maturando, aveva un nuovo amico e non era più da solo.

Senza parlare del fatto che era si era aggiunto anche Scott a quella vita alternativa, e Derek non sapeva dire se ciò fosse meglio o peggio: era meglio perché si sentiva meno teso nei confronti di Stiles, o peggio perché adesso quel sogno includeva più persone reali e ciò rendeva tutto ancora più confuso? Ma alla fine fu proprio questo a farlo cedere a parlarne con Peter: era il caso di cominciare a evidenziare dei dettagli della vita vera per ancorarsi alla realtà.

«Sono sempre dell’opinione che sia meglio che tu ne parli con Stiles» commentò alla fine Peter, sospirando e incrociando le braccia al petto.

Lui scosse la testa. «È troppo coinvolto, confrontarmi con lui mi sembrerà come girare il coltello nella piaga con consapevolezza: non voglio essere per lui un’altra forma di tortura».

Peter schioccò la lingua. «Nel sogno avete un rapporto che in realtà non avete: non c’è bisogno che tu mi dica che quando sei sveglio lui ti manca, lo so, è prevedibile – e non cercare di nasconderlo – e penso che sia naturale che in questo momento tu stia mancando anche a lui: dovete parlarne soprattutto perché la reale, dura e palese assenza di un rapporto fra voi due avrà l’effetto di una doccia gelata in grado di risvegliarvi e farvi ancorare meglio alla realtà» e rivolse i palmi delle mani verso l’alto muovendoli a mo’ di piatti di una bilancia. «Realtà, Sogno: due pesi diversi, due cose diverse e un confronto schiacciante».

«Non vorrei peggiorare le cose…» mormorò Derek a sguardo basso, ancora poco convinto.

«Vuoi per caso aspettare il momento in cui l’assenza di un rapporto con lui sarà l’ennesima tentazione che ti spingerà a dormire anche nel pomeriggio pur di continuare a vivere l’altra vita?» ribatté Peter sarcastico. «È già grave e pensante come la nostra famiglia ancora viva ti spinga dritto fra le braccia della maledizione: è meglio che tu non aggiunga altre mancanze che ti facciano preferire il sogno alla realtà».

Derek non riuscì a trovare una buona risposta per Peter e dopo aver inspirato a fondo chiese a Cora di mandare a dire a Stiles se gli andasse di incontrarlo – Cora fece per aprire bocca per dirgli sicuramente "Perché non glielo domandi di persona? Chiamalo", ma infine dovette desistere, forse perché l’importante ormai era che loro due finalmente si confrontassero.

Usando Cora come tramite, si diedero appuntamento in una vecchia caffetteria poco lontana dalla zona più abitata e vissuta di Beacon Hills.

Derek preferì arrivare sul posto per primo; si presentò con un modesto anticipo e scelse un tavolo in fondo al locale, lontano dal banco e dalla vetrata sul marciapiede, avendo perfino cura di sedersi rivolto verso la porta perché così Stiles sarebbe stato costretto a rivolgere le spalle all’ingresso: in sogno aveva scoperto che l’altro Stiles era più facile da gestire durante una conversazione in una caffetteria o in un fast food se lontano da fonti di distrazioni come il banco con il cibo esposto, i passanti sul marciapiede e chi mai di nuovo fosse appena entrato; Derek aveva preso quest’abitudine e per qualche strano motivo sentì l’esigenza di usarla anche nella realtà, nonostante non fosse mai stato sul serio in una caffetteria con Stiles.

Stiles arrivò con solo un paio di minuti di ritardo: non appena entrato lo individuò subito e gli fece un cenno col capo per indicargli che prima avrebbe preso qualcosa al banco; poco dopo si sedette di fronte a lui con in mano un grosso bicchiere pieno di una bibita calda – Derek dall’odore capì che fosse "latte e qualcosa".

«Ehi» lo salutò Stiles a sguardo chino con voce bassa e un po’ roca; sembrava abbastanza stanco, ma non proprio esausto – la stessa esatta espressione che aveva Derek stesso da quando aveva iniziato a "sognare" – tant’è che aveva un aspetto e un colorito molto più sano dall’ultima volta che l’aveva visto. Era vestito a strati – Derek fra maglia, camicia e giacca ne contò almeno tre o quattro – lontano dal look a doppia maglietta che aveva cominciato a sfoggiare da bambino, e soprattutto era un giovane adulto.

Nei suoi tratti non c’era più la giocosa morbidezza che aveva a dieci anni, i suoi capelli erano più corti ed erano spettinati in modo più voluto e curato – non li portava più scompigliati per una corsa improvvisa come quando era bambino, vi prestava più attenzione – e sebbene avesse sempre dimostrato un paio di anni in meno rispetto ai propri, adesso sembrava portare più di un paio di anni aggiuntivi nello sguardo. Aveva diciassette anni, ma a guardarlo dritto negli occhi poteva dimostrarne anche venti o ventuno. E forse sotto un’altra luce anche molti, molti altri di più.

«Ehi» mormorò Derek di rimando, fissando il proprio caffè nero e inspirando a fondo. «Stai bene?»

Stiles sbuffò una risata amara a labbra strette, schioccò la lingua e portò il proprio bicchiere alla bocca. «Una meraviglia» rispose atono ma sarcastico, prima di bere un lungo sorso.

Derek annuì sullo stesso tono. «Anch’io, una favola».

«Già» rincarò Stiles, «è tutto così fottutamente perfetto da sembrare una favola, eh?» sorrise cinico inclinando appena la testa all’indietro. «Roba da non svegliarsi mai».

«Mi dispiace il fatto che Paige si aggiungerà ai tuoi dispiaceri» si affrettò a dire Derek.

Stiles divenne serio e scosse la testa, iniziò a giocherellare con il proprio bicchiere evitando lo sguardo di Derek. «Non è colpa tua: la maledizione ha agito facendo un sunto di tutti i nostri problemi, punti di svolta e interrogativi; se non si fosse trattato di Paige avrebbe intersecato le nostre vite in qualche altro modo».

«Continuo però a pensare che sarebbe stato meglio non darti altri lutti» ribatté sicuro, «anche se non abbiamo ancora idea di come morirà Paige questa volta».

Stiles assentì pensoso. «Di solito sono sempre pervaso dall’ansia che possa accadere qualcosa di terribile da un momento all’altro, ma non so mai dire di cosa potrebbe trattarsi di preciso. Ora invece lo so» ironizzò privo d’allegria, «ma lo so quando mi sveglio, non nel sogno, e ogni volta che riapro gli occhi sono ancora così felice di avere una sorella così, sento ancora questa sorta di senso di appartenenza a lei, solo che… lei non è mai esistita nella mia vita e per giunta so con certezza che fra non molto morirà» concluse amaro.

«Penso di poter capire quello che senti, lo sai che… io e Paige…» gesticolò non trovando le parole adatte, ma Stiles annuì facendogli cenno di aver inteso e di continuare pure, «la vedrò morire una seconda volta per colpa mia, "fallirò" di nuovo e sto provando a immaginare cosa stavolta la porterà alla morte, come se…»

Stiles assentì con un debole sorriso comprensivo. «Come se scoprirlo in anticipo ti potesse aiutare a evitare la tragedia nel sogno» aggiunse.

«Già… non ci sono licantropi lì, non c’è Ennis né nessun altro alpha che possa Morderla, non c’è neanche il Nemeton… al momento è tutto così tranquillo…»

«La cosiddetta "calma prima della tempesta"» commentò Stiles monocorde.

«Eh» esalò Derek. «Ciò mi fa quasi pensare che la mia vita senza la licantropia sarebbe stata davvero migliore, se non sapessi che razza di trucco c’è dietro». Poi colse l’occasione per porgli una domanda. «Quindi anche tu ogni tanto ti sei chiesto come avresti vissuto se non ti fossi mai imbattuto nel mondo sovrannaturale?»

«Beh, sì» sospirò Stiles scrollando le spalle. «Ammetterai che ciò ha portato dei grossi cambiamenti nella mia vita, e non sempre molto buoni: è naturale che io mi sia posto certe domande».

«E ti sei anche chiesto come sarebbe stato non essere figlio unico» incalzò Derek.

Gli assentì. «In particolare come sarebbe stato crescere con una sorella, se magari ciò mi avrebbe reso meno imbranato col sesso opposto» accennò un sorriso.

«È un peccato che questo presto ti sarà portato via».

Stiles scrollò di nuovo le spalle. «Conserverò comunque l’esperienza, anche se immaginaria».

«Anche se credo che i colpi più forti che ci saranno inflitti devono ancora arrivare» insinuò Derek. «Vedi per esempio la morte dei nostri genitori».

Stiles annuì e poi aggrottò la fronte. «Anche se trovo strano come non ci siano ancora tracce della futura morte di mia madre… cioè, per l’età che ho in questo momento nel sogno, il fatto dovrebbe accadere a breve, ma non c’è alcun segno…»

«Lì però gli eventi sono posti in modo un po’ diverso dall’originale» osservò Derek, «per esempio, a conti fatti Paige dovrebbe essere già morta molto tempo fa: nella realtà non è mai riuscita a prendere la patente».

Stiles sospirò stanco. «Questo mi mette ancora più ansia».

«Posso capire: la mia famiglia nel sogno non è un branco, non siamo dei licantropi, quindi questa volta per quale motivo Kate Argent brucerà la nostra casa?»

«Beh, tua madre non sarà un alpha, ma è un agente dell’FBI, tra l’altro un pezzo grosso a quanto ho capito» gli fece notare Stiles; lui assentì. «E qualche volta l’ho vista parlare con mio padre. Li ho sentiti mormorare il nome "Argent"» aggiunse un po’ di malavoglia.

Derek ci rifletté sopra inspirando a fondo. «Mamma non porta mai il lavoro a casa, anche se ogni tanto Peter si impiccia dei suoi affari e battibeccano… Lei è specializzata in casi di terrorismo, ma ultimamente è sulle tracce di trafficanti di armi che forniscono i mezzi a un particolare gruppo di estremisti, o almeno così ho sentito dire a Peter: lui è sempre pronto a criticare i metodi di indagine di mamma…»

Stiles aggrottò la fronte. «Considerando il lavoro di copertura degli Argent, non mi sorprenderebbe scoprire che nel nostro sogno sono diventati dei trafficanti di armi illecite».

«Non vorrei che tuo padre si stesse interessando un po’ troppo al caso… parlava con mia madre».

Stiles si grattò la testa. «Non lo so, so solo che presto succederà qualcosa di orribile e nessuno di noi due è pronto per affrontarla». Sbuffò un sorriso triste e inclinò la testa all’indietro. «Ed eccoci qui a parlare in modo normale di una vita immaginaria! L’avresti mai detto?»

Derek abbozzò un sorriso a propria volta scuotendo la testa. «Sì, è abbastanza ridicolo».

Stiles fissò per un attimo lo sguardo nel suo. «Cosa, io e te che parliamo di una vita immaginaria, o quanto ci risulti facile farlo?»

«Entrambe le cose» ammise Derek sincero. «In effetti è sorprendente il modo in cui stiamo riuscendo a parlarne senza cadere di tanto in tanto in dei silenzi densi d’imbarazzo, non trovi?» gli disse ricordando le parole di Peter riguardo a una "doccia fredda".

«Temevo anch’io che non saremmo riusciti a spiccicare una parola» confessò Stiles grattandosi la nuca, «ma credo che ci abbia aiutati il fatto che…» gesticolò nervosamente, «…anche se è paradossale, adesso ci conosciamo meglio: quella del sogno è una vita immaginaria, ma noi come persone siamo le stesse e… abbiamo Paige in comune» aggiunse con voce strozzata – aveva anche gli occhi un po’ lucidi, «e anche se è un falso ricordo, nella mia mente tu hai fatto parte della mia infanzia…»

«Hai ragione» concordò Derek assentendo a sguardo basso, «anche se siamo in un sogno, io sono sempre io e tu sei sempre tu, o meglio: siamo il Derek prima della morte di Paige e lo Stiles prima della morte di tua madre, due persone più… semplici e trasparenti».

«Già, le situazioni sono diverse e non vere, ma noi siamo sempre noi. Ora so un po’ meglio chi sei» e quell’ultima affermazione di Stiles sì che fece cadere su di loro uno strano silenzio, anche se non pieno di imbarazzo; Derek non sapeva come replicargli, anche se sapeva che valeva la stesse cosa anche per lui, che anche lui adesso sapeva meglio chi fosse Stiles.

Fu comunque Stiles alla fine a togliergli dall’impasse. «So che è un po’ stupido dirlo perché quello è un sogno e questa è la vita vera» gli disse con un piccolo sorriso obliquo e un po’ timido, «però volevo ringraziarti per aver avuto la pazienza di uscire con me e Paige: il me stesso bambino non te lo dirà mai perché è troppo goffo e impedito per farlo, però per me è stato importante che qualcun altro esterno alla famiglia sapesse sopportarmi» ironizzò. «Così facendo mi hai aiutato un po’ ad arrivare poi a Scott».

Derek sorrise scuotendo la testa. «Non è stato un grande sforzo: ero già sotto allenamento con Cora che ha la tua stessa età».

«Nah, so bene che trascorrere del tempo insieme al fratellino iperattivo della propria ragazza non rientra nelle priorità di un teenager! È stato un bel gesto da parte tua, grazie».

«È stato solo naturale farlo» ribatté Derek con una scrollata di spalle, e in cambio ricevette uno dei piccoli timidi sorrisi che l’altro Stiles, quello bambino, gli faceva sempre quando lui gli offriva un frappé o una porzione di patatine fritte le volte in cui s’incontravano per caso da soli.

Chiusero l’incontro in modo quieto concordando di incontrarsi una volta alla settimana sempre allo stesso posto e alla stessa ora per raccontarsi come stesse proseguendo il sogno.

S’incontrarono un’altra volta sola prima che purtroppo la tragedia si consumasse.


 

 

Derek incontrò Paige e Stiles con loro padre per puro caso nel parcheggio del supermercato.

Il Natale era ormai prossimo e Stiles si stava lamentando di non aver ancora comprato le lucette colorate per l’Albero di Natale, "quelle che piacevano tanto a mamma".

Derek aveva appena finito di fare la spesa, era con la sua Camaro, e non aveva dei surgelati con sé che si potessero squagliare subito, quindi si offrì di accompagnare Stiles a comprare le luci, visto che il bambino voleva davvero affrettarsi. Stiles ovviamente si entusiasmò subito.

«Paige, vieni anche tu!» le disse il fratello.

Derek le rivolse un’occhiata ostentando malizia. «Sì, Paige, perché non vieni anche tu?»

Lei roteò gli occhi. «Non posso, Stiles, lo sai che devo aiutare papà a fare la spesa: ha il vizio di fare sempre troppe libere interpretazioni di fronte alle liste della mamma».

«Uffa!» si lamentò il bambino.

Paige gli scompigliò i capelli con affetto. «Dai, vai a chiedere a papà il permesso di andare con Derek».

Quando Stiles si allontanò da loro correndo, Derek rivolse a Paige un buffo sguardo supplicante. «Sicura di non voler farci compagnia?»

Lei gli diede uno scappellotto scherzoso. «Non fare l’idiota! Tanto domani sera ceni da noi, no?»

«Va beeeene» cantilenò scontento.

Stiles tornò da loro con in mano delle banconote. «Papà mi ha dato il permesso di andare con Derek, e mi ha dato anche i soldi per comprare le lucette!» aggiunse sventolandoglieli davanti. «Ha detto anche di riportarmi poi a casa, ci rivedremo lì!»

«Ok!» sospirò Derek. «Sali pure in macchina» gli diede una pacca sulla spalla e si rivolse a Paige. «Ci vediamo dopo» le mormorò prima di darle un bacio languido sulle labbra; lei gli rivolse una smorfia di esasperazione trattenendo male un sorriso e lo spintonò all’indietro, Derek rise e salì sulla Camaro.

Dal supermercato fino al negozio, Stiles gli raccontò in dettaglio la maratona di film natalizi che lui e Scott avevano intenzione di fare e di come e perché "Il Canto di Natale di Topolino" non potesse mancare nelle loro scelte; Derek assentì più o meno a tutto, anche se infine impedì a Stiles di sintonizzare l’autoradio su una frequenza su cui stavano trasmettendo una stupida canzone natalizia per metà country e per metà rock.

Arrivati al negozio, Stiles si precipitò subito dentro e arrivò in scivolata davanti allo scaffale su cui erano esposte le luci che voleva tanto, salvo scoprire con disappunto che erano rimaste solo quelle messe nella parte più alta dell’espositore e lui lì non ci arrivava neanche in punta di piedi.

«Aspetta, ti aiuto!» rise Derek, afferrandolo per i fianchi e sollevandolo da terra. Era già pronto a sentire delle buffe proteste urlate e giocose da parte di Stiles, ma invece il bambino si limitò a mormorare "Uh" e prendere subito una scatola di luci; Derek lo rimise a terra e notò come le sue orecchie fossero diventate rosse: doveva essersi imbarazzato perché era stato costretto a essere aiutato e ciò spinse Derek a sorridere intenerito e a arruffargli i capelli.

«Andiamo alla cassa! Tua sorella ci aspetta a casa!» l’esortò.

In macchina Stiles restò stranamente in silenzio, tenendo la confezione di luci fra le braccia come se fosse un peluche – strano.

Arrivati quasi a metà strada, Derek fu costretto a rallentare per del traffico improvviso… scorse da lontano le luci di un’ambulanza – o forse erano quelle dei pompieri – e abbassando il finestrino sentì qualcuno mormorare la parola "incidente".

Quello era lo stesso percorso che Paige e suo padre avrebbero fatto per tornare a casa e un terribile presentimento scosse Derek dalla testa ai piedi.

«Stiles, resta in macchina» gli intimò atono slacciandosi la cintura di sicurezza.

Lui lo guardò con occhioni pieni di preoccupazione. «Che succede?»

«Resta in macchina» gli ripeté senza guardarlo.

Scese dall’auto e dapprima camminò a passò svelto verso il fondo della fila di mezzi di trasporto che si era creata lungo la strada, e poi inizio a correre col cuore in gola.

Non poteva essere, quello era un pensiero troppo assurdo… impossibile… doveva solo essere uno stupido presentimento…

Quando infine vide l’auto del padre di Paige sfracellata contro un muro, desiderò con tutte le sue forze che fosse stato davvero un presentimento.

«PAIGE!» urlò correndo verso l’auto; si avvicinò abbastanza per vederla seduta ancora sul sedile passeggero, era priva di sensi e con il volto rigato di sangue, ma prima che potesse fare un altro passo ancora qualcuno di sconosciuto – forse un paramedico o uno degli uomini dello sceriffo – lo fermò bloccandolo da dietro per le spalle.

«NO, LASCIATEMI ANDARE!»

«Ragazzo, per favore, calmati! Non puoi avvicinarti!»

«NO! PAIGE!» gridò ancora, ma sentire la voce straziante di Stiles, che non gli aveva obbedito e l’aveva seguito di nascosto, gli fece ancora più male.

«PAPÀ! PAIGE!»

Qualcun altro afferrò anche lui – Derek riconobbe in modo vago la voce dello sceriffo – ma ciò non impedì né a Derek né a Stiles di continuare a urlare disperati e arrabbiati, perché il mondo così per come lo conoscevano per loro era appena finito lì.

 


 

Derek si svegliò di soprassalto e scattò subito a sedere scrollandosi le coperte di dosso; si agitò così tanto da svegliare Cora, che corse subito nella sua stanza.

«Derek!» lo richiamò subito lei, accorata e prendendogli il viso fra le mani per costringerlo a guardarla in faccia. «Va tutto bene, qualsiasi cosa la maledizione ti abbia costretto a sognare, adesso sei sveglio, è finita!»

No, non era finita, era appena cominciata. Anzi, era cominciata di nuovo, stava per iniziare a rivivere la perdita di Paige per una seconda volta. Ed era stata di nuovo colpa sua: avrebbe dovuto insistere per farla venire con lui e Stiles.

Derek scosse la testa e trasse dei respiri profondi guardandosi attorno in modo nervoso. «No, non va per niente bene» mormorò con la voce ancora un po’ roca per il sonno. «E tutto questo è… è…» Ricordò le urla sue e di Stiles. Anche Stiles quella notte avrebbe fatto lo stesso sogno. «È orribile. Devo andare da Stiles». Si alzò da letto e prese a vestirti con gesti veloci.

«Cosa?! Sono le cinque del mattino, cosa sta succedendo, Derek? Non…» ma poi si fermò dal protestare, come colpita da un pensiero improvviso. «Paige?» intuì; lui si limitò ad annuirle poco prima di indossare una maglia. «Sei troppo sconvolto, non puoi guidare: ti accompagno io» si offrì volontaria. «Vado subito a cambiarmi».

Cora guidò sicura ma senza rispettare i limiti di velocità. «Perché ho l’impressione che sia peggio di quanto io stia immaginando?» gli chiese senza distogliere lo sguardo dalla strada.

Derek aveva la mascella serrata. «Paige è morta in un incidente stradale, suo padre era con lei e non credo proprio che ce l’abbia fatta».

Cora esalò una mezza imprecazione. «Stiles mi ha raccontato che l’ultima volta che suo padre era in pericolo ha avuto un attacco di panico».

«Lo so, me l’hai detto».

«E in questo momento credo che sia solo in casa: suo padre ha il turno di notte».

«So anche questo».

Non appena giunti davanti alla casa degli Stilinski, Derek scese dall’auto e tese subito l’orecchio per ascoltare l’unico battito cardiaco presente nell’abitazione: era accelerato, ma si sentivano anche i rumori tipici di una persona che è a letto e si muove tanto incapace di svegliarsi.

Derek si arrampicò fino alla finestra di Stiles, la trovò chiusa e la ruppe senza tanti complimenti per entrare. Il fracasso del vetro rotto finalmente svegliò Stiles, che scattò a sedere urlando con lo sguardo cieco rivolto verso un punto indefinito, ancora in preda al terrore e al dolore del sogno.

Derek l’afferrò subito per le braccia per costringerlo a guardarlo in faccia. «Stiles? Stiles, sei sveglio, ora! SEI SVEGLIO!»

Stiles puntò finalmente gli occhi nei suoi, lo vide e cominciò a fare dei respiri profondi e più regolari; aveva il volto rigato di lacrime. «Sono morti» mormorò scosso con voce flebile.

«Si tratta solo di un sogno, di una maledizione» lo rassicurò Derek, sicuro. «Tuo padre è ancora vivo, Cora lo sta chiamando e fra poco potrai vederlo». Col suo udito da licantropo poteva sentire da lontano che lei stava parlando al cellulare con lo sceriffo. «E Paige in realtà non è tua sorella».

«Ma ho visto di nuovo morire uno dei miei genitori, e lei era la nostra Paige, Derek!» singhiozzò. «Era mia sorella e la tua ragazza, era la nostra Paige… tu… Tu come stai, Derek?»

Lui gli sorrise amaro scuotendo la testa, si sentiva gli occhi lucidi. «Non sto per niente bene» ammise.

«Neanch’io. Niente di tutto questo è normale e va bene! Mio Dio, ti senti in colpa perché credi che anche questa volta sia colpa tua, vero?» gli chiese guardandolo negli occhi. «No, Derek, no, ascolta…» aveva la voce incrinata dal pianto e tremava. «Non è colpa tua se lei non è venuta con noi».

«Forse avrei dovuto insistere di più…»

«No, non addossarti colpe che nemmeno esistono e… Dio!» si passò le mani sul volto iniziando a ciondolare avanti e indietro da seduto. «Quando mio padre lo saprà capirà che alle volte mi sono chiesto come sarebbe stato se invece fossi cresciuto solo con mamma!»

«Stiles, non è una domanda così tremenda da porsi: tua madre non c’è stata durante la tua adolescenza, per te è stato normale chiederti ogni tanto come sarebbe andate le cose se lei ci fosse stata ancora al tuo fianco».

«Sì, ma… chiedersi come sarebbe stato se invece di morire lei fosse morto mio padre? Ti sembra una cosa normale?! Come… come potrò guardare mio padre in faccia e fargli questo?!» Stava tremando sempre di più. «Come posso dirgli che la maledizione me l’ha fatto sognare morto perché io un paio di volte l’ho pensato morto al posto di mamma?!»

«Non gli hai augurato la morte» gli sottolineò Derek. «Non hai mai voluto tuo padre morto e lui questo lo sa bene: ti sei sacrificato due volte per salvarlo, Stiles, lui lo sa che tu più di chiunque altro lo vuoi vivo! Ti è soltanto capitato di porti questa domanda, ma non gli hai augurato la morte!»

Stiles si passò di nuovo le mani sul volto. «È tutto così fottutamente confuso! Questa è una tortura! Papà adesso penserà che avrei preferito avere mamma al posto suo? E dovrò vivere una vita in cui lui è morto e lei è viva e un’altra in cui lui è vivo e lei è morta? Ed è normale soffrire così tanto la perdita di una sorella che in realtà non ho mai avuto?»

«Stiles, calmati!»

«Non posso sopportare una tortura simile! Non posso farcela! Non posso… non posso davvero farcela!»

Stiles era scosso dai singhiozzi e Derek sentiva delle lacrime scendergli sul volto nonostante stesse cercando di trattenersi con forza dal piangere. Imprecò fra i denti e abbracciò Stiles, perché avevano appena perso la loro Paige, il mondo per loro era cambiato per sempre e in tutto l’universo solo lui poteva capire Stiles in quel momento, proprio come solo Stiles poteva capire lui in quel momento.

Era assurdo, era ridicolo e a tratti quasi grottesco visti i loro trascorsi, ma erano entrambi davanti a un dolore che solo loro erano in grado di capire, e ciò era bastato a Derek per decidersi a lasciarsi andare e cercare del conforto proprio in lui.

Stiles ricambiò la sua stretta e nascose la testa nell’incavo del suo collo; restarono così fermi e in silenzio a lungo, fino a quando i respiri di tutti e due non divennero regolari.

 


 

In sogno Derek continuava a vivere la perdita di Paige, da sveglio invece l’affrontava per la seconda volta con in più la schiacciante consapevolezza che comunque sarebbero andate le cose, in nessuna vita, in nessun mondo parallelo avrebbe potuto evitare a Paige il suo destino e sarebbe morta sempre per "colpa sua".

Il senso di fallimento era opprimente.

Stiles da parte sua stava subendo di nuovo la morte di un genitore e in più quella di una sorella; i loro incontri settimanali erano di conseguenza diventati pieni di una nostalgia soffocante che non apparteneva né alle loro vere vite né a quel determinato tempo – erano passate – ma che non potevano fare a meno di portare nel cuore e in mostra nel loro sguardo – e a volte anche nei loro piccoli gesti.

Gli altri non potevano capirli, perché non stavano subendo quella tortura e non sapevano com’era vivere un’altra vita: certi attimi scambiare due chiacchiere fra di loro era l’unica cosa che impediva a entrambi di impazzire.

Sapevano però che il peggio doveva ancora arrivare, e Derek si chiedeva come avrebbero fatto a resistere fino alla fine e andare avanti, se già stavano rischiando di perdere il senso della realtà con così "poco".

Stiles in sogno aveva visto suo padre e sua sorella morti dentro la loro auto, e raccontò a Derek di come invece in realtà da bambino aveva visto sua madre morire in ospedale, da solo.

«E la maledizione mi ha detto anche che a ogni modo sarei cresciuto come figlio unico anche se avessi avuto una sorella, dato che Paige è morta prematuramente» aggiunse Stiles sarcastico durante un loro appuntamento in caffetteria.

«Hai parlato con tuo padre di tutto questo?» gli chiese Derek.

Lui si grattò la testa fissando il proprio bicchiere di carta – colmo di latte aromatizzato con dello strano sciroppo. «Da quando papà ha saputo dell’esistenza dei licantropi, mi ha fatto promettere di non nascondergli più niente di sovrannaturale: è molto preoccupato per me e anche se vorrei evitargli di stare in ansia non me la sento di mantenere ancora dei segreti, soprattutto perché tanto lui lo sa che sono stato colpito da una maledizione, è inutile cercare di raggirare i fatti…» sospirò stanco, «anche se non è stato facile raccontargli della sua morte e discutere del perché la maledizione ha sfruttato proprio questa mia domanda personale».

«Ma non se l’è presa con te, no?»

Stiles sbuffò e storse il naso. «No, se l’è presa con se stesso, perché si è sempre ripetuto che mamma con me avrebbe fatto un lavoro migliore del suo: dice che forse sto sognando proprio ciò per questo motivo e perché a volte gliel’ho sentito dire, soprattutto durante alcune nostre discussioni… Non voglio che si senta un fallimento di padre, qua l’unica persona a doversi sentire un fallito sono io».

«Ne parlerete ancora» lo rassicurò Derek assentendo, «andrà meglio man mano che questo momento sarà passato e ti sentirai più lucido».

«Lo spero» esalò Stiles, svuotando il resto del proprio bicchiere con un solo ultimo sorso.

In sogno, il giorno del funerale di Paige e suo padre, Derek aveva trovato Stiles chiuso in camera propria, seduto sul letto con le ginocchia strette al petto, gli occhi rossi e le guance umide di lacrime; Derek si era seduto al suo fianco, gli aveva mormorato "Vieni qui" e l’aveva tenuto abbracciato stretto a sé a lungo; ogni tanto Stiles aveva tirato su col naso contro il suo petto e Derek gli aveva accarezzato affettuosamente i capelli.

Quell’altro Stiles stava soffrendo sempre più la solitudine, perché adesso non c’era più Paige a badare a lui quando Scott era impegnato o era in punizione e sua mamma era a lavoro, e tra l’altro adesso Claudia faceva i doppi turni in lavanderia che teneva aperta anche nel week end, perché era rimasta la sola a lavorare in famiglia. Derek non ci aveva pensato due volte prima di offrirsi come baby sitter – o almeno così aveva detto a Claudia, per Stiles era "passare del tempo insieme", perché lui mica era ancora un bambino! – e aveva insistito anche per non essere pagato.

Paige in vita aveva investito parecchie energie affinché il suo fratellino non soffrisse mai la solitudine nonostante la sua iperattiva lo rendesse "strano" e poco gestibile, e Derek pensò che avrebbe fatto del suo meglio per non rendere vano quello che lei aveva cercato di fare. Avrebbe pensato lui a Stiles da ora in poi.

Stiles adesso aveva quasi undici anni, Derek quasi diciassette, e tra l’altro si stava avvicinando per lui il tempo di scegliere quale college frequentare.

Per distrarre sia l’altro Stiles che se stesso, Derek regalò al piccolo un pallone da basket, prese l’abitudine di portarlo al campetto di street basket che c’era dietro il parco con le altalene e gli insegnò a giocare. Stiles imparava in fretta anche se un po’ goffo e troppo pieno di energia e voglia di fare, e quei pomeriggi densi di malinconia e condivisione aiutarono entrambi a superare i primi due mesi di lutto.

Il tempo nel sogno trascorse in modo statico ma inesorabile e prima che Derek riuscisse a superare la morte di Paige del tutto e in modo sano, Kate entrò nella sua vita.

Successe uno dei pomeriggi in cui giocava al campetto con Stiles, in modo così banale che col senno di poi seppe di una finta casualità ben studiata: il pallone rotolò fuori campo e lei lo raccolse per loro. Passava di lì per caso, era in tenuta da jogging – o almeno così disse per fare la sua entrata in scena. Il giorno dopo passò di nuovo dal campo, incrociò lo sguardo con Derek e si accennarono un saluto muovendo il capo. Il terzo giorno si scambiarono un sorriso, lei fece una battuta ironica e allungò una mano per presentarsi.

La quarta volta si scambiarono i numeri di telefono.

Da sveglio il Derek reale era perennemente nervoso, tant’è che spesso finiva col litigare con Cora per stupide ragioni; la sua irritazione dipendeva anche dalla mancanza di sonno: sapeva cosa lo aspettava in sogno e le avances di Kate al risveglio lo turbavano e lo disgustavano. Peter cercava sempre di spacciargli nel cibo dei sonniferi, Derek non lo trovava divertente.

«Nipote, non sarà non dormendo che spezzerai la maledizione» precisò Peter con sarcasmo, e Derek decise di andare via di casa di corsa o avrebbe strangolato suo zio, perché fra lui e fra il Peter del sogno non sapeva più quale fosse meglio.

L’altro Peter aveva sviluppato un interesse morboso verso l’incidente degli Stilinski: l’auto si era schiantata per colpa di un misterioso pirata della strada ancora non identificato, e Peter parlava di assassinio, di una mossa calcolata, di qualcuno che aveva voluto mettere a tacere il vice sceriffo. Quando Peter a tavola parlava delle proprie teorie sull’accaduto con un sorriso sardonico, Talia stringeva le labbra e gli diceva di non impicciarsi e smetterla di giocare al piccolo investigatore privato.

Per quanto l’altro Derek fosse assetato di giustizia, non gradiva il modo in cui Peter si stesse interessando al caso solo per dimostrare di essere migliore della propria sorella maggiore.

Il Derek reale, invece, al risveglio aveva un quadro più che chiaro della situazione: sua madre e il vice sceriffo dovevano aver trovato la via giusta per incastrare gli Argent, trafficanti di armi illegali, e Kate o Gerard – o forse tutti e due – dovevano aver provocato l’incidente sia per fermare il vice sceriffo, sia per intimidire sua madre. E ora Kate si stava avvicinando a lui per preparare la prossima mossa degli Argent.

Le ricerche sulla maledizione non stavano andando per nulla bene, brancolavano ancora tutti nel buio, e Derek si era ormai arreso al fatto che avrebbe dovuto rivivere l’incendio che aveva distrutto la sua famiglia condannandolo a un’esistenza di solitudine e senso di colpa. L’unico sollievo erano gli incontri in caffetteria con Stiles, perché lui sì che capiva il suo nervosismo e tutti e due chiacchierando e confrontandosi mettevano insieme i pezzi dei loro sogni aiutandosi a vicenda a distinguere il sogno dalla realtà, per non cadere in preda a sentimenti e sensazioni non vere; si ancoravano alla realtà, l’uno confermava all’altro che non erano ancora impazziti e che stavano sognando.

Nel sogno, Kate era entrata nella sua vita proprio quando Derek era stato a un solo passo dal chiudere un’immaginaria scatola dei ricordi di Paige per riprendere ad andare avanti: era stato fermo lì con mani esitanti e se solo avesse rispettato i propri tempi magari sarebbe riuscito a superare tutto in modo sano, ma invece no… Kate aveva spinto giù il coperchio per lui sorridendogli in modo invitante, offrendogli la giusta quanto insana distrazione che gli serviva per non pensare più a Paige.

Derek si era buttato a capofitto in quella distrazione, perché Kate era affascinante come un pugnale lucente con delle incisioni belle ma inquietanti sull’impugnatura: era ricca di tentazioni che sapevano di pericolo, piccole cose che promettevano forti emozioni in grado di cancellare qualsiasi altra preoccupazione o sofferenza. E poi Kate era più grande di lui, attraente e fiera, e fra la folla di altri ragazzi che avrebbe potuto avere aveva scelto proprio Derek, facendolo sentire desiderato come non mai.

Kate l’aveva convinto ad andare in dei locali per adulti e a fare sesso provando nuove cose, gli aveva fatto fumare la sua prima canna e gli aveva offerto da bere fino a procurargli la sua prima sbronza colossale. Intanto a scuola i suoi voti continuavano a crollare e il suo comportamento restava in genere scostante, ma tutti pensavano fosse ancora colpa della perdita di Paige.

Stava dedicando sempre meno tempo al piccolo Stiles a favore degli appuntamenti segreti con Kate e se ne accorse e ne sentì il peso quando il bambino una volta invece di lasciarsi portare al campetto a giocare gli chiese di aiutarlo a tagliarsi i capelli con una macchinetta per la rasatura.

Stiles aveva sempre portato i capelli abbastanza lunghi, quasi un po’ trascurati, e c’era stata una strana risolutezza nel suo sguardo mentre il ronzio lieve della macchinetta riempiva il silenzio dentro il bagno e delle ciocche tagliate cadevano nel lavandino; alla fine Derek gli passò una mano sulla testa, sentendo sotto il palmo i suoi capelli corti-corti a spazzola e rivolgendogli un sorriso nostalgico ma affettuoso al riflesso dello specchio. Quel taglio aveva tolto un po’ di morbidezza ai lineamenti di Stiles, ma più che una mossa catartica era stato il primo passo verso un cambiamento ben preciso, verso il primo tentativo della definizione di se stesso: Stiles non era più un bambino, decideva da solo come voleva tagliarsi i capelli e stava già cominciando a scegliere in maniera più decisa e personale come vestirsi. Stava diventando un ragazzino, Paige questo non se l’avrebbe perso, Derek invece a quanto sembrava sì.

Derek era troppo impegnato a distrarsi, a distrarsi e a distrarsi ancora per ricordare cosa aveva promesso a se stesso nei riguardi di Stiles.

«Sta per succedere» mormorò Derek in caffetteria a Stiles.

Lui gli annuì. «Sarò lì» aggiunse poi, e Derek non capì bene se fosse una semplice constatazione o una sottile promessa, ma non gli chiese di specificare perché gli sembrò che facendolo avrebbe spezzato l’equilibrio indefinibile che c’era fra di loro, quella cosa che aveva sempre un effetto balsamico sulle loro ferite.

Le ultime volte che Derek in sogno aveva fatto sesso con Kate, era stato abbastanza ubriaco o strafatto, ricordava solo che a lei era piaciuto molto farlo e che tutto era stato un po’ più violento e osceno del solito. Il Derek reale però pensò che indubbiamente in quelle occasioni si era lasciato sfuggire qualche particolare in più sulla casa di famiglia e i suoi sistemi d’allarme, perché due sere dopo accadde l’incendio.

Il fuoco fu appiccato di notte, tant’è che Derek stava dormendo e si svegliò tossendo per il fumo e sentendo Peter prendere a spallate la sua porta bloccata chiamandolo a gran voce; quando riuscì a uscire dalla sua stanza, Peter gli disse di aver già chiamato i soccorsi e di non riuscire da solo ad aprire la porta della stanzetta di Cora – Laura era priva di sensi, Peter l’aveva trascinata in un angolo sicuro. I suoi genitori erano a loro volta bloccati nella loro camera, ma stavano urlando loro di salvare piuttosto Cora. Derek recuperò il proprio cellulare per chiamare di nuovo aiuto e uscì dalla casa tenendo stretta al petto Cora proprio quando sentì le sirene dei vigili del fuoco farsi vicine; alle sue spalle, Peter stava portando in salvo Laura tenendola in braccio.

Poi Derek perse i sensi.

Al suo risveglio in ospedale, Laura stava singhiozzando al suo fianco perché i loro genitori erano morti, mentre Peter rabbioso e col volto rigato di lacrime gli urlò che aveva visto sul suo cellulare gli ultimi messaggi che aveva inviato e ricevuto.

«È una fottuta Argent, Derek! Sono mesi che dico che secondo me gli Stilinski sono stati uccisi, mesi che tua madre diceva a tutti di tenere gli occhi aperti, e tu che cazzo hai fatto? Ti sei scopato la prima donna che misteriosamente ti è capitata a tiro! Come cazzo hai fatto a non accorgerti di quello che voleva realmente?! Scommetto che ti sei fatto rimbambire così tanto da non esserti chiesto come mai lei non ti dicesse il suo fottuto cognome!»

Laura piangendo gridò a Peter di smetterla, ma lui non si fermò neanche quando dei dottori l’afferrarono per le spalle portandolo via dalla stanza.

«I miei complimenti, Derek! Sei andato a letto con la donna che ha ucciso la tua ragazza e suo padre, e che ora ha ammazzato anche i tuoi genitori e distrutto la nostra casa!»

Derek aveva riaperto gli occhi sulla realtà solo perché Cora lo stava scuotendo per svegliarlo, spaventata dai lunghi lamenti di dolore che lui aveva emesso nel sonno. La prima cosa che Derek fece fu abbracciarla, Cora intuì subito che aveva sognato l’incendio e lo strinse a propria volta piangendo silenziosamente contro la sua spalla; subito dopo il cellulare di Derek vibrò sul comodino e lui rispose subito con mano tremante e voce debole quando vide che era Stiles.

«Ti sei appena svegliato?» gli domandò subito Stiles senza troppi preamboli; Derek sentì dei rumori di sottofondo: Stiles si stava muovendo veloce.

«Sì» gli rispose.

«Sto arrivando».

Erano quasi le sei del mattino, ma Stiles bussò alla loro porta ed entrò in camera di Derek per sedersi accanto a lui come se fosse la cosa più normale del mondo, perché Stiles sapeva in modi che nessun altro poteva sapere quello che fosse di nuovo successo a Derek, e anche se Derek non voleva parlare era importante che Stiles fosse lì a ripetergli "È stato solo un replay, una brutta copia, non l’hai vissuto sul serio di nuovo" perché era l’unica cosa che potesse mantenerlo ancora sano di mente.

Derek fissava le coperte, Stiles gli parlava a bassa voce restando seduto di fronte a lui, cercando di incrociare lo sguardo con il suo.

«Nemmeno da umano sono riuscito a rendermi conto di quello che voleva Kate» mormorò atono. «Perché non esiste una vita in cui io non sia così stupido da portare alla morte la mia famiglia?»

«Non sei stato stupido, sei stato fragile: avevi bisogno di qualcuno e lei si è fatta avanti approfittando della situazione in cui eri, e non è una colpa essere fragili» lo rassicurò Stiles. «In qualsiasi vita dopo una grande perdita si è fragili e in qualsiasi vita le persone assetate di sangue restano tali».

Stiles non gli chiese se lui volesse che restasse, Derek non gli domandò se gli andasse di restare; Stiles andò via il giorno dopo all’ora di pranzo.

 


 

Nel sogno le cose non andavano bene.

Peter sapeva quanto Talia avesse temuto un’aggressione da parte degli Argent, quindi neanche per un secondo aveva creduto che quell’incendio fosse stato casuale e quando ne aveva avuto la conferma in ospedale – mentre ancora aspettava notizie sulle condizioni di Derek – aveva cercato di recuperare più materiale possibile per controllare in che modi gli Argent avessero studiato le loro abitudini per colpirli in quel modo. Era stato così che era arrivato al cellulare di Derek, che si era salvato dalle fiamme perché lui l’aveva utilizzato un’ultima volta prima di salvare Cora e l’aveva portato con sé fuori dalla casa bruciante.

In quel cellulare c’erano i messaggi di Kate e delle sue foto.

Le indagini sugli Argent erano morte con Talia: lei era il capo della propria squadra, era lei quella che per sicurezza teneva ben nascosto il materiale accumulato – in casa, e adesso era andato letteralmente in fumo – e adesso nessuno aveva più voglia di seguire la sua strada, visto che portava solo alla morte – prima il vice sceriffo e sua figlia, ora lei, suo marito e per poco anche i suoi figli e suo fratello… non c’era da biasimare chi avesse paura di continuare le indagini. Peter non riuscì a trovare abbastanza prove per incastrare Kate per l’incendio, e non c’erano neanche più le prove per accusarla del traffico di armi, però grazie al cellulare di Derek riuscì almeno a mandarla in galera per avere avuto rapporti sessuali con un minorenne. Per il resto, Peter da quel momento in poi si rifiutò di parlare con suo nipote e Laura si stancò di fare da mediatore fra i due.

Laura a New York aveva il college ad aspettarla nonché un vero tetto sotto cui stare, considerando che la loro casa era stata distrutta. Peter decise di comprarsi un piccolo appartamento per sé con i soldi dell’assicurazione incassati per l’incendio, e disse a Laura di proseguire pure gli studi tranquilla perché avrebbe pensato lui a Cora. Non accennò però a che fine avrebbe fatto Derek.

«Vieni con me a New York» quasi lo supplicò Laura, e lui non seppe dirle di no per tantissimi motivi.

Si sentiva in colpa a lasciare Laura da sola, soprattutto perché era "merito" suo se adesso i loro genitori erano morti, e in più non ce la faceva a girare per le strade di una città così piena di ricordi e così piena di morte. Per non parlare di quanto fosse insopportabile camminare sentendo sempre alle proprie spalle la gente mormorare dell’incendio indicandolo con un dito o magari rivolgendogli sguardi troppo pieni di pietà o carichi di morbosa curiosità e voglia di pettegolezzi.

Decise di avviare le pratiche di trasferimento per finire il liceo a New York e di lasciarsi tutto alle spalle.

Quando annunciò a Stiles che aveva intenzione di andare via da Beacon Hills, il ragazzino lo guardò come se lo avesse appena tradito e gli gridò basito «Non puoi lasciarmi anche tu!»

A quelle parole, Derek si era sentito cadere a pezzi, perché sapeva che stava miseramente annullando la promessa che aveva fatto a se stesso – badare a Stiles al posto di Paige – ma il suo egoistico e crudo istinto di autoconservazione stava avendo la meglio. Stiles gli fece promettere che gli avrebbe telefonato, ma prima della partenza il ragazzino si rifiutò di salutarlo e si nascose in camera propria per non fargli vedere che stava piangendo. A Derek si strinse il cuore, ma si disse che in fondo se lo meritava: era stato a letto con la donna che aveva ucciso il padre e la sorella di Stiles, non aveva più alcun diritto di continuare a stare accanto a quel bambino come prima. E comunque aveva già in mente un piano per allentare i contatti con Stiles fino a perderli del tutto, perché decisamente Stiles sarebbe stato meglio senza di lui.

Una volta a New York, Derek cercò un lavoro part time per essere il più indipendente possibile e condivise un minuscolo appartamento con Laura. Non aveva neanche intenzione di andare al college dopo la fine della scuola.

Le prime due volte, chiamò Stiles di propria iniziativa e il ragazzino ne fu entusiasta, ma Derek si impegnò nel concedersi poco nei loro discorsi, lasciandogli intendere di aver poco da dirgli e poco da voler condividere con lui. Le successive dieci volte lo chiamò Stiles e quattro mesi dopo non lo chiamò più.

 


 

«Sei un bastardo» gli disse lo Stiles reale con del sarcasmo poco pungente.

Erano seduti sul cofano della Toyota di Derek, a mangiare cibo d’asporto all’aperto vicino alla riserva. Derek non sapeva come di preciso i loro appuntamenti in caffetteria si fossero trasformati in cene veloci e informali all’aperto, ma ciò non lo disturbava affatto.

Nei loro sogni non vivevano più nella stessa città, né erano ancora in contatto, quindi i loro riassunti settimanali si erano fatti un po’ più animati, perché l’uno raccontava all’altro cosa stessero facendo nel frattempo che in sogno non si vedevano né si parlavano.

«Già» mugugnò Derek sul suo stesso tono, «non vedo l’ora che tu me lo dica di presenza quando tornerò a Beacon Hills». Perché il Derek del sogno sarebbe tornato di certo a Beacon Hills, probabilmente più o meno intorno ai sedici anni dell’altro Stiles.

Nel frattempo che l’altro Derek era a New York, l’altro Stiles aveva iniziato a frequentare la scuola superiore e aveva stretto amicizia con Cora. Tutto in sogno stava andando più o meno come era andata fino a che Scott aveva ricevuto il Morso nella vita reale, i rapporti con gli altri ragazzi stavano pure seguendo le stesse dinamiche.

L’altro Stiles aveva provato a entrare nella squadra di basket della scuola, ma per sua sfortuna il club si era dissolto proprio alla sua entrata al liceo, e Finstock aveva colto la palla al balzo per dirigere quella fetta di fondi a favore di un nuovo club, quello di lacrosse, di cui Stiles e Scott erano entrati a far parte con scarsa convinzione. Stiles però ogni tanto, dopo la scuola, andava ancora a giocare al campo di street basket da solo. Derek gli mancava, e Stiles crescendo aveva intuito perché il ragazzo avesse in maniera poco sottile posto fine ai loro contatti, ma non lo accettava. Poteva capire le sue motivazioni, ma non le condivideva.

Da parte sua, l’altro Derek a New York, una volta finita la scuola, aveva intrapreso due lavori: assistente meccanico di giorno, barman di notte. Perlopiù lavorava in locali dove la gente andava di proposito a sballarsi, veniva assunto proprio in virtù del suo aspetto esteriore e i suoi datori di lavoro in genere lo invitavano sempre a sfruttare il suo aspetto fisico per invitare il più possibile i clienti alla consumazione.

Per un lungo periodo, sfruttare il proprio aspetto per spingere i clienti a spendere l’aveva fatto sentire come Kate: non si era mai comunque sentito meglio di lei, e sapeva fosse insano paragonare i suoi doppi fini da barista a doppi fini di lei da assassina, ma comunque non poteva fare a meno di scavare a fondo nei propri sensi di colpi e cercare altre distrazioni in del sesso occasionale con delle clienti, stando però attento a evitare le donne ubriache e a non ubriacarsi mai. Non toccò mai più uno spinello.

La paga nei locali gay però era più alta e lavorando lì Derek scoprì che provare a testare la propria sessualità e il sottile confine che c’era fra le proprie fantasie erotiche e la realtà era una distrazione ancora più forte.

«Sai» confessò allo Stiles reale, «mi ero sempre chiesto se le cose fossero andate in modo diverso se almeno Paige non fosse stata vergine alla morte, perché così sulle radici del Nemeton non sarebbe finito il sangue di una vergine e Jennifer non sarebbe diventata una darach».

«Solo per quello o anche per Kate?» gli chiese Stiles, intuendo che c’era sotto qualcos’altro.

«Sì, anche un po’ per lei; mi chiedevo se il mio rapporto con l’altro sesso sarebbe stato più facile o meno disastroso se non mi fossi concesso in maniera così intima per la prima volta proprio a Kate, ma invece no, è successo l’opposto» sospirò stanco. «Nella vita reale in cui ho perso la verginità con Kate, mi sono chiuso troppo, in quella alternativa dove lei è stata la mia seconda donna invece uso il sesso come se fosse un antidolorifico di cui sono dipendente: non c’è via di mezzo, non c’è vita in cui in qualche modo io non sprechi me stesso».

«Toccherai il fondo, prima o poi» osservò Stiles cauto, «prima o poi ti fermerai, o ci penserà Laura a farti fermare» ironizzò.

Derek sbuffò una risata. «Già, magari ci penserà lei… O magari prima o poi mi dirò da solo "basta così"».

Il Peter del sogno intanto aveva aperto una propria agenzia di investigazione privata e non aveva mai smesso di cercare per conto proprio prove per incastrare gli Argent. Ogni tanto chiedeva pure qualche piccolo aiuto informatico a Stiles e Danny e ovviamente lo faceva sempre nel suo solito stile, cioè tramite ricatto. Cora però sotto la sua guida era cresciuta in maniera sana e questo a Derek bastava e avanzava; ogni tanto sua sorella in videochiamata gli parlava di Stiles, Laura alle sue spalle scuoteva la testa e poi gli diceva che era uno stupido a non voler sapere più niente di quel ragazzino.

Laura era diventata un architetto come lo era stato loro padre, e sia Derek che Peter erano molto fieri di lei.

Intorno ai suoi ventun anni, il Derek del sogno cominciò finalmente a darsi una regolata, spinto anche da parecchi calci nel sedere da parte di Laura: s’impegnò di più nel suo lavoro di meccanico e il sesso occasionale diminuì in maniera repentina, anche se continuò a non avere alcuna storia stabile.

Quando Laura mise abbastanza soldi da parte per metter sù un proprio studio e Derek cominciò a considerare l’idea di aprire una piccola officina tutta per sé, lei gli pose una domanda importante che Derek ormai aspettava di ricevere da qualche tempo.

«Torniamo a Beacon Hills?»

New York non aveva più nulla da offrirgli, era stata per lui solo la città degli eccessi e dove dar fondo al peggio di sé; forse era proprio vero che dai propri fantasmi non si poteva scappare: era stato inutile allontanarsi da Beacon Hills, perché tanto nulla era migliorato o cambiato di una virgola. Derek era soltanto riuscito a elaborare i propri lutti e il proprio senso di colpa diventando più duro, più sospettoso, e più cupo.

La sua risposta fu quindi scontata.

«Sì».


 

 

Laura, ancor prima di sistemarsi per bene nel suo nuovo studio a Beacon Hills, prese accordi con Peter per contattare un’impresa di demolizioni e buttar giù quello che restava della casa bruciata della loro famiglia.

«È inquietante» disse a suo fratello, «ne è rimasto soltanto uno scheletro annerito a ricordarci per sempre quello che non c’è più, e non intendo nemmeno ricostruire tutto uguale a com’era prima: mamma diceva sempre che le prossime rinnovazioni degli interni avremmo dovuto farle noi a nostro gusto, perché un giorno quella casa sarebbe stata nostra e quindi era giusto che la modellassimo secondo i nostri bisogni». Sospirò a fondo. «Quando un giorno uno di noi vorrà vivere su quel pezzo di terra, potrà costruirci il tipo di casa che più gli farà comodo. E comunque i nostri genitori avrebbero voluto che guardassimo solo avanti».

Derek concordò con lei per inerzia, non ci rifletté sopra più di tanto perché non volle farlo.

Peter aveva cresciuto bene Cora, soprattutto aveva badato bene alla sua istruzione e le aveva fatto frequentare delle palestre di arti marziali e dei corsi di autodifesa: era diventata una ragazza fiera e dal forte spirito indipendente e aveva fatto proprio tutto il sarcasmo dello zio. In quegli ultimi anni Derek l’aveva vista dal vivo soltanto per Natale – più le videochiamate settimanali – gli faceva piacere tornare a essere una presenza più dinamica nella sua vita.

A scuola Cora faceva parte del club di giornalismo, lavorando gomito a gomito con Stiles: lui dava un po’ di brio agli articoli di lei, lei invece fermava lui quando diventava un inutile fiume in piena su argomenti superflui. Cora e Stiles erano entrambi caparbi e piuttosto orgogliosi di ogni informazione che riuscivano a ottenere, un duo di amici che negava però di essere tale in nome dei numerosi battibecchi che li caratterizzavano.

Derek passò un paio di volte per caso di fronte l’agenzia investigativa di Peter, osservò di sottecchi la targhetta con il nome dello zio attaccata alla porta ma non entrò: sentiva di dover rispettare il fatto che Peter non volesse saperne più niente di lui – lo zio lo trattava come se non esistesse, anche se non si intrometteva nel rapporto fraterno che Laura e Cora avevano ancora con lui.

Laura lo aveva esortato più di un paio di volte a fare almeno una visita a Claudia Stilinski, se proprio voleva evitare ancora Stiles.

«In questi anni, ogni volta che Cora ha cercato di parlarti di lui, tu le hai fatto cambiare discorso» sbuffò Laura. «Non riesco a capire perché mai tu non voglia più parlare con quel ragazzino, ma so bene quanto tu fossi affezionato a lui, tant’è che credo che in fondo ti importi ancora sapere se sta bene o meno… Vai almeno a salutare Claudia: adesso che siamo tornati, sarebbe scortese ignorarla dopo aver frequentato gli Stilinski per così tanto tempo! Ed è una brava donna!»

Derek preferì far finta che gli Stilinski non fossero più in città fino a quando per puro caso – o forse no – un pomeriggio si ritrovò a passare sul marciapiede di fronte la lavanderia di Claudia. Laura gli aveva chiesto di sbrigare una commissione per lei proprio due negozi più avanti, raggirandolo – e lui neanche se n’era reso conto – e di certo una volta tornato a casa gli avrebbe chiesto "Sei passato a salutare Claudia, già che c’eri?".

Derek valutò per un attimo le bugie che avrebbe potuto snocciolare alla sorella maggiore, poi sospirò rassegnato, schioccò la lingua e tornò sui propri passi per entrare in lavanderia.

Claudia l’accolse con un sorriso sorpreso e commosso che in qualche modo lo toccò dentro, soprattutto quando l’abbracciò e gli chiese con sguardo sincero come stesse; lo prese pure in giro con ironia per i muscoli che aveva messo su a New York – con un modo di fare che gli ricordò Paige.

Poi Derek sentì una voce non del tutto sconosciuta provenire dal retrobottega, e pochi secondi dopo entrò nella sua visuale un viso familiare.

«Sei sicura di aver ordinato delle nuove grucce? Perché io non riesco proprio a trovarle, mamma» disse Stiles camminando fino al banco a sguardo chino, e quando alzò gli occhi e vide Derek tacque di colpo restando a bocca aperta, stupito e visibilmente incerto su come reagire.

Neanche Derek sapeva come reagire, perché quell’incontro si stava rivelando a dir poco destabilizzante: di per sé in genere era difficile rivedere una persona del proprio passato con cui non si era più in contatto, ma vederla così cambiata perché cresciuta era un pugno allo stomaco, perché voleva dire essersi persi un mucchio di cose.

L’ultima volta che l’aveva visto, Stiles gli arrivava a malapena al centro del petto, ora invece era più basso di lui solo di qualche centimetro. E logicamente non aveva riconosciuto subito la sua voce perché cambiata. La sua statura era diversa, lui era diverso, e Derek si era rifiutato di essere presente lungo la strada che aveva portato Stiles a diventare il ragazzo che era ora. Stiles molto probabilmente era stata l’unica cosa sana che Derek aveva avuto dopo la morte di Paige e che in qualche modo l’aveva mantenuto lucido: sarebbe stato bello non cedere alle lusinghe di Kate, non macchiarsi della morte dei suoi genitori e vederlo crescere al posto di Paige.

«Derek?» lo chiamò Stiles ancora sorpreso e in maniera forse inconscia, perché poi scosse la testa e provò ad assumere un’espressione più neutrale. «Ciao».

«Ciao, Stiles» lo ricambiò accennando un flebile sorriso.

«Cora mi aveva detto che tu e Laura eravate tornati in città» continuò Stiles sullo stesso tono asciutto.

«Già…» e prima che su di loro cadesse un duro silenzio, Claudia lo invitò a cena da loro per quella sera. Derek non poté dirle di no, perché da ragazzino aveva mangiato da loro decine e decine di volte e aveva fatto da baby sitter a Stiles e Claudia gli era affezionata… Derek si sentiva più in imbarazzo alla sola idea di declinare l’offerta che a quella di accettarla.

Laura fu immensamente felice di sapere che quella sera Derek sarebbe andato dagli Stilinski, e lui non ne restò affatto sorpreso.

Per fortuna la cena si rivelò meno imbarazzante del previsto: Claudia era una donna dalla parlantina vivace, gli domandò cosa avesse fatto a New York senza chiedere troppi dettagli – aveva lo stesso riserbo che aveva avuto Paige in vita, non chiedeva mai cose a cui le stessa non avrebbe voluto rispondere – e se avesse dei progetti ora che era tornato a Beacon Hills. Derek le disse della prossima apertura della sua piccola officina.

«Ah!» sospirò lei ridendo. «Scommettiamo che entro il prossimo mese ti toccherà avere a che fare con quel catorcio di jeep di seconda mano che Stiles ha voluto a tutti costi acquistare?»

«Non è un catorcio!» protestò Stiles con la bocca pienissima di cibo, e deglutì con forza. «Non capisco cosa ti abbia fatto di male la mia povera piccola!»

«Dio solo sa in che posti di solito andate a cacciarvi tu, Scott e Cora» ribatté Claudia, «vorrei solo sapervi muniti di un mezzo meno traballante, qualcosa di più solido e sicuro».

«Ne parli come se perdesse pezzi per la strada!» si offese Stiles. «E comunque per te "solido e sicuro" equivale a "noioso": io non la voglio un’auto noiosa!»

Claudia sospirò scuotendo la testa e lasciò perdere il discorso; Derek abbozzò un sorriso: aveva visto la jeep di Stiles parcheggiata davanti la loro casa, era dello stesso colore del maggiolino di Paige, e Derek credeva che Stiles l’avesse voluta proprio per questo.

Derek aveva pensato che Stiles per tutta la sera avrebbe assunto un atteggiamento passivo-aggressivo con un discreto contorno di commenti cinici o acidi, invece si era mostrato soltanto vagamente risentito, aveva partecipato alle discussioni solo se sua madre ne era anche coinvolta e i suoi commenti erano stati solo appena sarcastici.

Adesso che Stiles era cresciuto, il suo sarcasmo somigliava a quello di Paige in maniera dolorosa.

Mentre sparecchiavano, Claudia informò Derek di come purtroppo a scuola non ci fosse più la squadra di basket maschile e che Stiles aveva dovuto ripiegare sul club di lacrosse con scarsi risultati.

«Ma sappi che gli hai trapiantato bene il basket nel cuore» aggiunse Claudia con un sorriso e con un tono cospiratorio guardando di sottecchi il figlio, che era al lavello e rivolgeva loro le spalle. «Non ha mai smesso di giocare, anche da solo, e…» continuò con l’espressione di una mamma che sa che ciò che sta per dire imbarazzerà a morte il proprio figlio, ma la diverte troppo l’idea di vederlo arrossire, «ha continuato a usare il pallone che gli hai regalato fino a quando non è stato più utilizzabile». E infatti le orecchie di Stiles diventarono rosse.

«Mamma!» protestò brontolando.

«Ho detto solo la verità» ribatté lei, e Derek rise trovando buffo come quella fosse una replica che Stiles da bambino usava spesso.

Claudia credette che lui e Stiles volessero trascorrere del tempo insieme da soli e per questa ragione Derek rimise piede dentro la stanza del ragazzo dopo cinque lunghi anni.

Perfino il modo in cui adesso quella camera era arredata sottolineò a Derek quante cose si fosse perso di Stiles. Guardando i poster delle band attaccati alle pareti si chiese come Paige avrebbe influenzato i gusti musicali del fratello se fosse stata ancora in vita, e se mai lui stesso gli avrebbe trasmesso qualche passione in più oltre al basket se non l’avesse lasciato da solo.

Derek restò in piedi a guardarsi intorno e Stiles si sedette sul proprio letto. Lo sguardo di Derek, dopo un lungo e silenzioso vagare, finì dritto in quello del ragazzo, che tirò su col naso e gli disse asciutto «Sei un bastardo».

Niente che Derek non si fosse aspettato, tant’è che sorrise scuotendo la testa.

Poi Stiles aggiunse sospirando «E non dirmi che ti dispiace, perché sappiamo entrambi che non è vero».

Derek continuò a sorridere ironico e si appoggiò di schiena alla scrivania incrociando le braccia sul petto. «C’è qualcosa che invece ti posso dire?»

«Sì» gesticolò, «tipo dirmi che non è come sto pensando: a New York non hai deciso di assumere il look da "tenebroso e dannato", vero? Perché voglio dire… giacca di pelle nera, vestiti scuri a tinta unica… Dimmi che sono solo frutto di una scelta casuale».

«Ho preferito lasciare il quadrettato a te».

«Il quadrettato è una fantasia rispettabile».

«Anche una giacca di pelle è rispettabile».

«No» obiettò Stiles, inarcando un sopracciglio con sarcasmo non pungente, «su di te è solo ostentazione».

Derek sospirò forte e roteò gli occhi, Stiles sbuffò una risata e gli tirò un cuscino addosso; poi si spinse all’indietro per poggiare la schiena contro la testiera del letto e Derek andò a sedersi vicino a lui, anche se evitò di sfiorarlo – il contatto con Stiles lo spaventava, perché l’ultima volta che l’aveva abbracciato era un bambino mentre adesso era un ragazzo e questa differenza disturbava Derek in maniera indefinibile.

Stiles trasse un respiro profondo e assunse un’espressione seria e decisa, parlò fissando le lenzuola. «Voglio sapere soltanto una cosa: hai deciso man mano di dedicarmi sempre meno tempo perché non avevi tempo o perché eri troppo stanco dei tuoi problemi per far ancora parte della mia vita?»

Derek evitò il suo sguardo, anche se si sentì fissato di sottecchi. «Ero troppo stanco di me stesso per credere che qualcun altro avesse bisogno di me».

«E sei ancora stanco di te stesso?»

«Non lo so».

«E come stai, adesso?»

«Forse meglio. Tu?» gli chiese Derek rimando, alzando lo sguardo per guardarlo negli occhi.

«Stessa cosa» assentì piano, poi aggiunse «Derek, lo sai quanto tu fossi importante per me quando ero piccolo: sei stata la prima persona a prestarmi davvero ascolto dopo Paige e…» la voce gli si incrinò al ricordo della sorella, «sapevi quanto fossi attaccato all’idea che avevo di te… È stato crudele da parte tua mettermi da parte, soprattutto perché ero un bambino».

«Lo so».

«Se hai intenzione di restare nei paraggi, prova a non negarti di nuovo».

Derek gli annuì, rimasero per qualche attimo in silenzio e quando fu chiaro per entrambi che non avrebbero parlato ulteriormente della faccenda, Derek diede fondo alla propria curiosità e commentò i suoi poster per chiedergli dei suoi gusti musicali.

La serata si chiuse senza altri scossoni proseguendo con chiacchiere animate ma tranquille, e Derek lasciò la casa degli Stilinski con la promessa di tornare a far loro visita, qualche volta.

Prima di chiudere la porta, Stiles lo guardò con una nostalgia struggente che pesò sul cuore di Derek come un mattone.

Il giorno dopo, Derek decise di recarsi al vecchio campo di street basket, più che per malinconia per curiosità: le chiacchiere della sera precedente gli avevano fatto tornare in mente gli uno contro uno aggressivi che aveva giocato nei campetti di Brooklyn i primi anni passati a New York; alcune volte aveva partecipato anche a dei giri di scommesse raggranellando un bel mazzetto di banconote, erano stati momenti un po’ rudi ma esaltanti, piacevoli da ricordare. Non credeva di certo che a Beacon Hills si sarebbe imbattuto in un giro di scommesse clandestine sul campo, ma comunque lo stuzzicava abbastanza l’idea di scaricare un po’ di tensione con della sana competitività e sperava di incontrare dei gruppetti di sconosciuti da sfidare.

Sogghignò soddisfatto quando avvicinandosi alla rete del campo vide la sua muta richiesta realizzata: dei ragazzi stavano giocando tre contro tre; alcuni erano più giovani di lui, altri sembravano suoi coetanei e non gli sembrò di vedere fra loro dei volti conosciuti o familiari. Ritenne opportuno far finire loro la partita prima di introdursi, e poi non gli dispiaceva vedere prima con che tipo di giocatori avrebbe avuto a che fare, così restò per qualche minuto in disparte a osservarli da lontano da oltre la rete protettiva intorno al campo.

Uno dei giocatori attirò la sua attenzione per uno strano contrasto nelle sue pose: si muoveva in modo buffo, quasi goffo, quando non giocava, ma nel pieno di un’azione offensiva aveva la decisione e l’agilità di un gatto – e proprio la somiglianza con un felino lo faceva restare ugualmente un po’ buffo quando giocava, ma comunque sempre piacevole da guardare. Derek non riusciva a vedere bene il viso di quel ragazzo, perché caso voleva che gli desse sempre le spalle e in più indossava un capellino da baseball al contrario che lo copriva abbastanza, ma quel poco che vedeva di lui gli piaceva: spalle larghe coperte da una vecchia maglia rossa e mani grandi dalle dita lunghe e pallide che contrastavano col colore del pallone. Lo attraeva.

Derek scosse la testa ridendo di se stesso: era a Beacon Hills, quello non era più né il tempo né il luogo adatto per provare a cercare quel tipo di distrazione, e comunque non era venuto lì per quel tipo di sfogo, voleva solo giocare. Sospirò scrollandosi di dosso pensieri non necessari e si mosse per entrare nel campo.

Fu in quel momento che il giocatore con la maglia rossa si voltò e si tolse il cappellino, mettendo in mostra i propri capelli cortissimi.

Stiles.

Derek pensò che se gli avessero dato un pugno allo stomaco, gli avrebbe fatto meno male, perché adesso capiva perché mai trovasse la vicinanza fisica con Stiles disturbante: ne era attratto. E ciò gli dava la nausea per motivi che decise di analizzare meglio solo una volta che si fosse allontanato da lì a passo svelto.

Quando fu sicuro di essere a debita distanza dal campo, si appoggiò al tronco di un albero e fu scosso da un conato di vomito a vuoto che gli provocò un dolore del diavolo alla bocca dello stomaco. Era rivoltante essere fisicamente attratti dalla stessa persona che avrebbe voluto veder crescere come un fratellino, voleva dire sovrapporre a dei ricordi innocenti e teneri dei pensieri poco limpidi – il contrasto era orrendo – e in più era palese che quell’attrazione nascesse perché Stiles gli ricordava Paige nel suo modo di fare: non si può avere delle fantasie su qualcuno soltanto perché somiglia alla propria ex morta, è irrispettoso e torbido. Soprattutto quando si tratta della sorella morta del qualcuno in questione.

Derek respirò a fondo più volte per riprendersi e infine decise di tornare a casa a piedi. Provò a calmarsi dicendosi che in fondo un’attrazione fisica non era così difficile da raggirare e sopprimere e che in qualche modo sarebbe sceso a patti con le parti di Stiles che gli ricordavano di Paige. Perché era doveroso farlo.

Purtroppo, però, come previsto da Claudia, Stiles visitò l’officina di Derek molto presto per dei problemi con la sua jeep e da quel momento in poi per il ragazzo andare a trovarlo a lavoro per infastidirlo di proposito diventò un obbligo.

Non andava bene, eppure Derek non osava dire a Stiles di smetterla di visitarlo.


 

 

Il Derek reale sapeva che la sua attrazione verso lo Stiles reale era vera, non era però qualcosa di prettamente fisico o mentale, era qualcos’altro che non si preoccupava di definire: necessitava di avere Stiles intorno il più possibile, perché da sveglio gli mancavano un sacco di cose che aveva solo nel sogno e non poteva permettersi che gli mancasse anche Stiles, o avrebbe perso ogni briciola di resistenza alla maledizione e al senso della realtà.

Derek aveva bisogno di sapere che, se si fosse voltato indietro, Stiles sarebbe stato perché avevano davvero una connessione e si capivano davvero a vicenda, o altrimenti il sottile confine fra sogno e realtà sarebbe crollato e lui avrebbe perso per sempre la ragione.

I suoi bisogni erano anche quelli di Stiles, che a propria volta non questionava mai le scelte di Derek e non aveva posto alcuna obiezione quando i loro appuntamenti all’aperto si erano trasformati in cene nell’appartamento di Derek e Cora. Entrambi avevano voglia di una certa intimità necessaria per parlare della loro vita alternativa senza che nessuno ascoltandoli li scambiasse per pazzi, e soprattutto senza che altre persone a cui tenevano sentendoli parlare si preoccupassero per loro o scoprissero accidentalmente delle verità e dei segreti da non svelare.

Era implicito anche che temessero che i loro cari li credessero perduti per sempre, perché certe volte si divertivano troppo a raccontarsi dei particolari piacevoli delle loro vite alternative, e altre volte ammettevano che tutto sommato non era male vivere alcune situazioni da un altro punto di vista. Derek sapeva che Stiles non avrebbe mai pensato che lui fosse impazzito, perché anche lui provava le stesse cose – perché anche lui viveva la stessa situazione – e lo ricambiava con la stessa moneta.

Non c’era nulla di insano nel voler condividere del tempo insieme solo perché si capivano a vicenda – no, la verità era che fosse del tutto insano perché così facendo si chiudevano ancora di più nel loro piccolo falso mondo alimentando le proprie torture a vicenda, era un circolo vizioso, ne erano consapevoli e non volevano uscirne. E Stiles era perfino diventato la sua ancora nelle notti di luna piena.

Mangiavano pizza seduti a terra con la schiena contro il divano; Stiles stava commentando il ritorno degli altri Argent nella Beacon Hills dei loro sogni.

Ovviamente l’altro Scott aveva perso subito la testa per l’altra Allison, e l’altro Derek quando l’aveva saputo aveva dato di matto: gli Argent dovevano stare lontani dall’altro Stiles, perché avevano ucciso Paige e suo padre e infine dato fuoco alla casa degli Hale; Scott non poteva fidarsi di Allison, perché non c’erano alcune prove che lei non si stesse comportando come sua zia Kate per arrivare a Stiles tramite Scott.

L’altro Peter ormai era vicinissimo a incastrare gli Argent, e il Derek del sogno temeva che gli Argent sospettassero che Stiles stesse aiutando Peter per una vendetta congiunta. Aveva paura che l’avrebbero ucciso per metterlo a tacere.

E ovviamente era vero che Stiles stava aiutando Peter: all’inizio l’aveva fatto sotto pressione e ricatto, poi, man mano che molte verità erano venute a galla, aveva agito di propria spontanea volontà per assicurare alla giustizia gli assassini di suo padre e sua sorella.

Di conseguenza nel sogno in quel momento tutti litigavano con tutti: Derek voleva che Stiles la smettesse di impicciarsi delle indagini sugli Argent e che convincesse Scott a lasciar perdere Allison perché pericolosa; Stiles gli ribatteva che era un suo diritto portare la verità alla luce e che Allison non era sua zia e che Scott era in grado di intendere e di volere, benché al momento fosse così innamorato da sembrare di essersi appena bevuto il cervello; Derek non poteva parlare con Peter perché lui lo ignorava, però stava odiando il modo in cui stesse coinvolgendo Stiles nelle indagini – svolte tra l’altro in maniera illegale – e non potendo prenderla direttamente con lui litigava con Laura, che poi di conseguenza litigava con Peter.

Intanto però nella realtà Stiles era al suo fianco, seduto sul pavimento a disegnare a ripetizione con un pennarello nero i simboli del sogno-sonno e del sogno-desiderio sulla scatola vuota della pizza; il suo ginocchio piegato era poggiato contro la gamba di Derek, e per sottofondo stavano facendo passare a ripetizione nel lettore musicale del portatile di Stiles delle canzoni che erano state delle hit nel periodo in cui Scott aveva ricevuto il Morso e si era innamorato di Allison.

«Non so come devo sentirmi» gli confessò Stiles continuando a disegnare a testa china. «Qui dovrei essere felice perché mio padre è vivo e dovrei anche ritenermi fortunato a non aver mai perso una sorella? E dovrei invece essere contento perché anche se mio padre e mia sorella sono morti almeno mia madre è viva?»

«Non so neanch’io come devo sentirmi» ammise Derek sospirando e poggiando la testa all’indietro contro il divano. «Forse il punto è che sentiamo troppe cose».

Stiles annuì. «È tutto così fottutamente confuso» mormorò, anche se dal tono semiassente della sua voce sembrò riferirsi a qualcos’altro di più sottinteso di quello di cui stavano parlando, e Derek ebbe conferma della propria impressione poco dopo.

«Mi aspetterai?» gli domandò di colpo Stiles, secco.

«Cosa?» ribatté sorpreso.

Stiles deglutì a stento e si umettò le labbra, smise di disegnare e si voltò a guardarlo negli occhi. «Mi aspetterai?» ripeté. «Quello che siamo adesso… ciò che siamo diventati…» gesticolò impacciato, «anche se nel sogno siamo le stesse persone perché cambiano solo le situazioni, è stata indubbiamente la maledizione a spingerci ad avvicinarci, quindi è tutto… confuso». Derek assentì per fargli cenno di aver capito cosa stesse cercando di dirgli, e Stiles continuò a parlare. «Mi dispiacerebbe perdere questo» indicò lo spazio fra di loro, «quindi, quando tutto questo sarà finito, prima di giudicare in maniera definitiva il nostro rapporto, aspetterai che tutto sia chiaro anche per me? Mi aspetterai?»

Derek non esitò nemmeno prima di rispondergli. «Sì».

Stiles sospirò sollevato in modo teatrale e ironico e poggiò la fronte sulla spalla di Derek, che sbuffò un sorriso contro la sua tempia per poi stringere piano una mano attorno al polso di Stiles, soppesandolo con aria assorta.

«Nel sogno la fisicità non è fedelmente riprodotta» osservò Derek, «la maledizione non ha avuto cura di ogni minimo dettaglio: questo è il peso reale della mia stretta quando ti afferro il polso. Questo è reale, ricordatelo quando ti risvegli e non capisci se stai ancora sognando».

Stiles annuì piano contro la sua spalla, Derek allentò la presa e lui mosse la mano fino a intrecciare le dita con le sue. «Questo è reale» ripeté Stiles con un sussurro mentre entrambi fissavano le loro mani strette insieme.

Derek per un lungo attimo respirò a fondo l’odore di Stiles.

«Stiamo perdendo la testa» mormorò Stiles atono contro il collo di Derek. «Stiamo perdendo la testa e non ne siamo neanche spaventati. Eppure dovremmo esserlo. A morte».

«Andrà bene» lo rassicurò Derek, ma era incerto.

Stiles si allontanò appena da lui, scosse la testa e fissò gli occhi nei suoi. «Non importa. Non ci importa».

Il peso di quell’affermazione dannatamente vera e sincera li costrinse a riscuotersi; raccolsero le ultime briciole della loro lucidità e si alzarono dal pavimento, Derek piegò le scatole vuote delle pizze per buttarle, Stiles raccolse le proprie cose e spense il portatile per sistemarlo in borsa.

Derek l’accompagnò alla porta e si diedero la buonanotte con un sorriso accennato e denso di malinconia; quando Stiles se ne andò, Derek imprecò contro la voglia di rincorrerlo per baciarlo in un modo che urlasse "Ho bisogno di te".

Dov’era il confine fra Sogno e Realtà? Dove c’era Stiles.

Dove c’era Stiles c’era quel confine e molto altro ancora.


 

 

Non si era ancora scoperto nulla sulla maledizione, e del resto non era facile risolvere un enigma ideato senza pensare a un modo per risolverlo.

Peter sembrava sempre più stanco delle ricerche, ma lui e Chris Argent erano i più persistenti nello studio di una soluzione, per quanto procedessero da soli e su strade diverse – erano poi Allison e Deaton a confrontare i loro studi e le loro ipotesi.

«Credo di essermi sbagliato» esordì Peter dal nulla, un tardo pomeriggio in cui era seduto sul divano di Derek a leggere un vecchio libro rilegato con una strana pelle – Derek non voleva sapere a che tipo di animale appartenesse, e grazie tante.

Lui inarcò un sopracciglio, ironico quanto sorpreso. «Prego?»

«Credo di essermi sbagliato» ripeté Peter, mantenendo lo sguardo sul tomo e voltando pagina. «Riguardo te e Stiles, intendo».

«Ah, l’avevo capito subito che ti riferivi a questo» gli ribatté Derek, sarcastico.

Peter sospirò ostentando rassegnazione. «Avevo detto che la differenza fra il rapporto che avete nel sogno e quello che avete nella realtà sarebbe stata una sorta di doccia fredda che vi avrebbe mantenuto lucidi, ricordi?»

«In maniera cristallina» gli rispose a denti stretti.

«A quanto pare, invece, condividere questa situazione, l’empatia, vi ha avvicinato. Stiles tecnicamente è l’unica persona al mondo con cui condividi sia la realtà che il sogno – e la stessa cosa vale per lui con te».

Derek aggrottò la fronte. «Anche tutti gli altri sono presenti sia nella mia realtà che nel mio sogno».

«Sì, tutti noi siamo presenti, ma non condividiamo il tuo stesso sogno» precisò Peter, continuando a sfogliare il libro. «Il fatto che lui sia presente e "attivo" in entrambe le tue due vite, lo rende il tuo punto di riferimento: Stiles ti ancora alla realtà, e ciò è così importante da averlo di recente trasformato anche nell’ancora alla tua umanità. Ti sei innamorato di lui» sentenziò in modo schietto e diretto, e le spalle di Derek sussultarono, ma non fece cenno di voler replicare qualcosa o negarlo – tanto sarebbe stato inutile. «E lui si è innamorato di te» aggiunse poi Peter.

Derek sospirò massaggiandosi la fronte. «E il punto è?»

«Vuoi che ti rifaccia la lezioncina sul potere dell’amore umano?» gli disse con lieve ironia. «Quella che ti ho già fatto ai tempi del Kanima, hai presente?»

«Sì, ho presente» sbottò Derek irritato. «Stai per caso insinuando che tutto potrebbe risolversi con "un bacio di vero amore" come in un film Disney?»

Peter schioccò la lingua e scosse la testa. «No, prima Stiles dovrebbe finire dentro una bara di vetro costruita da Scott e Isaac, poi tu dovresti arrivare da lui al galoppo su un cavallo nero e solo allora dovresti baciarlo per spezzare la maledizione».

Derek gli rivolse la sua migliore espressione inespressiva.

Peter si decise a chiudere il libro e divenne serio. «L’amore ha sempre un grande potere su di noi e sulle nostre azioni, è una vera e propria forza e non penso sia un caso che in questo momento sia presente fra voi due: potrebbe essere la classica soluzione che è troppo ben visibile e troppo vicina agli occhi per essere vista e presa in considerazione».

Derek era scettico. «Quindi mi stai davvero suggerendo di baciarlo?»

«No» ed era serissimo. «Credo che l’amore possa essere la chiave di soluzione, ma c’è anche da vedere in quale serratura vada inserita» esalò stanco. «Farò delle nuove ricerche a partire proprio da questo, tentar non nuoce».

Derek deglutì a stento, e gli costò chiedergli quello, ma era con le spalle al muro. «E credi anche che quello che proviamo sia stato generato dalla maledizione? Magari in modo collaterale…»

Peter agitò una mano e gli rivolse una smorfia. «No, quello è stato tutto generato dalle vostre teste bacate, è tutta colpa vostra».

Derek si sentì in dovere di lanciargli addosso un bicchiere di vetro.

Intanto i mesi erano passati veloci e i ragazzi del branco erano stati posti davanti a una scelta: proseguire gli studi a Beacon Hills o fuori città e dalla California?

Stiles informò Derek che nessuno di loro aveva intenzione di lasciare Beacon Hills in balia di tutto ciò che il Nemeton stava attirando a sé: erano il branco di quel territorio, era una loro responsabilità proteggere quella città e i suoi abitanti, e avevano anche i mezzi e le conoscenze giuste per farlo.

Le cose fra Lydia e Aiden si erano raffreddate parecchio e lei, per quanto fosse una mente brillante e promettente, non aveva accettato nessuna borsa di studio per un college prestigioso e niente poteva convincerla a privare il branco del suo potere da banshee. Aiden invece stava cominciando ad aver voglia di vivere in posti nuovi.

Ethan voleva seguire Danny a Berkeley, tant’è che aveva studiato e faticato in tutti i modi pur di farsi ammettere al suo stesso college, e di conseguenza aveva detto a Scott che molto presto avrebbe raccontato a Danny tutta la verità sui licantropi, perché fra di loro le cose erano serie e non voleva nascondergli più niente, ma gli sembrava giusto avvertire prima il resto del branco.

In sintesi, alla fine di quell’anno scolastico i gemelli sarebbero andati via da Beacon Hills, portando Danny in un posto indubbiamente più sicuro. Ethan però continuava ad avere un occhio di riguardo per Allison e Isaac, e forse l’avrebbe avuto per sempre.

Da dopo la prova del labirinto, il rapporto fra Stiles e Allison si era fatto più disteso, avevano chiarito parecchie questioni e le loro discussioni erano diventate meno burrascose.

Ma a parte tutto ciò, Derek era dannatamente grato al fatto che Stiles non avrebbe lasciato Beacon Hills e sarebbe rimasto al suo fianco. Sapeva anche però che stavano sempre di più sprofondando con consapevolezza in una lucida pazzia.

Ma "Non ci importa", aveva detto Stiles.

Ed era vero: non riusciva a fregarne qualcosa a nessuno di loro due.

Quanto ciò potesse rischiare di farlo sul serio impazzire, Derek lo comprese in maniera chiara e agghiacciante la sera in cui Stiles fu ferito da una freccia avvelenata di un cacciatore folle venuto a Beacon Hills.

Quel tizio era arrivato lì insieme ai suoi scagnozzi con l’intenzione di eliminare il branco e impossessarsi del loro territorio, perché diceva che non si fidava delle "bestie" ed era meglio che fosse un vero umano a far da guardia al Nemeton.

Scott e gli altri tentarono un’imboscata che non andò del tutto bene, e poco dopo essersi dispersi nella riserva, Derek avvertì il cuore di Stiles battere in maniera diversa per una ferita subita: lo raggiunse, sorprese alle spalle il cacciatore che stava cercando di dare il colpo di grazia a Stiles – gli spezzò il collo, e non si sorprese nemmeno del fatto di aver appena ucciso qualcuno – e s’inginocchiò subito a terra per controllare le condizioni del ragazzo.

La freccia era conficcata vicino la clavicola destra, il veleno di cui la punta era impregnata stava rallentando i movimenti e i riflessi di Stiles, e Derek temeva potesse anche bloccargli i polmoni da un momento all’altro.

«Stiles? Stiles, guardami!» l’esortò cercando di tenere la voce ferma, o Stiles si sarebbe preoccupato di più – lo conosceva, sapeva com’era. «Andrà bene, devi soltanto tenere duro». Chiamò aiuto al resto del branco con un ululato e sollevò appena le spalle di Stiles da terra circondandogliele con un braccio, per avvicinarlo di più a sé: il suo istinto gli urlava nella testa l’esigenza di avere un maggiore contatto con Stiles, di stringerlo forte e non lasciarlo mai più andare, perché non sarebbe stata la maledizione in sé a togliergli la ragione, ma vivere la maledizione senza Stiles.

E la consapevolezza di ciò era spaventosa.

Stiles era sempre più debole, non riusciva neanche ad aprire la bocca, però teneva gli occhi fissi nei suoi e faceva quello che Derek gli aveva detto di fare: resisteva.

Derek intrecciò le dita di una mano alle sue. «Lo senti? Questo è reale, non stai sognando, quindi concentrati su questo e resistiti: non puoi mollare, perché questa è la tua vera vita, ok?» gli mormorò.

Gli occhi di Stiles erano lucidi, gli rispose con un debole lamento e muovendo appena la testa; Derek gli sussurrò "Ssssh" contro la tempia e gli strinse la mano fino a quando non arrivano i soccorsi.

Alla clinica di Deaton, Derek assisté a tutta la lunga medicazioni di Stiles, e quando il ragazzo fu fuori pericolo, Derek trovò suo zio fuori dalla stanza: se ne stava in piedi, appoggiato di spalle al muro e con le braccia incrociate sul petto, aveva un’espressione seria quanto preoccupata.

«Anche tu sei la sua ancora» gli disse Peter, «e non intendo solo l’ancora che lo trattiene alla realtà».

Derek capì bene il senso delle parole di suo zio e tutto il loro peso, e fu proprio questo a renderlo ancora più inquieto.

Più tardi, gli sembrò strano trovarsi nella reale camera di Stiles: era uguale a quella del sogno, ma in quest’ultima Derek entrava più spesso e per lui era più familiare; c’erano delle piccole differenze fra la stanza di Stiles reale e quella del sogno, per esempio in quella del sogno mancava la lavagna di sughero piena di post it, mappe e appunti sugli attacchi sovrannaturali a Beacon Hills, e sulla scrivania al posto di libri antichi e polverosi pieni di miti e incanti c’erano gli schedari con i compiti e le ricerche scolastiche. Era bizzarro sentirsi meno fuori posto nella stanza di Stiles alternativa, ma era anche piacevole prestare consapevole attenzione a dettagli più reali che urlavano il nome di Stiles e di tutte le sue vere abitudini.

Stiles era ancora un po’ debole, sudava parecchio ma non tremava più e stava assumendo un colorito più sano; era sdraiato a letto con due cuscini sotto la testa e Derek era seduto al suo fianco e gli teneva una mano posata sul bracco; ogni tanto col pollice gli accarezzava l’interno del polso o il dorso della mano con piccoli movimenti circolari, poi Stiles trasse un piccolo sospiro più profondo, girò la mano verso la sua e intrecciò le dita alle sue. Non si stavano neanche parlando, erano entrambi visibilmente stanchi del peso della paura di quello che per poco non era successo – per non parlare di quando fosse schiacciante tutto l’ammasso di emozioni e di consapevolezza che ne era conseguito.

Derek dovette ammettere di essere perfino affezionato al modo in cui si era legato a Stiles, perché era successo in maniera diversa da come si era legato a Kate e Jennifer: nel legarsi a lui non aveva ceduto allo sfrenato bisogno di uno sfogo e di un conforto, né tantomeno aveva pensato a Stiles a come una distrazione o un’oasi protetta da tutto ciò che nella sua vita andava storto, e il loro rapporto non era cominciato con il sesso; l’attrazione che provava per lui non era banalmente sessuale, era un sottile e persistente bisogno fisico di sentire che la loro connessione era sempre presente. Quello era forse un modo più maturo e solido di legarsi a qualcuno: per Derek poteva essere anche un passo avanti come persona e sperava che davvero la maledizione non c’entrasse nulla con quello che provava.

Lui e Stiles si erano sentiti spinti a sacrificarsi per gli altri e accettare la maledizione per le stesse motivazioni e perché erano entrambi testardi, impulsivi e restii ad accettare che degli innocenti si facessero male. E Derek forse aveva bisogno da una vita intera di parlare di sé con qualcuno che l’aiutasse a prendersi meno sul serio come Stiles – i suoi commenti sarcastici non erano sempre richiesti e alle volte erano pure troppo pungenti, eppure servivano sempre per guardare la situazione da un punto di vista diverso o sotto un’atmosfera diversa – e magari era stata la maledizione a fargli notare che potevano confrontarsi in maniera costruttiva e che avevano dei sentimenti di perdita e di appartenenza a cose ormai perse in comune, ma per quanto la maledizione fosse stata un mezzo e un’occasione infelice, Derek non poteva non cercare di tenersi stretto il risultato conseguito.

Un giorno avrebbero spezzato la maledizione, ogni incertezza sul loro rapporto sarebbe stata dissipata e avrebbero finalmente potuto discutere in modo chiaro di quello che adesso c’era fra loro.

Per questo Derek ricacciò indietro il pensiero di quanto forse tutta quella dipendenza da Stiles fosse insana.

«Sto meglio» lo rassicurò Stiles con voce flebile; lui in risposta gli annuì e gli scostò dalla fronte dei capelli appiccicati alla pelle sudata – anche quello era un modo per toccare e pesare la realtà, perché in sogno Stiles portava ancora i capelli cortissimi. Stiles sotto il suo tocco socchiuse gli occhi ed emise un piccolo mormorio compiaciuto che rubò a Derek un sorriso.

«Cerca di dormire per riposarti» gli suggerì Derek, «magari è la volta buona che sogni qualcosa di normale» ironizzò.

Stiles sbuffò una risata a occhi chiusi. «Certe volte mi mancano i sogni normali! Non avrei mai pensato di dirlo, ma mi manca perfino sognare di andare a scuola nudo o di cadere nel vuoto. O di essere inseguito da un mostro che non riesco a vedere».

«Essere inseguito da un mostro ti capita spesso nella realtà, non dovrebbe mancarti così tanto» gli fece notare.

«Hai ragione» borbottò Stiles, «diciamo allora che mi manca sognare la fine delle patatine fritte».

Derek rise scuotendo la testa e Stiles allungò piano e con fatica un braccio verso di lui per fargli cenno di abbassarsi un po’ verso la sua testa. Derek poggiò la fronte contro la sua e Stiles gli grattò appena la nuca. Si guardarono negli occhi con uno strano misto di complicità, ironia e affetto.

«Dormi, Stiles».

«Ci vediamo nei miei sogni?»

«Ci vediamo nei tuoi sogni».

«A fra poco, allora».

Quella era la miglior lucida follia che potessero vivere.

Derek gli sfiorò la tempia con le labbra, spense le luci e uscì dalla stanza per tornare a casa propria e mettersi a dormire per incontrarlo nei suoi sogni.

 


 

In sogno Stiles era ovunque: non c’era giorno in cui non venisse a fargli visita in officina e alternavano momenti in cui litigavano per Allison e le indagini private di Peter a momenti di complicità ricchi di ironia e di una fresca e goffa tenerezza tipica della giovane età di Stiles.

Stiles era maledettamente giovane, non sapeva ancora quanto l’amore potesse fare male e quanto potessero essere oscuri certi sentimenti e desideri: ogni suo gesto trasudava inesperienza, eppure restava ostinato di fronte a Derek a mostrargli in modo tacito ma palese come la sua adorazione infantile per lui si fosse trasformata in una cotta adolescenziale piena del fervore e dell’energia del primo amore giovanile.

Derek credeva che Stiles l’avrebbe fatto impazzire, o che presto o tardi sarebbe morto schiacciato da tutte le emozioni contrapposte che scatenava in lui.

Lo rivoltava l’idea di essere attratto da un ragazzo a cui aveva badato quando era piccolo, soprattutto perché Stiles era stato un bambino innocente a cui doveva ancora tanto; Derek trovava pure abbastanza torbido il fatto di desiderare il fratello minore della sua ex morta: credeva fosse irrispettoso sia per la memoria di Paige, sia per Stiles stesso, perché era degradante essere un rimpiazzo ed era più giusto legarsi a una persona per ciò che era realmente, non per le parti che aveva in comune con qualcuno che non c’era più.

D’altra, però, Derek aveva vissuto la propria adolescenza solo per metà e la determinazione e l’impeto di Stiles gli riscaldava il cuore e lo tentava promettendogli cose che non aveva più avuto, così come lo tentava l’idea di ricevere finalmente un tocco più umano e vero dopo anni.

Stiles sembrava convinto di essere pronto per Derek, ma Derek sapeva che nessuno dei due in realtà era pronto per accogliere l’altro nella propria vita.

Entrambi non erano abbastanza maturi per affrontare un rapporto simile e Stiles stava idealizzando troppo Derek sulla base di cos’era stato per lui quando era bambino, mentre Derek lo stava idealizzando a propria volta spinto dal proprio bisogno pressante di avere una presenza più umana e confortevole al proprio fianco.

Derek non riusciva però a dire a voce alta a Stiles che l’aveva capito che era cotto di lui ma che doveva smetterla di provocarlo perché volevano cose diverse dal loro rapporto. Derek non era in grado di dare a Stiles l’amore spensierato ed energico che lui voleva vivere, così come Stiles non era in grado di dargli il rapporto bruciante, intenso e consumante di cui Derek sentiva il bisogno. Tra l’altro, la differenza di età, l’inesperienza e i sensi di colpa pesavano sulle spalle di Derek in modo opprimente.

Arrivò però il giorno in cui le indagini private di Peter terminarono e la famiglia Argent venne distrutta in una maniera che suo zio trovò abbastanza soddisfacente.

Gerard Argent finì nel braccio della morte, Kate lo seguì a ruota; Victoria decise di suicidarsi prima che lo scandalo consumasse la sua famiglia e l’FBI potesse catturarla per chiuderla in carcere a vita; a Chris diedero più di vent’anni di galera per il traffico di armi e il favoreggiamento dell’omicidio del vice sceriffo, sua figlia e l’incendio degli Hale.

Beacon Hills di fronte a quella notizia cadde in uno stato catatonico.

Allison andò in pezzi, volle restare da sola e si rifiutò di continuare la sua storia con Scott. Era praticamente rimasta da sola al mondo, senza più una famiglia e con la casa sotto sequestro, e per giunta era ancora minorenne; i genitori di Lydia decisero di ospitarla e aiutarla a emanciparsi, esortandola a costruirsi da sola il proprio futuro e una nuova reputazione. Tutto ciò spezzò parecchie dinamiche nei rapporti del gruppo di amici di Stiles e Scott, e l’ormai prossima fine della scuola e la partenza per il college di molti di loro promettevano di essere il colpo definitivo alla loro amicizia.

Allison era combattuta fra il parlare con Stiles e chiedergli perdono per cose che tra l’altro lei non aveva fatto e l’idea di evitarlo per sempre per la vergogna, ma Stiles chiese a Lydia di fare da mediatrice fra di loro e dopo qualche settimana i due finalmente riuscirono a incontrarsi e a chiarirsi.

Scott da parte sua era a pezzi, desideroso di stare accanto alla ragazza che amava per sostenerla ma deciso a rispettare il suo bisogno di tempo e spazio, e alle volte purtroppo dimenticava cos’avessero significato quegli arresti per Stiles e come si sentisse in quel momento il suo migliore amico.

Derek portò un paio di volte Stiles a giocare al campo di street basket, da soli e a un’ora in cui non avrebbero incontrato nessuno sul posto; l’aiutò a distrarsi e a sfogarsi, perché Derek comprendeva benissimo quello che Stiles stava provando: gli Argent erano sia dietro gli omicidi del padre e della sorella di Stiles sia dietro all’incendio degli Hale, il loro arresto aveva provocato una nuova ondata di morbosa curiosità fra gli abitanti di Beacon Hills – in molti li additavano quando li vedevano passare e pettegolavano alle loro spalle – nonché una buona dose di pietà non richiesta; in più, affrontare il processo aveva voluto dire rivivere i fatti e il loro lutto, ricordare cosa avevano perso, e in genere nessuno aveva bisogno di ricordare i propri morti in quel modo.

Derek capiva Stiles perfettamente, e stessa cosa Stiles all’inverso.

Al campo, in più momenti Derek era stato sul punto di cedere alla tentazione, di imprecare fra i denti e prendere il viso di Stiles fra le mani per baciarlo come se non ci fosse un domani: in quei giorni aveva come l’impressione che fossero loro due da soli contro il mondo – e in effetti era un po’ davvero così – e la necessità di stabilire un contatto più intimo con lui gli corrodeva l’anima. Era rimasto con i piedi per terra a stento.

Alla fine, uno di quei tardi pomeriggi, mentre rindossavano le giacche per tornare a casa, Stiles gli elencò in modo distratto le scelte per il futuro che avevano fatto i ragazzi del suo gruppetto.

Scott voleva diventare un veterinario, ma sarebbe rimasto a studiare a Beacon Hills insieme a Isaac; Lydia sarebbe andata a New York e aveva da poco lasciato Jackson che aveva intenzione di proseguire gli studi a Londra; Danny invece aveva puntato alla Berkeley.

«Io ho scelto la Stanford» disse Stiles infine, a testa china mentre si allacciava una scarpa.

Per un lungo attimo, Derek sentì l’aria abbandonargli i polmoni, si gelò sul posto e impiegò forse un po’ troppo tempo a riprendersi, ma alla fine si riscosse e tirò su col naso.

«Ne sono contento» gli rispose. «Sono fiero di te». Ed era vero, erano delle affermazioni sincere per quanto contrastassero con il senso di solitudine e tremenda malinconia che lo stava avvolgendo stretto soffocandolo.

Stiles lo guardò negli occhi con uno sguardo velato di nostalgia e amarezza, lo fissò come a sincerarsi che non avesse null’altro da dirgli, poi assentì a labbra strette e il discorso cadde lì. Non ne parlarono più.

Una volta tornato a casa, Derek sotto la doccia sbatte più volte la testa contro le piastrelle imprecando contro se stesso e l’universo intero, perché Stiles gli sarebbe mancato da morire, ma non aveva alcun diritto di avanzare delle pretese su di lui, non quando buona parte dell’attrazione che provava per lui derivava da quanto gli ricordasse Paige e tutte le belle cose che aveva perso ma avrebbe potuto avere se solo lei fosse ancora viva. E poi Stiles era ancora troppo giovane, le esigenze di Derek l’avrebbero consumato e basta.

Alla consegna dei diplomi, Derek fu presente per applaudire sia a Cora che Stiles, orgoglioso di loro anche se consapevole che ciò confermasse la partenza di tutti e due per Stanford – non era neanche bello il pensiero di vedere Cora allontanarsi da lui di nuovo.

Dopo la cerimonia, quando la serie di abbracci commossi e scambi di complimenti e congratulazioni terminò, Stiles chiese a Derek se potessero parlare un attimo da soli.

Derek capì subito cosa volesse dirgli, ma l’accontentò lo stesso.

Stiles aveva la toga color porpora slacciata, le guance chiazzate di rosso, gli occhi lucidi e stava trasudando imbarazzo e impaccio da ogni gesto. Era bellissimo.

E Derek stava per dirgli di no.

«Derek» esordì Stiles, quando furono lontani dalla folla e nascosti dietro un grosso albero, «lo sai che questo è in qualche modo un addio… cioè» gesticolò nervoso, «è una sorta di fine del tipo di rapporto che abbiamo avuto finora, perché la mia partenza è vicina e lo sai che cambierà tutto perché… la vita al college cambierà i miei tempi, i miei ritmi, i miei spazi… e io ho una fottuta paura di perderti».

«Stiles, non…»

«No, fammi finire di parlare!» lo fermò stendendo una mano in avanti. «Smettiamola di prenderci in giro: non fare più finta di non capire quello che provo per te, perché io non ho mai fatto finta di non capire che sei attratto da me, e questa è la nostra ultima occasione perché tutto sta per cambiare». Trasse un respiro profondo e lo guardò negli occhi. «Sono innamorato di te, Derek, e per quanto m’imbarazzi a morte dirlo… ecco, l’ho detto: sono innamorato di te, così tanto che ne sono spaventato» sorrise agitato e si grattò la testa, «e non mi aiuta il fatto di aver cominciato a capire cosa provavo per te proprio pochi minuti prima della morte di mia sorella! Ma… tu l’amavi e io l’amavo, e non credo che ovunque lei sia in questo momento le dispiaccia sapere che voglio prendermi cura di te come tu hai fatto con me in passato: penso proprio che semmai lei si arrabbierebbe se sapesse che piuttosto ti ho lasciato da solo! Quindi…» scrollò le spalle, «ti va di smettere di far finta che fra di noi non ci sia niente?»

Derek si morse un labbro, alzò gli occhi al cielo e provò a resistere, resistere, resistere. «Stiles, non posso».

Stiles lo guardò come se gli avesse appena dato un pugno in faccia senza alcuna valida ragione. «Perché?!»

Derek sorrise nervoso. «Forse per una serie di motivi pressoché infiniti? Mi ricordi troppo tua sorella e non posso stare con te per questo: è insano e irrispettoso nei confronti sia tuoi che suoi! E sei troppo giovane per me, Stiles: vogliamo cose troppo diverse da questo rapporto e…»

«Sai benissimo che invece vogliamo entrambi le stesse fottute cose» lo interruppe sibilando frustrato.

«Stiles, mi dispiace, ma… no».

Lui lo guardò negli occhi quasi supplicandolo. «Ti amo».

«Lo so» "L’ho sempre saputo", «e mi importa di te, mi è sempre importato di te, di come stai e di quello che senti, ma la mia risposta resta no».

Stiles scosse la testa con una smorfia piena di sarcasmo, indietreggiò mandandolo al diavolo e si allontanò da lui a passi veloci.

Derek sperò solo che un giorno lontano Stiles, ricordando quel momento, avrebbe provato soltanto della tenerezza e della malinconia verso quel suo primo amore adolescenziale, mettendo da parte tutta la sua rabbia per quel no.

Per Derek invece molto probabilmente quello sarebbe rimasto per sempre un rimpianto.

Cora stava prendendo in modo repentino il posto di Scott nel cuore di Stiles: stava diventando la sua migliore amica e la prima persona che contattava quando gli succedeva qualcosa, quindi ovvio che lei sapesse di quella confessione e che ora ce l’avesse con suo fratello. E una settimana dopo si premurò di dirgli che Lydia aveva deciso di fare a Stiles un ultimo regalo prima della partenza per il college.

Si era presa la sua verginità in una breve avventura di una notte, consensuale.

Derek non stentò a crederlo e sapeva comunque che Cora non era un tipo da raccontare bugie o ingigantire i fatti, anzi, amava essere spietatamente sincera per far male di proposito.

Quella sera si ubriacò bevendo in solitudine.

Stiles lo evitò con attenzione fino al giorno della partenza per Stanford, lo salutò perché s’incontrarono per sbaglio quando venne a casa loro a salutare Laura – non poté farne a meno – ma fu un gesto privo di calore.

Stiles, Cora e Allison partirono per la Stanford, e Beacon Hills per Derek diventò all’improvviso vuota.

Gli stava bene.


 

 

Al risveglio Derek si sentì completamente perso.

Nel sogno aveva rifiutato Stiles e l’aveva visto andar via da lui, e pur sapendo che niente di tutto quello fosse reale, temeva quale sarebbe stata la reazione del vero Stiles.

Per quanto le situazioni del sogno fossero sempre ipotetiche e immaginarie, loro come persone erano vere e Derek doveva ammettere che nei panni del Derek del sogno si sarebbe comportato allo stesso modo, e ciò lo portava a credere che anche Stiles avrebbe agito allo stesso modo dello Stiles del sogno: lo avrebbe evitato.

Quello però era il giorno del loro appuntamento settimanale, bastava soltanto aspettare quella sera per chiarirsi, anche se la mancanza di messaggi e chiamate da parte di Stiles non prometteva nulla di buono – era solito scrivergli sempre un paio di commenti sarcastici sul loro sogno al risveglio.

L’ora del loro incontro venne e passò, lui restò in casa da solo, Stiles non si presentò; Cora, quando quella notte rientrò nel loro appartamento, lo trovò seduto sul divano a bere della birra che su di lui non aveva alcun effetto, gli mormorò "Mi dispiace" con sguardo triste e buttò nella spazzatura le altre bottiglie che lui aveva svuotato.

Stiles lo evitò anche il giorno dopo, e quello dopo ancora.

La settimana successiva, il giorno del loro appuntamento, Derek restò in casa, anche se non in attesa. Stiles non venne e alla terza settimana Derek decise di andare piuttosto a correre nella riserva da solo.

Derek non aveva il coraggio di contattarlo perché sapeva benissimo che in quel momento erano entrambi arrabbiati l’uno con l’altro, con se stessi e con il mondo intero e per ragioni che non riuscivano neanche a spiegare bene.

Derek maledisse la maledizione.

Qualche giorno dopo, Peter si sedette di fronte a lui ostentando rassegnazione. «Credo che tu ne debba parlare almeno un po’ con me» gli suggerì, ma lui roteò gli occhi. «Non dico di parlarmi di te e Stiles, so bene che tanto quello non lo faresti neanche sotto tortura, ma almeno parlami di cosa sta succedendo nel sogno: raccontare ad alta voce gli eventi della tua vita alternativa ti aiuta a mantenere il senso della realtà» gli ricordò, «non puoi chiuderti così, rischi di impazzire».

Visto che peggio di così non poteva andare, Derek si passò le mani sul volto e si arrese a narrare a Peter gli ultimi episodi della Beacon Hills immaginaria.

Alla fine, suo zio inarcò un sopracciglio, pensoso. «Posso farti una domanda ben precisa? Sei libero di non rispondermi» aggiunse subito.

«Spara» gli ribatté sarcastico.

«Eviti sempre di parlare dell’altro Peter con me, perché

Derek respirò a fondo e si passò di nuovo le mani sul volto, stanco. «Noi… noi due non ci parliamo nel sogno: per via di quello che ho fatto con Kate, per te è come se nell’incendio fossi morto anch’io».

Peter ne restò più sorpreso di quanto Derek si fosse aspettato. «Ah» esalò dopo qualche attimo di gelido silenzio.

«Non te l’aspettavi?» gli chiese Derek.

«Uhm… non so, o meglio, non mi aspettavo che la maledizione decidesse di mettere in chiaro il nostro rapporto in maniera così cruda».

«Cioè?»

Peter sospirò e parlò gesticolando. «Ha evidenziato che comunque sarebbero andate le cose, noi due non ci saremmo mai capiti a vicenda».

Derek non aveva mai riflettuto su questo e quell’affermazione gli pesò addosso in maniera inaspettata. «Non l’avevo mai vista da questo punto di vista» commentò con un sussurrò.

«Sei ci fai caso» continuò Peter, «nel Sogno e nella Realtà ho reagito al fatto in modo opposto e diverso: nel Sogno te ne ho fatto una colpa, nella Realtà no, eppure in entrambi i casi continuiamo a non capirci e a non comprendere l’uno le motivazioni dell’altro. Questo è…»

«Deludente?»

«No, amaro» lo corresse Peter, «e mi fa capire di più il senso di fallimento, vuoto e persecuzione che dà questa maledizione».

«Non so quanto ancora potrò resistere» decise di ammettere finalmente ad alta voce.

«Stiamo cercando di essere il più rapidi possibili» lo rassicurò Peter. «Lydia pensa che la mia ultima ipotesi sia plausibile e mi sta aiutando con le ricerche» lo informò. «Cos’altro credi che ti aspetti prossimamente nel sogno?» gli domandò cauto. «Pensi di poter tenere duro ancora per un altro po’?»

«Manca Jennifer all’appello» sospirò, e Peter inarcò entrambe le sopracciglia, «non credo proprio che la maledizione tenderà a escluderla dalla mia vita».

«Nella realtà lei ha rapito il padre di Stiles» osservò Peter, «stava per ucciderlo… mi chiedo come la maledizione ti farà sentire ugualmente in colpa nei confronti di Stiles perché sei stato con lei. O perché stai con lei» si corresse.

Derek sbuffò una risata sarcastica. «Credi che io muoia dalla voglia di saperlo?»

«Non che io muoia dalla voglia di saperti ad avere a che fare di nuovo con lei».

Derek mormorò delle imprecazioni e sbatté più volte la testa all’indietro contro lo schienale del divano.

Odiava entrambe le sue vite.


 

 

Nella Beacon Hills del sogno la vita prese a scorrere in maniera monotona.

Derek si divideva fra il lavoro in officina e la ristrutturazione di un piccolo appartamento in cui aveva intenzione di andare a vivere da solo – ormai lui e Laura non potevano più condividere gli stessi spazi, erano cresciuti un po’ troppo per atteggiarsi ancora a studenti del college che abitano insieme.

Cora lo chiamava da Stanford un paio di volte alla settimana, quando potevano si concedevano anche delle videochiamate su Skype e stavolta lui non cambiava mai discorso quando lei provava a parlargli di Stiles.

Cora, Stiles e Allison stavano dando vita a un trio di amici ben assortiti – o mal assortiti, dipendeva dai punti di vista – e Allison era più o meno riuscita a riprendere in mano le redini della propria vita. Inoltre, Cora aveva riferito a Derek che i rapporti fra Scott e Stiles si stavano affievolendo sempre di più e per svariati motivi: la distanza e i ritmi di vita diversi, le pressioni di Scott affinché Stiles le riferisse sempre come stesse Allison e cosa lei facesse – visto che non si era ancora arreso, stava ancora rispettando i suoi tempi ma moriva dalla voglia di avere ancora un contatto con lei – e una generale mancanza di tatto di Scott nei confronti di Stiles.

Era come se i due amici all’improvviso non avessero più nulla in comune e le fondamenta del loro rapporto si stessero sgretolando come nulla fosse. Spesso discutevano in modo animato, l’uno non approvava le scelte dell’altro.

Forse fu anche questo a spingere Derek a provare a contattare di nuovo Stiles: immaginava quanto le sue liti con Scott lo stessero facendo stare male e di solito era Derek la persona con cui Stiles si lamentava sempre di Scott…

Gli inviò un messaggio dal tono casuale, Stiles gli rispose qualche ora dopo in modo distaccato ma non arrabbiato. Derek insisté e gli mandò una replica. Iniziarono a scambiarsi un paio di messaggi al giorno e qualche settimana dopo Derek decise di tentare anche di chiamarlo.

Stiles gli rispose al terzo squillo, parlarono per una decina di minuti di argomenti banali; a Derek non sembrò infastidito dalla chiamata, solo un po’ annoiato – Stiles si mantenne vago.

Si comportarono entrambi come se il giorno dei diplomi non fosse successo niente.

Dopo qualche tempo, cominciarono a chiamarsi più o meno regolarmente; parlavano sempre per meno di un quarto d’ora, ma Derek pensò che fosse meglio di niente, soprattutto quando Stiles riprese il suo piglio sarcastico fra una battuta e l’altra.

Derek non voleva perdere Stiles, e non voleva che Stiles perdesse lui.

Da quello che traspariva dalle loro chiacchierate e da qualcos’altro che Cora si era lasciata scappare – in maniera voluta, però – Derek capì che Stiles si stava concedendo delle storielle, del sesso occasionale senza alcuna pretesa se non quella di scoprire il sesso in sé e di scoprirsi, considerando che stava ancora valutando la propria bisessualità.

Derek non ne restò sorpreso, anche se gli fece male.

A un certo punto, però, cominciò ad avere degli strani sospetti e alcuni commenti velati di Cora gli diedero l’idea che non fosse poi così lontano dalla verità.

Poi una sera, durante una chiamata, Stiles gliene diede conferma confessando a bassa voce all’improvviso «Sono andato a letto con Allison».

Derek si massaggiò la fronte. «Lo sospettavo» gli disse.

«Ed è successo più volte… Io non… Lo so che non si va a letto con l’ex del proprio migliore amico, lo so» sbottò seccato da se stesso, «sei libero di giudicarmi!»

«Ti giudicherò solo dopo che mi dirai se sai quello che stai facendo e perché lo fai».

«Sono perfettamente cosciente di quanto questa sia una grande, gigantesca cazzata, ma… lei aveva bisogno di conforto e di una distrazione che non provenisse da una persona sconosciuta, e io ero lì, io avevo bisogno della stessa cosa, e lei era lì… io ero lì, lei era lì e la frittata è stata fatta!» continuò a parlare a bassa voce, nervoso. «Dopo tutto quello che è successo negli ultimi mesi, io e lei siamo entrambi parecchio sottosopra, conosciamo l’uno la storia dell’altra e capiamo l’uno i bisogni dell’altra… Non vado a letto con lei perché voglio lei o sono innamorato di lei, e neanche perché voglio del sesso e basta – altrimenti andrei a cercarlo da un’altra parte, mica dalla ex di Scott! – faccio sesso con lei perché so che lei sa come sto, cos’ho passato, cosa sto passando e ciò di cui ho bisogno e farlo con lei mi fa stare meglio: lei sa come farmi stare meglio. E stessa cosa io con lei: so come sta e so come farla stare meglio. Abbiamo bisogno di questo».

Per quanto quella fosse una situazione dannatamente sbagliata, Derek capiva benissimo la forte esigenza di un contatto fisico intimo e confortante, comprendeva perché mai quei due si stessero cacciando in quella situazione.

«Ma lo sai in che razza di guaio ti stai cacciando, vero?» gli chiese Derek, paziente e cauto.

«Sì, lo so eccome». E sia lui che Derek sapevano anche che nonostante tutto non avrebbe smesso di andare a letto con Allison.

Quando per Natale tutti i ragazzi tornarono a Beacon Hills dal college, si vide in modo chiaro che si erano formate delle nuove dinamiche e i piccoli sottogruppi nati tendevano a stare per i fatti propri. Cora, Stiles e Allison erano inseparabili e Derek notò che in effetti fra Stiles e Allison c’era un nuovo tipo di complicità, ma quest’ultima non sembrava derivare da un’intimità acquisita grazie al sesso, era qualcosa di più semplice e puro di quanto Derek avesse previsto: il modo in cui Allison ridendo dava un pugno alla spalla di Stiles quando lui faceva una battuta, il modo in cui Stiles offriva sempre la propria spalla ad Allison per farle appoggiare la testa su di lui quando erano seduti vicini trasudava solo una solida tenerezza, una continua ricerca di conforto e l’offerta reciproca di un rifugio sicuro.

Quei due facevano davvero sesso per aiutarsi a vicenda a stare meglio e ciò aveva reso il loro rapporto più forte; come sarebbe finita, Derek non lo sapeva – no, lo sapeva, oh se lo sapeva! – ma ciò che era certo era che ciò presto avrebbe messo fine all’amicizia fra Scott e Stiles.

Al rientro alla Stanford, sia Stiles che Allison continuarono di tanto in tanto a concedersi delle avventure con altre persone alle feste delle confraternite del campus, andando però a letto insieme periodicamente.

Fu l’estate successiva che Stiles, con il consenso di Allison, decise di sputare il rospo con Scott: la discussione terminò con un paio di cazzotti per Stiles e la fine della loro amicizia.

Stiles confessò a Derek che ciò non riuscì a pesargli più di tanto, perché era lo Scott della sua infanzia e dei primi anni del liceo che gli mancava, non quello attuale – era l’amicizia di quei vecchi tempi a mancargli, non tutto quello che erano diventati dopo. Il tempo li aveva cambiati, non poteva farci niente.

Passato l’anno da matricola di Stiles, tutto sembrava essersi più o meno appianato con una routine tranquilla, quasi noiosa, e Derek a propria volta aveva deciso di provare a mettere una volta per tutte da parte ciò che non aveva avuto da Stiles andando di tanto in tanto in dei locali fuori città per del sesso occasionale – prima era rimasto stupidamente fedele a lui e all’idea del tipo di rapporto che non avevano, non andava bene.

Fu poco prima della Festa del Ringraziamento che una delle nuove insegnanti dell’ex liceo di Stiles venne in officina per un guasto alla propria auto.

Si chiamava Jennifer, non era bellissima, ma carina, piacevole – come Paige – testarda anche se impacciata, e sicura e decisa quando parlava di Letteratura Inglese e quotava le sue opere preferite. Era stato subito palese che fosse attratta da Derek, e la sua goffaggine l’aveva intenerito e incuriosito.

Era stata lei a fare la prima mossa e chiedergli di uscire insieme in modo assolutamente buffo.

«Non mi piace» aveva sentenziato Laura storcendo il naso, «ha la stessa dolcezza e carineria tipica delle donne isteriche: le peggiori psicopatiche coprono con un atteggiamento simile le proprie nevrosi».

Derek aveva sospirato alzando gli occhi al cielo. «È vero che Jennifer è stata traumatizzata in passato, ma questo non vuol dire che sia diventata una psicopatica!» la difese.

«Sarà…»

In effetti, dire che Jennifer da ragazza era stata traumatizzata era poco: la sua migliore amica Kali aveva stretto amicizia con un gruppo di teppisti – si era fidanzata con uno di loro – e la notte di Halloween, ubriachi, avevano pensato di fare irruzione in casa di Jennifer per improvvisare una festa. Jennifer era orfana, all’epoca viveva con i nonni che erano già in età avanzata, e i ragazzi, presi dall’euforia, dai fumi dell’alcool e anche da un po’ di coca, aveva completamente vandalizzato la casa, steso i vecchi per metterli a tacere e poi appiccato accidentalmente del fuoco scappando via, lasciando così i nonni a bruciare vivi fino a morire.

Era però anche questo a unire Jennifer e Derek, si capivano, avevano purtroppo delle esperienze in comune, e lui pensò che non fosse un male provare a dedicarsi a lei e costruire insieme qualcosa di nuovo e di diverso.

Quando lo raccontò a Stiles durante una chiamata, lui gli disse ridendo sarcastico «Derek, almeno sai quello che stai facendo?»

«Più o meno» gli rispose sincero.

No, in effetti non aveva idea di perché diavolo insistesse così tanto a far funzionare quella storia, e odiava il fatto che Stiles lo stesse intuendo.

 


 

Quando Derek aprì gli occhi sulla realtà, si passò le mani sul volto e scoppiò a ridere isterico.


 


 

"I felt for sure last night

that once we said goodbye

No one else will know these lonely dreams

No one else will know that part of me.

I'm still driving away

and I'm sorry every day

I won't always love these selfish things

I won't always live

not stopping"

23 – Jimmy Eat World @ YouTube

   
 
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