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Autore: Giusyna    21/12/2013    3 recensioni
Harry non sentiva niente.
Anzi, forse una cosa la sentiva.
Una soltanto
Un’immensa tristezza.
Una tristezza sconfinata, acre.
Perché di certo Harry aveva vinto, ma per tanti, troppi questa vittoria aveva avuto un prezzo troppo alto. Troppi erano gli occhi, ormai diventati vuoti e vacui, ai quali Harry chiedeva mutamente perdono. E lo faceva lì, osservando il sole che si affacciava alla vita, dopo il buio della morte.
Prima classificata al contest "we are always infinity" di GinnyWeasley in Potter
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ginny Weasley, Harry Potter | Coppie: Harry/Ginny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Sole che sorge, vita che nasce

 

 

 

 

Il sole stava sorgendo.

Era incerto, pallido, quasi spento.

Ma c’era.

Era nato anche quel giorno e, fortunatamente, avrebbe illuminato anche quelli a seguire.

Harry lo osservava, unico testimone di una nascita incantevole e antica quanto il mondo stesso.

 

Era solo Harry.

 

Forse Ron lo stava cercando.

Cercava il suo migliore amico, anche solo per avere la certezza che avrebbero potuto ridere di nuovo insieme.

Ma Harry era solo.

Perchè sapeva che non avrebbero riso più tanto facilmente.

 

Forse Hermione lo stava cercando.

Cercava il suo migliore amico, anche solo per sentirsi dire che sarebbe andato tutto per il meglio.

Ma Harry era solo.

Perchè sapeva che niente sarebbe stato più come prima.

 

Forse anche la signora Weasley lo stava cercando. Cercava il ragazzo che per lei era diventato il suo ottavo figlio, lo cercava anche solo per accertarsi che stesse bene e che avesse tutti gli arti attaccati al posto giusto.

Ma Harry era solo.

Perché sapeva che era egli stesso a doversi preoccupare per lei. Anche se chiedere come stava sarebbe stato scontato, stupido.

Era una madre sopravvissuta al proprio figlio: il suo cuore, ridotto a brandelli, gridava straziato.

 

Harry era solo.

 

E aveva intenzione di restarci.

Lui, il prescelto, il bambino sopravvissuto, il ragazzo che neanche due ore prima aveva sconfitto il mago oscuro più potente di tutti i tempi e aveva posto fine agli incubi dell’intero mondo magico, adesso, davanti al nuovo giorno che nasceva, si sentiva il più vigliacco di tutti, svuotato di tutto quel coraggio che lo aveva animato.

 

Era solo Harry.

 

Non riusciva ad alzare lo sguardo da quelle macerie, non riusciva ad essere di conforto a quelle persone che lo avevano sempre accolto, facendolo sentire a casa.

Perché anche se aveva vinto, Harry si sentiva responsabile, colpevole.

 

In realtà, Harry non sentiva niente.

 

Non provava la gioia e l’euforia di chi esce vincitore di uno scontro mortale e dannato.

Non percepiva il timore e la paura che fosse tutta un’illusione e che Voldemort fosse ancora vivo.

Non sentiva il dolore delle sue ferite, né di quelle che gli sfregiavano il corpo né di quelle che gli laceravano l’anima.

No.

Harry non sentiva niente.

Anzi, forse una cosa la sentiva.

Una soltanto

Un’immensa tristezza.

Una tristezza sconfinata, acre.

Perché di certo Harry aveva vinto, ma per tanti, troppi questa vittoria aveva avuto un prezzo troppo alto. Troppi erano gli occhi, ormai diventati vuoti e vacui, ai quali Harry chiedeva mutamente perdono. E lo faceva lì, osservando il sole che si affacciava alla vita, dopo il buio della morte.

 

Era solo Harry.

 

Ed era triste.

 

 

 

 

“Harry”.

 

 

 

 

No.

Forse non era poi così solo.

O forse sì, ma di sicuro sarebbe stato molto più semplice sopportare la solitudine e la tristezza, se aveva al suo fianco quel profumo di fiori che avrebbe riconosciuto tra mille.

Quell’aroma che tanto amava e che lo faceva sentire come se, dopo tanto errare, avesse finalmente trovato il suo posto nel mondo.

Quella fragranza che ritrovava dappertutto.

Gli illuminava gli occhi,

si insinuava sotto la pelle,

riempiva le narici,

vibrava nelle orecchie,

insaporiva le labbra,

bruciava tra le dita.

Quell’essenza che gli affogava i sensi,

gli devastava la mente

e gli squassava il cuore.

 

 

 

 

“Ginny”.

 

 

 

 

La ragazza, silenziosa come era arrivata, aveva preso posto accanto a Harry.

Anche lei ora osservava quel cerchio di fuoco che anche quel giorno, seppur in maniera più discreta e timida, stava venendo alla luce, dopo una notte di doglie e di travaglio.

 

Harry era triste.

 

Ma la osservava.

Era placida, tranquilla. Il suo corpo era quieto. Niente a che vedere con qualche ora prima, quando le sue membra si tendevano come corde di violino, sempre all’erta, pronte a percepire ogni rumore, ogni segnale. Pronte allo scontro.

I capelli le ricadevano disordinati sulle spalle come rame liquido e riflettevano, come specchio, i colori dell’alba. Gli  occhi erano cerchiati e arrossati dalle lacrime che aveva versato e sicuramente trattenuto.

Erano occhi limpidi, limpidi e tristi.

 

No.

Decisamente Harry non era solo

Perché anche Ginny era triste.

 

Ma Harry era certo di non aver mai visto niente di più bello in vita sua.

Era un pensiero sciocco, irrazionale.

Ma il ragazzo sperava che quella tristezza, se divisa in due, potesse essere affrontata.

Pensare di dimenticarla era impossibile.

Ma combatterla era fattibile.

In fondo, Harry era appena uscito vivo, anche se per un soffio, proprio da una dura battaglia.

E adesso sentiva di doverne già intraprendere un’altra.

Questa volta al fianco della donna che amava.

Questa volta al fianco di Ginny.

A questo punto, senza averlo pianificato, senza alcuna strategia premeditata, agì.

Compì la prima mossa.

 

“Ginny… Mi…”

 

“Non dirlo Harry, ti prego…”

 

Ginny lo spiazzò con la sua di mossa e Harry la guardò cercando una spiegazione che non tardò ad arrivare.

 

“Non ha senso, Harry…”

 

Il giovane sgranò gli occhi, spiazzato.

Possibile che avesse capito?

Zittì i suoi pensieri quando la ragazza, con voce lieve come vento d’estate ma ferma come gelo d’inverno, riprese a parlare.

 

“Non ha senso, Harry, colpevolizzarsi per qualcosa di cui non si è colpevoli. Non ha senso dire mi dispiace quando l’unica colpa che si ha è quella di averci difesi, di averci salvati”

 

“Non tutti, però…” la interruppe Harry.

 

Ginny lo guardò con lo stesso sguardo di una madre che spiega al figlio che esiste il dolore, che esiste il male, che esiste la morte.

 

“No… Non tutti, è vero. Ma ti ripeto: non ha senso pensare che quello che si è fatto non è stato abbastanza. Ha senso solo pensare che quello che si è fatto è stato comunque il massimo”.

 

Harry non riusciva a capacitarsi di come, in un corpo tanto piccolo, dimorasse una dolcezza tanto disarmante, una forza tanto potente.

Le prese una mano fra le sue, in un gesto delicato ma saldo al tempo stesso.

Il sole era ormai sorto.

Per loro due, insieme, una nuova vita stava nascendo.

E mentre la vedeva contrarre il viso in una strana smorfia che, forse, voleva assomigliare ad un sorriso, ma che la tristezza aveva deformato in pianto, allora, in quel momento, davanti al giorno nascente, Harry capì di amarla.

Capì di amarla infinitamente.

Senza condizioni.

Senza freni.

Capì che non avrebbe mai smesso.

Capì che l’avrebbe amata per la sua bellezza.

Per la sua dolcezza.

Per la sua forza.

Per la sua tristezza.

Quando, disperato, abbracciò la ragazza ed entrambi diedero sfogo a quelle lacrime amare e silenti, sigillo della loro tristezza, Harry la sentì aggrapparsi al suo petto, come il naufrago che si appiglia allo scoglio, mentre Ginny, con voce stavolta leggermente tremante, gli sussurrava piano.

 

“Non dirmi mai che ti dispiace, Harry. Perché tu non hai colpa. Sono parole, solo parole. Fa male, ora più che mai. Ma il tempo allevierà il dolore e sanerà le ferite; per ora possiamo solo lasciarci andare in balìa di questa tristezza. Non possiamo fare altro.

Vorrei stringerti forte, dirti che non è niente. Posso solo ripeterti ancora: sono solo parole”. 

  
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