La luce rosata dell’alba stava abbandonando le piste
dell’aeroporto di Monaco. Mi lasciai cullare dal rollio dell’aereo e trattenni
il fiato quando la potenza dei motori lo scaraventò in aria. Sentii i ragazzi
rilassarsi e ricominciare a chiacchierare e ridere non appena arrivammo in quota
e si spense il segnale rosso.
“E naturalmente, chi è stato l’unico fortunato
ad essere salutato da una bella damigella alla partenza?” Bruce rivolse ad alta
voce quella domanda e gli altri risposero con risatine e commenti ironici,
lanciandomi occhiate divertite. L’unico a tacere fu il capitano, seduto
accanto a me.
Chiusi gli occhi ed incrociai le braccia sul petto, abbassando la
visiera del cappello senza reagire alle provocazioni. L’ultima cosa che udii fu
Oliver che diceva ai ragazzi di lasciarmi in pace, prima di sprofondare
nel sonno e nei ricordi.
Quella mattina
dovevamo finalmente partire alla volta del Sud Africa. Eravamo praticamente
tutti pronti e ci stavamo accingendo a salire sul pullman quando un’auto
sportiva rossa entrò nel parcheggio dell’hotel attirando la mia attenzione.
Stavo parlando con Holly e Tom e m'interruppi
all'istante,
basito. Era l’auto di Elena. Rimasi a fissarla imbambolato mentre una testolina bionda faceva
capolino dallo sportello che s'apriva. Mai e poi mai mi sarei aspettato che Marjorie venisse a salutarmi,
non dopo tutto quello che era successo.
“Scusate un attimo” dissi e mi allontanai dagli altri, dirigendomi verso l’automobile. Non feci
caso alle risatine dei miei compagni e malapena mi accorsi del mio capitano che mi
sfiorava un braccio, incoraggiante.
Marjorie era a pochi passi dalla macchia, le
labbra strette e gli occhi luccicanti di lacrime.
“Perdonami…”
la udii sussurrare.
Scossi il capo,
sorridendole amaramente mentre le asciugavo la guancia col dorso delle dita “Direi che sono io a dover chiedere perdono. Ti avevo promesso che non ti avrei né
illusa né ingannata. Non ho tenuto fede alle mie parole e ti ho fatto soffrire.
Non te lo meriti, assolutamente.”
Due lacrime le solcarono nuovamente il
viso, i riccioli biondi dondolarono in segno di diniego “Sbagli: io mi sono illusa. Io mi sono
ingannata. Elena aveva ragione. Come sempre. Sono innamorata del mio “uomo
perfetto” e l’ho identificato in te… Volevo, pretendevo che tu fossi come ti ho
sempre immaginato, ma non può essere così!”
“Marjorie, io…”
“Aspetta! Fammi finire! Abbiamo sbagliato, abbiamo cercato
tutti le soluzioni alle nostre paure dove sapevamo che non le avremmo
trovate! Tu eri solo un sogno e tale dovevi rimanere! Elena aveva sperato che io
fossi la soluzione ai tuoi problemi, solo perché…” mi guardò, affondando lo
sguardo azzurro nel mio. Sapevo dove voleva arrivare e avvertii una
morsa serrarmi la bocca dello stomaco “perché sa benissimo di
essere lei la soluzione, e ne è terrorizzata!
Sono stata un’egoista! Non ho voluto accettare
che la vostra non era più solo amicizia già da tempo solo perché lei mi ha
gettata tra le tue braccia! Ed io ero convinta di amarti...”
Mi sentii
improvvisamente leggero, come se il peso di quelle verità mi fosse scivolato di
dosso semplicemente per il fatto di averle finalmente ammesse.
Era vero. Era maledettamente
vero! Avevamo passato mesi a fuggire l’una dall’altro solo perché temevamo di
innamorarci, quando ormai, in realtà, era già
accaduto.
Elena si era aggrappata a Karl, io a Marjorie, e viceversa.
“Benjiamin…” la voce sommessa mi riscosse dai miei pensieri “ tu la ami. E lei ama te. E
non so chi dei due abbia più paura ad ammetterlo!”
Sorrisi, sincero e sereno “Hai
ragione Marjorie, e ti chiedo ancora di perdonarmi.
Sono stato uno stupido. Sono fuggito davanti ad un sentimento che, lo
ammetto, mi spaventa e così facendo vi ho fatte soffrire entrambe. Sono
davvero imperdonabile!”
La mia ormai ex ragazza mi si avvicinò ed alzandosi un poco in punta di
piedi, mi dette un bacio leggero sulla guancia per poi restare a fissarmi da
vicino, sorridendo appena con uno sguardo serio negli occhi “Quando tornerai non
sarà facile con lei. La conosci, forse ormai meglio di me! E’ forte ma
terribilmente insicura di sé stessa.
Non è stato coraggio quello che le ha impedito di
cedere alle tue avance, è stata paura! Dovrai essere molto bravo e molto paziente
con lei, ma sono sicura che tu sei l’unica persona che possa farla
veramente felice!”
“Grazie.” Le
risposi semplicemente. Non mi aspettavo quelle parole e mi avevano fatto
bene “E tu?” chiesi andando immediatamente col pensiero a Karl.
Si
allontanò, sorridendo “Mmmm, sai… Credo
che dovrò risolvere un problemino simile al vostro. C’è un certo capitano
che è una vita che mi fa da balia e credo di averlo sempre escluso dai
miei pensieri proprio perché tengo talmente tanto a lui da avere il terrore di
perderlo!”
“Non lo perderai mai, Marj.”
Il suo
viso si illuminò “Credi anche tu? E’ la stessa cosa che mi ha assicurato la mia
migliore amica! Ma ora và, altrimenti i Mondiali non li giochi!”
Le sfiorai
la fronte con un bacio e corsi dai miei compagni che mi stavano chiamando a gran
voce.
Avevo il cuore più leggero e la
mente finalmente sgombra.
Ero pronto a giocare il mio ultimo Mondiale dando
davvero il meglio del meglio di me.
Zingaro era tornato in scuderia. La ferita gli
doleva, il pelo era meno lustro del solito ma i grandi occhioni scuri dicevano che
non aveva nessuna intenzione di mollare.
Lo stavo
strigliando e intanto ripensavo ai giorni appena trascorsi e a tutto ciò che
avevano lasciato e portato via, rotolando nella mia
vita come le onde sulla battigia.
Pensavo a Karl.
Ci
eravamo lasciati, senza rimpianti né
rancori. Avevamo parlato molto, moltissimo, anche, sì, di quello che era accaduto tra
me e Benjiamin.
E di quello che non era mai successo tra lui e Marj.
Che situazione assurda! mi trovai a pensare. Quattro
persone adulte, all’apparenza sicure di sé, affermate professionalmente e
stimate nei rispetivi ambienti di lavoro, in realtà rose dalle stesse
paure, dalle stesse insicurezze che le rendevano fragili e incapaci di
instaurare rapporti sentimentali veri e stabili.
Pensavo a Benjiamin, e mi
rendevo conto di non poter fare a meno di avvampare, ricordando le sue mani su
di me, la sua bocca sulla mia e la sua voce che sussurava suadente facendomi
accendere il sangue nelle vene.
Pensavo al
suo abbraccio, ai suoi rari e preziosi sorrisi e a quanto stavo bene con
lui...
“Heilà! Ci sei o sei in Sud Africa?” la voce di Kris mi riscosse, riportandomi al presente e strappandomi ai miei sogni ad occhi
aperti.
“Ci sono,
ci sono capo!” risposi allegra, dando un'ultima vigorosa bruscata al mantello del mio stallone.
“E invece non ci sei…” Kristine scrollò la frangia biondo cenere, sogghignando maliziosa “Muoviti! Tra poco iniziano!”
Riportai Zingaro nel box e mi avviai con lei
in club house, dove ci aspettava Marjorie davanti al televisore. La mia biondissima amica mi
sorrise, facendomi posto sul divanetto accanto a lei, e io ricambiai. I nostri
attriti si erano sciolti. Ci siamo sempre volute bene, ci siamo sempre capite.
Avevamo parlato ed eravamo giunte ad una conclusione: dopo i Mondiali avremmo
finalmente preso il coraggio a due mani dando una svolta alle nostre
vite.
Seguimmo tutte le partite delle eliminatorie di Germania e
Giappone in quella saletta, soffrendo ad ogni Fire Shot non andato a segno,
coprendoci gli occhi ogni volta che un avversario entrava nell’area
nipponica.
Ma passarono
entrambi...
Agli ottavi: Germania – Argentina, Giappone – Svezia.
Il Kaiser
fu spettacolare, i suoi compagni, eccezionali. Dieter Muller contendeva a
Benjiamin il titolo di miglior portiere dei Mondiali. La classe e la fantasia
argentine vennero travolte dall’armata teutonica. Il gioco della squadra tedesca
non lasciò spazio né ad errori, né ad incertezze. Due a zero. Marcatori Schneider
e Margas.
Temevo molto l’altra
partita: Stefan è un ottimo compagno di squadra ma anche un avversario
notevole. Certo, il suo gioco non era più violento come quello di un tempo, ma
il Levin Shot non è un bel regalo. I polsi di Price ne avevano un brutto
ricordo.
Oliver si dimostrò nuovamente un eccellente regista.
Affiancato da Tom era veramente imbattibile, mentre Mark era nel pieno della
forma. Erano una squadra.
Avevo seguito solo un loro allenamento,
solo una volta li avevo visti giocare dal vivo, da vicino, e mi avevano dato
esattamente quella sensazione. Erano una squadra. Legati dall’amicizia,
dall’amore per il calcio, dalla voglia di vincere. Forse perché venivano da quel
Paese lontano dove si ha una concezione tanto diversa, forse più vera, di onore
e di amicizia.
E poi c’era lui:
Oliver Hutton! Un trascinatore, una forza della natura! Sereno, calmo, un’ancora
di salvezza per i suoi compagni, un generale in mezzo ai soldati. Benjiamin
ne aveva un rispetto quasi reverenziale e questa cosa mi aveva portato a guardare
con attenzione quel ragazzo un poco più piccolo degli altri, ma con un carisma
eccezionale.
Fu una partita dura. Levin è un regista d’eccezione e ha ben poco da
invidiare ad Hutton, ma la Svezia dovette soccombere. Le bordate violentissime
del suo capitano non infransero la barriera dell’ SGGK mentre un Drive Shot
preciso e potente sfondò la rete della squadra venuta dal freddo.
L’ultima
azione fu per gli svedesi: Stefan, dopo un’abilissima e splendida triangolazione
con Hegger, si trovò solo davanti alla porta. Il tiro fu potente ma non ne vidi la
conclusione, avvertii solo la mano di Marj che stritolava la
mia.
“Ragazze, potete ricominciare a respirare!” sentii
Kristine ridacchiare e sospirai di gioia vedendo Benjiamin che si rialzava da
terra, accingendosi ad effettuare un lunghissimo rinvio per Diamond..
Io e Marj ci guardammo
sorridendo, abbracciandoci. Due minuti dopo aveva termine la
partita.
Ai quarti Spagna – Germania e Francia – Giappone
I compagni di campionato di Holly non diedero
vita facile al Kaiser ed ai suoi. Dopo novanta estenuanti minuti di partita e
mezz’ora di supplementari, si andò ai rigori. Muller diede il meglio di sé. Era
bravo, molto molto bravo. Era l’unico portiere della Bundesliga ad avere una
media pari a quella di Price su Schneider.
E la Germania passò.
La partita si era giocata sotto un’acqua battente. D’altronde,
in Sud Africa, era praticamente inverno.
Il giorno seguente ancora pioggia.
Una volta, ricordai, avevo chiesto a Benjiamin cosa ne pensasse del
freddo tedesco e degli improvvisi temporali che scuotevano il fine estate
in Germania. Mi aveva risposto sorridendo e scrollando le spalle “Ormai non ci
faccio più caso, sai? Mi sono abituato a giocare in qualsiasi situazione, anche
con la neve. Un po’ d’acqua non mi spaventa.”
La Francia
era una brutta gatta da pelare e di certo la pioggia battente che rendeva
insidioso il campo e viscide ed insicure le prese faceva sì che tutto fosse più
difficile.
Tom conosceva bene i francesi ed Oliver gli lasciò la regia,
facendogli da spalla e puntando tutto l’attacco su Lenders.
Da parte sua
Price organizzò magistralmente la difesa, facendo sì di tenere gli avversari il
più fuori possibile dall’area, costringendoli a tirare dal limite e facendo
della pioggia un’alleata importante, ben sapendo che Napoleon e Le Blanc
non hanno la potenza di Levin o Schneider.
Mark segnò due splendidi goal e realizzò uno
spettacolare assist per il suo capitano, dandogli l’occasione di siglare la
terza rete.
Marj ed io avevamo guardato la partita da casa, strette su quel divano che
aveva dovuto sopportare tante volte le acrobazie della mia coinquilina quando seguiva
il suo eroe durante le partite del Bayern.
Giappone si qualificò e l'avversaria successiva sarebbe
stata l'Italia.
“Oh accidenti! E
adesso?! Per chi tifo?” Mi chiesi ad alta voce, osservando gli
accoppiamenti delle squadre sul monitor.
"Ahi!" un cuscino, lanciato con
vigore e mira, mi aveva centrato una spalla e sbilanciata, facendomi crollare
sul divano. Marj s'era alzata e mi guardava con una buffa smorfia di disappunto
sul viso, le mani strette a pugno puntate ai fianchi
e lo sguardo corrucciato
“Cretina! Per lui, no? Ma ti
pare!?”
La ramanzina che doveva seguire venne interrotta fortunatamente dal mio cellulare che
squillava.
“Pronto!
Ciao capo!” esclamai allegra ma preoccupata, mentre nel frattempo rilanciavo il
cuscino alla bionda, facendole la linguaccia.
“Ele! Un disastro! Lo
so che avevi chiesto di non andare ai Mondiali, ma siamo nei guai!” la voce di
Sonya era tesissima.
“Che è successo di tanto
grave?” le chiesi sistemandomi a sedere composta e facendo cenno a Marj di ascoltare.
“Lukas tra ieri e oggi alla partita ha preso parecchio freddo ed ora ha la schiena bloccata! E
Paul non può fare tutto da solo…”
Sapevo perfettamente cosa voleva
dire.
Io non avevo nessun obbligo, il mio lavoro col Bayern era una
collaborazione da libero professionista, non ero assunta, non ero una
dipendente.
Ma non potevo dar loro picche, Lauber aveva fiducia in me e nel
mio lavoro, era stato sempre gentilissimo. Quando poi era accaduto il
fattaccio si era prodigato in ogni modo per me.
Inoltre aveva accettato il
mio diniego ad andare in Sud Africa dopo che era stato informato dell'incidente
di Zingaro. Il mio stallone però stava meglio e Sonya mi aveva pregata più di
una volta di andare ad unirmi ai miei colleghi, soprattutto per avere qualche
scatto in più di Benjiamin.
La
società, ovviamente, era al corrente delle sue decisioni ed era già in progetto un'uscita
di scena in pompa magna per il SGGK.
Le ruote dell’aereo percossero violentemente l’asfalto
della pista mentre un paesaggio quasi lunare sfrecciava tutt’intorno. Avevamo
vinto.
Eravamo in semifinale.
Il mio sogno si avvicinava.
Scendemmo la
scaletta, ci avviammo al terminal e dopo qualche minuto un altro veivolo toccò
terra.
Stavamo tornando al villaggio creato appositamente per ospitare
giocatori, staff medici e tecnici, giornalisti e fotografi, situato alla
periferia di Cape Town.
Ci attardammo un poco all’ingresso dell’aeroporto: Harper, in
uno dei suoi soliti eccessi d'allegria, mentre scherzava coi fratelli Derrik aveva
aperto il suo bagaglio, rovesciandolo.
“Ehi, Price! Se quello è lo standard
dello staff tecnico del Bayern, giuro che cambio squadra!”
“Bruce, piantala
o Evelyn ti ammazza!” Crocker e Diamond ripresero, canzonandolo, il nostro difensore.
Mi voltai, seguendo lo sguardo di
Herper, non capendo a cosa alludesse.
E rimasi senza parole.
Mi
dava le spalle ma la riconobbi: tacchi alti, abito nero giacca e pantaloni, quando
si voltò notai sul risvolto il ricamo dello stemma della squadra. Lo
scollo ampio della camicetta candida fece intravedere appena la curva del seno
quando si chinò a raccogliere la tracolla dell’ottica che aveva accanto. Scostò
la massa ribelle di capelli castani dal viso ed incrociò lo sguardo col mio.
Restammo immobili un attimo. Poi mi sorrise, portando due dita alla fronte, come
uno scherzoso saluto militare.
Le risposi toccando la tesa del cappello e
sorridendole a mia volta. I suoi occhi cambiarono traiettoria, puntandosi alle
mie spalle. Dall’aereo atterrato dopo il nostro era scesa la nazionale
tedesca.
Karl mi venne incontro. Ci scambiammo una stretta di mano ed una
pacca sulla spalla.
“Ora la squadra è proprio al completo…” disse ed accennò col
capo verso Elena.
“Già, a quanto pare sì.”
Il pomeriggio seguente una figurina
ben nota armeggiava con macchine fotografiche ed ottiche più grandi di lei a
bordo campo.
Era una
sensazione strana. Mi dava tranquillità.
Quei giorni
erano stati difficili, molto difficili. La squadra stava andando forte, contro
ogni pronostico. L’umore era alle stelle ma eravamo tutti tesi, concentrati allo
spasmo.
Vederla lì, al suo posto alle mie spalle, mi faceva sentire
a casa.
I ragazzi si accorsero del mio cambiamento di umore ma pensarono
derivasse dal fatto che eravamo in semifinale. Tutti, tranne Oliver. Al termine
dell’allenamento richiamò la mia attenzione e mi sorrise strizzandomi un occhio,
accennando col capo a bordo campo.
Mi avvicinai a lei togliendomi i guanti. I lunghi
capelli mogano erano raccolti sotto un cappellino e l’ampia pettorina numerata
nascondeva le curve del corpo.
“Zingaro?” le chiesi.
“Meglio.
Molto meglio. Lukas un po’ meno…” rispose mettendo in ordine l’attrezzatura.
“Ho
saputo.
Sei qui a sostituirlo…”
“Già…” parlava senza
guardarmi in viso, concentrata sul suo
lavoro.
“Allora…buona giornata!” me ne andai col cuore
pesante.
“Domani farò uno strappo alla regola!” mi gridò dietro,
costringendomi a voltarmi.
"Ovvero?" chiesi
sorpreso da quel cambio repentino d'atteggiamento.
Mi sorrise, togliendo gli
occhiali scuri e fissandomi finalmente con gli occhi color dell’autunno “Credo che sarà
la prima volta in trent’anni che pregherò che la mia Nazionale non
segni!”
“Perché? Hai dubbi, per caso?”
Socchiuse gli occhi,
sorridendo appena e scotendo il capo “No. Ma non si sa mai…”
Gli altri stavano andando
in spogliatoio, qualcuno si era seduto sull’erba a rinfrescarsi e
chiacchierare.
“Ehi, SGGK! Da quand’è che ti abbassi a
parlare con i fotografi?” normalmente il tono strafottente di Mark mi avrebbe mandato in
bestia, invece gli risposi con tono quasi allegro, passandogli oltre senza degnarlo
di uno sguardo “Da quando il fotografo è una splendida ragazza,
Lenders!”
Scorsi un sopracciglio scattare verso l’alto mentre il mio vecchio
rivale si sporgeva oltre Danny, seduto accanto a lui, quasi sdraiandosi
sull’erba per guardare meglio il soggetto della nostra discussione.
In
quell’istante Elena tolse il cappello, sciogliendo la massa ribelle dei capelli
castani. La pettorina era stata appoggiata su un cavalletto e le forme
morbide a clessidra strapparono un fischio a Mark. I jeans a vita bassa
lasciavano scoperto il tatuaggio in fondo alla schiena mente una maglia rossa a
maniche lunghe, attillata e scollata a V chiudeva l’effetto rendendo il tutto
piuttosto sensuale. Sorrisi sarcastico vedendo gli sguardi imbambolati dei miei
compagni.
"Cos'è, Lenders? Anche tu all'improvviso
vorrai entrare nel Bayern l’anno prossimo?” lo canzonai, dando un’ ultimo sguardo al mio
brutto anatroccolo ed avviandomi negli spogliatoi.
Non si accorgeva di come la guardavano gli uomini. Non
sapeva quanto l’ammirassero. Si era sempre chiusa in se stessa, timida e
spaventata come un gattino per poi andare a cacciarsi tra le braccia di lupi
travestiti da agnelli.
Ma non quella volta.