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Autore: eos75    16/05/2008    6 recensioni
Può l'obiettivo di una macchina fotografica leggere nel cuore delle persone? E' quello che scoprirà il più forte portiere della Bundesliga! Tra fotografie, partite e allenamenti, la storia di un'amicizia molto particolare.
Genere: Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Karl Heinz Schneider
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La luce rosata dell’alba stava abbandonando le piste dell’aeroporto di Monaco. Mi lasciai cullare dal rollio dell’aereo e trattenni il fiato quando la potenza dei motori lo scaraventò in aria. Sentii i ragazzi rilassarsi e ricominciare a chiacchierare e ridere non appena arrivammo in quota e si spense il segnale rosso.
“E naturalmente, chi è stato l’unico fortunato ad essere salutato da una bella damigella alla partenza?”  Bruce rivolse ad alta voce quella domanda  e gli altri risposero con risatine e commenti ironici, lanciandomi occhiate divertite. L’unico a tacere fu il capitano, seduto accanto a me.
Chiusi gli occhi ed incrociai le braccia sul petto, abbassando la visiera del cappello senza reagire alle provocazioni. L’ultima cosa che udii fu Oliver che diceva ai ragazzi di lasciarmi in pace, prima di sprofondare nel sonno e nei ricordi.
Quella mattina dovevamo finalmente partire alla volta del Sud Africa. Eravamo praticamente tutti pronti e ci stavamo accingendo a salire sul pullman quando un’auto sportiva rossa entrò nel parcheggio dell’hotel attirando la mia attenzione. Stavo parlando con Holly e Tom e m'interruppi all'istante, basito. Era l’auto di Elena. Rimasi a fissarla imbambolato mentre una testolina bionda faceva capolino dallo sportello che s'apriva. Mai e poi mai mi sarei aspettato che Marjorie venisse a salutarmi, non dopo tutto quello che era successo.
“Scusate un attimo” dissi e mi allontanai dagli altri, dirigendomi verso l’automobile. Non feci caso alle risatine dei miei compagni e malapena mi accorsi del mio capitano che mi sfiorava un braccio, incoraggiante.
Marjorie  era a pochi passi dalla macchia, le labbra strette e gli occhi luccicanti di lacrime.
“Perdonami…” la udii sussurrare.
Scossi il capo, sorridendole amaramente mentre le asciugavo la guancia col dorso delle dita  “Direi che sono io a dover chiedere perdono. Ti avevo promesso che non ti avrei né illusa né ingannata. Non ho tenuto fede alle mie parole e ti ho fatto soffrire. Non te lo meriti, assolutamente.”
Due lacrime le solcarono nuovamente il viso, i riccioli biondi dondolarono in segno di diniego “Sbagli: io mi sono illusa. Io mi sono ingannata. Elena aveva ragione. Come sempre. Sono innamorata del mio “uomo perfetto” e l’ho identificato in te… Volevo, pretendevo che tu fossi come ti ho sempre immaginato, ma non può essere così!”
“Marjorie, io…”
“Aspetta! Fammi finire! Abbiamo sbagliato, abbiamo cercato tutti  le soluzioni alle nostre paure dove sapevamo che non le avremmo trovate! Tu eri solo un sogno e tale dovevi rimanere! Elena aveva sperato che io fossi la soluzione ai tuoi problemi, solo perché…” mi guardò, affondando lo sguardo azzurro nel mio. Sapevo dove voleva arrivare e avvertii una morsa serrarmi la bocca dello stomaco “perché sa benissimo di essere lei la soluzione, e ne è terrorizzata! Sono stata un’egoista! Non ho voluto accettare che la vostra non era più solo amicizia già da tempo solo perché lei mi ha gettata tra le tue braccia! Ed io ero convinta di amarti...”
Mi sentii improvvisamente leggero, come se il peso di quelle verità mi fosse scivolato di dosso semplicemente per il fatto di averle finalmente ammesse.
Era vero. Era maledettamente vero! Avevamo passato mesi a fuggire l’una dall’altro solo perché temevamo di innamorarci, quando ormai, in realtà, era già accaduto.
Elena si era aggrappata a Karl, io a Marjorie, e viceversa.
“Benjiamin…” la voce sommessa  mi riscosse dai miei pensieri  “ tu la ami. E lei ama te. E non so chi dei due abbia più paura ad ammetterlo!”
Sorrisi, sincero e sereno “Hai ragione Marjorie, e ti chiedo ancora di perdonarmi. Sono stato uno stupido. Sono fuggito davanti ad un sentimento che, lo ammetto, mi spaventa e così facendo vi ho fatte soffrire entrambe. Sono davvero imperdonabile!”
La mia ormai ex ragazza mi si avvicinò ed alzandosi un poco in punta di piedi, mi dette un bacio leggero sulla guancia per poi restare a fissarmi da vicino, sorridendo appena  con uno sguardo serio negli occhi “Quando tornerai non sarà facile con lei. La conosci, forse ormai meglio di me! E’ forte ma terribilmente insicura di sé stessa.
Non è stato coraggio quello che le ha impedito di cedere alle tue avance, è stata paura! Dovrai essere molto bravo e molto paziente con lei, ma sono sicura che tu sei l’unica persona che possa farla veramente felice!”
“Grazie.” Le risposi semplicemente. Non mi aspettavo quelle parole e mi avevano fatto bene “E tu?” chiesi andando immediatamente col pensiero a Karl.
Si allontanò, sorridendo  “Mmmm, sai… Credo che dovrò risolvere un problemino simile al vostro. C’è un certo capitano che è una vita che mi fa da balia e credo di averlo sempre escluso dai miei pensieri proprio perché tengo talmente tanto a lui da avere il terrore di perderlo!”
“Non lo perderai mai, Marj.” 
Il suo viso si illuminò “Credi anche tu? E’ la stessa cosa che mi ha assicurato la mia migliore amica! Ma ora và, altrimenti i Mondiali non li giochi!”
Le sfiorai la fronte con un bacio e corsi dai miei compagni che mi stavano chiamando a gran voce.
Avevo il cuore più leggero e la mente finalmente sgombra.
Ero pronto a giocare il mio ultimo Mondiale dando davvero il meglio del meglio di me.

 

Zingaro era tornato in scuderia. La ferita gli doleva, il pelo era meno lustro del solito ma i grandi occhioni scuri dicevano che non aveva nessuna intenzione di mollare.
Lo stavo strigliando e intanto ripensavo ai giorni appena trascorsi e a tutto ciò che avevano lasciato e portato via, rotolando nella mia vita come le onde sulla battigia.
Pensavo a Karl.
Ci eravamo lasciati, senza rimpianti né rancori. Avevamo parlato molto, moltissimo, anche, sì, di quello che era accaduto tra me e Benjiamin.
E di quello che non era mai successo tra lui e Marj.
Che situazione assurda! mi trovai a pensare. Quattro persone adulte, all’apparenza sicure di sé, affermate professionalmente e stimate nei rispetivi ambienti di lavoro, in realtà rose dalle stesse paure, dalle stesse insicurezze che le rendevano fragili e incapaci di instaurare rapporti sentimentali veri e stabili.
Pensavo a Benjiamin, e mi rendevo conto di non poter fare a meno di avvampare, ricordando le sue mani su di me, la sua bocca sulla mia e la sua voce che sussurava suadente facendomi accendere il sangue nelle vene.
Pensavo al suo abbraccio, ai suoi rari e preziosi sorrisi e a quanto stavo bene con lui...
“Heilà! Ci sei o sei in Sud Africa?”  la voce di Kris mi riscosse, riportandomi al presente e strappandomi ai miei sogni ad occhi aperti.
“Ci sono, ci sono capo!” risposi allegra, dando un'ultima vigorosa bruscata al mantello del mio stallone.
“E invece non ci sei…” Kristine scrollò la frangia biondo cenere, sogghignando maliziosa “Muoviti! Tra poco iniziano!”
Riportai Zingaro nel box e mi avviai con lei in club house, dove ci aspettava Marjorie davanti al televisore. La mia biondissima amica mi sorrise, facendomi posto sul divanetto accanto a lei, e io ricambiai. I nostri attriti si erano sciolti. Ci siamo sempre volute bene, ci siamo sempre capite. Avevamo parlato ed eravamo giunte ad una conclusione: dopo i Mondiali avremmo finalmente preso il coraggio a due mani dando una svolta alle nostre vite.
Seguimmo tutte le partite delle eliminatorie di Germania e Giappone in quella saletta, soffrendo ad ogni Fire Shot non andato a segno, coprendoci gli occhi ogni volta che un avversario entrava nell’area nipponica.
Ma passarono entrambi...
Agli ottavi: Germania – Argentina, Giappone – Svezia.
Il Kaiser fu spettacolare, i suoi compagni, eccezionali. Dieter Muller contendeva a Benjiamin il titolo di miglior portiere dei Mondiali. La classe e la fantasia argentine vennero travolte dall’armata teutonica. Il gioco della squadra tedesca non lasciò spazio né ad errori, né ad incertezze.  Due a zero. Marcatori Schneider e Margas.
Temevo molto l’altra partita: Stefan è un ottimo compagno di squadra ma anche un avversario notevole. Certo, il suo gioco non era più violento come quello di un tempo, ma il Levin Shot non è un bel regalo. I polsi di Price ne avevano un brutto ricordo.
Oliver si dimostrò nuovamente un eccellente regista. Affiancato da Tom era veramente imbattibile, mentre Mark era nel pieno della forma. Erano una squadra.
Avevo seguito solo un loro allenamento, solo una volta li avevo visti giocare dal vivo, da vicino, e mi avevano dato esattamente quella sensazione. Erano una squadra. Legati dall’amicizia, dall’amore per il calcio, dalla voglia di vincere. Forse perché venivano da quel Paese lontano dove si ha una concezione tanto diversa, forse più vera, di onore e di amicizia.
E poi c’era lui: Oliver Hutton! Un trascinatore, una forza della natura! Sereno, calmo, un’ancora di salvezza per i suoi compagni, un generale in mezzo ai soldati. Benjiamin ne aveva un rispetto quasi reverenziale e questa cosa mi aveva portato a guardare con attenzione quel ragazzo un poco più piccolo degli altri, ma con un carisma eccezionale.
Fu una partita dura. Levin è un regista d’eccezione e ha ben poco da invidiare ad Hutton, ma la Svezia dovette soccombere. Le bordate violentissime del suo capitano non infransero la barriera dell’ SGGK mentre un Drive Shot preciso e potente sfondò la rete della squadra venuta dal freddo.
L’ultima azione fu per gli svedesi: Stefan, dopo un’abilissima e splendida triangolazione con Hegger, si trovò solo davanti alla porta. Il tiro fu potente ma non ne vidi la conclusione, avvertii solo la mano di Marj che stritolava la mia.
“Ragazze, potete ricominciare a respirare!” sentii Kristine ridacchiare e sospirai di gioia vedendo Benjiamin che si rialzava da terra, accingendosi ad effettuare un lunghissimo rinvio per Diamond..
Io e Marj ci guardammo sorridendo, abbracciandoci. Due minuti dopo aveva termine la partita.
Ai quarti Spagna – Germania e Francia – Giappone
I compagni di campionato di Holly non diedero vita facile al Kaiser ed ai suoi. Dopo novanta estenuanti minuti di partita e mezz’ora di supplementari, si andò ai rigori. Muller diede il meglio di sé. Era bravo, molto molto bravo. Era l’unico portiere della Bundesliga ad avere una media pari a quella di Price su Schneider.
E la  Germania passò.
La partita si era giocata sotto un’acqua battente. D’altronde, in Sud Africa, era praticamente inverno.
Il giorno seguente ancora pioggia.
Una volta, ricordai, avevo chiesto a Benjiamin cosa ne pensasse del freddo tedesco e degli improvvisi temporali che scuotevano il fine estate in Germania. Mi aveva risposto sorridendo e scrollando le spalle “Ormai non ci faccio più caso, sai? Mi sono abituato a giocare in qualsiasi situazione, anche con la neve. Un po’ d’acqua non mi spaventa.”
La Francia era una brutta gatta da pelare e di certo la pioggia battente che rendeva insidioso il campo e viscide ed insicure le prese faceva sì che tutto fosse più difficile.
Tom conosceva bene i francesi ed Oliver gli lasciò la regia, facendogli da spalla e puntando tutto l’attacco su Lenders.
Da parte sua Price organizzò magistralmente la difesa, facendo sì di tenere gli avversari il più fuori possibile dall’area, costringendoli a tirare dal limite e facendo della pioggia un’alleata importante, ben sapendo che Napoleon e Le Blanc non hanno la potenza di Levin o Schneider.
Mark segnò due splendidi goal e realizzò uno spettacolare assist per il suo capitano, dandogli l’occasione di siglare la terza rete.
Marj ed io avevamo guardato la partita da casa, strette su quel divano che aveva dovuto sopportare tante volte le acrobazie della mia coinquilina quando seguiva il suo eroe durante le partite del Bayern.
Giappone si qualificò e l'avversaria successiva sarebbe stata l'Italia.
“Oh accidenti! E adesso?! Per chi tifo?”  Mi chiesi ad alta voce, osservando gli accoppiamenti delle squadre sul monitor.
"Ahi!" un cuscino, lanciato con vigore e mira, mi aveva centrato una spalla e sbilanciata, facendomi crollare sul divano. Marj s'era alzata e mi guardava con una buffa smorfia di disappunto sul viso, le mani strette a pugno puntate ai fianchi e lo sguardo corrucciato
“Cretina! Per lui, no? Ma ti pare!?”
La ramanzina che doveva seguire venne interrotta fortunatamente dal mio cellulare che squillava.
“Pronto! Ciao capo!” esclamai allegra ma preoccupata, mentre nel frattempo rilanciavo il cuscino alla bionda, facendole la linguaccia.
“Ele! Un disastro! Lo so che avevi chiesto di non andare ai Mondiali, ma siamo nei guai!” la voce di Sonya era tesissima.
“Che è successo di tanto grave?” le chiesi sistemandomi a sedere composta  e facendo cenno a Marj di ascoltare.
“Lukas tra ieri e oggi alla partita ha preso parecchio freddo ed ora ha la schiena bloccata! E Paul non può fare tutto da solo…”
Sapevo perfettamente cosa voleva dire.
Io non avevo nessun obbligo, il mio lavoro col Bayern era una collaborazione da libero professionista, non ero assunta, non ero una dipendente.
Ma non potevo dar loro picche, Lauber aveva fiducia in me e nel mio lavoro, era stato sempre gentilissimo. Quando poi era accaduto il fattaccio si era prodigato in ogni modo per me.
Inoltre aveva accettato il mio diniego ad andare in Sud Africa dopo che era stato informato dell'incidente di Zingaro. Il mio stallone però stava meglio e Sonya mi aveva pregata più di una volta di andare ad unirmi ai miei colleghi, soprattutto per avere qualche scatto in più di Benjiamin.
La società, ovviamente, era al corrente delle sue decisioni ed era già in progetto un'uscita di scena in pompa magna per il SGGK.

 

Le ruote dell’aereo percossero violentemente l’asfalto della pista mentre un paesaggio quasi lunare sfrecciava tutt’intorno. Avevamo vinto.
Eravamo in semifinale.
Il mio sogno si avvicinava.
Scendemmo la scaletta, ci avviammo al terminal e dopo qualche minuto un altro veivolo toccò terra.
Stavamo tornando al villaggio creato appositamente per ospitare giocatori, staff medici e tecnici, giornalisti e fotografi, situato alla periferia di Cape Town.
Ci attardammo un poco all’ingresso dell’aeroporto: Harper, in uno dei suoi soliti eccessi d'allegria, mentre scherzava coi fratelli Derrik aveva aperto il suo bagaglio, rovesciandolo.
“Ehi, Price! Se quello è lo standard dello staff tecnico del Bayern, giuro che cambio squadra!”
“Bruce, piantala o Evelyn ti ammazza!” Crocker e Diamond ripresero, canzonandolo, il nostro difensore.
Mi voltai, seguendo lo sguardo di Herper, non capendo a cosa alludesse.
E rimasi senza parole.
Mi dava le spalle ma la riconobbi: tacchi alti, abito nero giacca e pantaloni, quando si voltò notai sul risvolto il ricamo dello stemma della squadra. Lo scollo ampio della camicetta candida fece intravedere appena la curva del seno quando si chinò a raccogliere la tracolla dell’ottica che aveva accanto. Scostò la massa ribelle di capelli castani dal viso ed incrociò lo sguardo col mio. Restammo immobili un attimo. Poi mi sorrise, portando due dita alla fronte, come uno scherzoso saluto militare.
Le risposi toccando la tesa del cappello e sorridendole a mia volta. I suoi occhi cambiarono traiettoria, puntandosi alle mie spalle. Dall’aereo atterrato dopo il nostro era scesa la nazionale tedesca.
Karl mi venne incontro. Ci scambiammo una stretta di mano ed una pacca sulla spalla.
“Ora la squadra è proprio al completo…” disse ed accennò col capo verso Elena.
“Già, a quanto pare sì.”
Il pomeriggio seguente una figurina ben nota armeggiava con macchine fotografiche ed ottiche più grandi di lei a bordo campo.
Era una sensazione strana. Mi dava tranquillità.
Quei giorni erano stati difficili, molto difficili. La squadra stava andando forte, contro ogni pronostico. L’umore era alle stelle ma eravamo tutti tesi, concentrati allo spasmo.
Vederla lì, al suo posto alle mie spalle, mi faceva sentire a casa.
I ragazzi si accorsero del mio cambiamento di umore ma pensarono derivasse dal fatto che eravamo in semifinale. Tutti, tranne Oliver. Al termine dell’allenamento richiamò la mia attenzione e mi sorrise strizzandomi un occhio, accennando col capo a bordo campo.
Mi avvicinai a lei togliendomi i guanti. I lunghi capelli mogano erano raccolti sotto un cappellino e l’ampia pettorina numerata nascondeva le curve del corpo.
“Zingaro?” le chiesi.
“Meglio. Molto meglio. Lukas un po’ meno…” rispose mettendo in ordine l’attrezzatura.
“Ho saputo. Sei qui a sostituirlo…”
“Già…” parlava senza guardarmi in viso, concentrata sul suo lavoro.
“Allora…buona giornata!”  me ne andai col cuore pesante.
“Domani farò uno strappo alla regola!” mi gridò dietro, costringendomi a voltarmi.
"Ovvero?" chiesi sorpreso da quel cambio repentino d'atteggiamento.
Mi sorrise, togliendo gli occhiali scuri e fissandomi finalmente con gli occhi color dell’autunno “Credo che sarà la prima volta in trent’anni che pregherò che la mia Nazionale non segni!”
“Perché? Hai dubbi, per caso?”
Socchiuse gli occhi, sorridendo appena e scotendo il capo “No. Ma non si sa mai…”
Gli altri stavano andando in spogliatoio, qualcuno si era seduto sull’erba a rinfrescarsi e chiacchierare.
“Ehi, SGGK! Da quand’è che ti abbassi a parlare con i fotografi?”  normalmente il tono strafottente di Mark mi avrebbe mandato in bestia, invece gli risposi con tono quasi allegro, passandogli oltre senza degnarlo di uno sguardo “Da quando il fotografo è una splendida ragazza, Lenders!”
Scorsi un sopracciglio scattare verso l’alto mentre il mio vecchio rivale si sporgeva oltre Danny, seduto accanto a lui, quasi sdraiandosi sull’erba per guardare meglio il soggetto della nostra discussione.
In quell’istante Elena tolse il cappello, sciogliendo la massa ribelle dei capelli castani. La pettorina era stata appoggiata su un cavalletto e le  forme morbide a clessidra strapparono un fischio a Mark. I jeans a vita bassa lasciavano scoperto il tatuaggio in fondo alla schiena mente una maglia rossa a maniche lunghe, attillata e scollata a V chiudeva l’effetto rendendo il tutto piuttosto sensuale. Sorrisi sarcastico vedendo gli sguardi imbambolati dei miei compagni.
"Cos'è, Lenders? Anche tu all'improvviso vorrai entrare nel Bayern l’anno prossimo?”  lo canzonai, dando un’ ultimo sguardo al mio brutto anatroccolo ed avviandomi negli spogliatoi.
Non si accorgeva di come la guardavano gli uomini. Non sapeva quanto l’ammirassero. Si era sempre chiusa in se stessa, timida e spaventata come un gattino per poi andare a cacciarsi tra le braccia di lupi travestiti da agnelli.
Ma non quella volta.

  


 

 

 

 

 

   
 
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