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Autore: Artemide12    21/12/2013    2 recensioni
Sono passati venticinque anni da quando alieni e MewMew combattevano sulla Terra.
Ora su Arret – il pianeta alieno riportato alla vita grazie all'acqua-cristallo – dominano forze oscure che hanno interrotto qualsiasi contatto con il resto dell'Universo e costringono l'intera popolazione a vivere nell'ombra, schiava dei suoi padroni.
Nel disperato tentativo di ribaltare le sorti del pianeta, i cugini Ikisatashi e gli altri Connect fuggono e atterrano sulla lontana e ormai dimenticata Terra.
Ma quanto può essere sicuro un pianeta lontano anni luce se nasconde il proprio passato?
Genere: Avventura, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ikisatashi

 

Lei stava ancora dormendo quando lui la svegliò scuotendola con forza.

Nello sguardo di lui c'era una scintilla di felicità che accese subito anche lei.

«Gli altri sono già arrivati?»chiese subito.

«Sì!» sorrise lui e lei si alzò all'istante.

Arrivarono alla porta e lei aprì.

«Ragazzi!» li abbracciò, uno ad uno, cosa insolita per lei.

«Allora, come va?»

«Alla grande, guarda un po'» la ragazza bionda si portò una mano sul pancione.

Silver e Raylene, intanto, si stavano applicando su un puzzle gigante con un incredibile numero di pezzi. Erano a buon punto. Psiche ascoltava musica.

«Pare che Silver e Raylene abbiano preso tutto dal papà.» fece il ragazzo moro guardando il fratello maggiore facendo scendere Kathleen, che si dibatteva tra le sue braccia per poter scendere.

Pit, tra le braccia della madre, dormiva della grossa.

Lei passò oltre.

Abbracciò la donna minuta dai capelli nero pece e gli occhi come buchi neri che affiancava il marito, alto e bruno.

Le bambine le stavano tutte e due molto vicine. Loro, a differenza degli altri, erano umane.

Così come il bambino biondo dagli occhi azzurri e quello dagli occhi verdi che li seguivano.

Lei sorrise ai genitori e strinse la donna dagli occhi verdi.

Subito dopo la terza coppia umana-alieno.

La donna dai capelli scarlatti spingeva avanti i figli, intenti a farsi dispetti e a chicchierare allegramente con altri due ragazzini: uno dai capelli e gli occhi castano chiari e una con gli occhi blu e i capelli azzurri. «Lui è Dalton, incredibile vero?» fece l'alieno dagli occhi dorati.

Lui fissò lo schermo stupefatto. Era venuto anche meglio di quanto credeva.

«E lei è Abigal?» chiese lei.

«Sì.» confermò direttamente la ragazzina.

Loro la fissarono a lungo mentre le rispettive coscienze tornavano a farsi sentire.

Lei era molto più che una creatura che non avrebbe dovuto esistere.

Se in quel momento e in futuro Abigal sarebbe sembrata una come gli altri, lei era l'ennesimo, inquietante quanto stupefacente, passo avanti.

 

«Allora, vediamo se ho capito, voi venite da Arret, e siete scappati con un'astronave che avete rubato e, da lì, siete arrivati qui sulla Terra per caso?» chiese in ragazzo alzando un sopracciglio.

«Beh, non proprio per caso.» rispose Catron seduto dall'altra parte del tavolo.

Aisha distribuì l'abbondante colazione.

Erano anni che quel tavolo non era così affollato. Le piaceva. Solo ora si rendeva conto di quanto si fosse sentita sola negli ultimi anni.

Oltre a loro quattro umani c'erano Kathleen con i fratellini, Catron e Aprilynne, Silver, Raylene e Psiche e Abigal – anche se al momento la sua presenza era assolutamente irrilevante.

Kathleen, Pit e Opter si tuffarono sulla colazione con la solita vivacità, mentre gli altri Ikisatashi guardavano il latte dubbiosi.

«Dai, guardate che è buono!»

Catron lo annusò ancora perplesso, ma fu Aprilynne a mandare giù la prima sorsata e poi a vuotare il suo bicchiere e chiederne ancora.

«Visto?» fece la ragazza arancione.

«E chi ci dice che è digeribile, per noi?» osservò Silver.

«Il fatto che noi lo beviamo da due settimane e non ci è ancora successo niente. Diglielo anche tu Abigal!» insistette Kathleen.

La ragazza, sentendosi chiamata in causa, alzò lo sguardo e studiò i volti degli altri per alcuni secondi.

«Veramente noi non facevamo mai colazione.» borbottò poi.

«Mai?» esclamò Sharlot «Io non riesco a svegliarmi senza una buona colazione!»

Stavolta furono un po' tutti i Connect presenti a tacere.

«Che c'è?» chiese la ragazza.

«Beh, diciamo che quando devi mantenere più di una ventina di ragazzi che legalmente non esistono neanche devi andare un po' a risparmio.» disse alla fine Raylene.

«Chiamalo risparmio!» commentò Aprilynne.

«Una ventina di ragazzi che non esistono?» chiese invece Oro. Lui era uno dei due ragazzi terrestri. Aveva i capelli di un biondo dorato, appunto, e gli occhi di un meraviglioso azzurro cielo.

Gli Ikisatashi si scambiarono uno sguardo carico di significato.

Potevano fidarsi?

Aprilynne risolse il dilemma.

«Beh, hai di fronte gli unici otto Connect che sono nati naturalmente, si spera

«Scusa e gli altri?» chiese Aisha posando il bicchiere ancora semipiano e addentando un cornetto. Lei era seduta in maniera incredibilmente composta e persino nel servirsi si muoveva con grazia e leggiadria.

«Sono stati creati in laboratorio dai qui presenti Silver e Raylene e prima ancora dai genitori.»

«Stai scherzando, vero?» fece Caos, seduto accanto al fratello.

«Assolutamente no!» rispose la verde, come risentita.

«Ne hai la prova vivente proprio davanti agli occhi.» confermò Catron.

«Tu?»

«Io!» rispose Abigal e di nuovo tutti la fissarono.

«Non ci credo.» insistette Caos.

«Ti assicuro di no. In realtà è addirittura semplice.» rispose Silver e lui e Raylene cerarono di spiegare brevemente come funzionava.

Abigal portò per la prima volta la tazza alla bocca.

Quel liquido bianco e denso aveva un sapore orribile.

Si costrinse a mandarlo giù, ma subito prese a tossire violentemente. Si calmò solo dopo che Kathleen le ebbe dato ripetuti colpi sulla schiena credendo che le fosse andato di traverso.

Per levarsi dalla bocca quel saporaccio afferrò un biscotto di piccole dimensioni e lo addentò.

Anche quello lo mandò giù a forza. Aveva un sapore granuloso e sulla lingua le rimase un che di grinzoso e fastidiosamente dolciastro.

Si raschiò la lingua con gli incisivi superiori per cercare di mandare via quel saporaccio.

Come facevano gli altri a mangiare quella roba? Lei era dimagrita da quando abitava lì sulla Terra.

«Tutto bene?» le chiese Psiche che la stava guardando già da un po'.

«Perché?»

«Sei diventata tutta rossa. E quei brufoli li avevi anche prima?»

Abigal si portò una mano sulla guancia, ma nel sollevarla la vide ricoperta di quelli che sembravano morsi di zanzara.

La pelle del viso era insolitamente ruvida.

Afferrò il coltellino della marmellata a si specchiò nella lama ancora pulita.

Aveva delle chiazza rossastre un po' dappertutto, ma non era messa così male come si aspettava.

Sentiva le labbra secche e se le leccò distrattamente.

Subito sentì che qualcosa non andava. Anche la lingua era secca e sul coltello poté vedere che era anche gonfia.

Tutta la bocca stava perdendo sensibilità.

Sentì il suo stomaco attorcigliarsi.

«Abigal?» fece Sharlot.

La ragazza arrivò in bagno appena in tempo per poter dare di stomaco quel poco di colazione che aveva mandato giù.

Solo quando si fu sciacquata la bocca e si sentì meglio si rese conto che Aisha a Raylene l'avevano seguita.

«Che diavolo c'era in quella roba? Come fate a mangiarla? Ha un sapore orribile!»

Raylene alzò un sopracciglio.

Fuori dal bagno c'era Silver. Gli altri erano rimasti a tavola e stavano guardando attraverso la porta aperta.

Abigal si concentrò sul ragazzo che le stava davanti.

Silver la stava studiando con sguardo critico, ispezionando quasi tutto il suo corpo e traendo conclusioni che tenne per sé.

«Che c'è?»

«Quelle chiazze rosse sembrano una reazione allergica. Come ti senti?»

«Ora meglio.» abbozzò la ragazza «Prima la bocca stava perdendo sensibilità.» si agitò non ricevendo alcun tipo di risposta dal ragazzo. Odiava quel suo sguardo maledettamente inespressivo. «Non può essere un'allergia, ci avete progettati del tutto sani e hai fatto tu stesso i controlli.» disse sulla difensiva.

«Lo so, lo so, ma gli allergeni di Arret non sono gli stessi della Terra suppongo.»

«Ma siamo stati progettati...»

«Voi sì, ma noi no, bisognerebbe provare anche su un altro, ma non la cosa non piace. Quando stavi con Dalton cosa mangiavate?»

Abigal abbassò lo sguardo e si prese alcuni minuti per riprendere il controllo. «Noi...» rispose poi a bassa voce «abbiamo comprato piante da un vivaio un paio di volte. Dalton ha sempre avuto fiuto per quelle commestibili, abbiamo detto che volevamo creare un giardino. Ho comprato del pesce e della carne, ma mai formaggi, pasta, pasta, bevande varie né qualsiasi cosa fosse dentro scatole o barattoli. Una volta ho preso una bottiglia di... olio, mi sembra, quello non era male.»

Silver non sapeva cosa pensare, in effetti si sarebbe comportato proprio come Abigal considerando che non conosceva la maggior parte dei prodotti.

«Cos'è olio?» chiese.

«Quello!» a rispondere fu Opter che indicò una bottiglia di vetro sul piano di lavoro.

Aisha si avvicinò per controllare, poi annuì.

«È vero,» continuò il bambino «è buono.»

Qualcosa nella sua espressione catturò l'attenzione di Caos, seduto di fronte a lui. «Intendi da bere?»

«Certo! Pit se lo stava finendo l'altro giorno.»

Il diretto interessato e sbiancò più di quanto non fosse già.

«Piccole pesti! Ecco chi è che lo faceva sparire! “hai sbagliato a contare le bottiglie”, eh?» scattò la sorella con sguardo di fuoco, ma senza vera rabbia.

«Avevo sete.» mugugnò il ragazzino e il fratellino rise. «È stato anche lui!» esclamò Pit, ma la sorella lo ignorò.

«Viva i fratelli piccoli!» fece Catron sorridendo beffardamente.

«Zitto vecchiaccio

«Bada a quello che dici nanetto!» i due si fissarono come solo due bambini che litigano per qualcosa di sciocco sanno fare e tutti gli altri scoppiarono a ridere.

«Vecchiaccio!»

«Nanetto futuro cognato.»

«Vecchiaccio futuro... Vecchiaccio gattaccio!»

«A proposito.» intervenne Oro. I due lo guardarono male e sibilarono all'unisono un «Che vuoi?» molto comico.

«Le ragazze mi hanno detto che l'ultima volta ti sono spuntate le orecchie e la coda.»

Catron guardò la sorella.

Aprilynne alzò distrattamente l'indice destro qualcosa di lungo, peloso e dorato si attorcigliò attorno alla sua mano.

«Queste?» chiese la ragazza.

I quattro umani notarono allora che le sue orecchie non erano più al loro solito posto dopo le tempie, ma più alte sulla testa e avevano una forma triangolare tipica dei felini.

«Ma che...» Caos la stava fissando sgranando gli occhi.

«Gatto selvatico Iriomoto.» annunciò Aprilynne orgoglioso «Uno splendido regalino dei miei genitori arrivato tramite patrimonio genetico. Lo avevano entrambi.»

«Stai scherzando?» riuscì a dire il ragazzo senza distogliere lo sguardo dalle orecchie e dalla coda dorate, anche se il colore non era così accentuato da risultare anomalo.

«E puoi farlo anche tu?» chiese Oro tornando a prestare attenzione a Catron.

Il ragazzo annuì si fece spuntare la a sua volta coda e orecchie – rosse come gli occhi e simili ai capelli, anche se quelli tendevano più al castano.

«Beh, che c'è da guardare così, anche Aisha a Sharlot, a quanto sembra sanno fare una cosa del genere.»

«È... è proprio questo il punto.» rispose Aisha. «Come è possibile che possiate farlo anche voi? Che possiate averlo ereditato geneticamente?»

«Per informazioni chiedere a Silver.» recitò Aprilynne quasi in automatico poi, rendendosi conto che il ragazzo era rimasto in soggiorno con Abigal aggiunse: «O a Raylene.»

«Gatto selvatico Iriomoto» ripeté tra sé e sé Caos «non è possibile... Qualcun altro sa fare cose del genere?»

«Tutti!» esclamò Opter.

«Ma ti stai zitto!» ribatté Pit.

Kathleen alzò gli occhi al cielo.

«Venite, ho visto un paio di cuscini che non vedono l'ora di essere usati come armi da combattimento.» disse Psiche alzandosi e chiedendo con lo sguardo il consenso ad Aisha. Lei annuì distrattamente e i tre uscirono.

Psiche rientrò, da sola, pochi minuti dopo, mentre dal terrazzo venivano le voci, o più che altro le risate, dei due bambini.

I 4 terrestri erano ancora in attesa di spiegazioni.

«Tutti?» chiese Sharlot che era l'unica che era rimasta seduta mentre gli altri avevano sparecchiato.

Raylene prese la parola. «Tutti. Noi otto siamo nati così. Per quanto riguarda gli altri prima ancora che i loro embrioni cominciassero a svilupparsi il loro codice genetico è stato unito a quello di alcuni animali. Per fare questo abbiamo usato metodi e strumenti molto avanzati che i miei genitori riuscirono a procurarsi, ma siamo gli unici in tutto il pianeta al corrente della cosa. Penso che se il nostro governo lo scoprisse lo utilizzerebbe come arma e allora sarebbe veramente la fine. Tutto è pericolosissimo e se non hai il DNA adatto è probabile che gli effetti collaterali siano devastanti, per questo usiamo embrioni creati da noi e non cerchiamo persone tra quelle esistenti. In questo modo possiamo procurarci i codici genetici che ci servono senza coinvolgere persone che magari non c'entrano nulla. Anni fa abbiamo fatto delle ricerche. Su tutto Arret solo cinque persone avrebbero potuto essere sottoposte ad una simile manipolazione. Considera che una aveva 17 anni, ma uno doveva ancora nascere, due erano anziani, e l'ultimo era ricoverato e in coma da diverso tempo. Senza contare che si trovavano distanti chilometri e chilometri l'uno dall'altro.»

«Quando parli degli altri a chi ti, e soprattutto a quanti, ti riferisci?» chiese Oro, pensieroso.

«Compresa Abigal e esclusi noi sono 10... 9, ormai.»

«Dieci?!» Caos se ne aspettava molti di meno. «E li avete creati tutti voi?»

«Non è esatto.» disse Psiche precedendo la sorella «Quelli che si sono salvati, questi... 9 appunto, sono stati creati dai nostri genitori. Raylene a Silver avevano cominciato a lavorare su degli altri, 12 per essere precisi. Due sono anche nati, avevano 3 e 4 anni, ma non siamo riusciti a salvarli. In qualche modo il governo è riuscito a rintracciarci. L'unico modo per impedire che scoprissero il laboratorio era abbandonarlo e così abbiamo fatto. Senza nessuno che badi a loro a quest'ora saranno morti.»

«Anche i bambini?»

«La femmina l'hanno uccisa, il maschio non sappiamo che fine abbia fatto di preciso. Era con noi, ma quando siamo arrivati all'astronave era sparito.»

«Gli altri dieci chi sono?» chiese Sharlot.

«Cinque maschi e cinque femmine.» rispose Raylene «Tre li avete conosciuti quando il chimero serpente ha attaccato in quel negozio, Electra, Faith e Fosfor, altri due li ha visti solo Aisha, ieri notte, New e Nevery.»

«E in 18 siete riusciti a rubare un'astronave senza che vi notassero?» chiese Aisha diffidente.

«Era tutto ben organizzato e comunque,» rispose Aprilynne «se non ci avessero notati non saremmo qui, puoi starne certa!»

«Voi altri che animali siete?» chiese all'improvviso Oro.

«Io e i miei fratelli siamo scimmie leonine, Aprilynne e Catron, l'avete visto, gatti selvatici Iriomoti, loro lupi grigi.» rispose Kathleen «Perché?»

«Aisha e Sharlot sono dei lorichetti, arcobaleno e blu, vi dice niente?»

Raylene ci pensò, poi scosse la testa.

«È interessante.» commentò comunque il biondo.

 

Silver, seppur con le orecchie tese e in ascolto, era rimasto in soggiorno con Abigal e con la coda dell'occhio controllava che Pit e Opter non facessero danni.

Abigal era tornata normale e non sapeva dire con esattezza cosa fosse successo. Sembrava che il suo corpo avesse rifiutato cibi che non poteva digerire. Non c'era nulla di sbagliato in questo, ma allora perché a loro non era successo niente?

Un'idea, in realtà, ce l'aveva, ma gli sembrava troppo avventata come conclusione.

Ma in fondo...

«Che c'è?» chiese lei «Ti ho detto che non lo so cosa mi è successo, ho solo mandato giù a forza quella roba!» il tono era sulla difensiva, ma la sua voce aveva sempre quel timbro vuoto che ormai la caratterizzava.

«Sei sicura di non saperlo?»

Abigal alzò un sopracciglio.

Si guardarono a lungo.

Per qualche strano motivo lei riuscì a leggere quello sguardo di solito indecifrabile. Forse erano sulla stessa lunghezza d'onda.

«Oh, no, sono sicura di no.» rispose in un misto tra il divertito a il risentito che però sembrò riempire la sua voce e riaccendere, seppur in minima parte, la vecchia Abigal.

«Non prendermi in giro Abigal, se poi...»

«Se ti dico di no è no.» ringhiò lei. In quel momento sembrava proprio una volpe.

«Non essere avventata, rischi solo di peggiorare le cose.»

«Peggiorare?» ormai stava alzando la voce. Balzò in piedi. «Sono sicura di quello che dico. E poi sai una cosa? Sarebbe il colmo se dopo sei mesi fossi rimasta incinta solo adesso!» i suoi occhi si stavano riempiendo di lacrime. In quel momento le sue iridi cobalto, diventate lucide e salate, sembravano due oceani sconfinati. Poteva esserci di tutto in quegli abissi. Dalla rabbia alla gioia, dal dolore al piacere, dall'odio all'amore.

In effetti seppellire Dalton nel mare era stata un'ottima idea. Abigal avrebbe potuto sempre portarlo con sé e lui sarebbe stato sempre una parte di lei.

Per la seconda volta Abigal seppe interpretare lo sguardo di Silver. Strinse le mani a pugno.

«Non sono incinta. Non immagini neanche quanto lo vorrei, ma non è così!» detto questo gettò la testa all'indietro e lo oltrepassò. Trattenne le lacrime quel tanto che le bastò per smaterializzarsi e tornare nel suo appartamento.

Ma quando fu lì non pianse.

Si disse che era inutile.

Prese a riordinare tutta la casa e cominciò proprio dalla camera da letto.

Era l'assenza fisica di Dalton a farle male, quindi era di quella che doveva liberarsi, non dei ricordi.

Mise tutti i vestiti del ragazzo nella lavatrice e fece sparire ogni sua traccia.

Gli abiti poteva utilizzarli anche qualcun altro, non era importante, lui non era certo qualche maglietta e tre paia di pantaloni.

Quando finalmente si sentì sola in quella casa, senza ombre né fantasmi, prese un respiro profondo.

Si sentiva meglio.

Kathleen aveva ragione.

Quello era solo l'inizio, ma le sembrava un buon inizio.

Si stese al centro del letto a pancia in su.

«Vedrai Silver, ti sorprenderò. Non ho niente meno di te. Se tu puoi nascondere così bene le tue emozioni allora posso farlo anch'io. E tu mi aiuterai, vero Dalton?» chiuse gli occhi senza aspettare nessun tipo di risposta.

Non si addormentò né si mosse di un millimetro.

Rimase lì. Gli occhi chiusi e le labbra in posizione rilassata.

Ad assorbire e conservare le emozioni che la attraversavano.

 

Era riuscito a farse regalare da Domnio il millepiedi spia e da qualche giorno si divertiva a seguire i suoi compagni di classe.

Quella volta aveva deciso di fare un passo avanti.

Il comandante Triao era una specie di maniaco della disciplina e dell'ordine, in insetto lo avrebbe sicuramente schiacciato, ma che divertimento c'era senza un po' di rischio?

Fosse questo il rischio... disse tra sé e sé.

Il “telecomando” del robottino, a prima vista, sembrava un pezzo di plastica trasparente molto elastico. Al suono dello schioccare delle dita si attivava e con lui il millepiedi.

Sulla plastica appariva la ripresa della microcamera e grazie ad una specie di bussola ci si poteva muovere ed orientare. Altri pulsanti attivavano l'audio e permettevano di controllare lo stato del robottino.

Era un piccolo capolavoro.

Quando accanto ai piedi del comandante Triao ne apparvero altri due e lui si inchinò Nevery alzò la visuale.

Vide una figura maschile incappucciata e vestita di blu scuro.

Alzò l'audio e dagli auricolari sentì una voce più o meno giovanile che non conosceva.

«Alzati, ho bisogno di parlarti urgentemente.»

«Non vi aspettavamo.» disse il comandante con tono rispettoso mentre faceva strada verso il suo ufficio.

«Infatti non sarei dovuto venire.» rispose secco l'uomo.

Quando il comandante ebbe chiuso la porta blindata e le finestre ermetiche l'uomo si sfilò il cappuccio.

Aveva dei meravigliosi occhi azzurri e i capelli biondi corti, ma non troppo. Quel poco che traspariva da sotto il mantello mostrava una corporatura solida e muscolosa. Era l'ideale delle bellezza.

Da una fessura arrivava un raggio di sole che indorava l'aria di granelli di polvere.

L'immagine sul piccolo schermo sembrava essere quella di un magnifico quadro.

«Il nome Ikisatashi vi dice niente?» chiese. Non poteva avere più di vent'anni.

«No signore.» rispose il comandante dopo alcuni istanti. «Dovrebbe?»

«Giudicate voi stesso.» il ragazzo porse al generale un pannello elettronico simile a quello che Nevery aveva in mano, solo più grande. Probabilmente mostrava una foto, ma era fuori dalla sua visuale.

«Non capisco.» disse il comandante, sembrava sorpreso.

«Ha cambiato cognome da sposata, cosa che deve essere accaduta molto presto e che le ha permesso di non essere rintracciata. L'ho travata in alcuni vecchi registri che ho tirato fuori a causa dei recenti avvenimenti

«Credevo che vi foste occupato personalmente di tutti gli Ikisatashi già diversi anni fa. Venti?»

«Più o meno.» confermò il ragazzo «Ho provveduto a far cambiare cognome a quelli privi di interesse, i pochi sospetti sono stati eliminati. Eppure lei mi è sfuggita. Si è sposata proprio quell'anno, giovanissima. Una fortunata coincidenza, non travi?»

«Cosa volete che faccia?»

«Portamela. Non ho mai trovato qualcuno che coincidesse veramente con ciò che cercavo e ora scopro che una mi è sfuggita.»

«Come faccio a portarvela.»

«Arrestatela, trovate un pretesto.»

«Ma è una dei miei migliori elementi!»

Il ragazzo gli lanciò uno sguardo di fuoco. «Voglio lei e il resto della famiglia, entro stasera. Questo è un ordine e viene dal vostro futuro Governatore!»

«Ma...»

«Bada a ciò che fai e dici, ti ricordo che anche tu sei un elemento scomodo visto quanto sai!»

«Si signore.» rispose il comandante con timore.

Il ragazzo si rimise il cappuccio e si avviò alla porta.

«So che c'era anche lei quando quell'astronave ci è stata sottratta.»

«Si signore, ma è stata distrutta in un campo di asteroidi nel Sistema Solare.»

«Non è così.»

«Signore?»

«Non è stata affatto distrutta e se riesce a raggiungere uno dei pianeti della Fratellanza potrebbero crearci dei seri problemi.» detto questo uscì.

Nevery dovette reggersi a qualcosa.

Entro stasera.

Doveva sbrigarsi. Ma a fare cosa?

Doveva nascondere il millepiedi il più in fretta possibile.

Quello era il suo asso nella manica.

Ma dove metterlo?

Si rese conto che non c'era posto migliore dell'ufficio del comandante.

Trovò quella che una volta doveva essere stata la tana di un topo. C'era un filo elettrico scoperto. Bene. Da lì si sarebbe potuto ricaricare. Si assicurò che fosse ben nascosto, poi lo spense.

Ora doveva trovare il modo di avere sempre con sé il telecomando. E gli auricolari – ovviamente senza fili.

C'era solo un posto che poteva tornargli utile.

Sperò che la sua mente fosse abbastanza sofisticata e precisa da creare ciò che gli serviva.

Si teletrasportò nel laboratorio Connect che aveva scoperto giorni prima.

Rovistò in alcuni armadietti finché non trovò quello che cercava.

Dipinse i minuscoli auricolari di dorato e li fissò ad alcune ciocche che cadevano proprio sopra le orecchie. Lui le aveva sempre avute molto più piccole degli altri arrettiani, anche se non quanto i Connect. Il Nevery reale, viceversa, le aveva più grandi dei compagni. In pratica erano uguali sia nel sogno che nella realtà. Anche se aveva seri dubbi su quale fosse uno quale l'altro.

Prese poi una sottilissima pellicola leggermente rosata a di pochi centimetri più grande del singolare telecomando.

Mise quest'ultimo sul palmo della mano sinistra e poi vi stese sopra la pellicola.

Usò una specie di penna collegata alla corrente per fondere i bordi della pellicola in modo che si attaccassero alla sua mano.

Aspettò che si asciugassero.

Schioccò le dita della mano destra.

Il telecomando si accese e lo strato che lo copriva era abbastanza sottile da essere trasparente.

Tutto funzionava perfettamente.

Un altro schiocco e l'apparecchio si spense.

Si guardò la mano. Non si notava nulla.

Stava per andarsene, ma poi si fermò.

Andò nella camera di Raylene e Psiche e in quella di Aprilynne e Kathleen in cerca di un computer, ma lo trovò solo in quella di Silver e Catron.

Lo avevano lasciato lì perché era rotto.

Lo accese.

Quando chiese la password gli diede una bella botta e arrivò direttamente alla schermata principale.

Tutti i file erano stati cancellati, ma tanto lui non avrebbe saputo che farsene.

Lo collegò al sistema elettrico dell'edificio.

Sperava che l'anti-virus per non essere rintracciati durante la connessione internet funzionasse ancora. Fece una ricerca sull'astronave rubata.

Quando dovette inserire la password per l'accesso ai dati scrisse una parola a caso e diede un altro colpo al computer.

Questa volta ottenne solo lo spegnimento della schermata.

La riavviò.

Quale poteva essere la parola chiave?

Ne provò svariate che credeva adeguate, ma nessuna funzionò.

In quel momento dei passi al piano di sopra lo spaventarono a morte e per poco non fece cadere il computer.

Erano in due.

Tese le orecchie.

«Te l'ho detto, qui non c'è niente.»

«Il figlio di una ribelle del mercato nero è stato visto qui quando la donna è stata arrestata.»

«Da solo?»

«Sì.»

«Che stupidaggine!»

«Non sottovalutare i bambini. E poi non era tanto piccolo.»

«Che ne sai?»

«Sono andato a prelevare padre e figlio questa mattina, come testimoni al processo della madre.»

L'altro scoppiò a ridere fragorosamente mentre Nevery sussurrava «Domnio!»

«Processo!» sbraitò quello tra le risate «Quella donna è più morta che viva in questo momento.»

«Sai come sono questi bastardi, nessuno ha visto niente. Quei due devono solo firmare quattro fogli e passare il resto della vita in prigione se si rifiutano.»

«Aggiornati amico! Quelli entrano in quella stanzetta del tribunale con già la pistola puntata contro. Se loro e la donna fanno i bravi allora, forse, passeranno il resto della vita in prigione.»

«Dovremo costruirne altre di prigioni, stanno diventando particolarmente affollate.»

«Di che ti preoccupi. Più detenuti occhi vuol dire più lavoratori forzati domani e più comfort per noi!»

«Puoi dirlo!» disse l'altro e i due sembrarono battersi il cinque. «Però quella donna non era mica male, potrebbero anche risparmiarla... non so se mi spiego.»

«Potremmo metterci una buona parola.»

«La cosa mi piace!» altre risate.

Nevery era immobile. Inorridito e impaurito.

«Adoro il mio lavoro! Ricognizioni e manutenzione dell'archivio. È la cosa più facile del mondo. E pagano benissimo. A proposito sai che oggi ho dovuto tirare fuori dei vecchi registri? Roba con quei bambini adottati, ma ormai non sono più bambini, il capo diceva che...» ma ormai stavano uscendo e Nevery non poté sentire altro.

Domnio era stato visto lì e segnalato? E da chi? Perché avevano segnalato solo lui e Nevery no?

Ma in quel momento fu qualcos'altro a catturare la sua attenzione.

Vecchi registri.

Tornò a fissare lo schermo.

IKISATASHI

ACCETTATO

Recuperò un pezzo di carta e scrisse ciò che gli serviva sapere dell'astronave.

Il governo non aveva mezzi abbastanza potenti per comunicare con la Terra, ma forse quello avrebbe funzionato.

Quel vecchio rottame ci mise una vita per caricare la schermata di messaggistica interplanetarie e un'altra eternità per caricare il codice dell'astronave.

Nevery scrisse il più in fretta possibile, poi spense tutto e si teletrasportò di nuovo a casa.

 

«Arlene? Sono a casa.»

Non ricevette risposta, ma la trovò in bagno in preda a dei conati di vomito.

«Marcu...» lei non riuscì a parlare.

Quando finalmente si sentì meglio si lasciò cadere su una sedia e portò una mano sulla pancia.

«Forse sto impazzendo.» dichiarò.

«Ma che dici?» fece lui sedendosi accanto a lei e cingendole le spalle con un braccio.

«Sono passate meno di due settimane.» gemette lei con le lacrime agli occhi. «Ho dovuto cambiare medico per non farlo insospettire. Quello nuovo ha detto che è di quattro mesi.»

Sollevò la felpa leggera e rivelò il piccolo, ma evidente pancione.

«E sto veramente uscendo pazza! Ho addentato una pianta! E l'ho anche trovata buona.» a quelle parole, da seria, l'espressione di Marcus si fece prima allibita, poi spaventata.

«Stai scherzando?»

Lei scosse la testa piangendo «E mi stavo bevendo un bicchiere di olio poco fa.»

Lui si alzò non sapendo dove posare lo sguardo inquieto e sussurrando di continuo «non è possibile.»

«Marcus...»

«Cos'altro?»

«Cosa?»

«Cos'altro è successo?»

Lei ci pensò un attimo cercando di riordinare le idea, poi sollevò una manica della felpa di cotone particolarmente sbrindellata «Per poco non l'ho ingoiata.»

Lui si portò la mano alla fronte in un gesto disperato «No, no! Perché mi fai questo, diavolo?» ma non sembrava parlare con lei.

«Ha chiamato la scuola, ho detto che sto male. Marcus, ti prego, dimmi che sta succedendo!»

«Io...» lui cercava di pensare razionalmente «Dammi, … dammi solo un po' di tempo, devo fare una... telefonata.» recuperò il giacchetto.

«E non la puoi fare a casa.»

Lui tornò indietro. Si abbassò fino ad avere il viso all'altezza di quello di lei e la guardò negli occhi.

«Andrà tutto bene, amore, fidati di me.»

Lei annuì e lui la baciò con passione.

Non avrebbe permesso che gliela portasse via, questa volta non si sarebbe fatto rovinare la vita.

 

Il comandante Triao fece irruzione nella casa nel pomeriggio.

Nevery vide suo padre andargli incontro, leggermente agitato.

«Posso esservi utile?»

«Sono qui per vostra moglie.»

Nevery rimase seduto alla sua scrivania a fingere di studiare. Sentiva il suo cuore battere all'impazzata. Tra poco li avrebbero arrestati e portati via. Avrebbe mai più rivisto la sua casa.

Aveva cercato di memorizzare ogni stanza, in modo da non dimenticare nulla.

Sua madre arrivò in pochi minuti. Nonostante fosse cieca si muoveva negli ambienti a lei familiari meglio di chi vedeva. Ma come si sarebbe comportata in luoghi estranei?

«Comandante.» disse in tono referenziale stando sull'attenti.

«Sheira Ikisatashi?»

«Sì signore.» confermò la donna.

«Vi dichiaro in arresto.»

Rimase immobile e attonita.

«Con quali accuse?» scattò invece il padre di Nevery.

«Comportamento irresponsabile a danni dello stato.» annunciò il comandante. Nevery colse una nota di disagio nella sua voce.

«È deplorevole!» insistette l'uomo «E quando sarebbe successo?»

«Tre settimane e quattro giorni fa. Quando alla nostra flotta stellare è stata sottratta un'astronave da un gruppo di arrettiani ancora non identificati.»

«Insisto nel dire...» ma la donna non gli permise di continuare. Lo zittì con un gesto e uno sguardo vuoto, ma preciso.

«Ero a capo della squadra, mi assumo la responsabilità delle azioni di tutti.»

Seguì un momento di silenzio. La tensione era tanta.

«Bene.» fu tutto ciò che riuscì a dire il comandante. Quella era davvero una dei suoi elementi migliori. «Suppongo che queste non saranno necessarie.» aggiunse poi estraendo delle manette.

«No, signore.» confermò Sheira che aveva mantenuto la sua posa composta e impeccabile.

La donna tese le orecchie per conferma che fuori c'erano altri soldati ad attenderli.

Uscì senza dire altro.

Il marito fece per seguirla, ma il comandante gli sbarrò la strada.

«Stia calmo signor Felix Lyoko. Lei e suo figlio sarete scortati in un luogo sicuro in attesa del processo.»

«Lei non capisce!» sibilò l'uomo abbassando il tono della voce.

«E invece capisco, signor Lyoko.» rispose il comandante con un tono insolito. I due si scambiarono un rapido sguardo. «Farò il possibile per farle avere un processo equo, ma ho le mani legate, l'ordine viene dall'alto.» fissò Nevery «Lei e suo figlio siete attesi fuori. Prendete solo cose di prima necessità.» detto questo uscì.

«Papà...» cominciò Nevery.

«Sbrigati Always, prendi il tuo zaino e mettici ciò che ti serve. È meglio fare come dicono.»

Lui annuì e corse in camera sua.

Prese la sua borsa da agente segreto e la riempì più che altro di vestiti. Non poté resistere dal metterci anche il suo peluche preferito.

Un'ultima occhiata alla camera, poi uscì insieme al padre.

«Questo non era necessario.» stava dicendo Sheira al comandante Triao, poi, sentendoli avvicinarsi, abbassò il tono della voce. «Permettetemi almeno di salutarli, immagino che li rivedrò solo il giorno del processo.»

Il comandante annuì «Due minuti.»

Lei corse ad abbracciare il marito che la strinse a sua volta.

«Che sta succedendo?» sussurrò lui.

«Non lo so, ma opporsi non ci aiuterebbe affatto.» Nevery udiva appena le loro voci, nonostante fosse lì accanto a loro.

«Qui c'è sotto qualcosa, Sheira, se...»

Lei lo fissò negli occhi, anche se non poteva vederlo.

«Qualunque cosa accada, promettimi che penserai ad Always.»

«Te lo prometto.» rispose lui stringendola ancora di più e appoggiando il viso nell'incavo del suo collo.

Lei ispirò profondamente, poi si separò dal marito e si chinò sul figlio.

«Sii forte Always, questo è solo l'inizio. Tutto cambierà, è solo questione di tempo e tu lo sai.»

lui la guardò stupito. Era lui a cogliere il doppio senso, o lei era consapevole di quello che diceva?

«Non fidarti di nessuno, solo del tuo istinto hai capito?»

Lui non rispose.

«Del tuo istinto Always, ha capito?»

Annuì con decisione questa volta.

«Sii paziente, torneranno, dobbiamo solo aspettare.»

«Chi?»

«Lo sai chi. So che lo sai.»

Rimase sbalordito. Avrebbe voluto chiederle milioni di cose, ma il comandante Triao richiamò la sua attenzione con un teatrale colpo di tosse.

Sheira strinse il figlio con l'affetto di cui solo una madre è capace, poi abbracciò di nuovo il marito.

«Non far saltare la nostra copertura.» mormorò solo, prima di baciarlo con una passione che costrinse i soldati presenti a distogliere lo sguardo. Lui ricambiò con lo stesso slancio e rimasero alcuni secondi con le fronti appoggiate e i nasi che si sfioravano prima di separarsi definitivamente.

Nevery riuscì a notare che il padre le passò qualcosa che lei nascose all'interno della manica.

Vide i suoi occhi luccicare e, se non l'avesse conosciuta bene, avrebbe detto che stava trattenendo le lacrime.

«Venite con noi.» disse un soldato dopo essersi avvicinato.

 

Aprilynne si era di nuovo addormentata.

Si era seduta con la schiena appoggiata al mobiletto della sala comandi sopra al quale dormiva Nevery – doveva essere insolitamente comodo.

Raylene, venuta lì in cerca dell'amica, rimase immobile ad osservarla per alcuni minuti.

Aveva la testa appoggiata alla pancia di Nevery e lui le stringeva con la mano una ciocca di capelli.

Nevery e Aprilynne andavano insolitamente d'accordo.

Lei ci aveva messo diverso tempo ad accorgersene, ma quei due si somigliavano.

Avevano gli stessi occhi dorati, ma erano altri piccoli dettagli che avevano catturato la sua attenzione.

Uno strano bep-bep la distrasse. Si avvicinò al pannello di controllo mentre Nevery cominciava a stiracchiarsi e di conseguenza si svegliava anche Aprilynne.

Raylene controllò l'orario. Le 8 in punto. Della sera. Quel ragazzino era unico.

«Che cos'era?» fece la verde.

Raylene attivò uno schermo olografico.

«Un messaggio!» annunciò allarmata. «Da Arret!»

«Che dice?» scattò Nevery, perfettamente sveglio e turbato quanto curioso.

La viola lesse ad alta voce.

«“La situazione qui sta peggiorando, vi prego dovete sbrigarvi. Stanno per arrestare mia madre, lei è un soldato mentre mio padre lavora al mercato nero, la accusano di avervi aiutato a scappare, ma è solo una scusa. Ho visto un uomo, un ragazzo in realtà. Biondo, occhi azzurri. Doveva essere un politico potente. Credo abbia intenzione di prendere il potere e suppongo abbia molti alleati, tra cui il comandante Triao Tetris. Porterò le registrazioni sempre con me, nel caso servissero.

Cerca mia madre a causa del suo cognome.

Ikisatashi.”»


Ciao!
Auguro a tutti buon Natale, anche se spero di fare in tempo a pubblicare un altro capitolo prima della vigilia.
Anche in questo succede poco e ho ristretto un po' i dialoghi per non annoiarvi troppo, dal prossimo cap riprenderanno le scene d'azione.
A presto allora.
Bacioni
Artemide12

  
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