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Autore: M4RT1    21/12/2013    3 recensioni
Finnick&Johanna | Friendship | pre-Catching Fire
L'ultima notte di Finn e Johanna, prima dei loro secondi Hunger Games.
L'ultima notte in cui parlare delle loro paure, del coraggio, dell'amicizia.
L'ultima notte prima della ribellione. Quella vera.
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Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Finnick Odair, Johanna Mason
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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                    I don’t wanna feel like this tomorrow
I don’t wanna live like this today
Make me feel better
I wanna feel better

 
C’erano tante cose che avrebbe voluto dirgli, quella notte. Tante cose di cui non gli aveva mai parlato, dando per scontato che avrebbero avuto tempo, ne avrebbero avuto un’infinità.

E invece no, il tempo era scaduto.

Di nuovo.

Johanna Mason non era una persona di molte parole, anzi. Era più una ragazza pratica, che andava dritta al punto, che non si perdeva in inutili discussioni quando voleva centrare un argomento. Quel giorno, però, avrebbe voluto essere loquace come Peeta Mellark, il Tributo che aveva incantato tutti con sole sei parole: “Se non fosse per il bambino”. Lui era bravo a consolare la gente, lei no.

Camminò svelta fino all’ascensore, pigiando il tasto numero quattro. Le pareti di vetro le offrirono una breve vista di Capitol City, uno di quei panorami che avrebbero tolto il fiato a chiunque tranne che a lei. Ci vedeva solo lusso, solo soldi gettati in lucine e decorazioni al posto che in cibo per i Distretti. Digrignò i denti e, per un momento, desiderò averli appuntiti come quelli di Enobaria, il Tributo del Due, poi un bip la riportò alla realtà proprio mentre le porte si aprirono. Si voltò, pronta ad uscire, ma qualcuno le sbarrò la strada.

― Finnick ― esclamò, stupita. Davanti a lei stava Finnick Odair, Tributo del Distretto 4 e suo amico. Erano poche le persone che potevano definirsi tali, ma lui era senz’altro in cima alla lista.

― Ciao, Johanna ― rispose lui, la voce ridotta a un sussurro. ― Stavo per venire da te.

Si spostò di lato per lasciarla passare, senza molte parole. I suoi capelli color bronzo, gli stessi che le donne di Capitol City bramavano di toccare, erano arruffati e piegati verso destra, segno della sua posizione sul cuscino; aveva gli occhi stanchi e cerchiati di rosso e indossava un banale pigiama grigiolino e una t-shirt bianca, profumata di ammorbidente.

Non era il Finnick Odair Vincitore, era il Finn amico di Johanna.

La ragazza lo seguì fuori, nel corridoio del quarto piano. Anche lei era in veste non ufficiale – i capelli erano raccolti in una coda di cavallo e indossava una camicia da notte rosa pallido – ma riusciva a mantenere un’aura di aggressività che spaventava comunque Finnick.

― Vogliamo andare in camera tua? ― gli domandò, lo sguardo puntato sull’oggetto che il ragazzo stringeva tra le mani. Lui annuì, precedendola nell’ampio corridoio. Se ne stettero in silenzio fino a quando il ragazzo aprì la porta e la richiuse alle spalle dell’amica, correndo a gettarsi sul letto, lo sguardo puntato al soffitto.

― Si tratta di lei? ― sussurrò Johanna, sedendosi al fianco del ragazzo. Ci era abituata, ormai, ne parlavano da anni.

― No, non solo ― la sorprese lui. Era immobile, la collana tra le mani.

― E allora perché hai la collana? ― domandò la ragazza, seria. La collana era il loro segreto, il modo che Finnick aveva per comunicare al mondo – che spesso non capiva
– che era il momento di lasciarlo in pace, di farlo riflettere in silenzio su di Annie. Era un semplice filo di cotone annodato con un nodo allargabile e con appeso un unico ciondolo di terracotta, ma era una delle cose più care che avesse.

― Questo è il mio portafortuna ― le rispose. Sospirò più forte, quasi volesse trattenersi dal dire qualcosa.

― Lo so, mi ricordo che lo tirasti fuori durante la tua Edizione dei Giochi.

Johanna sbadigliò, acciambellandosi meglio tra le coperte del letto di Finnick. Conosceva quella collana come se fosse sua, per quante erano state le volte in cui l’amico l’aveva tirata fuori, rigirandosela tra le mani e mostrandogliela con fierezza. Era di Annie, gliel’aveva regalata dopo la Mietitura.

― L’ha fatta Annie ― sussurrò puntualmente Finnick, girandosi in direzione della ragazza.

― Lo so ― rispose lei. Avrebbe ascoltato l’amico anche cento volte, se fosse stata sicura che l’avrebbe fatto sentire meglio, ma era del parere che parlare della sua ragazza lo sconfortasse ancora di più.

― L’ha fatta lei quando era ancora ― si interruppe, cercando una parola che in quattro anni non aveva mai trovato. ― Quando non era ― riprese, poi sospirò: ― Lo sai.

Johanna avrebbe voluto sorridergli, ma al buio non l’avrebbe notata. E poi forse non voleva sentirsi vulnerabile, umana, neanche con Finnick.

Era stata un’amicizia strana, la loro, fin dall’inizio. Lei aveva vinto un anno dopo Annie, aveva conosciuto il ragazzo nel momento in cui più cadeva a pezzi, diviso tra il fare da
Mentore a due tredicenni e l’aiutare una ragazza ai limiti della follia. Annie era migliorata, in quegli anni. Johanna l’aveva vista urlare, le mani sulle orecchie, l’espressione stravolta; aveva visto Finnick abbracciarla, tenerla stretta, nascondere lacrime che non avevano mai lasciato i suoi occhi verdi.

― Ti ricordi la prima volta che ci siamo parlati? ― gli domandò, ridendo.

― Credo che la ricordino un po’ tutti ― le rispose lui, facendole spazio. Johanna si distese al suo fianco, le mani dietro la testa e le gambe accavallate, e Finnick le passò una mano dietro il collo.

― Certo che sì, ti ho quasi ucciso! ― lo prese in giro lei. Durante la sua prima Edizione da Mentore, aveva scaraventato il microfono di Flickerman sul ragazzo, centrandogli un occhio.

― Sì, come no! E io, allora, che ti ho tirato il piattino dei dolci? ― ribatté subito lui, come da copione.

― Non mi hai nemmeno colpito, scemo.

― L’ho fatto apposta, naturalmente.

― Certo, come no.

Ricadde il silenzio, rotto solo dal respiro regolare dei due amici. L’orologio sul comodino segnava le due meno un quarto.

― Forse dovremmo cercare di dormire ― sussurrò Johanna, puntellandosi sui gomiti. Finnick la guardò e annuì, ma continuò a fissare il ciondolino irregolare che stringeva tra le dita. ― Andrà bene, Finn. Nessuno di voi due è in pericolo.

― Non è solo per noi ― la interruppe lui. ― E’ anche per te.

― Per me?

― Sei mia amica, lo sai. Io non voglio che ti succeda qualcosa.

Johanna Mason si tirò su, sbuffando. Poggiò una mano sulla spalla dell’amico e lo strattonò con forza, costringendolo a sedersi a sua volta.

― Ora mi ascolti, Odair. Non sono diventata tua amica per sorbirmi le tue preoccupazioni da ragazzina spaventata, sai? Se ti butti giù così lo farò anche io, e ti assicuro che non sarà piacevole per nessuno di noi due. Quindi vedi di tornare quel rompipalle pieno di sé che eri quando ho tentato di farti fuori, capito?

Per tutto il tempo, Finnick se n’era stato zitto, attento. Quando la ragazza terminò di parlare, però, non poté fare altro che scoppiare in una risata fragorosa, dettata almeno per la metà dal nervosismo.

― Dillo di nuovo e comincerò davvero a comportarmi come faccio con le signorine che intrattengo ― la prese in giro lui, tornando a stendersi. Si sporse verso il comodino e tirò fuori una scatola gialla. ― Una zolletta, signorina? ― chiese, ammiccante. Lei gli allontanò la mano con un pugno, mormorando infastidita.

― Passerà anche questo, vedrai ― sussurrò, stringendogli una spalla. Gli occhi del ragazzo erano nascosti dal buio e dai capelli, ma sembravano lucidi. ― Finn, di’ qualcosa ― lo spronò. ― Andrà bene, Annie starà bene.

Per un attimo Finnick parve crollare, spezzarsi definitivamente, poi mormorò:

― Lo so. Basta non arrendersi.

 
Stay with me here
And never surrender
  
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