Storie originali > Drammatico
Ricorda la storia  |      
Autore: Ninriel    21/12/2013    1 recensioni
Presente e passato si fondono in un unico dolore che il tempo non riesce ad intaccare, un dolore che rimane forte, che fa desiderare la morte come un tempo si è desiderata la vita. Ricordi frammentati di un soldato scampato alla morte per un soffio, che tornano a galla senza un'ordine apparente, con colonna sonora la bellissima canzone “La guerra di piero”, di De André.
[Dal testo:]
….E ora? Ora mi fermo e penso. Penso a tutto quello che ho perso, che non ho potuto vivere a causa di questa guerra, a ciò che non potrò godere, perché i sussurri degli innocenti che ho ucciso, colpevoli solo di essere nati in un'altra terra, continuano a perseguitarmi. Questo campo mi ricorda uno dei tanti in cui sono stato, così grande, così vuoto. É il vuoto che sento dentro di me, mentre stringo i ciuffi d'erba bruna, secca come nell'inverno in cui me ne sono andato...
Genere: Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
-Ricordi-   
Song-fic de “La guerra di Piero-De Andrè”
Mi guardo intorno, e tremo. Tremo perché so che non me ne andrò tutto intero, che una parte di me resterà sempre qui in questa distesa di corpi, che le mia mentre rivivrà questo momento in eterno. I colpi sordi dei fucili, i gemiti sommessi degli uomini che cadono colpiti, il sangue se si espande lento sulle divise come un fiore vermiglio. Una guerra silenziosa, combattuta e vinta. Combattuta e persa. Perché so che la vittoria domani sarà amara, e la mia coscienza sempre pesante. Chi sono io , per decidere delle vite altrui? Chi siamo noi, per contrastare il volere del cielo?
 
Dormi sepolto in un campo di grano,
non è la rosa non è il tulipano,
che ti fan veglia dall'ombra dei fossi,
 ma sono mille papaveri rossi.
 
Una distesa di volti, e le mie mani che scavano, cercano di seppellire quei ricordi ormai radicati nella mia memoria. E anche se ormai un anno è passato, il tempo non è stato clemente, ed il suo rifiuto di risanare le ferite della mia anima, pesa sempre di più. La notte è sempre troppo buia, le stelle troppo fioche per illuminare i miei sogni. Sento le membra diventare pesanti, e raggiungere il tanto agognato riposo mi fa pensare che non vivrò più quegli incubi, che le immagini che ormai da mesi mi perseguitano si siano stancate...
 
Lungo le sponde del mio torrente,
voglio che scendano i lucci argentati,
non più i cadaveri dei soldati,
portati in braccio dalla corrente.
 
E poi ricordo... ricordo i giorni dopo la chiamata di leva, la disperazione di sapere che la mia casa avrei potuto non vederla più..
-Madre...Madre! - ricordo il tremolio della mia voce, quel giorno. La voglia di scoppiare in lacrime, repressa nel tentativo di dimostrarmi un giovane uomo. (quello che avrei fatto non sarebbe stato vivere, ma sopravvivere, cercare id non farsi abbattere dai ricordi.) Mia madre apparve sorridente, nelle braccia una cesta di panni che avrebbe portato al fiume come tutte le domeniche, gli occhi senza pensieri. -Stamattina c'è stata la chiamata di leva...- Sussurrai, stringendo le labbra e tenendo il capo chino.
Un tonfo e dei passi affrettati, delle braccia calde che mi avvolgono, un corpo minuto che si appoggi al mio, e tutta la disperazione che una madre può provare, le sue lacrime che mi bagnano la maglia di tela leggera, con la paura di dover rivivere l'incubo di ricevere un telegramma breve e terribile, sapere che suo figlio come suo marito prima di lui, era morto solo in una pianura, negli occhi l'ultima immagine di altri come lui, ragazzi troppo giovani per morire.
-Io non morirò, madre. Io tornerò. Ve lo prometto. -
 
Così dicevi ed era l'inverno,
e come gli altri verso l'inferno,
te ne vai triste come chi deve,
il vento di sputa in faccia la neve.
 
….E ora? Ora mi fermo e penso. Penso a tutto quello che ho perso, che non ho potuto vivere a causa di questa guerra, a ciò che non potrò godere, perché i sussurri degli innocenti che ho ucciso, colpevoli solo di essere nati in un'altra terra, continuano a perseguitarmi. Questo campo mi ricorda uno dei tanti in cui sono stato, così grande, così vuoto. É il vuoto che sento dentro di me, mentre stringo i ciuffi d'erba bruna, secca come nell'inverno in cui me ne sono andato, secca come la mia gola quando ho dovuto dire addio a mia madre. Anche allora mi sarei dovuto fermare, avrei dovuto osservare un'ultima volta la mia casa, fare tesoro della luce ingenua che rendeva quei posti casa...
 
Fermati Piero, fermati adesso,
lascia che il vento ti passi un po' addosso,
dei morti in battagli ti porti la voce,
chi diede la vita ebbe in cambio una croce.
 
...-Ufficiale! Ufficiale!- La mia voce chiamava , nello stesso modo in cui avevo chiamato mia madre tanto  tempo prima. Non mi importava più di essere in guerra, non mi importava se non sarei sopravvissuto alla settimana, perché il mio cuore aveva accettato prima che fosse la mia mente a farlo, e ormai il viso della donna che mi aveva messo alla luce era poco più di un volto sfocato, la promessa di tornare l'unico filo che mi manteneva vivo, senza che il pensiero di casa facesse  capolino tra i ricordi...
 
Ma tu non lo udisti e il tempo passava,
con le stagioni a passo di giava,
 e arrivasti a passar la frontiera,
 in un bel giorno di primavera.
 
Mia figlia mi guarda, mi chiede di raccontare, e ride quando la prendo sulle ginocchia, cercando di non mostrarle il mio disagio. Cosa dovrei fare ? É poco più di una bambina, e le favole della buonanotte che le racconto sono solo gli sprazzi migliori della mia vita nell'esercito. Le tavolate comuni, le notti passate a parlare con i compagni di tenda, tutti ricordi che non rendono giustizia a quello che ho vissuto. E io parlo, continuo a raccontare, e non posso gioire nel vederla seguire con gli occhi i miei gesti, divorare le mie parole. Le racconto di come l'accampamento fosse illuminato dalla luna, di come il giorno prima della battaglia le stelle sembrassero più luminose e ci infondessero coraggio. Quello che non le dico, è ciò che succedeva dopo,  l'ansia nel vedere le truppe rivali, la paura improvvisa che quella del giorno prima sarebbe potuta essere l'ultima notte.
 
E mentre marciavi con l'anima in spalle,
vedesti un uomo in fondo alla valle,
che aveva il tuo stesso identico umore, 
la ma divisa di un altro colore.
 
Sparo, sparo, sparo. E ad ogni colpo chiudevo gli occhi, ad ogni colpo il mio cuore mi rifiutavo di vedere il sangue del mio nemico, i corpi che cadevano come fuscelli spezzati dal vento. E poi, per sbaglio, gli occhi che avevo tenuto serrati fino a un attimo prima si aprirono, ed un corpo perso nella mischia come il mio divenne l'unica presenza. Al consapevolezza di aver trovato l'ennesimo obbiettivo per scaricare i colpi del fucile che tenevo imbracciato, con una sicurezza dettata dall'abitudine.
 
Sparagli Piero, sparagli ora,
e dopo un colpo sparagli ancora,
fino a che tu non lo vedrai esangue,
cadere in terra a coprire il suo sangue.
 
La paura nell'aria. Paura di tutti, non solo la mia. Respirare diventava difficile, in quei momenti. L'odore aspro del sudore, pungente del terrore, penetrante dell'orrore. In battaglia, sapevi quando dovevi morire, te lo sentivi dentro. Lo vedevi negli occhi della gente, nel loro ultimo sospiro, nell'ultimo spasmo del loro corpo prima di cadere. Molte volte avevo chiuso gli occhi per non vedere le emozioni intense e fugaci passare sul volto delle mie vittime, ed in quel momento pur non vedendo la faccia di quell'uomo, mi bastarono i suoi movimenti quasi indecisi, per rispecchiarmi in lui. Io ero la mia stessa paura, mentre sollevavo il fucile. Solo che in quel momento, ero il carnefice. Il mio braccio si tese, portando la canna del fucile all'altezza della sua nuca, la pietà nel sapere che avrei potuto esserci io al suo posto che mi spingeva a porre fine alla sua vita velocemente, a fargli raggiungere l'oblio senza sofferenze, e magari senza il tempo di realizzare l'accaduto. La pietà che avrei voluto fosse usata per me.
 
E se gli spari in fronte o nel cuore,
soltanto il tempo avrà per morire,
ma il tempo a me resterà per vedere,
vedere gli occhi di un uomo che muore.
 
Non pensavo sarebbe andata così. Non pensavo che sarei davvero potuto morire, in quel campo, ma quando lui si girò... Quello non era lo sguardo di un uomo arreso, era peggio. Quello era lo sguardo di un uomo terrorizzato, la paura che lo faceva agire veloce, il tremolio del braccio visibile anche da quella distanza, che non fu sufficiente a fermarlo mentre sparava un unico colpo contro di me.
 
E mentre gli usi questa premura,
quello si volta ti vede e ha paura,
ed imbracciata l'artiglieria,
non ti ricambia la cortesia.
 
Il sole sembrava così luminoso... l'odore dei fiori appena sbocciati forte come non mai, capace di coprire il sentore acre del sangue sulla terra brulla. É strano di come ci si accorga di queste cose solo quando si è prossimo alla morte, tanti piccoli particolari che vengono sempre tralasciati, ma che improvvisamente  sembrano l'unica cosa importante. Ed intanto il sangue scorre... mentre le energie scemano lentamente, ed il corpo smetteva di combattere l'inevitabile...
 
Cadesti a terra senza un lamento,
e ti accorgesti in un solo momento,
che il tempo non ti sarebbe bastato,
a chieder perdono per ogni peccato.
 
Eppure avevo promesso...creduto che l'unica cosa che mi avrebbe impedito di morire sarebbe stato proprio quelle parole. Ero stato così ingenuo. Non ero forte come credevo, e me ne rendevo conto troppo tardi. Ero stato presuntuoso a credere di essere l'unico fra tanto a voler tornare a casa, l'unico con ragioni abbastanza forti da tenerlo in vita. La mia casa apparve tra i ricordi, bella come non mai, come a ricordarmi che nonostante avessi tentato di seppellirla nel profondo per non soffrire, lei ancora esisteva, e c'erano persone che avrebbero sentito la mia mancanza, lì. Persone che mi avevano visto crescere, ma che non sarebbero riuscite a darmi l'ultimo saluto...
 
Cadesti a terra senza un lamento,
e ti accorgesti in un solo momento,
che la tua vita finiva quel giorno,
e non ci sarebbe stato ritorno.
 
Voci e gemiti, urla di dolore, l'odore pungente del disinfettante che contrastava quello del sangue.
Fu tutto ciò che avvertii prima di ricadere nell'incoscienza, un solo istante per rendermi conto di essere scampato alla morte.
Mi risvegliai su una superficie dura, il torace stretto in una morsa soffocante di bende, tanti altri uomini stesi come me nel grande capannone. Quando pensavo che sarei potuto morire, prima della battaglia, alla fine ero sempre grato di essere sopravvissuto, ma in quel momento provai tristezza, come se in realtà non era restare vivo, quello che volevo. L'essere passato così vicino alla morte, mi aveva fatto rendere conto di essere stanco di tutta quella sofferenza, rendere conto di desiderare l'oblio con la stessa forza con la quale avevo desiderato tener fede alla promessa fatta a mia madre... e capii che anche si il mio cuore batteva ancora, io ero morto comunque il quel campo.
 
Ninetta mia a crepare di maggio,
ci vuole tanto troppo coraggio,
Ninetta bella dritto all'inferno,
avrei preferito andarci d'inverno.
 
Non posso urlare al mondo quello che sento, perchè chi mi crederebbe? Sono un'eroe, tornato dalla guerra, uno dei pochi. É da anni che continuo a camminare, come percorrendo sempre la stessa strada, stesse persone, stessi luoghi. Ho paura che se deviassi troverei ricordi di coloro che ho ucciso, ricordi dei luoghi dove ho combattuto, ricordi che non voglio dissotterrare... ricordi che per mia moglie sono da tramandare, per evitare che ciò si ripeta, ma che per me sono solo l'inferno. L'inferno di essere morto, pezzo dopo pezzo, in quei campi insanguinati, la vita che mi ha abbandonato già da molto, senza che  l'essere colpito abbia fatto differenza. Ormai da tanto, il mio non è altro che un “sopravvivere”...
 
E mentre il grano ti stava a sentire,
dentro alle mani stringevi il fucile,
dentro alla bocca stingevi parole,
troppo gelate per sciogliersi al sole.
 
L'unica cosa che ora mi dà conforto, è il sapere che non manca molto... Chi ricorda la guerra, a parte me? Sono storie che si raccontano la sera accanto al camino, a cui solo in pochi possiamo testimoniare...Mia figlia ancora mia guarda, ma non è più una bambina, e sa che raccontare apre ferite profonde. Il suo sguardo da donna mi ricorda che se fossi morto in quel campo, morto per davvero, non avrei mai visto i miei nipoti zampettarmi intorno come in questo momento, e mi dispiace sapere che li lascerò presto... mi dispiace, nonostante tutto.
 
Dormi sepolto in un campo di grano,
non c'è la rosa non c'è il tulipano,
che ti fan veglia dall'ombra dei fossi,
ma sono mille papaveri rossi.
 
E così, finalmente c'è l'ho fatta... ho raggiunto la salvezza , e la mia anima è più leggera. Com'è bello, dopo tutto questo tempo, sentire di potersi librare nell'aria senza pesi. Non riesco a sentirmi triste neanche se penso che passerò l'eternità qui, tra papaveri e grano, l'ultimo scherzo del destino...il mio paradiso che
  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: Ninriel