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Autore: Made Again    22/12/2013    3 recensioni
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Tratto dalla recensione lasciata al capitolo 21 "Untitled Track" da Lady Igraine.
"Non riesco a capire esattamente che considerazione abbia di lei ecco. La schernisce, la pretende, la ama, l'abbandona, la odia... è una commistione di sentimenti indistricabili che si rafforzano l'uno con l'altro e distruggono. Li distruggono entrambi. E questo apre molti interrogativi, perchè con una simile tempesta dentro non potranno mai davvero comunicare, potranno sempre e solo prendersi, scacciarsi, odiarsi e amarsi in una lotta senza tregua... "
***
Storia dalla trama complessa, particolare, azzardata.
Storia-tributo alla band inglese "Marillion".
Storia di malsana dipendenza ed ostentata indipendenza.
Storia di una vita irreale eppure specchio di una vita reale.
Storia di due gemelli.
Storia di un fratello ed una sorella.
Una ragazza.
Brave.
Genere: Sentimentale, Song-fic, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Storico
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Cari lettori,
 
Mi scuso innanzitutto per il ritardo nell’aggiornare, ma sono stata veramente molto impegnata quest’oggi. Detto questo, faccio una piccola premessa prima di lasciarvi a questo nuovo ed insolito capitolo. Insolito, perché il brano che lo accompagna non appartiene come di consueto al gruppo che funge da spalla ed anima all’intera storia. Questa scelta di introdurre in “Brave” questo nuovo gruppo che nasce proprio a Manchester nel 1990/91 scaturisce da un’idea avuta per caso mesi fa ascoltando proprio questa canzone che ivi vi propongo. Essendo questa storia come pure i suoi personaggi parte integrante di me, non ho potuto evitare di affiancare ai Marillion i The Rain che diventeranno con l’ingresso in formazione dell’intramontabile Noel Gallagher gli Oasis. L’amore per questi due gruppi viaggia di pari passo, quindi perdonatemi se inserirò qualche sporadico pezzo del quintetto di Burnage. Ma non temete! Non stravolgeranno la storia che per concezione iniziale e natura stessa ruota attorno ai ragazzi di Aylesbury. Spero potrete apprezzarli, nella loro netta diversità, tanto quanto me.
Cheers.
Made Again.

 
 
 
 
Canzone del Capitolo: I Am The Walrus (Oasis cover)



 

Era quasi mezzogiorno e l’aria cominciava a farsi calda ed afosa nonostante la latitudine. Ma Rachel non sembrava accorgersene. Lei e Gale stavano allegramente passeggiando per l’antico centro di Manchester sotto quel brillante sole estivo tenendosi spensieratamente sottobraccio. Gale continuava ad elencarle cenni storici, particolarità artistiche, dettagli impalpabili di ogni facciata, a farle notare ogni scorcio, ogni viuzza dimenticata nella bellezza della sua semplice autenticità, ognuna con le sue piccole particolarità: un gatto che balzava pigramente sui cassonetti stracolmi, una donna che rovesciava l’acqua sporca dopo aver pulito i pavimenti nel tombino a bordo strada, due bambini che calciavano un vecchio pallone rattoppato contro un muro scrostato, le urla strascicate di un uomo rivestite di quell’accento così particolare che di tanto in tanto si affacciava timidamente anche alle parole di Gale. Tutto di quella città, nella sua quotidiana semplicità, affascinava Rachel più di quanto avesse fatto Londra molti anni prima. Ad ogni passo si riscopriva parte integrante di quel delicato ingranaggio fatto di volti atteggiati in espressioni dure, sicure, eppure estremamente cordiali, ogni sguardo portava con sé ricordi mai vissuti, ma che sentiva le appartenevano. Si rendeva conto, passo dopo passo, di aver fatto la scelta giusta decidendo di lasciarsi alle spalle Aylesbury e tutto ciò che rappresentava.
-E qui giungiamo alla fine del nostro tour, Miss Hogarth, la ringrazio della cortese attenzione. Commenti?-
-Assolutamente esauriente, Mr. Campbell.- rispose lei con un sorriso.
-Merito una mancia quindi?-
-Accontentati dell’onore di avermi come dipendente nel tuo locale, Gale.-
-Naaa. Il fottuto onore deve essere tuo Kay, cazzo.- Gale si fermò di colpo davanti all’antico café dove poche ore prima avevano fatto colazione. –Quel posto è il pub più figo che tu abbia mai visto in vita tua. E’ semplicemente epico!-
-Cazzo, Gale. Calma! Neanche si trattasse della tua ragazza.-
-Esatto quel pub è mio figlio. Ed in quanto tale, è figo almeno tanto quanto il padre.- Terminò portandosi la mano destra chiusa a pugno sul cuore.
Rachel alzò gli occhi al cielo con finta esasperazione. Quanto ego! Però se il suo intento era quello di incuriosirla, beh, c’era riuscito. Ora non vedeva l’ora di entrare in quel fantomatico pub.
La piccola St. Albert Square iniziava pian piano ad animarsi di allegri mancuniani accorsi per godersi il piacevole sole estivo durante la pausa pranzo, magari per addentare un succulento sandwich o semplicemente per fumare una sigaretta in santa pace. Un allegro chiacchiericcio si diffuse nell’aria
Con un gesto teatrale, Gale estrasse dalla logora tracolla due pacchetti macchiati di rosso.
-Il pranzo è servito!-
Rachel rimase a bocca aperta: un grosso sandwich farcito con ogni ben di Dio stava ora tra le sue mani, mentre Gale si avviava verso una panchina poco distante, all’ombra di un vecchio acero.
Dopo aver gustato quel lauto pasto tra una risata ed un’altra, Rachel si alzò e si diresse verso una cabina telefonica poco distante, frugò in tasca alla ricerca di qualche spicciolo e compose il numero della vecchia casa. Il telefono suonò a vuoto per qualche secondo, poi Ethan rispose.
-Mac Lean?-
-Ciao Ethan.-
-Amore! Finalmente! Come stai?-
-Benissimo, grazie. Qui è tutto meraviglioso e Gale si è dimostrato subito estremamente gentile e disponibile.-
-Henry?-
-Già, proprio lui. Sai, ho scoperto di conoscerlo: eravamo vicini di casa da piccoli.-
Ethan si lasciò andare ad una risata dall’altro capo della cornetta. -Tu e la tua solita fortuna! Ed ora che fate?-
-Sta mattina siamo andati a fare un piccolo giro per l’antico centro città. Scommetto ti piacerebbe moltissimo. Un giorno, quando verrai a trovarmi, dovremmo proprio fare una passeggiata.-
-E se questo giro lo facessimo domani? Dovrò tornare ad Edimburgo dopodomani, ma anticipando la partenza potrei essere a Manchester in serata.-
-Oh, tesoro. Mi piacerebbe moltissimo. Ma sta sera comincio a lavorare e non mi sembra proprio il caso di assentarmi già il secondo giorno. Non sai quanto mi dispiace. Vorrei tanto poterti vedere.-
-Non fa nulla.- replicò Ethan dopo qualche attimo di silenzio. –Anzi. Vorrà dire che mi farò servire la cena dalla cameriera più bella di tutta Manchester.-
-Ethan. E’ meraviglioso! Allora ti aspetto domani sera.-
-Certamente. Nome del locale?-
-Lass o’Gowrie. Sud-est rispetto al centro, appena dentro il ring.-
-Perfetto, ci sarò. Mi lasci un recapito telefonico per favore?-
-Certo.- Rachel gli dettò il numero di casa di Gale e successivamente quello del locale.
-Grazie amore. Sarai a casa sta sera?-
-Non credo. Se devi dirmi qualcosa, chiama pure al lavoro. Sarò là.-
-Oh, non per me. E’ Lisa. Ha piacere di salutarti e di sentire come stai. Se non ricordo male, ha anche qualcosa da dirti, ma al momento mi sfugge di cosa si tratti. Beh, ti dirà tutto lei questa sera.-
-Tranquillo, non ci sono problemi. A domani allora.-
-Certo amore. A domani. Ti amo.-
Rachel sospirò. –Anch’io.-
 
-Avanti, avanti, avanti. Ferma! Okkei, si. Così. Coraggio. Ancora una curva e ci siamo. Ecco, pronta, ci sei? Bene, apri gli occhi. Tah Dah!-
In piedi in mezzo al marciapiedi, Rachel guardava verso l’alto in direzione del pannello luminoso che lampeggiava intermittente sopra la sua testa sebbene fosse ancora tardo pomeriggio ed il sole splendesse alto nel cielo, lanciando pallidi lampi verdi sull’ingresso del locale. Il pub sorgeva all’angolo di due strade piuttosto trafficate. Si trattava di un vecchio edificio rustico in mattoni rossi, molto tipico. Il rumore dei clacson indiavolati si fondeva con le prime pallide note di una radio accesa all’interno. Da fuori, il Lass o’Gowrie pareva promettere bene.
-Non male, Campbell. L’esterno è una vera figata. Molto Irish.-
-Merito della padrona di casa. Vieni dentro, te la presento.-
Salì i tre gradini che portavano all’ingresso ed entrò. Dentro, il legno era ciò che prevaleva nell’ambiente. Una piccola anticamera dava su due pareti laterali adibite ad attaccapanni per poi lanciarsi direttamente nel vivo del locale. Sulla sinistra troneggiava il grande bancone di legno lucido e scuro, dietro stavano ripiani e ripiani di alcolici di ogni sorte. Sulla destra imperavano invece grosse botti con sgabelli dove accomodarsi. Il resto dell’ambiente era occupato da tavolini tondi, anch’essi di legno. In fondo al pub stava una piccola piattaforma rialzata per i gruppi che ogni sabato sera animavano il locale. Alle pareti erano affissi vecchi poster di concerti più o meno celebri di band inglesi dagli anni 60 in poi. E poi arazzi, cartelli, massime, freddure inglesi appesi ovunque. Il tutto rigorosamente di una qualche sfumatura verde. Dalle travi del soffitto calavano cappellini con visiera che portavano ricamato sulla fronte il logo ed il nome di una qualche marca di birra. Rachel ne contò più di 50 differenti provenienti da ogni parte del mondo prima di essere richiamata a terra da un trillo. 
 -Campbell! Sei arrivato presto oggi!-
Una ragazza sui vent’anni fece il suo ingresso nella stanza vuota. Portava i lunghi capelli rossi raccolti in due trecce. I frizzanti occhi dorati si spostavano rapidi da Gale a Rachel e viceversa.
-Tu devi essere Kayleigh! Piacere, io sono Cassidy, ma chiamami pure Lyla. Il mio secondo nome è decisamente più facile.- fece con voce allegra. Il marcato accento irlandese rendeva le sue parole particolarmente cordiali. Rachel allungò la mano verso quella ragazza così intrigante.
-Chiamami pure Kay.-
-Ragazze, c’è quella nuova.- fece poi voltando la testa verso l’ingresso della cucina.
Altre due figure dai corti capelli mori fecero capolino nella sala.
-Kay, loro sono Penny e Violet.-
-Ciao!- fecero all’unisono le due nuove venute.
-Oh, gemelle…- esclamò Rachel con voce spezzata, più simile ad un pensiero espresso ad alta voce che ad una vera affermazione.
-Lyla, te l’ho portata perché tu faccia di lei la migliore cameriera che l’Inghilterra abbia mai conosciuto e so che nelle tue mani i risultati sono assicurati.-
-Non sono così incapace, Gale!- protestò Rachel nella sua direzione.
-Ovviamente, si vede di che pasta sei fatta, non ho dubbi sul fatto che sarai una cameriera di quelle toste. Non fare caso a lui, vieni con noi. Per prima cosa hai bisogno della gusta mise.- Lyla prese Rachel sottobraccio e la trascinò verso la cucina seguita da Penny e Violet. Voltato l’angolo si ritrovarono in un piccolo stanzino illuminato malamente da una luce al neon.
-Ecco, allora. Intanto benvenuta a bordo. Non ti far problemi a chiedere qualsiasi cosa tu non capisca, siamo tutte qui per aiutarti, ci si vuole bene tra di noi.- cominciò Lyla con un sorriso stampato sul suo viso diafano ricoperto da allegre lentiggini. – Non ci sono regole precise, se non quella di evitare di ubriacarsi durante il turno, c’è tutto il tempo per farlo quando stacchiamo, e di legare i capelli quando sei qui, dato che sono così lunghi. Una semplice treccia come quella che porti oggi andrà benissimo. Per il resto, un bel sorriso e divertiti, questo lavoro è stupendo se preso da subito per il verso giusto. E a proposito di verso giusto…- Lyla si voltò ed immerse la testa in uno scatolone alle sue spalle. Ne riemerse poco dopo porgendo a Rachel una gonna plissettata verde pino, una camicetta bianca e un nastro dello stesso verde della gonna. –Ecco la tua divisa. Lo so, non è il massimo, ma quanto meno non abbiamo la targhetta appuntata alla tasca destra come alcuni squallidi locali del centro. Per lo più, ci conosciamo tutti qui. Vedrai, è un po’ come stare in famiglia, alla fine ti ci abitui e ti piace anche se non vuoi. Ma ora cambiati. Appena hai finito, ti aspetto di là per le ultime due cosette prima dell’apertura.- Lyla fece per chiudere la porta, ma prima di socchiuderla si voltò verso Rachel e le disse: -Sono contenta di averti con noi Kay.-
Rachel sorrise.
–Anche io sono felice di essere qui con voi, Lyla. Grazie di tutto.- Detto quello, l’irlandese scomparì in cucina.  
 
Erano appena le dieci di quella calda serata mancuniana, ma l’aria all’interno del Lass o’Gowrie era già satura dell’odore del fumo mischiato a quello dell’alcool in un mix letale che dava lentamente alla testa. Un paio di avventori in giacca e cravatta, decisamente fuori posto in quell’ambiente, tentavano goffamente di farsi spazio a gomitate tra la calca di operai, studenti, ragazzi e ragazze la cui sola ancora di salvezza in quelle vite in bilico erano una buona birra ghiacciata ed una sigaretta in compagnia a fine giornata. Il gruppo di quella sera suonava brani propri intervallati a cover di alcuni pezzi dei Beatles e tutti nel locale rivolgevano pigramente lo sguardo al palchetto in fondo al pub per cercare d’intravedere in quel quartetto squattrinato almeno una briciola dell’immensità dei quattro Lords di Liverpool, per quanto il loro accento secco fosse caratteristicamente mancuniano ed il loro aspetto trasandato fosse riconducibile al peggior quartiere sud della città, Burnage. Ma anche la stessa Rachel, per quanto le premesse fossero tutt’altro che promettenti per quel gruppetto di ventenni, si riscopriva ad incantarsi con un bicchiere in mano o la mano sollevata a mezz’aria nell’atto di prendere una bottiglia di ottimo Scotch scozzese dal ripiano dietro al bancone. Ma nessuno, nemmeno Lyla si prendeva il disturbo di rimproverarla. Tutti sembravano catturati, anche se involontariamente, da quella band dal nome così inglese da risultare quasi patetico: The Rain.
I quattro ragazzi, già piuttosto sbronzi nonostante l’ora (soprattutto il cantante), avevano cominciato la serata in sordina, ma avevano pian piano ingranato la giusta marcia ed ora sempre più sguardi d’approvazione e vivo interesse si posavano su quel giovane dagli occhi blu limpidi quanto il cielo dopo un temporale che, mani dietro la schiena e busto piegato in avanti in modo talmente particolare ed insolito da rasentare il buffo, annunciava tra urla d’approvazione -I’m the Walrus!- con quel pronunciato, fiero accento mancuniano e quella voce così graffiante e secca.
Finalmente la serata stava prendendo la giusta piega e la gente rumoreggiava canticchiando quella melodia conosciuta, anche se la versione proposta quella sera aveva un ritmo più incalzante, marcato, incazzato, più mancuniano. E non appena il cantante attaccò la strofa, il pubblico s’accese: in ogni angolo del locale la gente di alzava in piedi, i ragazzi afferravano la mano delle ragazze per andare ai piedi del palchetto per poterli vedere meglio, persino tutte le cameriere di fermarono, Rachel compresa che stava ancora reggendo tra le mani due bottiglie di Stella Artois, e si avvicinarono a quel gruppetto di sfacciati esaltati su cui nessuno avrebbe mai scommesso un solo penny e che invece stava dimostrando che anche in un posto dimenticato da Dio come Burnage c’era della stoffa da vendere, grezza ma promettente. Non appena iniziò il ritornello, il Lass o’Gowrie esplose. Tutti attaccarono a cantare ad una sola voce assieme al cantante:
 
“I am the eggman,
they are the eggmen.
I am the walrus,
goo goo g'joob g'goo goo g'joob!”
 
Alzando i bicchieri e le braccia, urlando assieme alla voce graffiante di quel ragazzo dagli occhi blu, lucidi per l’eccitazione e l’alcool che continuava ad arrivare ininterrotto in circolo, quelle parole senza senso, eppure così care ad intere generazioni di inglesi e non solo. Alla fine del pezzo, urla e fischi d’approvazione si levarono disordinatamente, ma con inaudita potenza da ogni angolo del locale, facendo quasi tremare i vetri, mentre il cantante in un eccesso di onnipotenza derivata dal trionfo assoluto, gridava a squarciagola –Sono John Lennon!-
Rachel, unitasi alle urla, porse una delle due bottiglie di birra al cantante. Lui l’afferrò con un sorriso ammiccante dritto dritto negli occhi verde intenso di Rachel che venne percorsa da un brivido impostogli da quelle pozze limpide. Poi alzarono le bottiglie all’unisono verso l’alto ed esclamando “Cheers” bevvero, quasi si fosse trattato di due vecchi amici, ritrovatisi curiosamente per un bizzarro gioco del destino. Una volta buttato giù un generoso sorso, il ragazzo si rivolse nuovamente a Rachel, sfoderando lo sguardo più accattivante e seducente che lei avesse mai visto rivolgerle.
-Liam-
-Kayleigh.-
-Bel nome, blondie.- ammiccò verso di lei.
-Grazie.-
Il cantante afferrò in quel momento uno spinello, l’accese e lo portò alle labbra. Poi si rivolse nuovamente a Rachel con il viso atteggiato in un’espressione a metà via tra un sorriso ed un ghigno.
–Canna? Giusto per scaldarsi un attimo, prima del camerino.-
-Passo, grazie.- fece lei di rimando, sfoggiando un sorriso altrettanto languido.
-Hai appena perso l’occasione di scopare con la rockstar più fottutamente famosa che esisterà al mondo.- Sorrise, i suoi occhi blu s’illuminarono di un luccichio giocoso da bimbo.
Rachel sorrise a sua volta. –Me ne farò una ragione. Magari per la prossima volta.-
Si girò. Per quanto fosse uno sfacciato esaltato, quel ragazzo le piaceva.
The Rain, eh? Credo sentiremo ancora parlare di voi.
 
-Kay! Il telefono!- Violet si sbracciava da dietro il massiccio bancone nella direzione di Rachel, intimandole di avvicinarsi.
-Lisa!- esclamò lei a sua volta, battendosi una mano sulla fronte ed avviandosi verso la cucina, facendosi spazio tra la folla adorante che pressava verso il palchetto. Prossima alla porta della cucina, Rachel sentì una mano afferrarle il braccio. Si voltò: una Lyla piuttosto allegra le urlò nell’orecchio in un misto di inglese e dialetto irlandese:
-Ti ho vista prima col cantante! Brava ragazza!- Le fece l’occhiolino.
Rachel le sorrise, portando l’indice ed il medio ad aprirsi in un segno di vittoria.
Appena Lyla scomparve alla sua vista, inghiottita dalla folla, levò dolcemente gli occhi al cielo in un moto di tenerezza rivolto a quella giovane irlandese dalle trecce rosse, conosciuta da meno di un giorno, ma che già sentiva di poter chiamare “amica”.
Si diresse al telefono nero appeso alla parete della cucina.
 
-Pronto?-
-Rachel, tesoro!-
-Lisa. Che piacere sentirti.-
-Come stai?-
-Tutto bene, ti ringrazio. E voi?-
-Meravigliosamente. Oggi Connor ha ottenuto una promozione. Ora è responsabile del suo reparto alla ditta. Proprio una bellissima sorpresa. Questa sera abbiamo anche festeggiato! La zia Nathalie…-
-Sono felice per voi, Lisa. Fai vivissimi complimenti a Connor da parte mia.- l’interruppe Rachel, cercando di dissimulare con un tono allegro la sua totale mancanza d’interesse.
 
-Rachel! Al banco!-
 
-Lisa, mi chiamano al lavoro.- asserì Rachel, camuffando un sospiro di sollievo in uno di dispiacere.
-Non ti preoccupare tesoro. Vai pure, capisco. Chiamami ogni tanto per raccontarmi come va!-
-Lo farò senz’altro Lisa, non temere, statemi tutti bene, a presto!-
-Un attimo! Hai ricevuto una lettera ieri.-
-Uh? Davvero?-
-Si, cara. Non temere. Ethan si prodigherà di fartela avere domani.-
-Grazie infinite Lisa. Buona serata.-
-Arrivederci cara… comunque la lettera la manda Heyden!-
 
 
 
 
 
Ho omesso la traduzione del testo della canzone in quanto non ha un gran senso.
Per la cronaca, il brano originale è dei Beatles ed il ritornello tradotto sarebbe:
 
“Io sono l'uomo uovo, loro sono gli uomini uovo.
Io sono il tricheco, goo goo g'joob goo goo g'joob.”
  
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