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Autore: Misantrophe    22/12/2013    1 recensioni
Avevo una casa oscena,andavo in una scuola terribile,non avevo amici,ma in quel momento,in quel posto,mi sentii viva.
Haley Lenti è una ragazza che ha il brutto vizio di scappare dai problemi,forse stavolta non riuscirà a scappare però da due occhi verde smeraldo.
"Fa male Hal? Fa più male dei tagli che hai sulle braccia?"
Genere: Drammatico, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo, Violenza
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Flawless.
-Half remembered dream.-
Venerdì 4 Gennaio.
In una noiosa e fredda mattinata di vacanza il mio umore era pessimo.
Presi il telefono,scrissi "Buongiorno" ad un paio di persone,aprii Twitter:
"Brutta Giornata"
avevo scritto,e ricevendo un paio di retweet mi alzai dal letto,imprecai per il freddo che mi entrò nelle viscere appena abbandonai il caldo delle coperte.Il telefono squillò,feci un salto acrobatico per cercare di non cadere sul filo del caricabatterie.Risposi ridendo,con la voce ancora assonnata.
"Pronto?"
"Buongiorno raggio di luna!" squillò la voce dalla parte opposta del telefono.
"Buongiorno raggio di sole,hai rischiato di farmi spaccare la testa"
"Che ho fatto?"
"Nulla,il solito salto acrobatico per non inciampare"
Lei capì,e rise.
Sentirla ridere appena sveglia mi rallegrò la giornata.
Angelica era una mia compagna di classe,probabilmente quella con cui avevo legato di più,una delle poche persone che era riuscita a penetrare quello scudo fatto di sarcasmo e stronzate,diffidenza e rabbia,per me stessa,per il posto in cui ormai vivevo da molti anni,quel posto di merda dove non c'era neanche spazio per sognare,dove la banalità e l'ordinario venivano messe al primo posto sul volto di una piccola cittadina chiusa nel proprio atavico modo di pensare.
Il suo soprannome era raggio di sole,fu la prima cosa che mi venne in mente quando la vidi per la prima volta: occhi azzurri incontrarono i miei color nocciola,un grande sorriso e un "posso rubarti una sigaretta?",quello fu il nostro primo incontro,ne seguirono altri durante quel primo giorno di scuola.
Piccola,i capelli biondo scuro che a malapena raggiungevano le spalle,un maglioncino a collo alto bianco e un paio di jeans.
"Oggi pomeriggio ho alcuni giri da fare,mi daresti un passaggio?
"Dove la porto signorina?" Intonai lo stupido accento di Jack Dawson in Titanic e Angy rise di nuovo.
"Su una stella!No scherzo,al centro commerciale!"
Dissi di si,trattenendo una risata,le dissi l'ora,la salutai con un tono dolce e lei fece lo stesso,attaccai.

L'anno era appena iniziato e io già mi sentivo uno schifo.La mia non era la vita di una ragazza nata da un preservativo rotto da due cretini adolescenti cresciuta troppo in fretta tra sigarette e litigi.I miei genitori erano delle persone stupende,martoriati dalla sfortuna e dai problemi,che avevano sempre educato bene le loro figlie e le avevano sempre amate,per questo poche persone capivano il motivo di tutti i miei conflitti e delle mie depressioni temporanee.
Il problema ero io,la pecora nera della famiglia,quella che non combinava mai nulla di buono,quella che non accettava consigli e seguiva esempi sbagliati dettati dal proprio cervello.
I miei problemi iniziarono nella fase adolescenziale.
Ricordo ancora le urla di mia madre,"Alzati!" urlava,dal piano di sotto tutte le sante mattine saliva al piano di sopra incazzata da morire e mi buttava letteralmente giù dal letto per farmi andare a scuola.
Niente studio,troppe sigarette troppo presto,vestiti con stampe "strane",anelli,collane e pendagli vari,il viso spento e le occhiaie nascoste sotto tre chili di trucco.
Questo era ciò che ero.Tutto ciò mi faceva sentire al sicuro,protetto da tutti quelli che mi giudicavano strana,immorale,anormale.
Tutto sommato avevo una bella casa,una bella famiglia,non mi mancava quasi nulla,solo quel senso di felicità e spensieratezza che tutti dovrebbero avere a quattordici anni,ah si,e la sanità mentale.
"Stupidi ignoranti,non capiscono" era una frase che si ripeteva spesso in quel periodo,pronunciata dalla mia stessa sostanza.
Charlie.
Lui è tutto ciò che io ho sempre voluto essere,è un amico onnipresente che da consigli giusti e che ascolta ogni cosa; l'unico problema di Charlie?
Non esiste.
"Vi è in me un che di divino e demoniaco,ed è come una voce ch'io sento dentro,la quale ogni volta che la sento mi dissuade da quello che sto per fare"
Così Socrate introduceva il suo demone interiore,così io introduco il mio.
Lui è il mio demone,il mio amico immaginario,la voce della mia coscenza,un comando morale che risuona nell'intimità della mia persona,è l'imperativo che traduce i miei sentimenti,i miei pensieri,il mio essere.A differenza di molte persone lui c'è sempre,c'è per una partita alla playstation,c'è per augurarmi buona fortuna prima di un test.
Non è né bello né brutto,non ha occhi blu cobalto e neppure verde smeraldo,né labbra carnose o sottili,né capelli che si muovono al soffiare del vento,lui è un ombra della mia mente.
Le persone mi vedono alcune volte,parlare da sola,e mi prendono per pazza ovviamente,perchè per loro è un monologo,per me è un dialogo,perchè Charlie ascolta e risponde; e poi avanti,chi è che non ha mai avuto peluches che vegliavano su di loro mentre dormivano per proteggerli dai mostri nell'armadio?
Chi non ha mai avuto dei pupazzi convinto che si muovessere quando su usciva dalla stanza? E sfido chiunque a dire che non ha mai guardato nella fessura della porta per spiarli;ecco Charlie era come loro,più mentalmente instabile dello stesso cervello in cui aveva dimora,possessore della mia mente.

Tutti quei ricordi mi fecero rabbrividire,il periodo più brutto che avevo attraversato per me stessa era stato quello.
Intonai un paio di note alzandomi dal letto su cui ormai ero seduta da ore.
"I saw in the corner there is a photograph
No doubt in my mind it's a picture of you
It lies there done on its bed of broken glass This bed was never made for two"
Accesi una sigaretta sul davanzale della finestra,mi voltai,scrutando ogni singolo centimetro della mia stanza,come se non la conoscessi.
Il letto in disordine,sul comodino un libro,un pacchetto di sigarette quasi vuoto,un bicchiere d'acqua,la boccetta di calmanti appena comprata,piena.
Una pila di panni buttati sulla sedia,la scrivania,piena di fogli,quei fogli che mi avrebbero potuto aiutare a svuotare la mente,ma che comunque avrei potuto riempire e avere altro da scrivere,per questo erano limpidi,bianchi,non mi ero mai arrischiata a toccarli.La cassettiera alta,alcuni cassetti aperti,tutto completato con un magnifico sfondo di foto storte in una totale anarchia.
Tantissime foto,attaccate male,di amici,posti meravigliosi che avevo visitato,frasi,post-it.
Neanche lo specchio era dritto in quella stanza,ricoperto da scritte incise sul vetro con un pennarello indelebile,fatte apposta per non essere cancellate mai da niente e nessuno:
"stupida,inutile,pazza,mostro",parole che avevo gridato così tante volte al mio riflesso in quello specchio che sembrava fossero scritte con le mie stesse lacrime.Per pura casualità solo una foto era dritta,il volto di una bellissima ragazza bionda,con grandi occhi verde smeraldo in uno scenario opposto al mio,la stanza pulita,in ordine,impeccabile.Tremai,bloccai la nausea respirando forte,aspirai dal poco di sigaretta che rimaneva e la buttai.
Rimasi ad osservare la grande finestra su cui ero affacciata,l'unica cosa bella in quella grotta disordinata che mi ero creata,era una sorta di similitudine per me,dava luce a tutta la stanza e in qualche modo illuminava anche alla mia vita,quella finestra per me era il futuro,magari un futuro in cui sarei potuta diventare quello che avevo sempre voluto,un futuro in cui avrei viaggiato per il mondo,magari al fianco di qualcuno di importante per me,un futuro in cui sarei scappata da quel posto orribile.Un panorama bellissimo,un paio di colline,un raggruppamento di paesini elevati su di esse,un grande castello antico sulla collina più alta,come a voler dominare tutte le altre.
Il rumore del telefono raggiunse i miei timpani troppo alto,sobbalzai.
"Cazzo!" imprecai con la solita finezza che mi contraddistingueva,un messaggio di Sofia,la mia migliore amica,scriveva che ci aspettava a cena,a me e alla mia famiglia;mia madre era la migliore amica di sua madre,così anche mio padre,e suo fratello e mia sorella erano cresciuti insieme giocando a pallone nelle erbacce della nostra vecchia casa.
"Il grande capo dice alle 20.30 amore,avvisa i tuoi!"
Grande capo,era così che io e Sofia chiamavamo le nostre madri,era così divertente prenderle per il culo.
Conoscevo Sofia da sempre,era più di un'amica,"uno spiraglio di bellezza in una terribile esistenza" le dicevo sempre,e lei rideva,rideva,lasciandomi quella gioia dentro che nessuno sapeva dare,rideva perchè imbarazzata,era sempre stata timida riguardo i complimenti,anche con me,anche se io ero praticamente sua sorella arrossiva in continuazione per colpa della poca autostima ogni qual volta le dicevo qualcosa di carino,o più semplicemente la verità,perchè lei in fin dei conti,era veramente bellissima:
bassa,castana,dolci occhi marrone chiaro,dei capelli biondo cenere,liscissimi,graziosa,simpatica,intelligente,con dei modi di fare da principessa.
Avvisai mia madre della cena con un messaggio,rispose con un "Okay tesoro,ci sentiamo dopo,buona giornata".Spensi il telefono,indossai qualcosa di comodo,e uscii,come facevo tutte le mattine dall'inizio delle vacanze natalizie.Una corsetta,un po' di musica,e tutto il malumore passò in fretta.
"Un paio di cuffie e tutto passa,il freddo,la stanchezza,lei."
"Buongiorno Charlie!" -sbottai non appena sentii quell'ultima parola.
Nel bel mezzo della strada instaurai una normalissima conversazione tra me e il mio amico immaginario,fortuna che avevo lo cuffie,tutti quanti pensarono che fossi al telefono.
Tornai a casa,feci una doccia veloce e mi rilassai,quel giorno nessuno entrò a casa,mia madre e mio padre erano al lavoro,mia sorella e Frank,suo marito,erano andati a fare un po' di shopping per la loro casa,approfittando dei saldi post-natale.Ne approfittai per cantare a squarciagola qualche canzone del mio gruppo preferito.Non mi era mai importato molto di quello che la gente pensava di me,ero abbastanza forte,o almeno così mi mostravo,in realtà mi consumavo più in fretta di una sigaretta accesa su una moto in corsa,ma comunque,far sapere che l'apatica,stronza,anticonformista Haley Lenti stravedeva per cinque idioti con delle voci stupende,non era il massimo per la mia reputazione.Le cantai,le loro canzoni,quasi tutte,forse troppo forte a giudicare dai pugni del vicino sul muro.
"Hey!Hai una bella voce,cosa si lamenta quell'idiota?!" aveva sentenziato Charlie.
"Bè,non tutti la apprezzano sai? Ne tanto meno le loro canzoni..."
Saltai al cambio della canzone,mi aprii in un sorriso.
"La tua preferita Charlie!"
Sentii un suono gutturale provenire dalla mia testa,una risata roca,e intonai la canzone.
"Oh,I just wanna take you anywhere that you like,
we could go out any day,any night,
baby I'll take you there!"
Mi estraniai dal mondo,ancora una volta,con le loro voci,i loro falsetti,e quelle note che parevano dirmi di ricominciare ad essere felice; ma io non ci riuscivo molto a lungo,quando spegnevo la musica,quando le loro voci sparivano,tutto mi piombava di nuovo addosso.Le poche cose che mi salvavano da quel posto terribile che condizionava la mia esistenza,ma soprattutto che mi salvavano da me,erano loro,i miei amici e il mio stile di vita,disinteressato,deteriorante.
Nel pomeriggio uscii con Angelica,passammo un pomeriggio meraviglioso,come sempre.Lei era così divertente,così solare.La passai a prendere in moto,questo le piaceva da morire,non le piaceva però il modo in cui guidavo,la maggior parte del tragitto ero senza mani.Era così divertente vederla agitarsi,ma devo ammettere che lo facevo solo per farla stringere a me,tenerla stretta al cuore,e far passare tutti i pensieri pessimi che andavano in giro per il mio cervello con il libero arbitrio.

Si fece sera,mia madre tardò ad arrivare,avrebbe dovuto staccare alle otto in punto e passare a prendermi per andare da Sofia,ma non lo fece.
Dei brividi percorsero la mia schiena,il respiro mi si fermò in gola,senza nessun motivo.Mi voltai,Frank scese dalla macchina,la macchina di mia madre,
"Tesoro scusa ma ho fatto tardi!" si giustificò.
"Dov'è mamma Frank?"
"Ha avuto un piccolo problema,un leggero capogiro,stava facendo i conti ed è caduta,ma nulla di grave."
Accennai un sorriso e annuii,ma la terribile sensazione che mi aveva raggiunto poco prima non mi abbandonò.Mio cognato mi spiegò durante il tragitto per andare a casa di Sofia che papà,soccorritore e autista di ambulanze,era già lì,aveva staccato da lavoro portando con se un'ambulanza solo per mia madre,l'amore che li univa era un sentimento che non avevo mai visto in nessun altra coppia,quell'anno avrebbero fatto 25 anni di matrimonio.
Arrivati a destinazione scesi dalla macchina con un balzo,scostai il cancello,entrai nel portico,poi nel palazzo,seguita da un Frank silenzioso,l'ascensore era lì,entrammo in casa,l'espressione enigmatica di mia sorella ci raggiunse non appena varcammo la soglia senza nostra madre,le spiegammo tutto.
La cena iniziò,ci sedemmo tutti a tavola come una famiglia,eravamo più tranquilli,papà aveva avvisato tutti che sarebbero arrivati più tardi.
Non arrivarono mai.
L'ennesimo colpo al cuore prima che il telefono squilasse,dall'altra parte l'assordante rumore di sirene,mio padre urlava,il padre di Sofia sbarrò gli occhi il telefono quasi cadde.
"Stanno portando Mel all'ospedale" disse,la voce seria,preoccupata,ma non spaventata,si fiondò sulla porta,scese in una volata senza neanche prendere la giacca,lo seguimmo tutti.Sofia mi guardò,mi prese per mano,e uscimmo per ultime,
Nel viaggio da casa all'ospedale mia sorella piangeva,Frank guidava attento,cercando di non farsi distrarre dalle emozioni,sporadicamente toccava il volto di mia sorella,come a volerla calmare,io le tenevo la mano,impassibile,ferma.
Scesi dalla macchina quasi in corsa in mezzo alla rotatoria davanti l'ospedale,le lacrime cominciarono a scendere tutte insieme,il respiro corto,mia sorella mi prese la mano,e corremmo insieme,per la discesa che ci portava al pronto soccorso,entrammo,ancora con le mani legate,solo quando entrambi i nostri occhi incrociarono quelli di nostro padre le mani si sciolsero,lo abbracciai e tutto mi sembrò crollare,mio padre aveva paura,l'uomo più forte che avevo mai conosciuto,ancora nella sua divisa arancione,aveva paura di non rivedere più l'amore della sua vita il mattino seguente,lo vidi nei suoi occhi azzurro cielo,lo vidi,e morii dentro.
Un attacco di panico seguì quell'abbraccio,poi un altro,e un altro ancora,mentre mia sorella chiedeva informazioni in più alle infermiere implorai mio padre di aiutarmi,non riuscivo più a respirare,il cuore a pulsare all'impazzata,le mani tremanti,fredde,come un cadavere.
Una voce pacata raggiunse il mio cervello in un secondo di lucidità "Vieni tesoro" mi disse,l'infermiera mise il suo braccio intorno a me e mi porto dentro,prese la mano di mia sorella e spinse anche lei ad entrare.
Entrammo nella saletta squallida di quel pronto soccorso tremendo,i muri marci,l'aria gelida,in un letto appena all'entrata c'era mia madre.
Se non si fosse mossa avrei giurato che fosse morta.
La maschera dell'ossigeno le impediva di parlare,ma lei cercava comunque di farlo,farfugliava con la lingua intrecciata parole dolci,di aiuto,teneva la mano dell'infermiera.
Si sentì osservata e si voltò,verso noi,verso le sue figlie,mia sorella si avvicinò cauta,sorrise,le tese la mano,mia madre scansò la mano,con la poca forza che aveva,lo fece sotto i nostri sguardi increduli e scioccati,incapaci di muoverci.Mia madre,la donna che avrebbe dato l'anima per noi,per le sue piccole,a seguito di un attacco epilettico in ambulanza,dopo il "capogiro",non ci riconobbe.
Indietreggiai,a passi piccoli,la bocca coperta dalla mano,gli occhi inondati di lacrime che bruciavano come l'acido,i battiti del mio cuore mi rimbombavano nelle orecchie,forti,impossibili da fermare.Quasi vicina alla porta uscii correndo dalla stanza,mi catapultai su Sofia,e fu allora che la guardai,lei spaventata,gli occhi lucidi.
"Non mi h-ha riconosciuto" balbettai,lo ripetei,una,due,tre volte,finchè lei non mi abbracciò forte,esplose,insieme a me,crollai per terra incapace di fare leva sulle mie stesse gambe,provò ad alzarmi Sofia ma scattai da sola quando il lettino con dentro mia madre mi sfrecciò davanti gli occhi.
Le infermiere parlavano,i medici correvano,l'ambulanza si accese di nuovo,codice rosso.
Fu tutto quello che sentii.Corsi in macchina,strattonata da Frank,la trasferirono in meno di un ora.
Partimmo prima noi dell'ambulanza,Frank fece benzina,fumai una sigaretta in lontananza,in quel panorama delle colline su cui ero guardai il cielo,implorai,non so chi,non so cosa,sussurrai "ti prego,non portartela via",buttai la sigaretta a metà quando vidi l'ambulanza sfrecciare a tutta velocità davanti a noi,saltai in macchina.
Arrivati all'altro ospedale,era ormai mezzanotte.
Non mi fecero entrare più,ci spiegarono che era stato un ictus a provocarle i vari attacchi epilettici,e lo svenimento,ci dissero inoltre che qualcosa aveva provocano l'ostruzione delle vene e la mancanza di ossigeno al cervello.
Fu l'ultima immagine che vidi di mia madre quella sera di gennaio,i suoi occhi che mi guardavano,ma non mi vedevano,l'indifferenza del guardare quella che era sua figlia,ai suoi occhi ero un estranea adesso,e in quel venerdì 4 gennaio capii che forse lunedì non avrei avuto più una madre,
"Cosa farai Hal?" Charlie rimbombò nella mia testa,non risposi,appoggiai la testa al muro,chiusi gli occhi sulla sedia della sala d'attesa,al freddo,sperando che quello l'indomani fosse solo un sogno quasi dimenticato.
13 ore prima  Twitter. "Brutta giornata"
  
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