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Autore: viktoria    22/12/2013    5 recensioni
[Jonathan Rhys-Meyers]Jonathan e Laura sono finalmente riusciti a capirsi. Sembra che non parlino più una lingua diversa ma che siano arrivati effettivamente al loro Happy Ending. Eppure conosciamo tutti il caratteraccio di Laura, il passato di Jonathan e le cicatrici che ha lasciato in lui. Sarà Laura abbastanza “adulta” da guarirle o almeno da impedire che sanguinino? E Jonathan saprà capire che lei, infondo, è solo una ragazzina?
“L'amore è una forma di pregiudizio. Si ama quello di cui si ha bisogno, quello che ci fa star bene, quello che ci fa comodo. Come fai a dire che ami una persona, quando al mondo ci sono migliaia di persone che potresti amare di più, se solo le incontrassi? Il fatto è che non le incontri.”
[STORIA IN RISCRITTURA E REVISIONE]
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Whatever works'
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-Ti ho detto che i fiori devi portarli di là! Cielo perché nessuno mi ascolta?- la voce di Marie giunse alle mie orecchie molto attutita, sapevo che stava gridando, potevo anche capire il perché lo facesse, lo avrei fatto anche io se quel giorno tanto importante della mia vita non fossi stata del tutto impossibilitata a fare alcunché se non ricordarmi di respirare e non svenire. -non ho forse chiesto venti tulipani rossi? Credevo di essere stata chiara. Voglio venti tulipani rossi, adesso!- la sua voce era ormai isterica, non riusciva più a resistere a tutti i drammi che in un solo giorno ci stavano letteralmente sommergendo. Il mio mutismo, il mio essere diventata praticamente un vegetale che rispondeva con una fantastica espressione vuota ad ogni domanda, ad ogni essere che mi rivolgesse la parola.

Aspettavo quel giorno da tutta una vita e adesso quel giorno era arrivato. Mi stavo sposando. Avrei sposato l'uomo che amavo da meno di un anno e avremmo costruito una famiglia. Eravamo soli, contro tutto, contro tutti, stavamo sfidando ogni legge del buon senso, stavamo andando contro ogni possibile umana comprensione. Anche Marie, che comunque si era offerta di aiutarmi con i preparativi, era tremendamente contraria a quell'unione.

-Tieni Laura- mi disse più dolcemente porgendomi un bellissimo mazzo di tulipani rossi. Erano luminosi, forse ricoperti di qualche spray che li faceva sembrare più lucidi, ed erano legati insieme da un sobrio nastro bianco candido che richiamava i colori dell'abito che indossavo. -finalmente qualcuno è venuto a lavorare oggi!- sentenziò Marie parlando a voce leggermente più alta. Mi voltai appena verso di lei e guardai il meraviglioso abito turchese che indossava e che metteva meravigliosamente in risalto gli occhi azzurri tanto simili a quelli del mio fidanzato. Le mie labbra si sollevarono quasi involontariamente in un sorriso che mi illuminò lo sguardo e Marie, che mi stava guardando da un po' con una certa apprensione, finalmente tirò un sospiro di sollievo. -finalmente sorridi, pensavamo di dover placcare te invece di Jonathan.- mi prese in giro riprendendo un argomento che avevamo avuto qualche settimana prima quando sceglievamo i vestiti per le damigelle. Li aveva scelti lei in realtà. Infondo io avevo solo quattro damigelle, com'era usanza in Italia, le mie damigelle e le mie testimoni allo stesso tempo. Alessandra, mia cugina e madrina di cresima, che quella sera di pasqua aveva permesso quel primo assaggio che avevo avuto delle sue labbra, delle sue mani sul mio corpo, quel momento di intimità che ancora agognavo avesse il suo compimento; Cristina, sua sorella; Josephine, la mia migliore amica americana, l'unica delle amiche che Jonathan avesse conosciuto a piacergli sinceramente e infine Marie, la donna che infondo aveva permesso che io lo conoscessi quell'uomo. Se quella notte di marzo lei non avesse accolto in casa proprio un gruppo di scout sporchi e stanchi possibilmente Jonathan sarebbe ancora solo nelle mie più rosee fantasie.

- No, non scapperei mai.- ammisi semplicemente. - sono così felice.- mi voltai verso lo specchio. Ero in piedi su un piedistallo e una sarta stava completando gli ultimi ritocchi all'abito prima dell'inizio della funzione. Era un abito semplicemente splendido, adatto ad una ragazzina che aveva compito diciotto anni appena sei giorni prima. L'abito era molto semplice, con un taglio ad impero mi cadeva morbido sui fianchi e si apriva in una modesta coda. Eppure alla semplicità del modello faceva da contrappunto l'infinità di pietre preziose, pizzi e ricami di cui il vestito era pieno. Era un gioiello in piena regola tanto che non indossavo nemmeno una collana. Avevo solo un paio di brillanti alle orecchie, i capelli raccolti e fermati da alcuni fermagli tempestati di rubini. Null'altro. La mia mano era libera da quell'anello di fidanzamento che aveva racconto tanto sguardi in pochissimo tempo. Il nostro fidanzamento era durato davvero poco, bisognava ammetterlo. Era successo tutto molto velocemente tanto che, in quei pochi mesi da ottobre a Dicembre, avevamo dovuto organizzare tutto e avevamo avuto bisogno di molto aiuto e molti soldi. Jonathan non si era dato, e non aveva dato a Marie soprattutto, nessun limite di spesa.

- Ci si sposa una volta nella vita.- aveva detto facendo spallucce con le mani in tasca quando Marie ci aveva raggiunti sul set di Dracula per domandare quando avesse a disposizione per prenotare il locale ed il ricevimento.

Alle nostre spalle uno sbuffo divertito sembrava quasi avergli dato torto. La mia immagine allo specchio perse il sorriso che si era formato pochi istanti prima. Il pensiero della reazione di tutti a quella notizia mi faceva ancora parecchio male.

La reazione pessima dei miei genitori me l'ero aspettata io stessa. Non c'era da stupirsi. Ero ancora minorenne quando avevamo dato la terribile notizia alla mia famiglia. Ma le reazioni esagerate non erano finite lì.

Quando la settimana seguente ero tornata in facoltà Anne, Taylor e Garrison mi avevano atteso al solito bar, seduti al solito tavolo, con i soliti caffé lunghi di fronte. Parlavano degli appelli di Dicembre dell'idea di come avrebbero dovuto studiare e come affrontare quelle materie che erano statistica e anatomia oltre a fisica e chimica che sarebbero stati gli scogli di gennaio. Ero sorridente in modo davvero ridicolo. Anche se non parlavo più con la mia famiglia, anche se avevo praticamente abbandonato un pezzo del mio cuore in Sicilia, ero comunque in estasi. Adesso potevo dire ai miei amici che mi sposavo, potevo dare la notizia a chi l'avrebbe accettata sicuramente. Mi sedetti con un gran sorriso, Trevor, il ragazzo di Garrison che lavorava al bar, si avvicinò non appena mi vide portandomi il cappuccino che gli avevo insegnato a fare.

- Grazie.- lo ringraziai prima ancora di avere il tempo di salutare i miei amici. Loro mi guardavano con non troppo entusiasmo, sembravano quasi preoccupati.

- Stai bene?- mi domandò Annie, forse la più preoccupata dai tre. La sua espressione quasi mi fece pensare che ci fosse in me qualcosa che non andasse. Mi passai le mani sul viso e aggrottai la fronte particolarmente dubbiosa che fosse accaduto qualcosa al mio viso. Eppure a me sembrava che andasse tutto bene.

- Ho qualcosa che non va?- domandai aggrottando la fronte. Nel toccarmi il viso però avevo alzato la mano destra, quella nel cui anulare brillava in tutta la sua magnificenza il mio anello di fidanzamento da sei carati.

- Cazzo!- gridò praticamente Taylor sdraiandosi sul tavolo e afferrandomi la mano. Era tanto sbalordita che quasi non mi sembrò la ragazza sempre posata e tranquilla, forse con un atteggiamento un po' snob e ruffiano, che avevo conosciuto in facoltà all'inizio dell'anno accademico. Garrison aveva spalancato occhi e bocca e mi guardava come se fossi un alieno strano e pericoloso. Anche se l'espressione di sgomento era ancora mischiata a quella di preoccupazione.

- Che cos'è questo?- domandò Taylor rigirandosi la mia mano tra le sue, quasi schiacciata al suo bel visino perfetto da bambola. Gli occhi azzurrissimi erano spalancati ed Anne era sempre più nervosa.

- Beh, era ciò che volevo dirvi...- ammisi un tantino in imbarazzo. Al momento comunque quella reazione non mi era sembrata del tutto negativa. Era normale che fossero un po' sbalorditi. Loro sapevano la mia età e quell'anello era di dubbia interpretazione. Ma ero certa che sarebbero stati contenti per me – Io e Jonathan ci sposiamo.- l'avevo immaginata un po' diversamente quella scena. Mi immaginavo un altro tipo di annuncio, più spettacolare, ma anche così mi stava bene. Mi bastava che lo sapessero dopo tutto.

- Che cosa?- domandò Taylor lasciando andare la mia mano neanche si fosse gravemente ustionata, come se bruciasse.

- Ma sei pazza?- domandò insieme a lei anche Garrison. La mia espressione a quel punto si rabbuiò appena. Era evidente che non fossero per niente felici per me, al contrario a quel punto mi aspettavo che se ne uscissero con l'idea che io fossi completamente pazza.

- Ci amiamo, vogliamo stare insieme e ci sposiamo.- conclusi io quella logica idea di matrimonio che aveva spinto entrambi ad un simile gesto. Infondo lui non era più un ragazzino anche se io ancora lo ero. - che c'è di male?- chiesi a mia volta voltandomi verso Annie. Speravo almeno di trovare aiuto in lei, sostegno magari. Ma tutto ciò che ne ricavai fu un'espressione semplicemente scioccata e un labbro tremulo di chi è prossima alle lacrime.

- Oh mio Dio.- disse semplicemente alla fine lei chiudendo quella bella escalation di approvazione.

Ero rimasta molto ferita dal loro atteggiamento. Certo non mi aspettavo chissà quali salti di gioia però mi aspettavo che fossero almeno un po' più contenti per me visto che erano a conoscenza della mia storia ed in particolar modo del mio amore per quell'uomo che adesso era ufficialmente il mio fidanzato.

- È ridicolo.- mi fece notare semplicemente Taylor tornando a bere il sua caffé come se nulla fosse, come se le avessi appena annunciato il ritiro dalla politica di Obama, anzi, forse in quel caso avrebbe fatto una delle sue arringhe filosofico politiche che non servivano a nulla.

- Cosa è ridicolo? Che due persone innamorate si sposino?- domandò aggrottando la fronte e mordendomi con forza il labbro. Lo sguardo che mi lanciò era di puro risentimento. Quasi mi sembrò quello di una nemica che di un'amica.

- È ridicolo che un trentacinquenne sposi una diciassettenne dopo neanche...quanto tempo è che state insieme? Tre mesi?- mi domandò con una voce stridula, forse leggermente acida. Le mie labbra si strinsero in una linea sottile.

- Voi dovreste essere felici per me.- feci notare loro con rabbia ed indignazione. Mi voltai verso Annie che aveva abbassato gli occhi sul tavolo e che, lo vedevo, era in lacrime. Garrison e Taylor, indifferenti al dolore di Annie che non riuscivo a comprendere, erano solo arrabbiati, forse preoccupati. Ma io avevo bisogno di appoggio, di conforto, di comprensione, non avevo bisogno di altri amici che mi voltavano le spalle, non avevo bisogno di altri elementi della mia vita che mi sbattevano violentemente la porta in faccia. Mi alzai da quel tavolo e prima che potessero chiedermi di tornare indietro, ammesso che l'avessero fatto, uscii fuori dal locale e mi diressi in facoltà. Non volevo tornare a casa e mostrare a Jonathan quanto fossi triste e abbattuta per l'ennesima delusione. Non avrei accettato ne che si desse la colpa né che non lo facesse. Avevo bisogno di un solo commento positivo dopo quelli negativi di Marie, della mia famiglia e dei miei nuovi amici. Chiamai al telefono cellulare Betta, la mia vecchia compagna del liceo. Non le sentivo da mesi, avevo bisogno di sapere che c'erano, che stavano bene, che erano felici per me. Nessuno rispose. Lo feci squillare finché non cadde la linea, lo feci squillare fino alla fine. Chiamai parecchie volte, non solo una. Chiamai per ore. Prima lei, poi Caro, poi Ale. Benedetta no, quella che un tempo era stata la mia migliore amica non avevo intenzione di sentirla. Non volevo sentire anche lei dirmi come le cose erano diverse, come era sbagliato ciò che stessi facendo, come me ne sarei pentita. Forse era un bene che nessuna di loro rispondesse. In una città piccola come quella da cui venivamo noi probabilmente avrebbero creduto che ero incinta, che quello era solo un matrimonio riparatore e che io non l'amassi affatto quell'uomo. O meglio che lui non amasse me, nessuno aveva dubbi sul mio amore per lui. Avevo anche avuto una mezza idea di chiamarle su skype, di mandar loro un messaggio su facebook. Ma io non avevo più facebook. Né skype. Il mio manager, il manager di Jonathan, mi aveva consigliato e imposto di cancellare quei due mezzi di comunicazione. Adesso avevo avevo tweeter. Quel social network del demonio che non avevo capito come funzionasse, che rappresentava per me il mistero delle comunicazioni. Che senso aveva scrivere minuto per minuto quello che facevo. Se avessi voluto far sapere a qualcuno dei miei spostamenti avrei mandato un messaggio a quella sola persona. Non vedevo l'utilità di farlo sapere al mondo intero. E poi io ero abituata a vivere in una città dove quel servizio non serviva, bastava chiedere alla signora anziana o al ragazzino scemo. Loro stavano lì tutto il giorno a guardare quello che faceva la gente attorno a loro pronti a raccontarlo a tutti qualora avessero chiesto informazioni. Ovviamente a Londra non importava nulla a nessuno. Non c'era quel tipo di sostrato socio-culturale che c'era nella mia città d'origine, quella in cui adesso non avevo più nessun legame visto che ancora nessun membro della mia famiglia si era disturbato a chiamarmi per chiedermi scusa per la loro espressione di disgusto alla notizia. Ci avevano cacciato fuori di casa come se fossimo ladri. Io non mi sarei abbassata a chiamare nessuno di loro. Avrei mandato le partecipazioni di nozze, quello era certo, ma nulla di più informale. Che si mantenessero le distanze tra noi. Se qualcuno avesse risposto positivamente all'invito avrei procurato loro un posto dove dormire e magari anche il biglietto aereo ma fino a quel momento loro per me non esistevano. Erano morti, estinti.

Avrei mandato le partecipazioni anche a Marie. Magari a lei avrei chiesto di raggiungermi subito per aiutarmi con i preparativi. Tra l'altro non avevamo neanche parlato della data con Jonathan. Si era solo detto di aspettare che io compissi diciotto anni. Ovviamente.

Quel giorno non riuscii neanche a seguire le lezioni come avrei dovuto. Avevo la testa altrove. Avevo preso la mia agenda e avevo cominciato a fare una lista delle cose da fare. Ricevimento, locale, abiti, chiesa, partecipazioni, bomboniere. Queste le cose principali. Ma poi c'erano il fioraio, il parrucchiere, l'estetista, la lista nozze. Un milione di cose a cui pensare. E poi per quando. Domani, dopo domani, un mese, due, sei, un anno? Mi passai una mano tra i capelli avvilita e lasciai le lezioni prima che queste finissero. Ero arrabbiata, ero distrutta emotivamente. Mi sentivo tremendamente sola e tutto ciò a cui riuscivo a pensare era: e adesso? Mi venivano in mente milioni di motivi per cui Jonathan avrebbe potuto cambiare idea su quella storia del matrimonio, milioni di ragioni perché quella specie di sogno (che se fossi stata più sana mi sarebbe sembrato un incubo) finisse. E quel pomeriggio lavoravo anche. Mi arrivò infatti un messaggio mentre mi apprestavo a tornare a casa.

“2.50 p.m. Studios. Riprese per Etienne e Katherine.”

il messaggio era arrivato al cercapersone. Avevo chiesto a Jonathan di settare il cercapersone sul telefono perché io avevo già serie difficoltà a controllare quello, se poi ne avessi avuti troppi da controllare sarei letteralmente impazzita e non ne avrei controllato nessuno. Perfetto, non avevo neanche il tempo di tornare a casa a mangiare. Diedi un'occhiata distratta all'orologio. Erano quasi le due, avevo un'ora volendo ma ci avrei messo tre quarti d'ora buoni solo a raggiungere il luogo delle riprese. Sospirai profondamente e cambiai strada infilandomi nella metro.

Di bene in meglio.

Mentre stavo seduta sugli scomodi sedili di plastica dura della vettura del treno sotterraneo che mi stava portando fuori dal centro di Londra guardai l'anulare su cui brillava quell'anello di fidanzamento che era il segno dell'impegno che ci stavamo prendendo entrambi. Un anello bellissimo, brillante, con un valore immenso non solo economicamente parlando.

Avrei dovuto togliere? Avrei dovuto metterlo solo quando ci fosse stato Jonathan per dirlo insieme? Alla fine decisi che era meglio così. Tolsi l'anello dal dito e lo infilai in borsa chiudendolo nella taschina laterale.

Il viaggio, che avrebbe dovuto essere lunghissimo, durò per me troppo poco.

La prima persona che vidi non appena entrai dentro lo stabile prefabbricato in cui avremmo dovuto girare quelle scene che avevo ripassato sulla metro fu Elise, una delle addette al trucco. L'unica simpatica per quel che mi riguardava. Si voltò verso di me e mi sorrise raggiante venendomi incontro e abbracciandomi.

- Ciao Laura, mi sei mancata quando sei stata via, senza Jonathan che litiga con Gaspard e senza le tue chiacchiere si muore di noia!- mi confessò lei con un bel sorriso sul viso.

- C'era Jessica.- le feci notare. Jessica non era male, lo avevo scoperto da poco. Certo passava del tutto inosservata probabilmente, nonostante fosse incredibilmente bella, non l'avrei mai notata in una stanza piena di persone. Però si poteva discutere con lei. Katie no, lei era semplicemente insopportabile. Altezzosa, frivola, spesso antipatica. E comunque mi odiava. Quando Jonathan e Reena avevano rotto lei ci aveva sperato sul serio in una loro possibile relazione.

- Katie la sta facendo passare al lato oscuro.- mi confessò lei accompagnandomi verso la sala trucco. Scoppiai a ridere divertita dalla sua espressione e scossi la testa. Aveva aggrottato la fronte e aveva abbassato la voce quasi mi stesse confessando il segreto del secolo, le diedi un colpetto affettuoso sul braccio.

- C'è sempre Gaspard.- conclusi prima che lei mi rispondesse storcendo il naso.

- C'è qualcosa che non va in lui.- mi spiegò lei. Mi stava praticamente aggiornando su tutti gli avvenimenti che si erano verificati durante la mia assenza. -ha visto qualcuno non appena voi siete partiti e poi è cambiato completamente, sicuramente mi sbaglio ma...mi è sembrato che parlasse con Reena.- concluse. E quella voltai fui io a rimanere sconvolta. Quel nome per me era un taboo. Jonathan non lo pronunciava mai, io neanche benché ci pensassi spesso. Marie lo aveva fatto ogni tanto ma non la chiamava mai per nome. Sentire parlare di lei adesso, e sentire che era Gaspard a riportare a galla quella vipera avvelenata, mi spinsero a riflettere parecchio.

- Credo di dover parlare con il francese.- costatai mentre lei annuiva.

- Pas du tout, pas du tout. Je ne comprends pas. Pourquoi?- ero appena entrata nella piccola stanzetta in cui sapevo di poterlo trovare. Una stanza adibita ad aria caffé con una macchinetta, qualche vivanda calda e un bel divano di pelle bianca. Lui era lì, in piedi, già pronto per girare mentre io ero ancora in “abiti civili”. Lui si voltò verso di me dopo un attimo, aveva continuato a parlare concitatamente in francese e quando si era accorto di me aveva messo semplicemente giù senza neanche salutare.

- Non sei stato scortese?- domandai aggrottando la fronte e indicando il telefono che stringeva ancora in mano. Lui non sembrò avermi sentito. Mi venne incontro e mi abbracciò tanto stretta che mi resi conto di essergli davvero mancata parecchio. Mi sentivo in colpa per questo.

- Sto imparando dal migliore.- rispose lui riferendosi chiaramente a Jonathan e al suo modo, quasi mai cortese, di comportarsi con le persone. Specialmente con Gaspard. Tra loro non correva buon sangue e benché questo fosse un bene per il telefilm, dove si odiavano con una maestria sconcertante, non era un bene per me che dopo tutto vedevo in lui un amico. Mi piaceva che potessimo parlare in francese, era anche un buon insegnate, paziente e gentile.

- Touché- risposi semplicemente facendo spallucce e mordendomi leggermente il labbro. Lui infilò il telefono nella tasca dai pantaloni da scena che portava e mi guardò sollevando appena l'angolo destro delle labbra in un sorriso. La cicatrice si increspò appena.

- allora, come va? Come sono andate le vacanze?- mi domandò gentilmente. Eravamo stati via relativamente poco eppure a me era sembrata un'eternità. Adesso che ero tornata ad una routine che ancora non era del tutto scontata mi sembrava fossero passati mesi.

- Speravo meglio.- ammisi.

Avevo litigato con la mia famiglia, con i miei amici, avevo tagliato i ponti con quelle che per cinque anni erano state le mie migliori amiche, insomma di cose ne erano cambiate parecchio. Adesso volevo solo che tutto tornasse a prendere una sua stabilità e cosa c'era di più stabilizzante di un matrimonio.

- problemi con Jonathan?- mi sembrò quasi di vedere una luce di speranza negli occhi blu del ragazzo che mi stava di fronte. Aggrottai appena la fronte e mi dissi che ero solo io ad essere prevenuta ormai nei confronti del mondo intero. Come se tutti volessero la nostra infelicità.

- No, problemi con tutto il resto.- confessai io decidendo di aprirmi un po' almeno con lui. Ero lì per un motivo eppure non me la sentivo ancora di chiedergli spiegazioni al riguardo. Tra l'altro come avrei potuto aprirle il discorso? C'era un modo giusto? Decisi di prenderla alla larga. -Tu, con la tua ragazza?- domandai a mia volta con un sorriso che però non raggiunsi gli occhi. Adesso ragazza era un parolone. Era una donna molto più grande di lui, forse troppo. Anche se io e Jonathan di certo non potevano parlare al riguardo.

- Abbiamo rotto- mi informò lui con la stessa tranquillità con cui si parla del tempo. -Un mesetto fa.- aggiunse come se fosse una cosa del tutto normale ed io non avessi fatto la peggiore gaffe della mia vita. Arrossii appena.

- ah, scusami...io...non lo sapevo.- balbettai scostando lo sguardo dal suo viso dall'espressione rilassata.

- Sì, beh, era una storia finita da un pezzo.- mi tranquillizzò lui. -no drama.- concluse in un inglese che mi fece alzare lo sguardo e ridacchiare appena. Per lavoro aveva dovuto cercare di eliminare il suo bell'accento francese per passare ad un inglese molto preciso. Era sicuramente sulla buona strada. Faceva sempre maggiori progressi.

- carino l'accento inglese.- mi complimentai con un'espressione che voleva scimmiottare quella di una professoressa.

- Sì?- chiese lui reggendomi splendidamente il gioco. Fece un leggero cenno con il capo come se mi stesse ringraziando. -Sto imparando.-

La situazione era molto più rilassata adesso tra noi, c'era quasi una sorta di pacifica riconoscenza. Io ero felice di essere a casa e lui era felice di rivedermi. Forse non era il caso di toccare un argomento che ci avrebbe fatto litigare. A quel punto ero certa che lui sarebbe stato felice per me, che avrebbe apprezzato la notizia che aveva sconvolto tutti.

- Senti Gaspard, se io ti do una notizia tu puoi essere felice per me?- gli domandai comunque prima di toccare l'argomento.

Lui sembro non capire e aggrottò leggermente la fronte dubbioso. In effetti non era da tutti i giorni sentire una richiesta del genere da parte di qualcuno. Di solito si dava la notizia e basta.

- Sì, oggi credevo di avere buone notizie per tutti invece nessuno che ha avuto la reazione a cui speravo.- ammisi mordendomi il labbro. Lui sorrise appena ma fu un sorriso che non raggiunse gli occhi. Al contrario. Forse le premesse non erano delle migliori.

- Ci provo. Che notizia?- mi domandò allora incrociando le braccia al petto.

Impossibile tirarsi indietro adesso, meglio non portarla troppo per le lunghe.

- Mi sposo.- lo informai con molta semplicità.

Lui non disse assolutamente nulla. Nessun commento, nessun cambiamento nella sua espressione. Rimase semplicemente in silenzio, il viso tirato in una maschera impenetrabile. Quello era peggio delle espressioni dei miei amici quella mattina. -Ok, non è una brutta reazione però sarebbe carino se tu dicessi qualcosa.- lo informai passandomi una mano sulla guancia e toccandomi i capelli. Lo facevo sempre quando avevo bisogno di rassicurarmi.

- ah.- fu il suo unico commento al riguardo.

- beh, qualcosa che abbia un soggetto, un predicato e un complemento possibilmente.- aggiunsi non contenta di quella sua risposta.

- Che bello.- aggiunse. Il suo tono stonava immensamente con le parole appena pronunciate.

- ok...- presi un respiro profondo. La mia voce era bassa adesso, appena un sussurro. Volevo tornare a casa, volevo Jonathan, volevo che mi dicesse che andava tutto bene. In quel momento tutto ciò che volevo era un abbraccio. Invece dovevo lavorare. Gli diedi le spalle e uscii da quella stanzetta che era diventata troppo angusta. Lui mi seguì.

- Laura, non puoi sperare che mi faccia piacere...- mi fece notare lui con la voce seria fermandomi per il braccio nel corridoio che mi avrebbe portata al mio camerino. Aveva abbassato la voce e si era avvicinato a me.

- Perché?- domandai senza capire. Perché nessuno poteva essere felice per me per una volta.

- perché hai diciassette anni e ti stai rovinando la vita così.- mi rispose lui così come tutti gli altri. Niente di più niente di meno. Solo che lui aveva utilizzato un tono di voce più gentile.

- ma io lo amo!- sbottai questa volta alzando forse un po' troppo il tono della mia voce. Lui scosse la testa e mi guardò negli occhi. Mi prese il viso tra le mani e mi parlò come si parla ad una bambina stupida, piccola e incapace di capire davvero.

- lo ami adesso Laura, ma se lo sposi dovrai amarlo per il resto della tua vita capisci?-

- sì, lo so che vuol dire sposarsi.- lo rimproverai per quel comportamento che mi stava riservando togliendo le sue mani dal mio viso e scacciandolo via. Volevo che non mi toccasse.

- allora perdonami se non sono entusiasta della cosa.- concluse lui stringendo le braccia al petto e guardandomi per un secondo prima di voltarmi le spalle. Questa volta ero io che non volevo che se ne andasse così.

- Gaspard!- lo richiamai sempre parlando a voce troppo alta. Ma non sembrava esserci nessuno intorno a noi.

- Te ne pentirai Laura, lo sappiamo tutti.- mi rispose lui con la voce alterata per la rabbia voltandosi verso di lei e guardandomi dritto negli occhi. Si avvicinò a grandi passi e mi afferrò per le spalle. Lui però non mi stava facendo male, non mi strattonò nemmeno. Voleva solo la mia attenzione. -Sai com'è fatto Jonathan, lo so io, lo sa lui, lo sai tu. Lo sappiamo tutti.- mi ricordò. E mi vennero in mente molti momenti che confermavano le sue parole, forse troppi. -Ti spezzerà il cuore e ti pentirai di questo giorno.-

- Gaspard...- sussurrai questa volta mentre lui si allontanava facendo un passo indietro, il viso abbassato, gli occhi chiusi e il respiro corto.

- Che c'è?- mi chiese mentre cercava di calmarsi.

- Perché tutti mi state facendo terra bruciata intorno?- la mia voce era un sussurro spezzato. Era chiaro che rischiavo di scoppiare a piangere.

- No Laura, io non lo sto facendo. Io ti sto dicendo come andranno le cose.- mi rassicurò lui senza però perdere quell'atteggiamento un po' arrabbiato. -Ma ci sarò allora, puoi venire da me ogni volta che avrai bisogno di qualsiasi cosa.- concluse passandomi una mano sul viso per asciugare una lacrima che adesso mi stava bagnando il viso.

- Verrai al mio matrimonio?- gli domandai alzando gli occhi contro il suo viso.

- Se non lo facessi si chiederebbero perché non ci sono.- mi rispose senza dirmi però ciò che volevo sapere.

- ma tu vuoi venire?- chiesi ancora. -Verresti se non fossi costretto?- era un modo per chiedergli se lo stesse accettando, se non fosse davvero sbagliato come volava farmi credere. Volevo il suo consenso.

- No.- rispose seccamente. -Non verrei a vedere come ti rovini la vita con tre parole.-

a quel punto la situazione era ormai persa. Non c'era nulla che potesse peggiorarla. Lui mi aveva dato le spalle per l'ennesima volta. Io non avevo più motivo di tenermi dentro un qualcosa per paura di litigare. Lo avevamo già fatto. Avevamo già litigato.

- Perché hai chiamato Reena?- gli domandai prima che sparisse dentro il suo camerino. Quando si voltò verso di me aveva gli occhi sbarrati di chi sa di essere stato scoperto.

 

Fu solo la voce di mia cugina a riportarmi al presente, quel 12 Dicembre che sarebbe stato il giorno del mio matrimonio. Avrei dovuto ricordarla sempre quella data. Mi stava sistemando per l'ennesima volta uno dei boccioli che avevo tra i capelli perfettamente acconciati.

- Tua cognata ucciderà qualcuno oggi- mi fece notare Alessandra con un bel sorriso sul viso. Lei sembrava davvero felice di essere lì e anche io lo ero.

Lei era stata la prima a chiamare, neanche una settimana dopo il mio ritorno a Londra. Ero scoppiata a piangere quando mi aveva assicurato che lei al mio matrimonio ci sarebbe stata di certo, anche se non aveva niente di adatto per un matrimonio da celebrità. Poi il giorno dopo anche Cristina aveva chiamato. Loro erano le uniche parenti che avevano deciso di approvare la mia decisione di sposare Jonathan. Era una mia scelta, mi aveva detto, se io ero felice loro sarebbero state felici per me.

-È molto probabile, qualche giornalista senza dubbio non vedrà l'alba di domani.- acconsentii io prendendo la mano che Cristina mi porgeva per scendere dal piedistallo su cui la sarta mi aveva ordinato di salire per gli ultimi ritocchi al vestito.

- Sono effettivamente molto insistenti.- ammise Cristina mentre la piccola Ginevra mi guardava con il suo vestitino da damigella e un gran sorriso sul viso. La figlia di mia cugina e la figlia di Alan erano state scelte come damigelle. Erano adorabili insieme anche se giocavano senza neanche capirsi reciprocamente. Ginevra non parlava inglese e Felicia non parlava italiano. Ma era bello vedere come due bambini potessero essere amici nonostante questo.

Marie tornò dentro con i bouquet per le damigelle e le testimoni e li consegnò a ciascuna. Diede le ultime raccomandazioni e la musica che mi avrebbe accompagnata all'altare cominciò. Io quella navata l'avrei percorsa da sola, nessuno mi avrebbe accompagnato all'altare. Mio padre non c'era ed io non avevo voluto il braccio di nessuno. Alan si era offerto e Jonathan sarebbe stato ben lieto se avessi accettato l'offerta di uno dei suoi fratelli. Ma io conoscevo il significato di quel gesto, loro non erano la mia famiglia, non aveva senso che fossero loro ad accompagnarmi all'altare. Nessun uomo della mia famiglia mi stava offrendo al mio futuro marito. Io, da sola, facevo questo passo verso di lui. Presi un respiro profondo ed entrai in chiesa.



Note Autrice:
Perdonate l'immenso ritardo. l'università e la nuova vita mi stanno uccidendo. comunque in questi giorni conto di postare almeno tre capitoli. prometto di farmi perdonare. tra l'altro siamo sotto natale, quindi sarà buona. usando le parole di Gaspard direi: no drama. ci sarà il matrimonio quindi, vestitevi bene, mi raccomando! spero che ci siate ancora, che l'attesa non vi abbia stancato. perdonatemi. Viktoria.
  
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