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Autore: EffieSamadhi    23/12/2013    6 recensioni
{Su YouTube è disponibile il trailer della storia: http://www.youtube.com/watch?v=diyTY0QZwSA}
Contrariamente a quanto pensa la gente, la vita di un rocker non è tutta 'sesso, droga & rock'n'roll': ci sono momenti in cui, come ogni persona normale, ci sentiamo stanchi e solitari e stufi del mondo, e se a volte ci capita di sembrare scostanti e scontrosi è solo perché vogliamo andare a casa, perché vogliamo infilarci sotto una doccia bollente o perché vogliamo spalmarci sul divano a guardare un programma trash in tv. [...] Mi chiamo Shannon Leto, ho quarantatré anni e mezzo e non vedo l'ora di andarmene a letto.
Tutti hanno bisogno di tempo per se stessi, e nessuno lo sa meglio di Shannon, che così preso dalla ricerca di un attimo di respiro si trova coinvolto in qualcosa che di privato e personale ha ben poco. Ma alla fine di tutto, Shannon si accorgerà che a volte la pace non si trova soltanto nella solitudine e nel buio, ma anche nella luce degli occhi di chi ci sta accanto.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Shannon Leto, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Direzioni ostinate e contrarie.'
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Portagioie di tristezza | 1
Prima di proseguire con il capitolo, una piccola comunicazione: IO VI AMO. Sinceramente, vedendo com'erano partite le cose non avrei mai immaginato che nel volgere di due settimane avrei ricevuto così tante risposte positive.
Un grazie di cuore ai nove lettori che la preferiscono, ai quattro che la ricordano, ai quindici che la seguono e a tutti coloro che hanno avuto il cuore e la voglia di lasciare una recensione.
Con la speranza di non deludervi, vi saluto e vi abbraccio forte forte.
EffieSamadhi

P.S.: Questo è probabilmente il capitolo più noioso ed inutile che abbia scritto finora. Ma non disperate, posso migliorare.






Portagioie di tristezza






Capitolo settimo
Pioggia cadrà,
e l'aria sarà più pulita
in questa città
dove tutto sembrava finire.1

Milano, 04 novembre 2013


    Pago il tassista, lo ringrazio e scendo dall'auto, ma invece di infilarmi a passo svelto nella hall dell'albergo rimango fuori qualche minuto per godermi il silenzio e prepararmi alla probabile cattiva reazione che avrà mio fratello nel riaccogliermi dopo non avermi visto né sentito per l'intera giornata. D'istinto mi tocco le tasche, cercando le sigarette, salvo accorgermi che non le ho portate con me – il pensiero di passare un intero pomeriggio con Daria mi ha tenuto così occupato che ho dimenticato di metterle in tasca, anche se la cosa che più mi sorprende è che non ho sentito il bisogno di fumare mentre stavo con lei, nemmeno una volta. Questa ragazza sembra davvero avere un effetto positivo su di me. Dopo aver inutilmente cercato qualche stella tra le mille luci che offuscano la bellezza del cielo ormai nero, giro i tacchi ed entro nell'albergo, dirigendomi a passo sicuro verso il bancone della reception. Chiedo gentilmente la mia chiave al concierge e salgo al mio piano preferendo le scale all'ascensore, ricordandomi dell'espressione comparsa sul volto di Daria poche ore fa, quando ho tentato di convincerla che quattro piani di scale fossero troppi da fare a piedi.
    Quando arrivo al sesto piano, invece di tirare dritto verso la mia camera busso alla porta di Tomo, per salutarlo e per chiedergli dello stato mentale di mio fratello. «Tomo, sono Shannon» mi presento subito dopo aver bussato, ricevendo il permesso di entrare. «Ciao» lo saluto, entrando con cautela e chiudendomi la porta alle spalle. «Sono tornato» aggiungo, trovandolo sdraiato sul letto nell'atto di fare zapping con il telecomando e cercare un canale di notizie. «Che fai di bello?»
    «Cercavo di capire cosa succede di nuovo nel mondo» risponde lui facendo spallucce. «Ah, prima ho parlato al telefono con Vicki. Vi manda i suoi saluti.»
    «Ah, grazie. Ricambia, mi raccomando. Come se la passa?» gli domando, trascinando una sedia vicino al letto.
    «Sta bene, tutto regolare» risponde mentre mi siedo. «Piuttosto, quello che dovrebbe avere qualcosa da raccontare sei tu» aggiunge.
    Piego le braccia sulla spalliera e ci appoggio sopra il mento, chiedendomi da dove dovrei iniziare. «Ho passato un bel pomeriggio» commento, decidendo di tenermi sul vago.
    «Hai viaggiato bene?» mi sento chiedere, rendendomi conto soltanto adesso che Tomo ha spento la tv e mi sta dedicando tutta la sua attenzione.
    «Sì, ho viaggiato bene. Lei è venuta ad aspettarmi in stazione.»
    «Beh, mi sembra normale. Aveva detto che sarebbe venuta a prenderti, o sbaglio?»
    «Sì, l'aveva detto, però... finché non l'ho vista sulla piattaforma ho avuto paura che non venisse. Che avesse cambiato idea. Al suo posto io avrei avuto diversi dubbi.»
    «Che avete fatto?»
    «Un giro per il centro, mi ha fatto vedere alcuni monumenti, mi ha raccontato qualche aneddoto... è stato bello, è una buona guida.»
    «E... ci sono stati degli sviluppi particolari?»
    «L'ho accompagnata a vedere un appartamento da affittare. Un bell'appartamento» specifico. «E ha deciso di prenderlo, alla fine. E ci siamo baciati. Più di una volta.»
    «Non si può dire che sia stato un pomeriggio noioso. E dopo esservi baciati?»
    «Lei si è fatta prendere dall'ansia, perché pensava che stessi soltanto giocando.»
    «E tu stavi giocando?»
    «Per niente. Daria non è una ragazza da prendere in giro. È molto sensibile, quasi fragile, e io non potrei... nessuno con un minimo di umanità potrebbe prendere in giro una ragazza come lei.»
    «E come vi siete lasciati?»
    Prima di rispondere esito, cercando le parole più adatte per esprimere il concetto – salvo poi accorgermi che di parole perfette, in certi casi, non ce ne sono. «Abbiamo deciso di provarci» sputo fuori. «Vogliamo provare a frequentarci. Non chiedermi quali siano i nostri piani, perché non lo so. So solo che non ho mai desiderato tanto passare del tempo con una donna – e non sto parlando di fare sesso, ma di passare del tempo insieme. Lei è speciale. È veramente una ragazza speciale.» So che Tomo non mi giudicherebbe mai, perché giudicare gli altri non è nella sua natura, perciò so che nel suo silenzio si nasconde soltanto un tacito invito a continuare. «Non ho intenzione di mollare il tour per scappare con lei a Las Vegas, se è questo quello di cui Jared ha paura» aggiungo.
    «Non è di questo che tuo fratello ha paura» sospira lui, voltandosi sulla schiena e iniziando a fissare il soffitto con aria interessata. «Insomma, ha cercato di convincermi che fosse quella la sua preoccupazione più grande, ma credo che in realtà sia solo spaventato all'idea di perdere te. Se questa Daria fosse soltanto una delle tante con cui ti diverti sotto le coperte, una di quelle che usi e butti fuori dal letto quando arriva l'alba, probabilmente Jared non avrebbe nulla da ridire – sarebbe la normalità, il divertimento senza impegno a cui siete entrambi abituati. Ma se tu di questa Daria sei davvero innamorato, se provi a conoscerla e a far funzionare le cose e scopri che le cose vanno bene... beh, per forza di cose lui esce dalla tua vita. Beh, forse non ne esce completamente, ma di sicuro il suo ruolo nella tua vita si ridimensiona.»
    «Non smetterò di essere suo fratello soltanto perché ho una relazione con una donna» protesto, sicuro che niente potrebbe mai allontanarmi da Jared. Siamo sempre stati una cosa sola, fin dall'infanzia: abbiamo vissuto le stesse esperienze, abitato gli stessi luoghi, sentito le stesse cose – più che fratelli, siamo anime gemelle, nel senso più esteso del termine.
    «Questo io lo so, e so anche che tu sei un uomo abbastanza maturo e ragionevole da arrivarci. Ma Jared... tuo fratello ha quarantadue anni, questo è vero, ma il suo cuore è fragile come quello di un ragazzino. Basta una frase detta con il tono sbagliato, e nel suo cuore si può formare una crepa irreparabile.»
    «Credi che dovrei parlare con lui?» Domanda stupida, me ne rendo conto subito dopo: ovviamente Tomo mi consiglierà di parlare con Jared. Il problema è che non so se Jared vorrà ascoltarmi. A volte sa diventare davvero scontroso, se le cose non vanno come lui le ha pianificate.



*



Torino, 4 novembre 2013


    «Sono a casa!» annuncio, chiudendomi la porta alle spalle. Mancano cinque minuti alle sette, e tecnicamente dovrebbero essere tutti in casa: mio padre dovrebbe essere sotto la doccia, mio fratello alle prese con le pentole e mia sorella impegnata a sistemare geometricamente in tavola piatti e posate. Invece il salotto è silenzioso, dalla cucina non arrivano risate né rumore di stoviglie, e la cosa mi preoccupa un po'. «C'è qualcuno?» chiedo al nulla, alzando un po' la voce mentre attraverso il corridoio.
    A bordo della propria sedia girevole da ufficio, mio fratello si affaccia dalla camera da letto. «Stasera ceniamo da nonna» mi informa. «Ci ha suonato prima per invitarci. Festeggiamo il compleanno di Massimo.»
    Massimo è uno dei nostri cugini, figlio del fratello maggiore di papà: fin da bambino è sempre stato fissato con i soldatini, e da quando è entrato nell'esercito lo vediamo pochissimo – ed è un peccato, perché è uno di quei ragazzi che adorano ridere e che hanno sempre il sorriso sulle labbra, qualunque cosa accada. «Ma compie gli anni soltanto tra dieci giorni, perché festeggiamo adesso?» domando.
    «Doveva essere in licenza fino al venti, invece lo hanno richiamato prima perché ci sono turni da coprire, o qualcosa del genere» completa mia sorella, uscendo dal bagno in accappatoio. «Le ho chiesto se dovevamo portare qualcosa, ma ha detto che al cibo ci pensavano lei e zia Bea. Ci aspettano per le otto.»
    «Papà?» domando, entrando in camera mia per lasciare borsa e giubbotto sul letto.
    «Doveva fare delle commissioni, è tornato dal laboratorio ed è uscito subito dopo» risponde mia sorella, alzando la voce per sovrastare il ronzio dell'asciugacapelli.
    «L'abbiamo chiamato per avvertirlo della cena» aggiunge mio fratello, puntando i piedi per terra e muovendosi distrattamente avanti e indietro per il corridoio. «Nonna vuole a tutti i costi che porti Laura, quindi passerà a prenderla prima di tornare.»
    Mi rimbocco le maniche della camicia e raggiungo il bagno per lavarmi le mani. «Abbiamo ancora del formaggio? Magari faccio un'insalata, giusto per non presentarci a mani vuote» osservo distrattamente mentre mi insapono.
    «Quella buona con il formaggio e le pere?» chiede mia sorella, illuminandosi all'idea. «Però non abbiamo più pere.»
    «Ah. Beh, potrei sostituirle con le mele, dovrebbe uscire comunque un piatto decente.»
    «Che hai fatto di bello oggi? Sei stata fuori tutto il pomeriggio, pensavamo ti fossi persa» mi chiede Emanuele, che si è spinto in retromarcia fino a raggiungere la porta del bagno.
    «Ho fatto un giro in centro» rispondo con aria di sufficienza, cercando di non attizzare la loro curiosità. «Ho visto un appartamento» aggiungo subito dopo, incapace di trattenermi. «Una mansarda, in realtà. È in via Maria Vittoria, ristrutturata da pochissimo, e costa trecentocinquanta euro al mese.»
    «Un affarone, direi» commenta mia sorella, passandosi una spazzola tra i lunghi capelli castani. «Pensi che possa essere la casa giusta?»
    Esito un attimo nel rispondere, e a quel punto mio fratello esclama: «L'hai preso, vero?» Praticamente costretta a confessare, spiego brevemente le ragioni che mi hanno spinta a decidere tanto in fretta – il tutto badando a non nominare Shannon, né il fatto che abbiamo trascorso insieme l'intero pomeriggio e che in futuro probabilmente lo rivedrò. E che sono innamorata come una quindicenne.
    Francesca ascolta il tutto continuando a pettinarsi, e alla fine, mordicchiandosi un labbro, sussurra: «Come credi che la prenderà papà? Avevi detto che lo avresti avvertito in tempo.»
    «Papà capirà» rispondo, aggiustandomi una piega inesistente sul davanti della camicia. «Era un affare troppo conveniente, non potevo lasciarmi sfuggire l'occasione.» In realtà, ho paura che ci rimarrà male: gli avevo promesso di tenerlo al corrente degli sviluppi del mio progetto, e alla fine non ho mantenuto la parola. So che non si opporrebbe, ma so anche che gli piace essere messo al corrente di quello che succede in casa sua.
    «Io glielo direi stasera, se fossi in te» commenta Emanuele. «Ci sono i parenti e c'è anche Laura, non ti può ammazzare se ci sono così tanti testimoni. Beh, io devo finire un progetto. Fammi un fischio quando hai finito, Franci.»
    Mentre raggiungo la cucina e cerco gli ingredienti per mettere insieme la mia celebre insalata, non posso fare a meno di pensare che Emanuele ha ragione: papà non potrà avere una relazione esagerata, se siamo in mezzo alla gente. Glielo dirò non appena avremo un attimo di privacy.



*



Milano, 4 novembre 2013


    Seguendo il consiglio di Tomo, sono giunto davanti alla porta della camera di mio fratello; ho bussato un paio di volte e ora sono in attesa di risposta. «Sì?» sento dire dopo qualche istante.
    «Servizio in camera» rispondo con un sorriso, pensando che se rispondessi dicendo il mio nome probabilmente verrei lasciato fuori come uno zerbino consumato.
    La porta si apre subito, rivelando l'espressione piatta di Jared. «Pensavi che non avrei riconosciuto la tua voce?» Non sembra di buon umore, ma il fatto che si sposti per lasciarmi entrare mi fa capire che non mi odia tanto da non volermi parlare – o forse una volta entrato sarò brutalmente aggredito e i pezzi del mio cadavere verranno ritrovati sparsi nei cassonetti di mezza Milano.
    «Ti sei riposato?» gli domando, restando in piedi al centro della stanza mentre lui raggiunge il letto, sul quale ha sparso fogli bianchi e appoggiato la chitarra. «Stavi componendo qualcosa? Ti ho disturbato?»
    «Ho suonato un pochino, messo insieme qualche nota. Niente di importante» risponde a bassa voce, come se la ritenesse davvero una cosa da poco.
    «Oh, bene, sono contento. Mi fai sentire?» gli chiedo, avvicinandomi di qualche passo.
    «Non è niente di importante, davvero. Ci voglio lavorare ancora un po'.»
    Vincendo la vocina nella mia testa che mi dice di allontanarmi e lasciarlo qui a cuocere nel suo brodo, mi siedo sul bordo del letto, verso il fondo, e gli punto addosso gli occhi, cercando il coraggio di comunicargli quello che provo. «Ho passato il pomeriggio con Daria» esordisco, pur sapendo che già conosce questa parte della storia. «Sono stato molto bene con lei. Non pensavo che sarei mai stato bene con una donna come lo sono stato con lei. È veramente una ragazza speciale. L'ho accompagnata a vedere un appartamento da affittare. Un appartamento piuttosto carino, una mansarda riadattata. Andrà a vivere lì, alla fine.» Faccio una breve pausa, ma Jared non sembra intenzionato a rispondere. «Jared, io penso di doverti dire che... beh, che credo di essere attratto da lei come non sono mai stato attratto da nessuna. È carina, è simpatica, è intelligente... è una ragazza speciale. So che l'ho già detto, ma non riesco a trovare altri aggettivi per descriverla. Dovresti conoscerla, ti piacerebbe.» Dall'altro lato del letto continua a non arrivare risposta, tranne qualche occasionale accordo che a volte viene trascritto su carta. A questo punto decido di cambiare strategia: mi sfilo le scarpe, che lascio cadere sul tappeto, e senza dire una parola di più mi stendo sul materasso, poggiando i piedi sul cuscino.
    Il silenzio la fa da padrone per cinque minuti, poi sento finalmente qualche parola – la voce di Jared è bassa, quasi come quella di Daria quando mi ha chiesto se credevo veramente nel nostro futuro, ma capisco ogni parola: «Shannon, che intenzioni hai con lei?»
    «Voglio rivederla. Vogliamo rivederci. Non chiedermi se ho progetti a lungo termine, se voglio sposarla o avere dei figli, perché non lo so. Tutto quello che so è che la chiamerò, le manderò delle e-mail, e compatibilmente con i nostri impegni la rivedrò. Lei è d'accordo con me.» Faccio un'altra pausa, ma di nuovo non ottengo risposta. «Quello che so per certo è che non lascerò la band per scappare con lei dall'altra parte del mondo. Non abbandonerò il tour a metà, questo è sicuro. E sicuramente non smetterò mai di essere tuo fratello. Anche se alla fine dovessi costruire qualcosa di importante con lei, non smetterei mai di esserci, per te.» Le dita smettono di comporre accordi, e i suoi grandi occhi azzurri, così diversi dai miei, si velano di una tristezza che non ho mai visto prima. «Sei tu l'amore della mia vita, ricordi?» aggiungo con un sorriso, ridestando in entrambi il ricordo di una vecchia intervista. «Quello che abbiamo tu ed io, nessuna storia d'amore lo potrà mai sostituire. Siamo fratelli, e questa è una cosa che non si può cancellare. Anche lei ha dei fratelli, e come noi non ha avuto una vita facile, e sono sicuro che su questo punto lei la pensi come me: nessuna relazione potrebbe cancellare quello che prova per loro. Volevo solo... ecco, volevo solo farti sapere che anche tra vent'anni, anche tra una vita intera, io... sarò sempre il tuo fratellone. Sarò sempre Shannon.»
    Due interi minuti di silenzio seguono la mia confessione, e quando finalmente sento di nuovo la voce di Jared, la frase che mi sento rivolgere è decisamente diversa da quella che mi aspettavo, e il tono decisamente più ironico: «Se davvero sono l'amore della tua vita, potresti farmi il favore di spostare i tuoi sudici piedi dal mio cuscino? Puzzano da morire



*



Torino, 4 novembre 2013


    Alle otto meno cinque attraversiamo il pianerottolo in fila indiana: Francesca in testa, a seguire Emanuele, e infine io. Come sempre quando ci aspetta per cena, nonna ha lasciato accostato il portoncino: entrando, mia sorella chiede permesso per pura formalità. Sapendo che nostro padre ci raggiungerà tra poco, lascio la porta come l'ho trovata, e seguo i miei fratelli verso la sala da pranzo. La nonna esce dalla cucina e ci viene incontro a braccia aperte, abbracciandoci e baciandoci nell'ordine in cui siamo entrati. Quando arriva il mio turno, dopo aver ricambiato il saluto le mostro l'insalata, sentendomi rispondere che non era necessario disturbasi. Raggiungo la cucina, dove zia Beatrice è impegnata a preparare una dose di salsa tonnata, e lascio il piatto sul lucido piano di lavoro. «Ciao, zia» la saluto, avvicinandomi subito alle pentole per capire quale sarà il menu della serata.
    «Ciao, pulce» mi risponde lei, fermando per un istante il mixer. «Cos'hai portato di buono?»
    «Insalata di formaggio, mele e sedano» rispondo. «Tanto per non venire a mani vuote, mi sentivo troppo in colpa. Posso aiutarti a fare qualcosa?»
    «No, in realtà è tutto a posto. Finisco di fare questa e siamo pronti. Che mi racconti? Tuo padre mi ha detto che l'altra sera sei andata ad un concerto. Ti sei divertita?»
    «Sì, è stato bello. Alice è venuta con me, ci siamo divertite tantissimo. Mi ci voleva una serata fuori.»
    Finisce di amalgamare il tonno alla maionese, pulisce il frullino e intanto mi guarda – anche se non la sto guardando direttamente, riesco a percepire i suoi occhi fissi sulla mia figura. «Sai che ti trovo diversa? Non so, hai qualcosa... hai qualcosa di diverso.»
    «In che senso?»
    «Nel senso... non so, sembri diversa. Tanto per cominciare, sei truccata. Penso di averti vista truccata sì e no dieci volte nella vita, e sicuramente mai in un giorno feriale.»
    D'istinto mi porto una mano alla guancia, ricordandomi del lieve strato di cipria e della matita nera che ho riesumato dalla busta dei trucchi, e sorrido. «Sì, sono uscita a fare un giro in centro e avevo voglia di mettermi un po' carina.» Il make-up non è mai rientrato tra le mie abilità: è mia sorella quella con la passione per l'abbigliamento, i capelli e il trucco – passione che comunque non la configura come ragazza venale o vuota, anzi: a volte sa essere più profonda di me. «Comunque ogni tanto mi trucco, non è un avvenimento» aggiungo, sperando di sviare l'attenzione dalla straordinarietà dell'evento. La verità è che volevo provare ad assomigliare alla Daria che Shannon ha conosciuto sabato, o almeno tentare di essere presentabile.
    «Sarà come dici. Non è che i tuoi giri in centro avevano a che fare con una... persona speciale, o qualcosa del genere? Franci mi ha detto che sabato sera hai fatto conquiste.»
    «Franci dovrebbe imparare a farsi gli affari suoi» ribatto un po' scocciata. Già sapevo che sarebbe andata a finire così: per quanto io adori mia sorella, so che affidare a lei un segreto è molto pericoloso.
    «Quel che è detto è detto, ormai. Allora, me ne parli o no? Ha detto che è uno studente straniero, dico bene?»
    «Americano» preciso, sperando di ricordare tutti i dettagli della bugia che ho rifilato a mia sorella. «Si chiama Sean, ha la mia età, è nato in Louisiana. Studia italiano, ma non è bravissimo a parlarlo. Mi ha lasciato il suo indirizzo e-mail e mi ha chiesto di scrivergli, tutto qui. Da qui a parlare di matrimonio, o qualunque cosa ti abbia detto mia sorella...» Anche se, diciamocelo, la prospettiva di passare il resto della vita al fianco di Shannon Leto non sarebbe così malvagia.
    Mia zia sorride, aprendo il rubinetto per sciacquarsi le mani. «Tranquilla, non si è fatta nessuna strana idea su te e questo misterioso americano. Da quel che ho capito, invidiava soltanto il modo assolutamente romantico in cui vi siete incontrati.»
    «Romantico... insomma. Se prendere a spallate la gente è da considerarsi un gesto romantico, io sono la regina d'Inghilterra.»
    «E dai, dalle un po' di tregua. È ancora una ragazzina, le piace sognare. Non è mica un reato.» Si stropiccia le mani in uno strofinaccio pulito e rimesta dentro un pentolone con un grosso cucchiaio di legno. «Comunque tu nascondi qualcosa, sai? Hai mente di combinarne una delle tue, te lo leggo negli occhi.» Rispondo con una battuta, cercando di sviare il discorso anche da quell'argomento: non voglio dire a nessuno della casa finché non ne avrò messo al corrente mio padre.



*



Milano, 4 novembre 2013


    Finita la tacita guerra che la comparsa di Daria aveva sollevato, mio fratello ed io abbiamo deposto le armi, e insieme a Tomo siamo scesi al ristorante. A pranzo ho mangiato un panino di corsa, perciò la fame mi impone di ordinare un sacco di cose, e di conseguenza mi ingozzo come se non ci fosse un domani. «Allora è vero che l'amore mette fame» mi prende in giro Jared, che come sempre affronta con calma i suoi piatti privi di proteine animali.
    «Ha parlato la mucca da pascolo» rispondo con la bocca piena, indicando la ciotola colma di insalata che ha davanti. «Io ho bisogno di proteine, sono un uomo di fatica» aggiungo, indicando poi me stesso e la cotoletta alla milanese che riempie il mio piatto.
    «Visto che sei un uomo di fatica» ribatte Tomo, che come sempre sta sezionando il suo cibo con una precisione quasi chirurgica, «perché non fai lo sforzo di raccontarci qualche dettaglio di oggi?»
    «Giusto!» esclama Jared, «non fai che parlare di questa ragazza come se fosse l'ottava meraviglia del mondo. Almeno le hai fatto una foto?»
    «Sì, ce l'ho una sua foto» rispondo. «Abbiamo chiesto a dei giapponesi di passaggio di scattarcene una. Ma non ho intenzione di farvela vedere.»
    «Stai scherzando, vero?» ribatte Tomo, strabuzzando gli occhi.
    «Sei consapevole che se non tiri fuori subito quella foto faremo un'incursione nella tua camera mentre dormi e ti ruberemo il cellulare?» aggiunge mio fratello. «E non credere, saremmo capacissimi di farlo.» Tomo annuisce, e dalla serietà della sua espressione capisco che non è il caso di rischiare: l'ultima volta che mi sono trovato in una situazione del genere tutte le mie scarpe destre sono sparite dall'armadio, e non è stato divertente mettermi a cercarle per ogni angolo della casa e del giardino.
    «E va bene, avete vinto» sbuffo, tastandomi le tasche. Ne approfitto per controllare l'ora: sono le otto e dieci. Calcolando che finiremo di cenare tra poco meno di un'ora, decido che chiamerò Daria verso le nove.
    Porgo l'iPhone a Tomo, che apre senza difficoltà la giusta cartella e cerca gli scatti tanto desiderati. «Sarebbe questa qui?» mi domanda, girando il telefono verso di me per mostrarmi l'immagine. «Beh, è carina. Decisamente carina. Capisco perché nella prima foto non riuscivi a staccarle gli occhi di dosso. Ha i capelli corti!» esclama poi. «Non è il tuo genere, di solito ti piacciono con i capelli lunghi.»
    «Nella vita si cambia» ribatto, continuando a mangiare. Quando l'iPhone finisce in mano a Jared, mi fermo per studiare la sua espressione nel vedere il viso della ragazza che mi ha conquistato.
    «Quanti anni hai detto che ha?» mi domanda, alzando lo sguardo su di me.
    «Ventitré» rispondo, un po' spaventato dal suo giudizio.
    «Non li dimostra» commenta lui. «Sembra più piccola. Gliene avrei dati diciotto, al massimo venti. Begli occhi, però.» E questo, detto da un uomo i cui occhi sono considerati oggetti di culto da un gran numero di donne e uomini in tutto il mondo, mi sembra un complimento non da poco. «Non riesco a capire se sono azzurri o verdi.»
    «Uno e l'altro» rispondo subito, senza pensarci troppo su. «Sono azzurri, ma alla luce del sole diventano verdi. È difficile da spiegare a parole, bisogna vederli dal vero per capire.» Jared mi restituisce il telefono, e io non posso fare a meno di fermarmi a guardare di nuovo il volto di Daria, perfetto nelle sue mille imprecisioni. «Dovreste conoscerla, è veramente una ragazza in gamba» commento, senza riuscire a smettere di guardare la prima fotografia, quella in cui il mio viso è rivolto verso di lei. «Ha solo ventitré anni, ma pensa e parla come una donna di almeno trenta. Ne ha già passate tante in vita sua, però non si è fatta buttare giù. È... è speciale, tutto qui. Non so come altro descriverla. So solo che stare con lei mi piace.» A fatica riesco a mettere via il telefono, ma la mia mente è ben lontana dal dimenticare l'immagine del suo volto. «Ha bisogno di essere costantemente rassicurata, ha sempre bisogno di sentirsi dire che sta facendo la cosa giusta, però non... non è fragile, per niente. È una delle persone più forti che abbia mai conosciuto. Sa camminare con le sue gambe, se capite cosa intendo. Non avrebbe bisogno di nessuno, ma non riesce a stare sola.»
    «Sicuro di aver passato con lei un pomeriggio appena?» mi chiede Tomo, lasciando perdere per un attimo la cena. «Sembra quasi... non so, sembra che tu la conosca da secoli.»
    «Mi sento così. Mi sento come se la conoscessi da sempre, forse perché... non lo so, credo che in fondo siamo molto simili. Abbiamo vissuto esperienze simili, ad entrambi è mancato un genitore, entrambi abbiamo dovuto lottare per guadagnarci un posto nel mondo... non lo so, io la guardo e... e vedo me, in un certo senso. Riesco a capire come si sente anche quando non dice nulla, riesco a capirla soltanto guardandola, e... non lo so, mi viene da pensare che forse lei mi può capire quanto io capisco lei. Forse è questo quello che mi è sempre mancato nei miei rapporti con le donne: non ne ho mai incontrata una in grado di capirmi.»
    «Devi rivederla» sentenzia Jared, lasciandomi di stucco. Nonostante abbia accettato la mia intenzione di provare ad avere una relazione con Daria, non mi sarei mai aspettato di vedermi così apertamente spinto verso di lei. «Devi rivederla, per forza» ripete, mettendo giù le posate per prendere il BlackBerry, sul quale inizia a digitare in maniera a dir poco furiosa. «Domani e mercoledì siamo impegnati, dobbiamo assolutamente metterci sotto a provare per il prossimo concerto. Giovedì mattina abbiamo l'aereo per Colonia, il pomeriggio per sistemarci e provare ancora un po', e il concerto è venerdì sera. La data successiva è a Francoforte, ed è il prossimo giovedì. Questo significa che... sabato, domenica e lunedì puoi considerarti più o meno libero. Puoi passare il fine settimana con lei e raggiungerci a Francoforte martedì, giusto in tempo per due giorni di prove.» Finito di parlare, alza lo sguardo e mi sorride. «Se lei è libera, direi che siamo a cavallo. È un ottimo piano.»
    «Fammi capire» commento, faticando a credere che mio fratello stia parlando sul serio. «Fino a due ore fa aborrivi l'idea che mi facessi una ragazza, e adesso mi stai organizzando gli impegni in modo da darmi la possibilità di trascorrere con lei tre interi giorni?» Non so perché, ma la cosa mi puzza. E questa volta i miei piedi non c'entrano.
    «Io non sto organizzando proprio nulla» ribatte lui. «Il tour è già tutto impostato, ho solo letto le tabelle. Casualmente ci sono tre giorni in cui non abbiamo impegni: tre giorni in cui sicuramente non faremmo altro che vagare come zombie per le strade della città. Tu hai l'occasione di trascorrere un bel po' di tempo con la ragazza dei tuoi sogni: vuoi farmi credere che la getteresti al vento senza nemmeno prenderla in considerazione?»
    Messa così, la questione assume un aspetto completamente diverso. Potrei partire sabato mattina presto, essere a Torino per l'ora di pranzo e passare con Daria tutto il fine settimana. Potrei cercare un albergo da poco, o qualcosa del genere, e... beh, certo, prima dovrei chiamarla per assicurarmi che sia libera. Per quanto ne so, potrebbe già avere altri piani, e non mi va di scombinarle di nuovo la vita – anche se, lo so, la vita ho promesso di rivoluzionargliela completamente. «Prima devo parlarne con lei» dico infine a Jared. «Se dipendesse da me, potrei partire anche questa sera, però non so quali siano i suoi programmi. Potrebbe avere altro da fare.»
    «Bene, allora chiamala» ribatte lui, in un tono che non ammette repliche.



*



Torino, 4 novembre 2013


    Alle otto e venti siamo tutti presenti, e alle otto e mezza riusciamo a sederci tutti a tavola. Quando undici persone si riuniscono attorno ad una tavola imbandita, è normale che si formino gruppi distinti, e dopo cinque minuti accade anche a noi di 'spaccarci' a metà: da un lato i cosiddetti adulti, che discutono di politica e attualità, dall'altro i giovani, che discutono di libri, musica, film e sciocchezze, e che almeno una volta ogni cinque minuti esplodono in una grassa risata collettiva. Lo ammetto: sono una ragazza seria e sono sempre stata considerata molto più matura dei miei coetanei, ma quando mi trovo nella compagnia giusta so regredire ad un vero e proprio stato adolescenziale. I miei fratelli e i miei cugini, in particolare, costituiscono quella che ritengo la compagnia 'giusta' per eccellenza.
    Mio cugino Massimo, il festeggiato, sta per compiere ventisei anni, ed è arruolato nell'esercito da quando ne aveva diciannove; è lui, con il suo sorriso permanente e il sovra sviluppato senso dell'umorismo, l'anima del gruppo; suo fratello Tommaso, più vecchio di me di sole due settimane, è più timido e impiega più tempo a farsi coinvolgere nell'ilarità, ma ha il vantaggio di essere il più carino della famiglia, nonché quello con più voglia di studiare – frequenta il Politecnico, ed è uno dei migliori studenti della facoltà di Ingegneria.
    Quanto a me e ai miei fratelli, non è che ci sia molto da dire: Emanuele è di sicuro il più intelligente, anche se la passione per i computer a volte lo isola in un mondo dal quale è molto difficile trascinarlo via; Francesca, al contrario, è più solare e spensierata, a volte quasi difficile da imbrigliare – mi piace pensare a lei come ad un fiume che scorre impetuoso in mezzo ad una valle, bellissimo da guardare ma impossibile da arrestare. Quand'era piccola credevo che non avrebbe mai trovato la sua strada, e invece crescendo mi ha sorpresa: non senza sforzo, è riuscita ad incanalare le sue energie nel disegno, e al momento tutto fa presagire che possa essere questa la strada perfetta per lei. E poi... e poi ci sono io, la sorella maggiore: dovrei essere la guida, l'esempio da seguire, ma dubito di aver mai fatto qualcosa degno di essere imitato. Io sono la più insicura, la più indecisa, quella che ha più bisogno d'aiuto. Il fatto di essere la più grande mi ha sempre spinta a fingermi la più forte, ma la realtà è che spesso i dubbi mi mangiano viva, e davanti alle questioni più importanti non so che direzione prendere.
    Approfittando di una mia breve assenza, Francesca ha messo al corrente anche Massimo e Tommaso del mio incontro di sabato; quando torno a sedermi trovo quattro paia d'occhi fissi su di me, e in quell'istante mi rendo conto che avrei dovuto negare, e dire che al concerto non era successo nulla, assolutamente nulla – questa bugia sta letteralmente dilagando, e la cosa non può che portare guai. «E brava la nostra cuginetta» esordisce Massimo, servendosi un altro generoso cucchiaio di insalata, «è bello sapere che ti dai da fare per mantenere vivi i rapporti internazionali.»
    «Non so cosa vi abbia raccontato mia sorella» ribatto un po' seccata, «ma non è successo niente di eccezionale. Un tipo qualunque non guardava dove camminava, mi ha sbattuto contro e ne ha approfittato per attaccare bottone. Mi ha lasciato il suo indirizzo e-mail, ma non so ancora se gli scriverò, quindi siete gentilmente pregati di smetterla di immaginare il nostro matrimonio.»
    «Quando ti metti così sulla difensiva, però...» commenta Tommaso con un sorriso. «Devi ammettere che è un po' sospetto, per una che dice di non essere interessata.»
    «Non mi lascerete stare finché non ammetterò di avere un interesse per quel tizio, dico bene?»
    «Hai centrato il punto, sorellina» annuisce Emanuele.
    «E va bene... dunque, ammetto di essere stata colpita dalle circostanze del nostro incontro, e ammetto di averlo trovato abbastanza interessante, quindi può darsi che mi tenga in contatto con lui. Tuttavia, siete pregati di smetterla di parlare di me e di lui come coppia, perché non lo siamo. La direzione vi ringrazia» concludo, tornando a concentrami sul piatto.



*



Milano, 4 novembre 2013


    Ho provato a chiamare Daria per ben sei volte, senza mai ottenere risposta. Al primo tentativo fallito ho pensato che non lo avesse sentito squillare, al secondo che fosse in un'altra stanza, ma al terzo ho iniziato a convincermi che non voglia parlare con me – anche se, devo ammetterlo, per un istante mi ha sfiorato la paura che le sia successo qualcosa di terribile dopo la partenza del mio treno.
    Mi sono rintanato in camera mia subito dopo aver finito di cenare, e dopo la sesta chiamata fallita sono uscito sul terrazzino con la sola compagnia delle sigarette, di un accendino e di un bicchiere pieno d'acqua che uso come posacenere. E se Daria avesse cambiato idea? Se la sua volontà di rivedermi fosse stata soltanto una bugia messa in piedi per il tempo della mia visita? E se la passione di quei baci fosse stata frutto di una simulazione? E se...
    No, mi dico, scuotendo la testa. Quei baci erano troppo veri per essere finti, le sue emozioni troppo incontrollabili per essere fasulle. Se non mi risponde, è solo perché non può – per quale motivo non lo so, ma non può. Lo vuole, ma non può.
    All'improvviso, quasi come in un film, dalle nuvole che si sono addensate sulla città inizia a piovere – e sembra quasi che la pioggia sciolga le cattive emozioni, lasciando che a riempirmi il cuore siano soltanto le cose belle. Appoggio la schiena al muro, guardo in alto e mi godo lo spettacolo delle gocce che precipitano giù.



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Torino, 4 novembre 2013


    L'occasione perfetta per dire a mio padre dell'appartamento arriva quando ci offriamo di sparecchiare e di preparare il caffè: siamo in cucina da soli e ci diamo le spalle – io sono impegnata a mettere via gli avanzi, mentre lui sta riempiendo diligentemente il filtro della caffettiera. «Papà, ho bisogno di parlare con te.»
    Anche se non lo vedo, lo sento voltarsi verso di me, distraendosi per un attimo dalla propria occupazione. «Mi devo preoccupare? Stai male, o...»
    «No, non ti preoccupare. Io sto benissimo. È solo che... beh, oggi non sono solo andata a fare un giro. Mentre ero fuori ho visto un appartamento che rispondeva esattamente alle mie richieste, e... beh, l'ho preso. Non ho ancora versato soldi né firmato contratti, però... ecco, ho dato la mia parola. Quindi io... quindi ho trovato casa, ecco.»
    «Ah. Beh, sono contento. Pensavi di non riuscirci prima dell'anno prossimo, invece...»
    Mi volto e fisso lo sguardo in un punto tra le sue scapole. «Scusa se ho fatto tutto senza dirtelo, papà. So che ci tenevi a saperlo con un po' di anticipo, ma ho dovuto decidere in fretta, e poi... beh, è perfetto.»
    «Non preoccuparti, pulce, sono contento» cerca di rassicurarmi, voltandosi per regalarmi una breve occhiata. Anche se si sforza di essere felice e brillante, riesco a vedere che nel suo sguardo è accumulata una grandissima tristezza. «In fondo era ora che qualcuno lasciasse il nido, no? E dimmi, dov'è questo appartamento?»
    «Via Maria Vittoria, quindi in pieno centro. Il palazzo è vecchio ma ben tenuto, e l'alloggio è stato ristrutturato da pochissimo. Era una mansarda, ma i proprietari hanno voluto farne un appartamento tanto per non lasciarlo vuoto. Sono una coppia di anziani, saranno sulla settantina. L'affitto è di trecentocinquanta euro al mese.»
    «Così poco?» si stupisce, avvitando la parte superiore della caffettiera alla caldaia. «C'è sotto qualcosa di losco?»
    «No, niente di losco. Semplicemente non gli va di lasciare lo spazio vuoto, però non hanno bisogno di soldi. Non ci vogliono guadagnare in denaro. Vogliono solo guadagnare dei vicini. Giovani, tra l'altro. Mi hanno spiegato che in lizza per l'appartamento c'era anche una coppia, ma che avrebbero preferito me per il fatto che sono giovane, mentre il palazzo è abitato in prevalenza da gente anziana.»
    «Sembra una vera favola, messa così» commenta lui, disponendo otto tazze su un vassoio – né la nonna né i miei fratelli bevono caffè, al contrario di me e papà, che siamo due caffeinomani nati – un po' come Shannon, tanto per trovare un altro punto in comune con lui. «Alice è venuta con te?»
    «No, ci sono andata da sola» mento, rendendomi conto soltanto dopo che la bugia potrebbe essere facilmente smascherata se mio padre parlasse con i Lorenzoli. «Ma non è stata una pazzia, te lo assicuro: sono più che sicura che quella sia la casa perfetta per me.»
    A questo punto, mio padre fa una cosa che non faceva da un sacco di tempo, e che allo stesso tempo mi fa venire voglia di urlare di gioia e mi lascia senza parole: senza dire niente mi abbraccia come quando ero bambina, passandomi le braccia dietro le spalle e facendomi dondolare lievemente come se stesse cercando di mettermi a dormire. «Non andrai mai troppo lontano, lo sai? Insomma, potresti andare sulla luna, però... sarai sempre la mia bimba» sussurra mentre ricambio l'abbraccio.
    «Lo so, papà.»
    «Quando vuoi traslocare?»
    «Non lo so, però credo il prima possibile. In fondo l'appartamento è già ammobiliato, oltre ai vestiti non è che abbia molto da portare. Mercoledì vado a firmare il contratto, a pagare i primi tre mesi di affitto e a prendermi le chiavi, e magari nel frattempo posso portare un borsone di roba.»
    «Dire che parti in quarta è dir poco» mi prende in giro, alzando il coperchio della caffettiera per controllare il processo.
    «Visto che mi tocca pagare per intero il mese di novembre, mi sembra giusto approfittarne.»
    «Tutta tua nonna» ribatte, trattenendosi a fatica dallo scoppiare a ridere. «Quando ci sono di mezzo i soldi... altro che storie, i ragionieri avreste dovuto fare!» La sua improvvisa allegria mi rassicura: se mi sta prendendo in giro, è perché si sente contento – perciò ha accettato la mia decisione meglio di quanto pensassi.



1Pioggia cadrà, e l'aria sarà più pulita in questa città dove tutto sembrava finire. | Il titolo del capitolo è ispirato ad un verso contenuto nella canzone Pioggia cadrà di Antonino, contenuta nell'album Libera Quest'Anima (2012).

   
 
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