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Autore: cartacciabianca    23/12/2013    3 recensioni
Lui era sempre stato un animale, il naufragio aveva solo peggiorato la sua natura e pensai che probabilmente sarebbe morto come tale.
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SPOILER sequenza 8 - ma consiglio di aver finito il gioco, non si sa mai :)
Genere: Commedia, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, Edward Kenway
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Violenza
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_Down among the dead men

3. Due topi in un barile di carne secca

 

 

— Sai cosa succede a due ratti che cadono in un barile di carne secca, Kenway? Sai cosa gli succede se invece di arrampicarsi sopra alla carne per uscire cominciano a mangiarla, fino all'ultimo bastoncino? Eh, Kenway, lo sai? No? Bhé, te lo dico io: ci restano secchi. Hai capito, Kenway!? Ci restano secchi! AHAHAHAH! —

Non mi spaventava l'idea che stesse impazzendo.

Secchi, Kenway! Ci restano secchi! I topi! Come la carne! AHAHAHAH! —

Mi spaventava l'idea che impazzissimo insieme.

— Molto divertente, Vane. Ora mi dai una mano con il fuoco? —

Gli davo le spalle, inginocchiato nella sabbia, e lo sentii smettere di ridere all'improvviso, come se per qualche ragione la mia richiesta lo avesse infastidito o, meglio ancora, come se si fosse strozzato; in ogni caso mi voltai e vidi che mi fissava senza espressione, seduto sul barile dell'acqua ormai ai suoi ultimi mestoli e sinceramente non sapevo come ricambiare la sua occhiata vaga. Sapevo solo che era più di un'ora che ascoltavo le sue stronzate mentre sfregavo come un ossesso due bastoncini, che a quel punto avrei voluto tanto piantargli negli occhi.

Condividevamo la stessa striscia di terra ormai da una settimana senza aver visto neanche la più piccola vela all'orizzonte, e contro ogni mia previsione la frutta, così come il cocco che Vane aveva sprecato tutto in una volta o l'acqua, (perché dopo quella al nostro arrivo non c'erano state altre piogge,) cominciava a scarseggiare. Mi aveva rinfacciato di avergli dato del poppante, ma intanto ero stato io l'unico a farsi in otto per provvedere a entrambi mentre lui se ne stava giorno e notte seduto su quel barile quasi fosse un'isola sull'isola. Se solo non avessi perso le mie lame celate... il pugnale ci mandava avanti, ma con quelle mi sarei potuto spingere fin nel cuore della foresta e ritorno senza timore di doverle usare. Immaginavo già la faccia di Ah Tabai mentre gliene chiedevo delle nuove…

— Sai, — cominciò di nuovo Vane dopo un lungo silenzio, grattando via del sale dal bordo del suo barile, — a Nassau girava voce di un pirata che è riuscito a fuggire da un'isola deserta cavalcando due tartarughe marine, legate assieme come una tavola. —

Sembrava davvero entusiasta delle sue parole, quasi ci stesse pensando anche lui, ma poi scoppiò in una grassa risata che lo piegò fino a terra.

— Che stronzata… — borbottò. — E tu, Kenway? Hai qualche idea stravagante per portarci via da qui? O piuttosto hai intenzione di mettere radici e accoppiarti con una delle scimmie locali? Hai visto che sguardi languidi che ci mandano da lassù, quelle bastarde? — guardò gli alberi attorno alla baia. — Non vedono l'ora di staccarci il collo a morsi… —

— Sono scimmie, Vane. Mangiano frutta, non carne. —

— In culo la frutta, gliela abbiamo mangiata tutta noi, quella! E adesso le bastarde vogliono il mio sangue… —

Risi. — Certo, come no! Avanti, idiota, vieni ad aiutar…! —

Mi ero distratto e mi ferii a una mano. Il taglio non era profondo, ma iniziò fin da subito a sanguinare e bruciare.

Mi alzai e lanciai con un ringhio che somigliava più ad un gemito i due bastoncini in mare, ma quelli, troppo leggeri per andare a fondo o più in là della prima banchina di alghe, riaffiorarono sulla spiaggia portati indietro dalla risacca. Poi andai lì e immersi la mano in acqua fino al polso, ignorando il bruciore ora più intenso che mai, e la pulii bene dalla sabbia sperando che non s'infettasse.

Il panorama caraibico era molto bello con le sue palme verdeggianti, le acque cristalline e la sabbia baciata dal sole, ma di notte il clima si capovolgeva completamente e anzi si stava più caldi dentro l'acqua. Ormai all'orizzonte mancavano pochi bocconi sul disco traballante del sole e se c'era una cosa davvero spiacevole, a parte morire di freddo nel sonno, era morire di freddo nel sonno sbranati da una cazzo di pantera. Un falò degno di quel nome avrebbe tenuto lontane le bestie, oltre a fare da faro nel caso una nave passasse di lì… ma quella mattina pur di cogliere un dannato mango avevo messo il piede su un ramo secco ed ero caduto dall'albero come un idiota, perciò avevo dolori in tutte le parti del corpo e sentivo che un altro minuto con quei bastoncini avrebbe potuto essermi più fatale di un giaguaro appeso alla gola.

— Niente fuoco 'sta notte, Vane. Faccio io la prima guardia. —

Dicendo così risalii la spiaggia verso una palma vertiginosamente inclinata e mi sdraiai sulla sua pancia, mentre gli ultimi raggi di luce mi scaldavano il viso. Alzai un braccio, parandomi gli occhi, e vidi che Vane, una sagoma nera e curva stagliata contro l'ultimo spicchio di sole, era ancora seduto sul barile. Iniziò a cantare una canzone che avevo già sentito in un paio di taverne, con quella sua voce profonda e così rocciosa che avrebbe potuto fare le scintille che ci servivano...

Avrei dovuto capirlo.

Avrei dovuto capirlo in quel momento che era pazzo e scappare, scappare io per primo e il più lontano possibile. Perché, ahah, altro che pantere! Adewale aveva ragione: Charles Vane era davvero la bestia più pericolosa che quell'isola avesse mai ospitato.

 

Nel cuore della notte sentii un grido e mi svegliai di soprassalto. Il mio ultimo ricordo era Vane che cantava un pezzo di cui avevo perso il nome e la sola idea che fossi riuscito ad addormentarmi con la sua voce crocidante da sottofondo mi mise addosso una certa quantità d'ansia: dovevo essere davvero molto, moooolto stanco, troppo, forse, per rispondere al pericolo coi dovuti riflessi.

— Maledetto bastardo! —

Era la sua voce, inconfondibile, a disturbare il silenzio della notte.

Allarmato, smontai giù dalla palma con un balzo e corsi sulla spiaggia con tanta foga che quasi inciampai nella sabbia. Vane era in cima ad un masso e impugnava un bastone contro qualcosa o qualcuno nascosto nei cespugli attorno a lui.

— Volevi fotterti la nostra acqua, eh, stronzo?! Vieni fuori e combatti da uomo, se hai le palle! —

Rimasi a bocca aperta. Non sapevo che fare, era la prima volta che si comportava così e sembrava davvero convinto che ci fosse "qualcuno", ma io vedevo solo...

— VANE! — gridai.

Lui sobbalzò e guardò nel buio verso di me con gli occhi grandi e cerchiati.

— È una scimmia, — dissi ora che avevo la sua attenzione.

Fiutando lo scampato pericolo, dal cespuglio balzò fuori una piccola scimmia cappuccina che si arrampicò agilmente sulla palma lì accanto e poi scomparve nelle tenebre.

— No, no, no, Kenway! Ti dico che ho visto qualcuno e ha cercato di uccidermi! Voleva la nostra acqua! —

Sbuffai e diedi un'altra occhiata.

Ma ora che aveva smesso di dimenarsi e gridare, il silenzio e la calma più assoluti.

— Qui non c'è nessuno, Vane. —

— Ssssssh! — sibilò facendomi il gesto di azzittirmi e per un altro po' rimanemmo in ascolto: il vento che scuoteva le palme, il mare che stendeva e ripiegava i suoi lenzuoli e, in lontananza, lo strano richiamo di un qualche uccello notturno.

— Bhé, — farfugliò Charles saltando giù dal masso, — allora scusa tanto se ti ho svegliato! "Faccio io la prima guardia!" Ahah! Certo! Sei crollato come Jack Rackham dopo il terzo giro di rum! Che sia maledetto… — gettò il bastone tra le fronde e mi superò tornando verso il suo barile.

— Vuoi che te lo ripeto? Era solo una scimmia. —

— Vuoi che te lo ripeto anch'io?! Qualcuno voleva la nostra acqua e tu non sei stato in grado di difenderla! Se non fosse stato per me che ci avevo le chiappe sopra a quest'ora non… —

Lo colpii, dritto in faccia.

Non mi sentii in colpa. Volevo farlo da troppo tempo.

Svenne ed io rimasi qualche secondo a guardare il punto in cui il suo corpo era sparito inghiottito dalle piante (c'era un ché di deludente in quella completa perdita di sensi) prima di prendere un respiro profondo e caricarmelo in spalla come un sacco. Lo adagiai ai piedi del suo barile e per quella notte non dormii più.

 

La mattina seguente non ricordava nulla, ma da quel momento non smise più di gridarmi addosso, per giorni, tanto che averlo nelle orecchie era diventata un'abitudine e quando un giorno, semplicemente, scomparve, ci misi un po' ad accorgermene.

Riparavo la rete da pesca che avevo fabbricato con alcune liane particolarmente resistenti e stranamente impermeabili. La baia era inondata di sole, la sabbia brillava come oro; avevo l'acqua trasparente alle caviglie e i pantaloni arrotolati sopra le ginocchia. Mi guardai attorno, notando forse per la prima volta il fruscio delle palme scosse dal vento, il richiamo degli uccelli, il rumore delle onde… e Vane non era lì, non era sul suo barile, sul trono dal quale mi aveva bacchettato come un sovrano assoluto giorno e notte, colpendomi con la sola forza delle parole, senza mai alzare un dito su di me, ma pur sempre di aggressione si era trattato.

— Che il Diavolo mi porti… — sussurrai, incredulo. Gettai la rete su uno scoglio e risalii la spiaggia a grandi passi. — Vane? — lo chiamai, e portandomi le mani attorno alla bocca lo chiamai più forte, ottenendo solo di spaventare uno stormo di pappagalli che se ne andò da una palma all'altra davanti ai miei occhi. Mi venne l'idea di cercare le sue orme sulla sabbia attorno al barile e le seguii: portavano dritte nel cuore della foresta, ma dopo una prima fila di alberi scomparivano nel terriccio, troppo compatto, inghiottite dalla vegetazione.

Non provai sollievo all'idea che se ne fosse andato lasciando finalmente in pace le mie orecchie sanguinanti, o almeno non subito. In un primo momento, anzi, lo aspettai, ansioso, seduto sul suo barile. Speravo davvero che tornasse, magari non a mani vuote; con della selvaggina, per esempio, acqua o della frutta decente…

Dopotutto non era un idiota: dividerci avrebbe reso la convivenza più semplice, certo, ma avrebbe dimezzato le nostre possibilità di sopravvivenza, che nella giungla si riducevano ad un terzo, e questo anche un bambino l'avrebbe capito. Perciò il fatto che Vane avesse infranto la regola non scritta di rimanere insieme mi turbava sopra ogni dire. Da una parte perché me ne sentivo responsabile, come diceva lui, e dall'altra… bhé… per lo stesso motivo per cui non gli avevo mai messo in mano il mio pugnale.

Semplicemente, non mi fidavo.

Non mi fidavo di nessuno a parte di me stesso, e non lo sapevo ancora, ma quella sarebbe stata la mia salvezza.

Quando arrivò il tramonto io ero scivolato a terra, la schiena contro il barile. Fissavo la mia ombra lunghissima sulla sabbia mentre comparivano già le prime stelle. La mia rete era ancora sugli scogli, e se non volevo che si rovinasse sarei dovuto alzarmi, tornare nell'acqua e toglierla da lì, ma le ossa, gli occhi erano così pesanti…

Quindi giunse l'oscurità, perché non avevo acceso neanche il fuoco, e il mio ultimo pensiero andò ai due topi nel barile. Li sognai mangiarsi tutta la carne e poi, una volta finita quella, mangiarsi a vicenda.

 

 

 

 

 

Spazio per la pazza:

Uhuhuhu! Che bello essersi finalmente tolti dalle scatole questo capitolo. L'avrò riletto almeno cinquanta volte e ogni volta cambiavo qualcosa, che fosse solo una virgola o una frase intera ci rimettevo sempre le mani, mai soddisfatta.

La causa scatenante di ciò è stata la decisione di dividere Charles ed Edward già dalla fine di questo capitolo. Nella mia mente i due avrebbero dovuto passare un po' di tempo insieme prima di arrivare a questo punto della trama ed io volevo parlarne più approfonditamente, ma poi mi sono accorta di non avere episodi o idee significative con cui impolpare questo periodo di tempo. Infatti, oltre ad esserci un esorbitante salto temporale di una settimana dal capitolo precedente a qui, ho affidato al narratore (Edward) il fardello di sintetizzare qualche altro giorno con un generico "ma da quel momento non smise più di gridarmi addosso, per giorni, tanto che averlo nelle orecchie era diventata un'abitudine", a cui segue la descrizione di una scena a cui sono molto affezionata, ovvero quella che mi ha dato l'idea per questa storia: Edward che si accorge in ritardo della scomparsa di Vane.

 L'episodio della scimmia avrà un certo peso, più avanti, e già che ci sono vi chiedo anche di tenere a mente lo scheletro del signor Roland e il suo amico immaginario Wilson, eheh, forse non così immaginario…

Ho fatto una modifica all'intro aggiungendoci un estratto del prossimo capitolo, dove ne vedremo delle belle davvero, quindi spero che nonostante la tragicità di tutta la sequenza 8 la mia storia vi strappi un sorriso. Non a caso ho classificato la fan fiction anche sotto "commedia".

Ora vi lascio la parola, carissimi recensori e lettori anonimi,

cartacciabianca

 

 
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