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Autore: Pandora86    24/12/2013    5 recensioni
Mito raggiunge Hanamichi in clinica durante la riabilitazione con l'assoluta convinzione che sarà un'estate come un'altra.
Una persona che però non aveva mai considerato farà crollare le sue convinzioni riuscendo a sconvolgere i lati più intimi del suo essere.
Come si comporterà Mito quando si troverà ad affrontare sentimenti che non aveva mai preso in considerazione?
Continuazione de "Il tuo vero volto" incentrata però su Mito.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Akira Sendoh, Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa, Yohei Mito
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Eccomi con il nuovo capitolo.
Ringrazio chi ha recensito quello precedente e chi continua a inserire la storia tra le preferite, ricordate e seguite!
Ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Buona lettura.
 
 
 
Capitolo 18.
 

Rukawa entrò nella stanza con un unico obiettivo: raggiungere al più presto il letto.

Erano le cinque del mattino passate e considerati i suoi standard sulle ore di sonno che era solito fare, capì di averli superati ampiamente.

Distrattamente, si tolse la maglia e poggiò la testa sul cuscino chiudendo gli occhi. La fuga dalla clinica era stata rocambolesca.

Sendoh, dopo essere uscito, era rientrato velocemente pochi minuti dopo.
 
 
“Mi dispiace interrompervi, ma è suonata una chiamata dalla stanza accanto alla tua Sakuragi” aveva detto per risposta alle loro facce interrogative.

“Nascondetevi dietro il separé” li aveva esortati allora Hanamichi.

“C’è la probabilità che il medico si possa affacciare anche nella mia, dato che ieri ho chiesto un antidolorifico”.

Rukawa lo aveva guardato preoccupato. Hanamichi non aveva detto che gli avevano dato un antidolorifico; aveva detto che lo aveva chiesto.

Una persona orgogliosa come lui che chiedeva. Poteva significare solo una cosa: che quel ricovero, indispensabile per arrivare alla riabilitazione vera e propria, era più difficile di quanto avesse lasciato loro intendere quella sera.

Erano questi i suoi pensieri quando Sendoh, notando che non si muoveva, lo aveva afferrato per la maglia e trascinato con lui dietro il separé.

“La sedia!” aveva fatto loro notare Sakuragi e il numero sette, con uno scatto da vero sportivo, l’aveva immediatamente rimessa a posto.

Rukawa, recuperando il suo sangue freddo, aveva afferrato lo zaino e il disegno portandoli con sé.

Erano passati alcuni minuti dove l’unica speranza, nel caso il medico passasse a visitare il paziente, era quella che non notasse le scarpe dato che il separé non copriva la visuale fino a terra.

Hanamichi aveva saggiamente spento la luce; il problema era che se l’avesse accesa il medico avrebbe notato le loro ombre.

Maledetti divisori bianchi! Aveva imprecato mentalmente Rukawa.

Tuttavia, per loro fortuna, erano passati dieci minuti e il medico non si era fatto vedere.

“Credo che possiate uscire” aveva detto Sakuragi.

“Di solito, si trattiene poco nella stanza accanto” aveva spiegato loro, accendendo la luce.

“Credo comunque che vi convenga uscire dalla finestra!” li aveva guardati serio, facendo forza sui gomiti per alzarsi.

“Do’hao, che cazzo dici?” era allora sbottato Rukawa.

“Che il medico potrebbe essere andato via, come potrebbe ancora essere nella stanza accanto e voi dovete approfittarne!” aveva sostenuto il suo sguardo Hanamichi.

Il tono era stato duro e l’espressione era quella di chi non voleva essere contraddetto.

Sakuragi, infatti, sapeva bene quanto loro rischiassero a causa di quella piccola visita notturna.

“Ha ragione lui” era intervenuto Sendoh.

“Oh, che onore! Il porcospino che mi da ragione. E adesso muovetevi” si era poi alzato, avvicinandosi alla finestra a passo malfermo.

Il dolore che provava era stato evidente sulle smorfie che il numero dieci cercava di trattenere.

Rukawa aveva fulminato Sendoh con lo sguardo.

Maledetto lui e le sue idee del cazzo!

Maledetto lui e le sue pensate idiote!

Persino un ceco avrebbe notato che Hanamichi era stato chiaramente barcollante quando aveva raggiunto la finestra.

Anche Sendoh doveva averlo notato ma conoscendo l’orgoglio smisurato del numero dieci aveva fatto finta di nulla e si era trattenuto dal dargli una mano.

Almeno questo! Aveva pensato Rukawa agendo nello stesso modo.

D’altro canto non aveva il tempo per mettersi a discutere con il do’hao (e, in quel caso, mai soprannome era più appropriato).

Che non volesse una mano era stato chiaro dall’espressione; nonostante non fosse riuscito a reprimere le smorfie di dolore, dalla sua bocca non era uscito neppure un lamento.

E, considerata la situazione che stava vivendo, Rukawa si era sentito in dovere di rispettare la sua volontà.

Perché per lui poteva essere una bazzecola dare o no una mano al numero dieci per camminare.

Per Hanamichi, che doveva sentirsi peggio di una tigre in gabbia, era invece fondamentale visto e considerato lo stato di immobilità in cui si trovava.

Sicuramente, si sentiva inutile bloccato com’era in quella clinica.

Motivo per cui, Rukawa non lo aveva aiutato ne aveva fiatato.

Avevano poi agilmente scavalcato la finestra, Sendoh per primo, Rukawa per secondo.

Solo uno sguardo, solo un leggero sfiorarsi di mani prima di andare via.

“Adesso dovete correre!” aveva detto loro Hanamichi, titubando un istante prima di chiudere la finestra.

Un ultimo sguardo rivolto al numero undici, prima che la finestra fosse definitivamente chiusa.

Un’ultima occhiata dove Rukawa aveva letto tanti sentimenti messi assieme, amore, tristezza, rammarico, malinconia e talmente tanti altri tanto da non riuscire a catalogarli, prima di volgere definitivamente gli occhi altrove.

Poi, avevano corso.

Senza un ultimo sguardo.

Senza un saluto.

Avevano solo corso, sperando di essere talmente veloci da non farsi notare visto che neanche l’oscurità era dalla loro parte.

Maledetta estate dove albeggiava prestissimo!

Questo aveva pensato Rukawa mentre correva.

Erano poi arrivati alla pensione e neanche lì avevano avuto problemi.

Rukawa aveva voltato le spalle al numero sette, incazzato come non mai, quando si era sentito chiamare.

“Grazie! So quanto ti è costato” aveva detto il numero sette con sguardo fiero, porgendo la mano.

“Fa in modo che ne sia valsa la pena!” aveva liquidato la faccenda Rukawa stringendo la mano per poi dirigersi verso la sua stanza.

E ora era lì, a pensare a Hanamichi e alla quantità di informazioni inaspettate che aveva ricevuto su Mito.

D'altro canto, quei due erano troppo legati, per essere solo degli adolescenti.

Ecco spiegato lo sguardo maturo di entrambi.

Ecco spiegato il comportamento protettivo che avevano uno nei confronti dell’altro.

Ripensò ai brevi istanti che era potuto stare da solo con Hanamichi.
 
 
“Nh” aveva mugugnato Rukawa leggendo, nello sguardo di Hanamichi solo tanta preoccupazione.

“Li tengo d’occhio io” lo aveva rassicurato.

In realtà, non lo faceva per altruismo, doveva ammetterlo.

Lo faceva perché voleva essere parte di Hanamichi, parte della sua vita come lo era, se non di più, l’armata.

Voleva esserci dove lui non c’era, rappresentando così la sua parte mancante.

Sì!quello era egoismo allo stato puro, in effetti. Ma non voleva assolutamente essere lasciato fuori dagli affari del do’hao, qualunque essi fossero.

Non ora che il loro legame stava diventando così speciale.

Voleva che Hanamichi si fidasse di lui, che lo considerasse una spalla dove piangere ma anche dove appoggiarsi quando non ne poteva più.

“Grazie!” gli aveva detto il numero dieci con sguardo pieno di gratitudine.

E Rukawa aveva visto il suo sorriso; quello vero.

“Grazie a te” non era riuscito a trattenersi il numero undici.

Hanamichi aveva alzato un sopracciglio guardandolo scettico.

“Di cosa?!” aveva domandato e Rukawa avrebbe risposto se non fosse entrato Sendoh.

Grazie per esserci, grazie per aver portato nella mia vita una luce nuova, grazie per avermi accolto nel tuo mondo… grazie per tutto questo e per molto altro.

Questo avrebbe voluto dirgli ma non aveva fatto in tempo.

Era dovuto andare via senza poter indagare su quello che più gli interessava.

Era dovuto andare via senza poter chiedere delucidazioni sulle condizioni di Hanamichi.

Sapeva che il numero dieci avrebbe minimizzato; in fondo, non aveva detto loro dell’antidolorifico proprio quando stavano andando via e per una ragione totalmente diversa dall’informare i visitatori sul suo stato di salute?

Lo aveva detto perché non aveva scelta; il sospetto che il medico potesse entrare nella sua stanza era divenuto quasi certezza dopo quell’informazione, e loro si erano ritrovati a dover andare via velocemente senza avere null’altro di quello che avevano ottenuto quella sera: il passato di Mito.

Solo ed esclusivamente il passato di Mito; era questo, quello che avevano ottenuto. Era questo, quello con cui Rukawa se ne era andato; né più né meno.

In pratica, lui e Sendoh avevano avuto solo quello che Hanamichi era stato intenzionato a dare loro.

Erano lì per Mito e con sole ed esclusive informazioni su Mito erano andati via.

Nessuna notizia su di lui, né su come se la passasse, né come stava.

Neanche una banalità, tipo quanto faceva schifo il mangiare della clinica.

Hanamichi poteva essere ingenuo quanto voleva ma quando si trattava di lui e del suo maledettissimo orgoglio, diveniva il manipolatore tra i manipolatori.

Aveva anche sorvolato la domanda di Sendoh su come stesse in realtà, rigirandola abilmente pur di non dover dire quanto fosse duro stare lì dentro.

Tutto per dimostrare a se stesso di essere forte; tutto per dimostrare a se stesso di essere indipendente.

Ma Rukawa non l’avrebbe più permesso.

Questo era uno dei lati che più amava di Hanamichi ma quando era troppo era troppo.

Quando il soggiorno nella clinica fosse finito, allora Rukawa lo avrebbe costretto, se necessario, ad accettare il suo aiuto che Hanamichi lo volesse oppure no.

Di certo, non lo avrebbe fatto lavorare; in questo, sapeva che avrebbe avuto l’appoggio
di Mito.

D’altro canto, una piccola informazione al do’hao l’aveva strappata, anche se questa era uscita fuori legata sempre al discorso su Mito.

Non so stavolta come ne usciremo.

Questo aveva sussurrato Hanamichi, più a se stesso che a loro.

Di sicuro, dentro la sua testa stavano prendendo vita le idee più strampalate.

Se si aggiungeva che in quella clinica non c’era molto da fare, allora era sicuro che le idee di Hanamichi avrebbero raggiunto livelli stratosferici di idiozia.

A Rukawa venne in mente quando il do’hao, nella settimana di assenza dello Shohoku, aveva accettato di uscire con la babbuina, alias sorella del capitano.

Il motivo, ovviamente, lo aveva capito solo lui!

Strinse i pugni con rabbia a quel ricordo.

Lui si allontanava una settimana e il Re degli imbecilli usciva con la sorella del capitano perché- aspetta, com’era?- ah, sì! Voleva dimostrare a se stesso i suoi sentimenti verso la super matricola.

O perlomeno, questo gli era sembrato di capire!

All’epoca, neanche Mito era riuscito a dissuaderlo.

Certo, gli era andato dietro rovinando, a detta del do’hao dei do’hao, il suo appuntamento!

Solo che, sempre all’epoca, aveva la mente impegnata dai ventimila tiri.

Adesso invece, cosa mai sarebbe riuscito a cacciare fuori per uscire, da solo, da quell’ennesimo problema?

Non ha importanza! Si rispose poi Rukawa mentalmente.

Perché lui ci sarebbe stato!

E poi, adesso aveva anche un altro problema da risolvere o, quantomeno, prendere in considerazione.

Poteva davvero fidarsi di Sendoh?

Hanamichi sembrava convinto di sì.

D'altro canto, lui considerava le cose con un unico metro di giudizio, in pratica quanto
Sendoh sembrasse tenerci a Mito.

E la risposta, visto quanto Sendoh avesse fatto quella notte, veniva da sé.

Lo stesso aveva fatto anche Mito con lui stesso.

Il problema vero era che però Mito lo aveva fatto avvicinare al do’hao, suggerendogli di seguirlo, senza dargli neanche un’informazione sulla meta.

Ricordava bene quel discorso; Mito non gli aveva detto quasi nulla ma solo indicato come agire.

Dovrai essere forte!

Queste erano state le parole del ragazzo allora.

Mito non si era preoccupato di sconvolgerlo ma anzi lo aveva ritenuto necessario, mandandolo in quel cimitero senza prepararlo minimamente.

Lo riteneva uno scotto necessario per potersi anche solo avvicinare al do’hao.

Dubito che tu ne abbia, in effetti!

Gli ritornò in mente la voce di Mito mentre diceva questa frase.

Ovviamente, si riferiva ai suoi nervi.

Il perché aveva agito così ora Rukawa lo capiva.

Mito avrebbe semplicemente potuto parlare come aveva appena fatto Hanamichi quella sera eppure, non lo aveva fatto.

Lo aveva messo alla prova, ma la vera prova non era stata reggere la conversazione con lui, quanto non crollare di fronte a un Hanamichi completamente perso nel suo mondo mentre parlava a due lapidi.

Era stata quella la vera prova.

Ora Rukawa lo capiva e si spiegava anche il perché.

Mito conosceva Hanamichi come le sue tasche.

La forza che lui aveva sempre solo intravisto nel numero dieci, Mito invece la conosceva bene.

Di conseguenza, per stare accanto a lui doveva dimostrare una forza d’animo eguale.

Invece, Hanamichi, quella sera, aveva agito in modo totalmente diverso.

Perché?

Era questa la domanda di Rukawa, a quel punto.

D’altro canto, sapeva anche di non poter lasciar perdere; aveva fatto una promessa al suo (suo, che bella parola) do’hao e l’avrebbe mantenuta.

Ma come avrebbe reagito Mito quando avrebbe saputo della loro escursione notturna?

E Sendoh, invece, come aveva intenzione di gestire tutte quelle informazioni?

Quel pensiero lo fece aprire gli occhi di scatto; non aveva pensato a una cosa fondamentale nel suo ragionamento.

Hanamichi aveva raccontato la storia di Mito, vero, ma non aveva dato nessuna informazione su come gestire quelle notizie.

Nessuna informazione.

Il mio do’hao manipolatore! Pensò Rukawa con un sorriso affettuoso.

Mito in passato gli aveva detto cosa fare non dando nessuna informazione su quello che avrebbe visto.

Hanamichi, invece, aveva fatto il contrario.

Non contava l’escursione notturna di Sendoh; la vera prova del numero sette sarebbe cominciata solo dopo, in pratica, quando si sarebbe ritrovato faccia a faccia con Mito.

Perché Hanamichi essendo bloccato in quella clinica, non aveva altro modo per proteggere il suo amico, se non in quel modo.

Chissà se Sendoh se ne è reso conto! Pensò ancora Rukawa.

La situazione, in effetti, appariva ancora più complicata rispetto a quando non sapevano nulla!

A quel punto non restava che vedere come sarebbero andate le cose.

Di certo, ipotizzò Rukawa, Sendoh non sarebbe andato da Yohei a quell’ora.

A meno che non volesse andare a fare compagnia a Hanamichi.

Sì, di sicuro gli parlerà nella serata, magari dopo essersi sistemato nella nuova pensione!

Questa era l’ipotesi di Rukawa, che chiuse gli occhi lasciando che il sonno si facesse strada in lui.

Il numero undici però non poteva neanche lontanamente immaginare quanto si stesse sbagliando.
 

***
 

Sendoh fissava pensieroso il soffitto.

Dopo la corsa rocambolesca dalla clinica, aveva ritenuto doveroso ringraziare Rukawa per la sua disponibilità poi si era diretto nella sua stanza con tutta l’intenzione di pensare a quanto aveva saputo e decidere quindi la sua prossima mossa.

Hanamichi gli aveva dato più di quanto sperasse; un giorno o l’altro lo avrebbe ringraziato come si doveva.

Ripensò ai capelli del numero dieci dello Shohoku alla luce delle nuove informazioni ottenute; chissà di che nazionalità era realmente.

Comunque, non era questo il suo problema.

Mito.

Guardò sul comodino alla sua destra, dove era poggiato il peluche e ripensò alle sue mani fredde; mani che potevano creare dei capolavori. Mani che avrebbe voluto riscaldare con le sue.


Ombra.


Rifiuto.


Ora tutto quadrava.

O forse, non proprio tutto ma la gran parte del puzzle.

Yo ha avuto quella faccia solo due volte da quando lo conosciamo!

Queste erano state le parole di uno dei componenti dell’armata.

Quali erano le altre due volte?

Possibile che c’entrasse il padre?

Il numero sette non lo escludeva a quel punto.

Mito così freddo e distaccato; Mito così calmo e riflessivo.

Ora Sendoh sapeva che quella era tutta una maschera che il ragazzo aveva creato attorno a se, ma non per difendersi quanto per dimostrare a se stesso di essere forte.

Non si era sbagliato quando aveva ipotizzato che Mito fosse testardo e orgoglioso allo stesso modo di Sakuragi.

Perché Mito sembrava voler fare di tutto per non dimenticare.

Lo dimostravano le frasi con cui lo aveva liquidato; Mito continuava a considerarsi un’ombra ed era questo il problema, ora Sendoh lo capiva.

Mito non solo si continuava a considerare un’ombra ma addirittura voleva continuare a esserlo.

Per questo non voleva dimenticare.

Voleva essere forte, voleva dimostrare a se stesso e agli altri di non essere minimamente turbato dalle sue vicende.

Non sono io ad avere dei problemi!

Era stata questa la frase che aveva sentito la prima volta che erano riusciti a parlare civilmente.

Mito non si era accorto della sua presenza e aveva espresso quel pensiero ad alta voce.

Ora Sendoh capiva la vera gravità della questione.

Mito rifiutava a priori di ammettere di avere dei problemi eppure non sembrava intenzionato a dimenticare.

Un’ombra non ha problemi.

E Mito era intenzionato a continuare così.

Per non creare problemi ma neanche per averne.

Per non dover dare nulla ma neanche ricevere nulla.

Voleva fermare la sua vita a quello che aveva, senza aggiungere niente e nessuno; e se avevi la fortuna di essere come Sakuragi, con il quale era cresciuto e che considerava parte integrante di sé, allora andava bene.

Se, al contrario, eri qualcuno che veniva dall’esterno, allora ti potevi scordare di entrare nella mente e nella vita di Yohei.

Così stavano le cose ed era a questo che Sendoh avrebbe dovuto porre rimedio.

Come fare, però?

Andare da Yohei tenendo presente quanto aveva detto Sakuragi, ma facendo lo gnorri di
fronte all’altro oppure andare da lui e spiattellargli tutto e insistere fino a quando Yohei non avesse ceduto?

Il numero sette non lo sapeva, però di certo gli appariva chiaro che, in entrambi i casi, sarebbe stata una lotta di resistenza.

Inoltre, Sakuragi non aveva detto nulla a riguardo, lo aveva solo rassicurato sui suoi sentimenti e Sendoh valutò, a quel punto, che l’altro l’avesse fatto di proposito.

Lo lasciava libero di agire.

Questa libertà però era un’arma a doppio taglio.

Sakuragi in realtà lo stava mettendo alla prova; in fondo, era stato chiaro a proposito.

Lo aveva specificato che lui avrebbe solo dato le informazioni; il resto Sendoh se lo sarebbe dovuto sudare.

Ma Sendoh non era intenzionato a tirarsi indietro, ora più che mai.

Il giocatore guardò l’ora: erano le sei e un quarto del mattino.

Troppo presto per andare da Mito eppure non aveva altra scelta; non poteva accantonare tutto a dopo il ritiro o agire quando era con la nazionale.

Di certo, durante il ritiro si sarebbe potuto allontanare ma, per un discorso di quell’importanza, non poteva rimandare ancora.

Fu con uno scatto da vero sportivo che si diresse alla porta; non aveva alternative.

Anche se non sapeva cosa fare, doveva vedere Yohei e poi avrebbe pianificato man mano.

In fondo, era o non era un campione?
 

***
 

Mito sbatté ripetutamente le palpebre mettendo a fuoco la stanza.

Sentì ripetutamente bussare alla porta e guardò l’orologio: le sei e venti.

Chi diamine era a quell’ora?

Si domandò alzandosi.

Non credeva fosse qualcuno che recapitava una telefonata dalla clinica; proprio la sera precedente aveva chiamato e gli era stato confermato che tutto procedeva bene.

Inoltre, la bussata non era tanto di quelle urgenti ma più di quelle insistenti.

Se è Noma, lo ammazzo! Pensò, aprendo distrattamente la porta e sbadigliando vistosamente.

Di certo, tutto si aspettava tranne la figura che gli si parò davanti, una volta aperto.

“Tu?!”
 

Continua…
 
Note:
 
Questo capitolo è tutto introspezione.

Ho ritenuto necessario fare un salto nei pensieri di Rukawa e Sendoh dopo la visita a Sakuragi, per far vedere come entrambi hanno assimilato le informazioni ottenute.

Inoltre, ho volutamente lasciato da parte i pensieri di Hanamichi che saranno ripresi nel capitolo successivo.

Spero di non avervi annoiato troppo.

Mi raccomando, attendo ansiosa i vostri commenti.

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui!

Ci vediamo martedì prossimo con il nuovo capitolo!

Pandora86
 
 
  
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