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Autore: _Ineedahug_    24/12/2013    10 recensioni
“Magari se ti levi quei culi di bottiglia dagli occhi, tagli quella zazzera, bruci quei pullover infeltriti, e vendi quella biblioteca che dicono ti ritrovi per camera, potremo riparlarne.”
Quando la ragazza se ne fu andata, Zayn fece ciò che di più sbagliato poteva fare.
Genere: Generale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Spero vi piaccia, vi pregherei di leggere anche lo spazio autrice.
buona lettura.

M;




Love change everything


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  “Magari se ti levi quei culi di bottiglia dagli occhi, tagli quella zazzera, bruci quei pullover infeltriti, e vendi quella biblioteca che dicono ti ritrovi per camera, potremo riparlarne.”
La guardò andar via, ancora una volta.
Non riusciva a pensare, a reagire, a muovere un passo ne a proferire parola.
Semplicemente guardava i suoi lunghi boccoli biondi ondeggiare a destra e poi a sinistra delle esili e candide spalle, mentre si allontanava.
Quando finalmente non gli fu più concesso vederla, da dietro la porta dell’aula, potè tornare a ragionare, a pensare.
Beh, almeno stavolta le aveva dato una motivazione.
Almeno stavolta la risposta non fu un sonoro schiaffo in pieno volto, come tre anni prima.
Ma, si sa, le parole possono far più male di un ceffone.
Zayn lo sapeva bene.
‘se ti levi quei culi di bottiglia dagli occhi, tagli quella zazzera, togli quei pullover infeltriti, ne riparliamo.’
Ripetè tra sé.
Capì che non poteva continuare.
Dopo quattro anni, finalmente capì che doveva fare qualcosa, se davvero l’amava –come aveva sempre ritenuto-.
Ma non è una presunzione affermare di conoscere il significato della parola amore?
Questo Zayn Malik non lo sapeva. L’unica cosa di cui potesse essere sicuro era il fatto che l’attrazione provata dal 2° liceo –ad oggi- per Ashley Benson era del tutto nuova, per lui.
La più forte che un ragazzo come lui, fondatore del club d’astronomia del liceo, avesse mai potuto provare.
Cosa fece?
La cosa più sbagliata che potesse fare.
Si avvicinò alla pattumiera, si tolse con rabbia i suoi spessi occhiali, gettandoli nel cesto, sulle rose buttate poco prima dalla capo-cheerleader.
Le rose che lui gli aveva regalato, con la paghetta del padre.
Sfilò il pullover verde bottiglia scolorito, gettandolo insieme agli occhiali.
Sbottonò i primi due bottoni della camicia a quadri blu e rossa, spettinò i capelli a discapito della lacca con cui erano rigorosamente ordinati.
Da oggi si cambia Malik, da oggi è tutto diverso.
Disse tra sè, raccogliendo lo zaino nero appoggiato ai lati di una colonna del cortile.
Lo issò in spalla, camminando deciso verso il grande cancello grigio d’uscita.
Andava controcorrente, la campanella aveva appena fatto scattare l’inizio delle lezioni, tutti gli alunni del liceo scientifico privato “Immanuel Kant” si accingevano ad entrare, spintonandolo, ma lui continuò a rigare dritto tra la massa.
Non aveva mai marinato la scuola, non sapeva neanche cosa significasse.
Non era popolare, per niente, eppure molti si voltarono verso di lui: il pettegolezzo dello sfigato di 4° C che ci aveva appena provato -per la seconda volta- con la ragazza più popolare della scuola era già sulla bocca di tutti.
Ma lui oltrepassò la cancellata, senza voltarsi né parlare a nessuno, sentendo il vociare sbiadire con l’aumentare dei passi.
Dopo aver svoltato l’angolo si fermò, osservando un cartello pubblicitario.
Lo vedeva tutti i giorni, raggiungendo e lasciando l’istituto, ma non aveva mai letto oltre il titolo, perché non erano argomenti a cui si interessava.
Ma come si era promesso, da quel fresco martedì di fine settembre tutto si sarebbe evoluto, ed ora eccolo, ad informarsi sulla posizione di una palestra da un cartello pubblicitario affisso malo modo al muro di un’abitazione abbandonata.
Inserì l’indirizzo riportato in basso a destra sul navigatore del suo IPhone 6 (avuto in anteprima, tramite le conoscenze del padre) e attese il caricamento di google maps.
Secondo quanto stimato dal cellulare la palestra distava appena 10 minuti dalla sua posizione attuale. Poco, pensò.
Alternando lo sguardo dalla strada allo schermo luminoso seguì le indicazioni, arrivando esattamente in 9 minuti dinanzi all’enorme capannone bianco.
Spinse con forza –la poca che aveva- la porta d’ingresso, che scricchiolò leggermente.
Avvertì immediatamente la puzza di sudore, all’interno dell’edificio poco illuminato e abbastanza malandato.
“Ti sei perso?”
Una voce roca attirò l’attenzione del ragazzo, che sussultò, quasi impaurito dalla forma fisica dell’uomo.
Certo, se un mostro del genere possa definirsi uomo.  Nonostante Zayn l’avrebbe giudicato pressappoco della sua età, non si somigliavano per niente, i due.
“V..voglio allenarmi.”
Disse titubante, cercando in realtà di convincere più se stesso che l’energumeno.
“D’accordo novellino. Facciamo una prova. Và a cambiarti, prima porta a destra. Tra 5 minuti in sala attrezzi.”
Deglutì lentamente, spaventato dalla nuova situazione, e non avendo idea di come dirgli che quelli che indossava erano gli unici abiti che possedeva al momento.
“Ah, da oggi sono il tuo coach, nonché personal trainer. Sarai una sfida novellino, e questo mi piace.”
Il suo sorriso malizioso lo inquietò ulteriormente, per non parlare dei suoi occhi cioccolato (che, magari in un universo parallelo, avrei potuto definire di carattere dolce) prima che la massa di muscoli si voltasse verso il ring che troneggiava nell’alto capanno.
Ripensò un attimo a dove fossero gli spogliatoi, entrandovi.
L’odore di sudore era ancora più insistente in quella stanza, in più c’era una puzza di piedi nauseante.
Lasciò cadere lo zaino sulla panca, per poi abbandonare anche se stesso con un sospiro sul ferro rosso.
Chiuse per un istante le palpebre.
Lo faccio per te Ashley, solo per te.
Scattò in piedi nuovamente, pensando a come adattare minimamente un pantalone elegante ed una camicia a quadri ad un ‘outfit da palestra’.
Cominciò sfilandosi la camicia, restando con solo una canotta bianca elasticizzata, per lui unicamente intimo, prima d’allora non l’avrebbe mai indossata in pubblico.
Ma se l’era detto e ridetto, per Ashley, tutto era possibile.
Arrotolò fino ai polpacci i pantaloni in cotone blu, che sapeva sarebbero stati scomodi in una palestra.
Con le mani bagnate cercò di tirarsi dietro i capelli, per evitare di sudare troppo la fronte.
Pronti?..Pronti.
Cercò di farsi coraggio, scrollando le spalle di fronte al grande specchio dello spogliatoio.
Prese la bottiglietta d’acqua che aveva sempre nello zaino, e ripercorse il corridoio fino ad arrivare all’ingresso, non sapendo dove dovesse andare.
Vide in lontananza il suo..coach, così a passo svelto lo raggiunse, cercando di evitare gli sguardi degli altri energumeni esageratamente palestrati che sentiva sul collo.
Certo, non aveva un fisico messo male.
Non che si allenasse, solo che la matrigna ci teneva all’alimentazione, quindi non poteva dire di essere “grasso”.
Ma per i livelli standard di quella lurida palestra, era senz’altro fuori forma.
“Ho solo due settimane per modellare un po’ il fisico. Non voglio diventare..così, -tentennò indicandolo- ma voglio rimettermi in sesto. A chi posso rivolgermi per i pagamenti?”
Disse Zayn, nel più gentile dei suoi modi, sperando di non averlo già irritato.
“Intanto pensa alla prima lezione, se ne uscirai vivo penseremo alle successive.”
Sogghignò il coach.
Dire che fosse spaventato era al quanto riduttivo.
Per la prima volta non c’era suo padre a coprirgli le spalle.
Per la prima volta avrebbe dovuto cavarsela da solo, avere delle responsabilità.
E, forse, non faceva ciò solo per quella ragazza,ma anche per se stesso.
Per maturare, crescere, sentirsi più a suo agio con gli altri e il proprio corpo.
“Cominciamo leggeri. 20 minuti di corsa. Intorno al ring. Prendo il tempo.”
“Che aspetti? Muovi quegli stuzzicadenti!”
Riportato alla realtà Zayn cominciò a correre, con tutta la forza di volontà che aveva.
20 minuti erano tanti.
Soprattutto se l’ultima volta avevi corso a 5 anni in giardino.
Oppure se c’era qualcuno ad urlarti insistentemente “Più veloce!” o “La mia tartaruga corre meglio di te!”, tanto per fare un esempio.
“E..fermati. Corri da schifo stecca.”
Il ragazzo si piegò, appoggiando le mani sulle ginocchia, affannato e già sudato.
“Hey amico, calma. Siamo solo all’inizio!”
Non rispose. Era da circa mezz’ora che non parlava, un po’ per mancanza di forze, un po’ per paura.
Fatto sta che se ne stava lì, piegato in due, a seguirlo con lo sguardo mentre assemblava un bilanciere.
Aggiungeva sempre maggior peso.
“Basta, ti prego.”
Lo implorò il moro, all’ennesimo blocco sul manubrio.
“L’ultimo.”
Sorrise malizioso lui, infilando un ultimo peso e fissandoli con un bullone in ferro.
Posò l’asta su i due appoggi, collocati alle sbarre laterali della struttura comprendente un lettino.
“30.”
Soffiò rivolgendosi al ragazzo ancora con i polsi sulle ginocchia.
Zay –come la madre lo chiamava da piccolo- non aveva la benché minima idea di cosa intendesse.
Eppure, l’ammasso di muscoli puntava con l’indice il bilanciere stracolmo di pesi.
Lo guardò stranito, il coach sbuffò.
“Stenditi, abbassa e alza ‘sto coso 30 volte, piccolino di mamma.”
Il ragazzo –irritato dal nomignolo, ma senza darlo a vedere- eseguì l’ordine.
Ispirò profondamente, afferrando con entrambe le mani l’asta sospesa poco sopra la fronte, poi con enorme sforzo di bicipiti e addominali, chiuse gli occhi,  la sollevò.
Non se l’aspettava così leggera.
Distese le braccia, poi la riportò al petto.
Ne mancavano altri 29.
Rilassò un po’ i muscoli, l’aveva trovata piuttosto leggera, tutta quella forza non era necessaria.
Di nuovo, inspirò, chiuse gli occhi, e sollevò.
Incredibilmente l’asta cadde.
“Prima non era così pesante!”
Esclamò incredulo, mettendosi a sedere.
“Forse perché la stavo tenendo io. Mai dare qualcosa per scontato, novellino.”
Il coach –di cui non sapeva neanche il nome- raccolse il bilanciere come se fosse un pezzetto di carta, posandolo ancora sugli appoggi.
“Forza!”
Lo incitò, facendo ripartire il cronometro.
Isola la mente Zayn. Ora ci sei solo tu e questi fottuti attrezzi. Fallo per te, dimostra a te stesso di valere qualcosa.
Con questa premessa affrontò ben 18 lezioni.
La maggior parte di pomeriggio, dopo aver  studiato, ma qualche giorno –quando aveva latino, per la precisione- marinava la scuola e faceva lezione anche di mattina.
L’energumeno non fece sapere il suo nome, “Chiamami coach. Per te sono coach e basta.” Gli rispondeva.
Non gli costò neanche 5 sterline, “Sei una sfida, e le sfide non si pagano, si affrontano.” Ripeteva ancora il coach.
Tra i due si era istaurato un rapporto.
Il ragazzo non sapeva spiegarsi esattamente di che tipo, ma avevano un rapporto.
Zayn non azzardò mai a chiedere perché quel giovane fosse in una lurida palestra anziché a scuola, e neanche quanti anni avesse.
Ogni giorno, al ritorno dall’allenamento, Zayn passava qualche minuto dinanzi allo specchio di camera sua, per osservare i mutamenti del suo corpo.
Ma a parte qualche livido e il viso stanco e stressato  non notava nulla.
Solo i capelli, ora rasati ai lati e lunghi al centro in un ciuffo –di cui andava stranamente fiero-, vedeva differenti.
Ma il moro si sbagliava, perché nonostante le poche lezioni, aveva tanta costanza da esser riuscito –anche se di poco- a modellare i bicipiti, pettorali ed addominali.
Però, si sa, non i possono misurare i cambiamenti giorno per giorno. Solo il coach se n’era accorto, era il suo lavoro, ha occhio per questo. Allora provava a spingere ogni giorno un po’ di più, meravigliandosi di volta in volta per la volontà del giovane.
Aveva cominciato a rispettarlo, e involontariamente ad ammirarlo. L’aveva anche difeso, dalle provocazioni e offese che ordinariamente subiva dai ‘veterani’. E sapete? Si erano arresi anche loro, ora lo rispettavano. Certo, non andavano a prendere una birra insieme, ma quando passava lui calava il silenzio.
Quello di cui Zayn non si rendeva conto era che aveva imparato ad essere più sicuro di se. Ad amarsi, rispettarsi, credersi almeno un po’ meglio di ciò che era prima. Prima di quel martedì mattina di fine settembre.
Ora però, era alle porte un’altra tappa importante.
Erano già 20 minuti che Zayn scavava nella cabina armadio. Era appena uscito dalla doccia, i capelli ancora gocciolavano, rischiando di bagnare qualche capo. Non aveva la più pallida idea di cosa indossare. Quello era uno dei momenti in cui avrebbe avuto bisogno dei consigli della madre, se solo ci fosse ancora stata. E di chiedere alla moglie del padre –non voleva neanche definirla matrigna, tanto non le andava a genio- non se ne parlava nemmeno, ancor di meno al padre stesso, quindi si trovò a dover decidere da solo.
Cercò di pensare a cosa gli avrebbe detto la madre, in quella circostanza. Beh, per prima cosa i boxer, ovviamente. Pensò di essere già a buon punto. Stufo afferrò un jeans nuovo attillato, con il cavallo leggermente basso. Camicia bianca, cinta D&G rossa, con le Blazer dello stesso colore ed il baffo bianco, a richiamare la camicia.
Una volta indossati non gli sembravano tanto male.  La camicia, infilata nel jeans, lasciava intravedere le sue forme, di cui ora come ora non era poi tanto scontento. Forse il rosso era un po’ azzardato, ma ad Ash affascinano le persone che azzardano, ed il rosso è il suo colore preferito.
Sistemò capelli –ora solo leggermente umidi- con phon e gel, con tanta pazienza. Dopo circa un’ora era pronto.
Era strano per lui perdere la puntata di Voyager del sabato sera, ma era necessario. L’avrebbe registrata, così da poterla vedere il giorno dopo.
“Babbo io esco.”
Annunciò scendendo le scale, intravedendo l’uomo dai capelli bianchi –quei pochi che aveva-  che gli dava le spalle, seduto sul divano beige in pelle a guardare la tv.
“Papà, mi hai sentito?”
Ribadì Zayn, non avendo ricevuto  neanche un minimo cenno.
“Eri davvero tu?”
Il padre si voltò, azzerando il volume della tv.
“Pensavo di averlo solo sognato –sogghignò-. Divertiti pupo.”
L’uomo sulla cinquantina rivolse di nuovo la sua attenzione allo schermo. Zayn odiava essere chiamato pupo. Non voleva essere il classico figlio di papà, il ruolo che da sempre gli avevano affibbiato. Sospirò.
Raccolse le chiavi della Ecosse Eretic Titanium del padre, non si sarebbe neanche accorto che l’avesse presa.
Google maps lo avvertì che era giunto a destinazione, anche se la folla di ragazzi e la musica assordante gliel’avevano già fatto intuire.
Si accertò di avere il cofanetto nella tasca del giubbotto di pelle nera, poi si buttò nella mischia.
“Dov’è Ashley?”
Chiedeva ogni tanto, ma le risposte non erano poi tanto affidabili. Entrò nel salone, si avvicinò al piano bar, c’era una specie di menù con i drink. Ce n’era uno chiamato “drink della festeggiata”.
“Scusa, significa che è quello che Ashley ordina sempre?”
Indicò il titolo al barista.
“No, l’ha fatto lei personalmente.”
Rispose, asciugando dei bicchieri.
La curiosità lo spinse ad ordinare quel drink, anche se non aveva mai bevuto qualcosa d’alcolico. Era di estremamente forte. Ebbe alcuni capogiri,  ma dopo qualche minuto stava stranamente bene.
“Coach?”
Non seppe dire se era l’alcol a provocare allucinazioni o avesse davvero visto il suo personal trainer.
“Zitto! Ora sono Liam e basta. Liam Payne, piacere di conoscerti.”
Restò spiazzato dalla situazione, si convinse che le bevande alcoliche provocano allucinazioni. Ricominciò a sorseggiare, quella bomba gli piaceva.
“Malik che beve alcol. Mh, sei pieno di sorprese.”
L’adrenalina che aveva in circolo lo spinse a baciarla a stampo. Nessuno dei due se lo sarebbe aspettato.
“Buon compleanno Ash.”
Gli sorrise.
“Sei..diverso.”
“In senso positivo, spero.”
Le afferrò il polso, alzandosi e spintonando chi lo intralciava. Voleva trovare un posto appartato –se mai ci fosse stato, in quell’enorme appartamento- per consegnare il regalo ad Ashley.
Dopo aver spalancato alcune porte interrompendo situazioni compromettenti, entra nella stanza più lontana, infondo al corridoio. Doveva essere quella patronale, tanto era grande.
Inspirò profondamente, sentiva l’alcol scorrere nelle vene.
“Allora? Che vuoi? Muoviti, ho una festa in mio onore che mi aspetta.”
Posò una mano sul fianco, con fare stufo.
“Girati e chiudi gli occhi.”
Gli disse più dolcemente possibile.
Ash acconsentì, sbuffando.
Zayn  sfilò dalla tasca il cofanetto, lo aprì e allacciò dietro la nuca della ragazza la collana d’argento con le iniziali di entrambi all’origine di una fiamma. Era un regalo rischioso, lo sapeva. Poteva rifiutarlo o baciarlo. L’alcol e l’adrenalina non riuscirono a coprire l’ansia e la preoccupazione, che gli si stavano annodando in gola.
“Puoi aprirli.”
La neodiciassettenne si avvicinò allo specchio appeso sopra al comò, sarebbe troppo difficile descrivere la sua espressione quando vide il ciondolo.
Se lo strappò dal collo, lo gettò a terra. Furiosa fece per andarsene, ma Zayn l’afferrò per un braccio.
“Perché?”
Gli chiese affranto.
“E me lo chiedi? Zayn il fatto che hai le lentine, un’acconciatura decente e dei vestiti accettabili non ti rende il ragazzo perfetto. Sei sexy, okay? Ma solo fuori. Dentro resti sempre uno sfigato. Rassegnati.”
Zayn non liberò la presa. Anzi, la attirò a se, le cinse i fianchi e la baciò. L’ultimo “bacio” l’aveva dato a 11 anni al gioco della bottiglia, quindi non  era tanto sicuro di farlo bene. Ma Ashley non si sottrasse, per niente.
“Se fossi cambiato solo esteticamente, Ashley,  ti avrei baciato?”
La ragazza sorrise.
“Beh..forse un po’ sei cambiato, altrimenti non starei per baciarti di nuovo.”
 

 
 
HOOLA.
AAAH CHE BELLO RIAPPARIRE SU EFP :’) MI MANCAVA UN SACCO SCRIVERE, IO DOVEVO POSTARE QUESTA OS. IN REALTA’ QUESTA E’ NATA CON L’INTENZIONE DI ESSERE UNA LONG, MA VOLEVO SCRIVERE QUALCOSA, E NON MI VENIVA IN MENTE NULLA DI MEGLIO CHE FARLA DIVENTARE UNA ONE SHOT. RESTA IL FATTO CHE SE VOLETE PUO’ COMUNQUE DIVENTARE UNA LONG, UNICA PERCCA E’ CHE NON POSSO PROMETTERVI CHE AGGIORNERO’ MOLTO REGOLARMENTE. SPERO VI PIACCIA, FATEMI SAPERE C:
NE APPROFITTO PER AUGURARE BUON NATALE A TUTTE VOI! IO LO TRASCORRERO’ A LONDRA E PROBABILMENTE NON AVRO’ INTERNET QUINDI VI ANTICIPO GLI AUGURI C:
BEH, SPERO NON FACCIA TANTOTANTOTANTO PENA, ALLA PROSSIMA (QUANTO PRIMA, SPERO).
 M;
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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