Titolo:
Horizon
Personaggi: Rivaille/Levi, Eren
Jaeger (RivEren implicito che secondo me si può
vedere anche non romanticamente)
Prompt: space
(spacing out), per la leviweek
(Day 3).
Note: post-serie, anni e anni dopo
lo sterminio dei giganti.
Perché Rota è una brutta persona che mi induce in tentazione. Ci siamo divise i
sette prompt della week, perciò vi invito a spulciare
quanto scritto da lei non appena sarà online (L)
La finestra della stanza
in cui si trova dà su un panorama diverso rispetto a quello su cui si
affacciava il Quartier Generale. C’è stato un tempo in cui guardare fuori
significava vedere distese verdi che avrebbero stuzzicato lo spirito
avventuriero di chiunque, ma nascondevano troppi pericoli – troppi giganti –
perché ci si potesse addentrare lì senza un cavallo e il necessario per
combattere. Miglia e miglia di prati, a volte qualche albero; quasi ci si dimenticava
di essere schiavi di mura che dovevano proteggere, ma che implicitamente erano
sempre state una gabbia.
Ciò che ora Rivaille vede fuori dalla finestra è una distesa di blu fin dove
l’occhio riesce a scorgere. E di notte, quando si raggiunge quello che sembra
un limite, basta alzare di poco lo sguardo perché quel blu continui: cielo e
oceano si mescolano tanto che l’orizzonte diventa invisibile.
Rivaille passa ore a
guardare fuori, distraendosi e perdendosi nei suoi pensieri, fino a non
riuscire più a districarsi nel labirinto di immagini e parole che lui stesso
crea nella sua testa; c’è soltanto lui, lì.
Le prime volte rimaneva giornate intere seduto su quella sedia vicino alla
finestra, a guardare il blu e quell’orizzonte essere sempre meno definito: lo
osservava per sé, ma più che altro lo faceva nel ricordo di Eren, nella testa
la continua, infantile richiesta di andare a guardare l’oceano insieme quando i
giganti fossero stati annientati.
Rivaille allora rimane immobile e guarda, si imprime nella mente ogni particolare
che scorge: l’odore dell’acqua salata, il verso dei gabbiani, il rumore delle
onde e del vento. Comincia sempre guidato da un pensiero e poi si smarrisce;
non cambia mai espressione – ma gli torna in mente il sorriso di chi aveva
speranza e nel mondo vedeva il futuro, e non solo l’orribile presente di morte
e di sangue che era la loro realtà.
A volte si rende conto di essersi incantato dopo minuti, a volte dopo ore.
A volte, si ritrova ad osservare il tramonto quando l’ultima cosa che ricorda
di aver visto davvero è l’alba.
Poi, nel buio di una stanza che non sente il bisogno di illuminare, si fa
strada una piccola luce e subito un’altra, e un’altra ancora; il contrasto
rende difficile scorgere l’oceano, di notte.
«Rivaille?»
È in quei momenti che la voce di Hanji lo raggiunge, risvegliandolo da quel
momento dalla durata instabile dove ad esistere è soltanto lui – lui e l’oceano
che Jaeger giurava di voler vedere a tutti i costi.
Non sa mai dirle cosa
guarda davvero: se l’oceano, che di notte è così nero da incutere il timore di
acque che potrebbero trascinarti giù o il cielo, che anche nelle ore più buie
ha le stelle a renderlo meno spaventoso.
O se è l’orizzonte, dove si incontrano, a renderlo inquieto – se possono due
cose così vaste incontrarsi ogni istante, perché due anime si perdono e il
ricordo sbiadisce in un silenzio distratto fatto di nulla?
Soffro. Rivaille è sempre
un parto, anche quando il post-serie giustifica (…lo fa?) il non farlo
comportare come il soldato che è. Forse. Credo.
Il fantasma dell’ooc di Rivaille mi perseguiterà fino
alla mia morte come autrice, lo sento.