La consapevolezza di chi aveva
di fronte lo colpì in pieno, proprio come un potente pugno alla bocca dello
stomaco. Nathan, infatti, a quella visione boccheggiò, shockato e al tempo
stesso inorridito.
No, no, no, no, no, no…
continuava a ripetersi, anche se il negare ciò che stava avvenendo in realtà era
proprio come ammettere che stava davvero accadendo…
La iella non poteva amarlo così
tanto, pensò, sconsolato. Non era proprio possibile che capitassero tutte a
lui!
Fece mente locale e ripercorse
su per giù la sua vita fino a quel momento: ok, in effetti qualcosa di male lo
aveva fatto per meritarsi la sfortuna nera di quel giorno.
In ogni caso doveva
riprendersi.
Si impose, quindi, di
riassumere un aspetto composto e dignitoso. Inspirò ed espirò. Si calmò. E solo
allora sbirciò con nonchalance l’espressione della ragazza che gli stava
di fronte.
Dall’altra parte della scena,
che qualcuno avrebbe potuto definire comica, Fay, sorpresa quanto il giovane Mc
Quinn, si limitava a squadrarlo dalla soglia con sguardo ostile, dall’alto in
basso; almeno finché, senza spiccicare parola, si avviò all’interno del suo
appartamento, lasciando il portone d’ingresso aperto.
Un tacito invito ad
entrare.
Rapidamente Nathan fece un
calcolo mentale sui pro e i contro della situazione: varcare quella soglia
avrebbe voluto dire passare un’ora del suo tempo in compagnia di una tizia
dannatamente odiosa e la cui sola presenza bastava a metterlo di cattivo umore.
Inoltre, diamine, lui era un Mc Quinn! In facoltà tutti sapevano chi era ed
aveva una reputazione da difendere: non poteva certo farsi dare delle
ripetizioni da una nullità come la Heather! D'altronde, quella tipa era anche la
migliore del suo anno e la percentuale di superare l’esame orale di Statica e
Meccanica sarebbe senz’altro salita di molto, frequentando Morticia… E poi, chi
mai sarebbe venuto a sapere che studiava con lei? Più tardi si sarebbe premurato
di avvisare Neil di non raccontarlo a nessuno… anzi, ora che ci pensava,
Neil non sapeva nemmeno che la ragazza in questione fosse proprio Fay Haether.
Avrebbe anche potuto nasconderglielo…
Cavolo, alla fine il beneficio
risultava maggiore del danno sotto ogni punto di vista e non aveva più scuse per
rifiutare una simile occasione. Avrebbe sopportato quella strega, si disse,
almeno finché non avesse superato l’esame.
E, presa la fatidica decisione,
Nathan Mc Quinn avanzò con andatura insolente all’interno dell’ appartamento,
sbattendo la porta alle proprie spalle.
Per prima cosa si guardò
attorno con circospezione: a differenza del resto del condominio, notò subito il
moretto, quell’ alloggio era in condizioni decisamente migliori: le pareti
bianche e linde rivelavano una recente e meticolosa passata di vernice e quel
poco di mobilio che poté scorgere dalla sua posizione gli parve tirato a lucido
ed in buono stato.
Percorse guardingo il lungo
corridoio, passando davanti a due porte chiuse, e arrivò in un ampio salotto,
che conteneva in un angolo anche la cucina. Cercò la ragazza e la vide in fondo
alla stanza, mentre riordinava libri e quaderni su un tavolo basso e rotondo. E
lo ignorava palesemente…
Come padrona di casa, pensò
Nathan, lasciava alquanto a desiderare.
Così, senza dire o chiedere
nulla, si tolse il giubbotto e lo buttò di mal garbo sul divano.
Che situazione assurda! E
pensare che aveva rifiutato la proposta di Le Revenant solo per incappare
comunque nella stessa identica prospettiva di dover studiare insieme a
Morticia!
Bella figura,
davvero…
Nel frattempo Fay continuava a
trafficare con un astuccio e dei fogli e non sembrava nemmeno un po’
intenzionata ad accoglierlo benevolmente nella sua casa. Il silenzio che era
calato tra loro come una pesante cappa e stava divenendo intollerabile per il
povero Mc Quinn (che tanto povero non era, volendo proprio dirla tutta, ma
questi sono dettagli).
“Ehm…”
Cavoli, non sapeva nemmeno cosa
dire… eppure doveva pur rompere il ghiaccio in qualche modo, no? Se proprio
doveva passare un’ ora con la Heather, almeno che ci fosse un’atmosfera
rilassata. E che diamine, si sentiva teso come una corda di violino e non sapeva
nemmeno spiegarsene la ragione! Probabilmente era l’ambiente, pensò. In effetti,
anche se il locale pareva grande, luminoso e pulito, aveva un qualcosa di
insolito, che Nathan non riusciva bene a classificare.
“Intendi passare ancora molto
tempo a guardarti intorno e a criticare l’arredamento oppure ti siedi e
cominciamo?” gli chiese Fay d’un tratto, sempre dandogli le spalle.
Imbronciandosi ancora di più ed
ignorando le sue parole ironiche, Nathan si avvicinò al tavolo, ricordandosi
solo allora di non avere portato con sé la borsa dei libri. Si maledisse
mentalmente, prima di sedersi dall’altro capo del tavolo, il più lontano
possibile da Fay.
La ragazza parve accorgersi di
quella ritrosia nei suoi confronti, poiché gli scoccò un’altra delle sue
occhiatacce attraverso ciuffi neri di capelli, che le ricadevano scomposti sul
viso.
Poi, senza dire nulla, si alzò
e si avvicinò a lui, mettendogli davanti il proprio libro.
“Ora fammi vedere quali
argomenti non ti sono chiari” gli disse, con voce sottilmente cupa e
bassa.
Il fatto di averla in piedi di
fianco a sé, provocò a Nathan un moto di fastidio. Inutile: quella ragazza non
gli piaceva neanche un po’. Prendere ripetizioni da lei sarebbe stato più
difficile del previsto.
Distrattamente si ritrovò a
chiedersi cosa Neil ci avesse trovato di vagamente attraente in lei, dato che
poco prima, a casa loro, l’aveva definita una bella ragazza…
personalmente, a lui non diceva nulla. A parte il fatto che sembrava, anzi, era
troppo scorbutica, non gli piaceva il colore spettrale della sua pelle, né tanto
meno quei suoi occhi scuri, d’un nero così profondo da inghiottire nel nulla
persino le pupille…
Mentre era distratto da quei
pensieri, una cosa altrettanto scura gli piombò all’improvviso davanti e lo
spavento fu così grande, che Nathan si arrovesciò indietro con la sedia, andando
a cozzare con il pavimento.
Fay lo guardò,
perplessa.
“Paura dei felini?” gli chiese,
con voce sottilmente canzonatoria, mentre, la ragazza si avviava verso la
cucina: un angolino ricavano all’interno della sala e separato da essa da una
porzione di parete.
Nathan, bestemmiando a mezza
voce, si rialzò e guardò sul tavolo, incrociando così un paio di occhi
verdissimi, che lo scrutavano incuriositi.
Un gatto. Nero.
Digrignò i denti, frustrato.
Ecco: ora aveva anche fatto la figura dell’idiota, e che cavolo! Proprio davanti
a una come lei… Si sentì arrossire a poco a poco, forse per l’imbarazzo, ma
anche per l’irritazione.
“Vuoi qualcosa da bere?”
domandò la ragazza dalla cucina “Tranquillo… Mr. Mao non ha mai morso nessuno”
lo schernì, di nuovo.
Nathan le fulminò la schiena
con uno sguardo di fuoco. Era troppo. Doveva mettere in chiaro alcuni
concetti.
Si avvicinò a lei, veloce, e,
afferratola per una spalla, la fece voltare, incontrando così i suoi occhi neri
e freddi.
“Senti, tu non mi piaci”
ringhiò, a un centimetro dal suo viso “Per niente! Ma sono nei casini per colpa
di quest’ esame del cazzo e ho bisogno delle tue ripetizioni… sto cercando di
sopportarti, quindi piantala di sfottere!!” gridò, minaccioso.
Fay non ebbe affatto paura: lo
ascoltò senza batter ciglio. Non si scompose: nemmeno una rughetta di disappunto
solcò la sua pelle lattea.
“Anche tu non mi piaci” affermò
sicura, prima di liberarsi della sua presa e di tornare a fare quello che stava
facendo, ovvero versare del latte in una piccola ciotola blu.
Nathan, invece di sbollire la
rabbia dopo quello sfogo momentaneo, si accigliò ancora di più di fronte
all’indifferenza di lei. Non era abituato ad essere così poco
calcolato.
Stava, quindi, per insultarla,
quando, sentì qualcosa strusciarsi contro i suoi stinchi e abbassando lo
sguardo, vide una palla di pelo nero fargli le fusa.
“A quanto pare, però, c’è
almeno qualcuno che in questa casa ti trova simpatico” commentò Fay, sarcastica,
mentre poggiava a terra la ciotola di latte per Mr. Mao, che vi si fiondò
all’istante, goloso.
Nathan sospirò, passandosi una
mano tra i capelli neri e imponendosi l’autocontrollo. Contò fino a dieci.
Doveva stare calmo. Non raccogliere le sue provocazioni. Casomai le avrebbe
risposto con frecciatine dello stesso calibro, si concesse.
“Non mi è molto chiaro il
calcolo del metodo delle forze” disse ad un tratto, decidendo di lasciare
perdere la piccola discussione e di spostare l’attenzione su ciò che gli premeva
e per cui stava sopportando tutta quella situazione.
Fay lo fissò, apatica. “Non è
difficile.”
Un muscolo del viso di lui
guizzò, come per un tic nervoso.“Ma davvero??!!” disse, tra i denti.
“Apri il libro a pagina 196 e
vedrai.”
“Non fare la
saccente.”
“E tu non farmi perdere
tempo.”
“Adesso capisco la causa di
tutte quelle voci su di te… e capisco perché tutti in classe ti evitano come la
peste” la schernì lui, con la speranza che, se avesse toccato un tasto dolente,
l’avrebbe azzittita. Ferirla sarebbe stato meschino, ma in quel momento non
gliene fregava nulla. Lui voleva ferirla, perché odiava il modo in cui
lei gli mancava perennemente di rispetto: nessuno si era mai permesso tanto,
benché meno una sconosciuta e reietta come Morticia!
“Solo gli stupidi danno retta
alle voci di corridoio…” commentò Fay, dopo un po’.
“Non sono solito prestare
ascolto alle dicerie, ma oggi ho appurato con i miei occhi che sei proprio come
si dice in giro” disse lui, malevolo e con aria di superiorità. Si sedette di
nuovo al tavolo, recuperando la sedia da terra e aprendo il libro alla pagina da
lei indicata, certo che ora avrebbe taciuto.
Ed infatti quella volta Fay non
rispose, ma si limitò a fissarlo, cupa come al solito.
Da lì in poi, i due tacquero e
si limitarono a parlare solo quando Fay doveva spiegare a Nathan qualche
passaggio, a lui incomprensibile. Oppure quando lui le chiedeva di ripetere
qualche concetto, che non era riuscito ad afferrare.
L’ora, praticamente, volò via e
allo scoccare delle cinque, il ragazzo si alzò, soddisfatto. A malincuore,
dovette ammettere con se stesso che, seppure antipatica e repellente, Fay era
una brava insegnante. Era paziente. Spiegava le cose con semplicità e gli
dimostrava sempre tutto con degli esempi chiari e concisi. Nathan si era
appuntato ogni cosa su un foglio che la ragazza gli aveva passato ed in
quell’istante stava ripercorrendo con uno sguardo veloce quello che aveva
scritto, scoprendosi pago di quella lezione di ripasso.
“Fanno 30 $ all’ora” proruppe
Fay d’un tratto, tamburellando le dita sul tavolo.
Senza dire nulla, lui aprì il
portafogli ed estrasse una banconota da cinquanta.
“Non li hai cambi? Non so se ho
il resto…”
“Me lo darai la prossima
volta.”
“No, io… aspetta un attimo...”
La vide allontanarsi e sparire dalla stanza.
E
in quel momento il telefono suonò.
Nathan spostò indolente lo
sguardo sull’entrata del salotto. La Heather l’aveva sentito? Doveva
avvisarla?
Decise di non preoccuparsene,
dato che, dopo il primo squillo, era scattata subito la segreteria
telefonica.
“Non sono in casa. Lasciate un
messaggio e sarete richiamati…”
Non sapendo cos’altro fare nel
frattempo, il ragazzo si alzò ed andò alla finestra, per controllare le
condizioni della sua Mercedes, parcheggiata di fronte all’edificio. Sembrava
ancora tutta d’un pezzo.
“Ehi,
Fay! Fay Heather!”
Una voce di ragazza trillò
rabbiosa dall’apparecchio telefonico.
“Insomma, Fay… la vuoi piantare
di filtrare le telefonate? Rispondi al telefono, una buona
volta!”
Nathan, ascoltando quei
rimproveri così amichevoli, si ritrovò distrattamente a stupirsi del fatto che
anche una come la Heather potesse avere un’amica.
Poi la modulazione della voce
cambiò, divenendo ansiosa e quasi… sofferente.
“Sono giorni che sia io che
Julia proviamo a chiamarti… stai bene?… Ti è successa ancora quella cosa, vero?
…Oddio, Fay…”
Strano. La telefonata stava
acquisendo un tono strano, che Nathan non poté non notare.
“Fay, smettila di comportarti
in questo modo… smettila anche di chiuderti in te stessa… ci fai preoccupare
tantissimo, se fai così… stai mangiando a sufficienza, vero? Se hai bisogno di
qualcosa, non hai che da chiedere, lo sai…”
Ma di cosa diavolo stava
parlando quella ragazza? Forse la Heather si drogava? Era una che si
bucava?
“Ok, ho capito: non sei in casa… chiamami, però, eh? Un
bacio tesoro…”
E
fine.
Nathan rimase a fissare la
lucetta rossa lampeggiante della segreteria telefonica, come imbambolato. Quella
telefonata gli aveva lasciato addosso una strana sensazione, ma non sapeva bene
come classificarla… forse era sorpreso. Forse non si aspettava che l’esistenza
di Fay Heather potesse avere un risvolto… come definirlo? Losco?
Enigmatico?
Comunque non erano affari
suoi.
“Ecco, ho trovato degli spicci”
disse Fay, entrando nella stanza con delle banconote e monete in
mano.
Il ragazzo prese il resto senza
proferire parola, recuperò giubbotto e appunti e si avviò verso l’uscita,
tallonato da Fay e da Mr. Mao.
Davanti all’uscio, però, si
fermò e si voltò. I suoi occhi non erano più ostili, ma tradivano una nota
indefinibile, che poteva essere curiosità mista a qualcos’altro.
Avrebbe voluto farle delle
domande, era vero, ma in fondo loro erano due estranei… E poi era noioso e
inutile impicciarsi dei fatti altrui e lui aveva già i suoi problemi a cui
pensare.
“Quando posso tornare?” le
chiese.
“Dopodomani, stessa
ora.”
“Ok…”
Abbassò la maniglia del
portone, ma poi sembrò esitare un attimo.
Si voltò ancora e fulminò Fay
con i suoi occhi azzurrissimi. Lei non fece una piega.
“Continui a non piacermi, non
farti illusioni.”
“Sei troppo abituato ad avere
tutti ai tuoi piedi… sei tu che non devi farti illusioni” rispose lei, pacata,
mentre accoglieva Mr. Mao tra le braccia.
“Tsk”
Nathan diede una carezza veloce
al gatto e poi uscì, sbattendo il portone con alterigia.
Nell’ala nord della biblioteca,
a quell’ora, non c’era praticamente nessuno. Vuoi perché era un luogo abbastanza
tetro, essendo poco illuminato, o vuoi perché la calda e confortevole sala
lettura era da tutt’altra parte, poche persone si spingevano fino a quella zona
dell’edificio, per consultare qualche vecchio testo.
Ma proprio per questo Yuri la
trovava invitante. Difatti quel pomeriggio, come tante altre volte, si era
recato in biblioteca per studiare ed aveva scelto di rifugiarsi dove nessuno lo
avrebbe potuto disturbare.
Lui, Yuri, detto anche il
Marziano fin dalle elementari, mal sopportava i luoghi affollati e le ciarle
studentesche, preferendo piuttosto la quiete ed il silenzio. Trovava noioso il
dover per forza esprimersi a parole: era infatti, un ragazzo taciturno di
origini nordiche, dai bellissimi occhi di un azzurro pallido sconfinato. E per
via di questa sua indolenza al dialogo in facoltà si comportava sempre da
perfetto asociale. L’unica comitiva che frequentava sin dal primo anno era
quella dell’amico Ralph, suo ex compagno di liceo e attuale coinquilino. Certo,
anche in quel gruppo le ciarle non mancavano grazie a Brooke, Christina ed
Ether, ma perlomeno nessuno di loro lo seccava, rimproverandogli di continuo il
suo essere così taciturno. Vero era che a volte ci scherzavano su, ma non lo
facevano mai con cattiveria, come invece gli era capitato in
passato.
Tutto
sommato, con loro stava bene, anche perché non erano eccessivamente invadenti.
Nessuno lo maltrattava, credendosi superiore e lo accettavano per quello che
era.
Così, come altre volte, anche
quel pomeriggio il biondino si avviò verso l’angusta ala nord della biblioteca e
puntò dritto verso l’ultima libreria di quel settore, per cercare un volume di
arte post-moderna.
Gli occhi azzurro chiaro
saettarono da una scansia all’altra alla ricerca dell’oggetto interessato ed
infine si posarono sull’ultimo scaffale in alto.
Troppo alto, per la sua
statura.
Nonostante ciò, Yuri si protese
lo stesso verso quel libro, alzandosi in punta di piedi e tendendosi tanto da
sfiorarne la copertina con la punta della dita. Era inutile: non riusciva a
toccarlo più di così.
E
in quel medesimo istante, vide una mano sbucare da dietro la sua spalla e
allungarsi, fino a prendere con facilità quel tomo color crema per
lui.
Si voltò, percependo un odore
familiare.
Due occhi d’un verde profondo
lo scrutavano, a pochi centimetri dal suo viso. E una bocca si era appena
piegata in un sorriso accattivante.
“Yuri” disse il nuovo arrivato,
a mò di saluto. Poi abbassò il
braccio e gli consegnò il libro recuperato.
“… che ci fai qui?” gli chiese
il ragazzo, mentre il batticuore cresceva a dismisura.
L’altro poggiò le mani contro
lo scaffale dietro al biondino, ai lati della sua testa.
“Ti cercavo”
rispose.
Yuri si strinse il volume al
petto, agitato. Lui gli faceva sempre questo effetto.
“A-avevi bisogno di qualcosa?”
deglutì, improvvisamente accaldato.
Il ragazzo dagli occhi verdi
sorrise e posò lo sguardo sulle labbra dell’altro.
“In effetti, di una cosa ho
bisogno” sussurrò, con voce roca e sensuale.
Lentamente, inclinò il proprio
viso verso quello di Yuri e catturò le sue labbra con le proprie,
rapace.
Yuri chiuse gli occhi,
assaporando uno di quei baci che solo Lui sapeva caricare di così tanta
passione. E d’istinto lasciò cadere il libro a terra, incurante del fatto che
avrebbe potuto rovinarsi, e si aggrappò alla schiena dell’altro. Ricambiò il
bacio con foga e bisogno, mugolando di tanto in tanto per via delle voluttuose
carezze di cui Lui lo stava beneficiando.
Finché non si rese conto di
cosa stavano facendo e soprattutto dove.
Con grande fatica, si staccò da
lui, puntando i palmi delle mani contro il suo petto solido.
Come da copione, sentì su di sé
lo sguardo di disappunto dell’altro e preferì non alzare il capo, per non dover
incappare in quei due smeraldi che erano gli occhi del compagno.
“Potrebbe vederci qualcuno…”
disse come a scusarsi e arrossì nel constatare di essersi eccitato per quelle
poche carezze. Si sentiva uno stupido. Era così maledettamente
stupido.
Quante volte ancora lo avrebbe
amareggiato con il suo comportamento vigliacco ed insicuro?
Ma la domanda giusta era
un’altra, solo che Yuri era troppo codardo persino per porsela.
Per quanto ancora
pazienterai?
Una mano calda e rassicurante
si posò sulla sua guancia.
“Anche se ci vedesse qualcuno,
non mi importerebbe… lo sai.”
“I-io non voglio…” balbettò
Yuri, pur sapendo che quelle parole avrebbero ferito l’altro.
Difatti, sentì l’altro
sospirare affranto e scostarsi da lui. Lontano dal calore del suo corpo, il
biondo tornò a percepire nuovamente il freddo di quella sala, in modo repentino
e quasi violento.
D’istinto, ebbe l’impulso di
fermarlo, per verificare che, nonostante tutto, le cose tra di loro rimanevano
sempre le stesse. Che era tutto a posto. Che nulla sarebbe cambiato, ancora e
ancora. Aveva bisogno di sicurezze. Aveva bisogno del suo viso
sorridente.
Così lo afferrò per una manica,
in un atto urgente e deciso, guardandolo finalmente negli occhi.
L’altro ragazzo si sorprese un
poco, ma poi si ricordò quanto il compagno prediligesse esprimersi con i fatti,
piuttosto che con le parole. Dimostrare qualcosa con un gesto può essere mille
volte più semplice ed efficace di un discorso ben argomentato.
Lo fissò con sguardo neutro per
qualche secondo, ma poi non poté fare a meno di addolcire la propria
espressione, davanti a quella triste e bisognosa di lui. In fondo, gli piaceva
anche per questo.
“Aspetterò, te l’ho già detto”
gli disse, scompigliandogli affettuosamente i capelli, di un biondo così chiaro
da sembrare quasi bianco, sotto la luce del sole. “Beh, ora vado…”
Un ultimo bacio a fior di
labbra e l’altro si incamminò verso l’uscita dell’ala nord, mentre Yuri rimaneva
a fissarlo, come impossibilitato a distogliere lo sguardo.
Quanto gli piaceva… con quelle
spalle larghe e forti e quegli occhi così dolci e buoni. Era così paziente con
lui. Così attento. Ed il suo odore era così buono…
“Neil!”
Il ragazzo in questione, mani
in tasca, si voltò verso di lui con cipiglio curioso.
“Stasera… ehm, stasera Ralph
esce e torna tardi” lo informò Yuri, esitante. In fondo, l’aveva appena respinto
in malo modo ed ora aveva una bella faccia tosta a chiedergli di andare da
lui.
Ma l’altro fugò tutti i suoi
dubbi, sorridendogli, d’un sorriso caldo e radioso.
“Aspettami …”
Non appena Nathan se ne fu
andato, Fay posò il gatto a terra e sospirando pesantemente, si afflosciò contro
la parete del corridoio.
Non si sarebbe mai aspettata di
trovare proprio lui, aprendo l’uscio di casa. Infatti, non aveva dato a vederlo
(ormai era molto brava a dissimulare le emozioni), ma la cosa l’aveva sorpresa
non poco.
Quando quel giorno, subito dopo
pranzo, il telefono aveva suonato, aveva sperato con tutto il cuore si trattasse
di qualche studente della sua facoltà che, visto il suo annuncio, la stesse
cercando per le ripetizioni. Aveva bisogno di soldi, inutile negarlo. Non poteva
contare su quelli della borsa di studio: quelli servivano per le spese
universitarie. E lo stipendio come cameriera andava tutto per l’affitto
dell’appartamento e per le bollette. Fay faceva molta fatica a mettere da parte
qualcosa, anche se risparmiava moltissimo, stando ben attenta alle spese che
faceva.
Proprio per quel motivo, il
lavoro extra come insegnante privata le era parsa una buona soluzione per i suoi
problemi economici.
La mattina aveva fissato
l’annuncio in bacheca e lo stesso pomeriggio l’avevano contattata. Non poteva
essere più fortunata di così.
Ma trovarsi proprio Nathan Mc
Quinn fra i piedi aveva eclissato quel pizzico di buon umore.
Il ragazzo si era permesso
anche di arrivare in ritardo, tanto per farsi i propri comodi, e non aveva
nemmeno portato la borsa con i libri. Aveva dovuto fornirgli tutto lei. Quanto
lo odiava. Così arrogante e presuntuoso… lo detestava. La sua sola vista bastava
ad irritarla. Non lo poteva soffrire.
In altri casi, qualcuno avrebbe
potuto collegare questo suo odio all’invidia: insomma, Nathan era figlio di
genitori ricchi e chissà com’era lussuoso e moderno il suo appartamento. Mentre
lei, Fay Heather, i genitori non li aveva, non navigava certo nell’oro e viveva
in un quartiere dove era meglio non girare da soli dopo il tramonto.
Chiunque avrebbe pensato che la
sua fosse invidia.
Eppure non era
così.
Il motivo c’era, ma era un
altro.
Dal suo cantuccio contro il
muro, Fay sospirò ancora una volta. Avrebbe tollerato la presenza di Nathan in
casa sua, solo perché gli faceva comodo guadagnare qualcosa per arrotondare il
mensile. Punto. E poi, presto si sarebbe fatta nuovi clienti tra la massa
studentesca di Architettura. E avrebbe ridotto le visite di lui il più
possibile.
Mr. Mao miagolò per attirare
l’attenzione dalla sua padrona e Fay non tardò ad accontentarlo, cominciando ad
accarezzarlo affettuosamente.
“Mi spieghi perché quel tipo ti
piace, eh Mr. Mao?” gli chiese lei, guardandolo negli occhi verdi come fondi di
bottiglia.
In tutta risposta, il gatto dal
pelo nero lucente strusciò la testolina contro il palmo della sua mano, facendo
le fusa.
“Sei un ruffiano, lo
sai?”
Fay prese il felino in braccio
e, alzatasi, si recò in salotto.
Fu in quel momento che si
accorse che la segreteria telefonica conteneva un messaggio.
Pigiò il tasto e poco dopo la
voce di Alys risuonò nella stanza, prima arrabbiata, poi triste.
La mora ascoltò silenziosa e
cupa il monologo della ragazza e alla fine cancellò il tutto.
Alys… e Julia… le sue migliori
amiche. L’unico legame che le era ancora rimasto con la sua piccola città
natale. Uno dei pochi.
Forse Nathan aveva ascoltato
quella chiamata, pensò Fay, un po’ disturbata da quella eventualità. Era una
persona molto riservata e detestava l’idea che qualcuno come Nathan potesse
apprendere i particolari della sua vita privata.
Non che Alys avesse detto
chissà cosa di così rilevante, a ben pensarci.
Sia lei che Julia la chiamavano
spesso, quasi ogni giorno. Volevano sapere se stava bene. Se mangiava. Si
preoccupavano per lei da quando avevano scoperto in che razza di quartiere
vivesse.
Sentirsi amata da loro, la
riempiva di calore nel cuore.
Alys e Julia erano due persone
meravigliose, indubbiamente le amiche migliori del mondo… e lei non se le
meritava affatto, poiché spesso le trascurava. A volte non rispondeva alle loro
chiamate, mettendo la segreteria telefonica. Altre volte le ignorava non
richiamandole, come invece loro la pregavano di fare.
Semplicemente perché quel
legame, se da un lato le faceva piacere, dall’altro le pareva… soffocante. Ma,
anche se i suoi sentimenti al riguardo erano contraddittori, alla fine Fay non
riusciva a tranciare i rapporti con loro, perché, a discapito di tutto, Alys e
Julia rappresentavano qualcosa di molto importante per lei. L’ultimo legame
affettivo che le rimaneva. Una di quelle cose che riuscivano ad ancorarla
saldamente alla realtà. Che le impedivano di perdersi…
Ma se da una parte quel legame
era tanto intenso quanto importante, dall’altra era tagliente come la lama di un
rasoio. E Fay sapeva bene che, anche volendolo mantenere, non poteva avvicinarsi
troppo ad esso, o si sarebbe fatta male.
Per questo, si limitava a
curarlo un poco ogni tanto, giusto per non perderlo (anche se sapeva che le sue
amiche non l’avrebbero mai lasciata), ma poi faceva un passo indietro e, prese
le distanze, lo fissava da lontano, accontentandosi di ciò.
Il tutto in un equilibrio assai
precario. Lo stesso su cui, dopotutto, si basava la sua vita da quando aveva
lasciato la sua città, per trasferirsi nella capitale a studiare
Architettura.
A
volte si chiedeva perché lo facesse. A cosa le sarebbe servito
laurearsi?
Non riusciva a vedere se stessa
all’interno di un ipotetico futuro… per lei era alieno quel termine:
futuro…
Eppure, sapeva che una volta
l’aveva desiderato. Una volta divenire architetto era stato il suo sogno. Fay,
infatti, aveva sempre amato l’arte: dipingeva per hobby dall’età di 10 anni ed
il suo era un vero e proprio talento. Il suo senso artistico la portava spesso a
fare bozzetti a matita di scenari o soggetti che maggiormente la
impressionavano. Camminando per strada le veniva naturale analizzare
l’urbanistica intorno a sé, per valutarla ed eventualmente apprezzarla o
criticarla. E collezionava libri con fotografie delle opere di Escher. Ma tutto questo fervore artistico, da
tempo aveva preso in lei una piega diversa, che si discostava alquanto da ciò
che l’arte e affini avevano rappresentato per lei in passato. Era come se, una
volta, la sua fosse stata una passione genuina, mentre ora fosse solo l’unico
canale con cui Fay riusciva in qualche modo ad esprimere ciò che dentro la
tormentava. Una sorta di metodo di sfogo. Un appiglio per dimenticare e insieme
rivivere ricordi incisi a fuoco nella sua mente.
E
così, concentrata solo su quello, non pensava ad altro. Non si interessava al
futuro.
Ma dov’era rimasta la mente di
Fay per non riuscire nemmeno a guardare al domani?
Questa sarebbe stata un’ottima
domanda da porre. E presto anche Nathan se ne sarebbe accorto.
Note personali:
Bah... non so che dire di
questo capitolo! A volte mi piace a volte no.. giudicatelo voi!
Mi farebbe piacere sapere che
ne pensate dei personaggi, perchè è la prima volta che ne muovo così tanti tutti
insieme^^
Piccolo avviso: tutte le mie
fic sono betate da Urdi e, in particolare per questa, lei mi ha dato ispirazione
per molteplici cose!
Spero commenterete in molte: ci
tengo molto a questa fic!
Ed ora un pensiero ad ognuna di
voi^^
Fenice87: certo che ti sei sprecata ç_ç e
pensare che io ti lascio commenti lunghissimi, cattiva! Scrivimi un bel
commento, dai su! E aggiorna presto le tue fic (o meglio, mandami presto i nuovi
cap da betare *_*)
Urdi: non ti sarò mai abbastanza
grata per tutto il sostegno che mi dai! Se non ci fossi dovrebbero inventarti!
Te l'ho già detto che senza di te e senza i tuoi pareri non posterei nemmeno,
vero? Grazie a te e agli spunti che mi dai, questa fic mi sta riuscendo bene^^
La coppia Neil/Yuri è in tuo onore, darling^^
Valentina78:
ho riso
un sacco quando ho letto la tua "minaccia".. comunque, grazie del sostegno.
Spero ti sia piaciuto anche questo capitolo! Non esitare a dirmi se qualche
punto non mi è venuto bene, mi raccomando! Conto anche su di te ^_-
Mozzi84: oddio, grazie infinite per i
complimenti! Il tuo commento mi ha fatto davvero felice, perchè cominciavo a
credere che la storia non piacesse a tanti.. ma un commento in più mi ha dato
una enorme gioia! Cosa ne pensi di questo capitolo, Mozzi?
Ciao!!