Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: queen of night    13/03/2008    5 recensioni
Certo che il destino sapeva davvero sorprendere. Due settimane prima non si sarebbe mai sognato di rivolgere la parola a Fay Heather, mentre ora ce l’aveva appiccicata contro la schiena. La spiò dallo specchietto e la vide poggiare la guancia contro la proprio spalla. Aveva lo sguardo basso e sembrava persa nei suoi pensieri. La folta chioma corvina danzava dietro di lei, come una lingua di fuoco nero. Forse non era bella nel senso comune del termine, ma era quantomeno affascinate come persona. Sembrava in gamba, perché viveva da sola in un postaccio dove lui non avrebbe mai messo piede per tutto l’oro del mondo. Sapeva arrangiarsi e questo un po’ gli ricordava Neil. Inoltre aveva appurato che non erano assolutamente vere le voci di corridoio che la dipingevano come l’amante di qualche professore influente della facoltà. Fay era molto intelligente. L’aveva capito subito. E comunque sembrava abbastanza ostinata e orgogliosa da non abbassarsi a tanto solo per qualche buon voto. Di certo non aveva un carattere semplice, era strana e amava isolarsi, però sembrava una brava ragazza a dispetto di quello che si diceva in giro. Quanto si sbagliava…
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Non poteva ancora crederci.

Con un moto di ottimismo, puntò l’indice sul foglio appeso alla parete dell’aula e scorse nuovamente tutti i nomi, elencati per ordine alfabetico, finché non arrivò al suo.

Mc Quinn Nathan, matricola 078952, N.C.

Sbuffò, irritato. Sperava di aver letto male all’inizio, ma non era stato così.

N.C., ovvero “non classificato”.

Stavolta mio padre mi taglia davvero i fondi, pensò desolato.

Il cicaleccio della stanza aumentò, segno che gli altri studenti stavano entrando e che l’inizio della lezione era prossimo.

“Ehi, Nath! Allora?” chiese una voce squillante dietro di lui.

Percepì forte e chiara, ma soprattutto forte, una pacca sulla spalla.

Si voltò per lanciare all’amico un’occhiataccia.

“Allora ho fatto pena anche stavolta! Non sono passato…” ringhiò, amaramente, aggrottando le sopracciglia. Quando Nathan era di quell’umore, la cosa più ragionevole da fare era lasciarlo in pace e aspettare che sbollisse la rabbia da solo. Chi lo conosceva almeno un po’ lo sapeva bene.

Il compagno di corso, quindi, optò per un’azione sicura e salutare per tutti: tacere. O meglio, ne aveva tutte le intenzioni del mondo, ma, in quel preciso momento, arrivarono a frotte tutti gli altri membri del loro gruppetto. Le ragazze subito circondarono Nathan, come api attratte da una profumata e sontuosa orchidea. Era quello un avvenimento piuttosto comune nella vita di lui: fascino da bello e impossibile, Nathan Mc Quinn era figlio di un ricco imprenditore e di una ereditiera. Unico successore dell’ingente patrimonio famigliare, era un bocconcino appetibile per qualunque creatura di sesso femminile. Nathan non aveva mai fatto nulla di troppo faticoso durante la sua esistenza per assicurarsi sempre e dovunque un nutrito gruppo di fans, ma quello sembrava nascere quasi spontaneamente, qualunque luogo frequentasse. Come del resto i suoi cosiddetti “amici”, i suoi compagni di corso: nemmeno loro li aveva conquistati con la sua simpatia. Infatti, tolto l’aspetto fisico più che piacevole, il rampollo di casa Mc Quinn non aveva, quel che si dice, un bel caratterino: viziato, lunatico ed egocentrico. Tre aggettivi che lo descrivevano a meraviglia.

Subito il chiacchiericcio delle tre studentesse, che l’avevano circondato (era braccato praticamente), cominciò a stordirlo e fu subissato di domande.

“Come va? Passato il dolore il dolore alla schiena?”

“Ci vieni alla festa stasera, vero?”. A parlare era stata una rossa (tinta, ovviamente) piuttosto chiassosa, assieme alla sua compagna di progettazione.

“Certo che viene, Christina. Ci vado io, non vedo perché lui dovrebbe mancare” disse la sua amica, una bionda, piuttosto ammiccante.

“La solita smorfiosa!”

“Com’è andata Nathan?” domandò la terza del gruppo, una brunetta con sguardo da cerbiatta. Forse la più sopportabile delle tre.

“Zitta, Ethel! Non l’hai ancora capito che non ha preso nemmeno la sufficienza?! Non mettere il dito nella piaga” sbottò la bionda di prima.

“Grazie mille, Brooke. Sei proprio un’amica” commentò il giovane in questione, con palese ironia.

Che la ragazza evidentemente non colse.

“Di nulla, Nath!”

“Avanti, lasciatelo in pace”. Per sua immensa fortuna, il fedelissimo amico Neil intervenne in sua difesa e, buttandogli un braccio al collo, se lo portò via, uscendo dall’aula, nonostante fosse consapevole dell’arrivo imminente del professore.

Si diressero, tacitamente d’accordo, verso la macchinetta delle bevande calde e lì Neil cominciò a frugare freneticamente all’interno dei suoi pantaloni, in cerca di spiccioli.

“Caffè?” chiese.

“Macchiato, thanks” rispose l’altro, poggiandosi con la schiena al muro, sempre imbronciato.

Stettero in silenzio per un po’. Nathan guardava con pigro interesse l’amico, mentre questo infilava le monete e pigiava i tasti della macchinetta.

Neil era, senz’ombra di dubbio, come un fratello, per lui. Non solo perché si conoscevano praticamente da una vita (elementari, scuole medie, liceo ed ora università), ma soprattutto perché erano sempre stati assieme ed ormai l’altro lo conosceva meglio di se stesso.

Solitamente, lui non era un tipo sdolcinato, ma dava molto valore al legame di amicizia che c’era tra loro. Era bello avere vicino una persona come Neil, sempre pronto ad aiutarlo e a condividere tutto con lui. Anche le esperienze più assurde e stupide, come sbagliare treno e capirlo solo all’arrivo, quando ormai si trovavano a chilometri e chilometri di distanza dalla loro meta e da casa loro. Rise dentro di se, ripensando a quell’episodio.

Se c’era qualcuno che dal principio non l’aveva avvicinato, perché figlio di una ricca e prestigiosa famiglia, quello era Neil. E non perché anche lui fosse nella sua stessa posizione sociale, anzi: era figlio di un fotografo e di una cameriera. I suoi genitori avevano divorziato mentre lui era ancora piccolo ed il padre se n’era andato all’estero, in cerca di un’assunzione stabile; quando la madre si era risposata con un nuovo compagno, lui era ormai divenuto adolescente. In quel periodo erano cominciati i primi litigi famigliari: Neil non sopportava proprio il suo patrigno e così, non appena Nathan gli aveva proposto di andare a vivere con lui in una lontana città universitaria, non ci aveva pensato su due volte. Aveva fatto i bagagli e se n’era andato, libero ed indipendente.

Ma quanto gli costava ora la sua indipendenza: per mantenersi, Neil era costretto a lavorare, ma non poteva permettersi di scegliere un impiego a tempo pieno: le lezioni erano obbligatorie e lui non voleva rischiare di diventare uno studente fuori corso. Così, aveva optato per un part-time come corriere espresso.

Nonostante questo, la sua media scolastica era buona e aveva dato tutti gli esami previsti. Ciò gli permetteva di usufruire di una sostanziosa borsa di studio, che gli consentiva di condurre una vita piuttosto discreta.

“Eccole il suo caffè macchiato, signore” gli disse Neil, scherzando e porgendogli un bicchierino di plastica fumante.

Nathan rispose con un grugnito, come ringraziamento.

L’amico sospirò, vedendolo così, e tentò di tirarlo su di morale.

“Non ha senso abbattersi, Nath. Piuttosto, dovresti cercare di rimediare” gli consigliò caldamente.

“Fosse facile! Stavolta mio padre si incazzerà da morire”

“Ma dai, è normale. Poi gli passa”

“No che non gli passa! Non mi darà più un soldo!” sbottò Nathan, buttandosi a sedere su uno degli scranni in plastica, posti lungo tutta la parete del corridoio, in cui si trovavano.

“Puoi sempre cercarti un lavoretto da fare. Ormai hai ventun’anni belli che compiuti! Ne saresti in grado” ribatté l’amico, fermamente convinto delle sue parole.

“Non siamo tutti come te, Neil” inveì l’altro, in un moto di stizza, che gli passò subito non appena si accorse di quello che aveva detto. “Ah, no…! Scusa! Non volevo dirlo in quel senso… lo sai”. Non era stato molto carino da parte sua rinfacciare a Neil la sua condizione. Lui non aveva un padre che gli manteneva vitto e alloggio, studi e divertimenti vari. Lui badava a se stesso e lavorava per mantenersi.

Neil lo guardò, scuotendo il capo. “Non preoccuparti: conosco il tuo caratteraccio. Ci ho fatto il callo, ormai” sospirò, finendo di bere il suo caffè tutto d’un sorso.

“Non dire così”

“Comunque sia, penso sia proprio il caso che tu vada a far ripetizione da qualcuno o non passerai nemmeno l’esame orale” dichiarò, serio, mentre accartocciava il bicchierino di plastica e poi lo lanciava verso il cestino dei rifiuti, facendo canestro.

“Grazie mille, Neil! Sei confortante” rispose Nathan, più amareggiato che mai.

“Sono realistico”

“E dove dovrei andare, sentiamo?! Credi davvero sia facile trovare uno che faccia ripetizioni di questo tipo? Perché non mi aiuti tu?” lo supplicò, sapendo tuttavia la sua risposta.

“Lo sai che, se potessi, lo farei volentieri. Però, tra il part-time e lo studio, ho davvero poco tempo da dedicare a me stesso, figurarsi a te. Per fortuna viviamo insieme, altrimenti non so come faremmo per Progettazione”

“Allora sono fottuto” proclamò, cupamente, alzandosi per buttare anche lui il bicchiere, ormai vuoto.

Neil lo seguì con lo sguardo, poi la sua attenzione fu catturata da ben altro.

“Non direi. Guarda un po’ là”. Indicò uno dei mille foglietti appesi alla parete di fronte alle macchinette delle bevande e degli snack. Il muro era quasi completamente ricoperto di annunci: affitti di monolocali, bilocali, posti letto, vendita di libri usati o appunti, eccetera. Una sorta di bacheca collettiva.

Nathan seguì con gli occhi la direzione del suo indice e, dopo due secondi, focalizzò un pezzo di carta, che sembrava essere stato strappato da un quaderno.

Ripetizioni di Statica e Meccanica delle strutture. Per chi è interessato, contattare il seguente numero durante le ore dei pasti.

“Fa al caso tuo” gli fece notare Neil.

Senza rispondergli, Nathan tirò fuori dalla tasca dei jeans il cellulare e si segnò il numero di telefono.

“Quindi, immagino seguirai il mio consiglio” disse l’amico, incamminandosi verso l’aula.

Di nuovo, il giovane dai capelli scuri grugnì in senso affermativo.

“Allora dillo”

Nathan si fermò in mezzo al corridoio. “Cosa?”

“Neil, avevi ragione, come sempre” recitò il ragazzo, cercando di imitare la voce dell’altro.

“…”

“Sto aspettando”

“Neil… vai a fanculo”

 

Quando entrarono in aula, il professore era appena entrato e alla cattedra stava cercando di accendere il microfono. I due ragazzi ne approfittarono per andare verso l’altro capo della sala, dove c’era il loro gruppo.

Naturalmente il posto che era stato tenuto per Nathan si trovava in mezzo a Christina, Ethel e Brooke, che lo accolsero tra loro, più che felici.

Neil si dovette accontentare di un posto vicino a Ralph e al silenzioso Yuri, che quella mattina non aveva ancora aperto bocca.

“Buon giorno a tutti” cominciò il professore. “Come vi avevo già annunciato ieri, ho corretto i vostri test e ho appeso in bacheca i risultati, per chi non li avesse ancora visti. Sono stato molto soddisfatto, eccetto qualche insufficienza”. Nathan a queste parole rimise il broncio.

Dopo una raccomandazione affinché gli studenti carenti si impegnassero per recuperare, perché “l’orale era alle porte”, l’uomo, papillon giallo a pois rossi su completo marrone scuro, cominciò la lezione del giorno.

La spiegazione, come al solito, fu noiosissima e Nathan ben presto smise di prendere appunti e, spalmatosi comodamente contro lo schienale della sedia, cominciò a scarabocchiare il suo block-notes. Dello studente modello lui non aveva proprio nulla.

Quando le due ore di tedio finirono, tirò un sospiro di sollievo, mentre tutti i presenti cominciavano ad alzarsi in piedi per uscire dall’aula.

“Ehi, avete visto chi ha totalizzato di nuovo il punteggio più alto?!” chiese Christina alle compagne. Dal tono si intuiva che lei conoscesse già la risposta.

“No, dai! Se mi dici ancora quella, cambio facoltà!” rispose Brooke, melodrammatica come sempre.

“Allora sbrigati a fare domanda per il passaggio, cara, perché la numero uno del corso continua ad essere lei” confermò Ethel, prendendo in braccio dei libri.

“Giura!” trillò la bionda, inorridita.

“Di chi parlate, ragazze?” chiese loro Ralph, incuriosito dal loro spettegolare.

Le tre lo guardarono in tralice, contemporaneamente.

“Ma di Morticia, ovvio” dissero, quasi in coro. Nathan le guardò disgustato: possibile che non avessero ancora intuito quanto l’argomento “test” gli desse fastidio? E poi perché dovevano sempre parlare di quelle cose così inutili?

“Intendete Fay Heather, la cocca dei professori”. Per la prima volta, tutti ammutolirono e si voltarono in un’unica direzione: Yuri, colui che eccezionalmente aveva parlato!

“Amico, mi inquieti a volte” decretò Neil, poggiandogli le mani sulle spalle. Quello lo guardò, interrogativo.

“Comunque sia, non capisco proprio perché quella strega riesca sempre ad ottenere il massimo dei voti in tutto! Non posso credere che sia davvero così brava” sbottò Brooke, volgendo lo sguardo in direzione della cattedra, dove il professore ancora sedeva, riordinando dei fogli. Una ragazza gli si era appena avvicinata e sembrava gli stesse chiedendo qualcosa.

“Secondo me, va a letto con metà corpo docente” insinuò maliziosamente Christina, guardando anche lei nella stessa direzione della compagna.

Nathan, che cercava di non farsi coinvolgere in quelle sciocchezze, non poté fare a meno di voltarsi, troppo incuriosito. Eppure sapeva bene di chi parlavano: Fay Heather, una ragazzina che non dimostrava affatto la sua età, dalla fluente chioma corvina e dagli occhi color pece. Per questo veniva chiamata Morticia dall’intera classe, fin dal primo anno accademico: ricordava la protagonista omonima del telefilm per il fatto che vestiva sempre di scuro e per la sua carnagione bianchissima e i lunghi capelli neri. Ma le analogie finivano qui: al contrario di Morticia della famiglia Adams, i lineamenti del viso erano molto femminili e la sua figura magra risultava alquanto gracile nel suo complesso.

Non era simpatica a nessuno, per quel che aveva capito. In effetti, l’aveva sempre vista da sola, in fondo all’aula. Risultava sempre prima agli esami e, per questo e per il suo carattere schivo, si era attirata numerose antipatie.

Dal canto suo, Nathan non l’aveva mai calcolata più di tanto. Certo, non era brutta, ma a lui piacevano le donne più prosperose, come Brooke, che non si portava a letto solo per non avercela poi tra i piedi per l’eternità.

Nathan era piuttosto superficiale e questa sua visione dell’altro sesso ne era la prova inconfutabile.

“Già, guardala là, come si lavora il professore” disse Ralph, unendosi ai commenti delle ragazze.

“Oh, avanti, piantatela una buona volta di fare i perfidi” intervenne Neil. “Se è così brava, evidentemente è intelligente e si applica molto, tutto qui”

Quattro paia d’occhi lo fissarono laconicamente. Possibile fosse il solito guastafeste?

“Neil, non rompere” rispose Brooke a nome di tutti.

“Dopo questo dialogo istruttivo e maturo, penso scapperò in biblioteca per occupare con saggezza quest’ora di buco” dichiarò quello con fare ironico, mettendosi la borsa con i libri a tracolla.

Il silenzioso Yuri lo seguì, senza dire nulla o salutare nessuno. Del resto, era fatto così.

Un marziano, che nessuno si prendeva la briga di comprendere.

“Perché noi, invece, non ce ne andiamo in caffetteria, eh Nathan?” propose Brooke, avvinghiandosi al suo braccio, peggio di un koala.

“No… non mi va. Andate voi” disse in fretta il moretto, prima di liberarsi della ragazza e avviarsi verso il cortile interno dell’edificio.

“Ma che ha?” chiese la bionda, puntandosi le mani ai fianchi: la sua preda era fuggita via.

“Dev’essere per il test che non ha passato… lascialo perdere! Adora fare la vittima. Se vuoi vengo io con te a bere qualcosa” affermò Ralph, sorridendole.

Brooke non lo degnò nemmeno di una risposta e se ne andò, seguita da Ethel e Christina.

 

Nel frattempo, Nathan era arrivato nel porticato del giardino e si era seduto sopra un basso muretto, che faceva da staccionata, poggiando la schiena contro la colonnina di una volta.

Tirò fuori dal taschino del giubbotto il pacchetto morbido di sigarette. Con la bocca ne estrasse una e se la accese. Inalò una lunga boccata di fumo, che poi lentamente espirò. Quei gesti, così semplici e meccanici, avevano il potere di rilassarlo quando era nervoso.

E così quella sera, quando suo padre avrebbe chiamato per sapere com’era andato il test, gli avrebbe dato l’ennesima illusione, pensò tra sé e sé. Ma ormai i genitori dovevano essersi abituati a vederlo fallire. Non era mai stato una cima a scuola, eppure si era ugualmente iscritto all’università, sotto le spinte dei suoi. Purtroppo, non aveva scelto Legge, come il padre aveva sperato (una delle tante altre delusioni), ma Architettura. A volte si chiedeva se l’avesse fatto in un moto di ribellione oppure no. Non importava, comunque.

Doveva solo resistere per altri due anni e mezzo e poi si sarebbe laureato (forse). Non gli importava il voto con cui sarebbe uscito. Tanto, quando sarebbe venuto il momento di cercare lavoro, sapeva già con certezza che suo padre l’avrebbe raccomandato a qualcuno dei suoi amici, così come aveva fatto per fargli superare il test di ingresso alla facoltà di Architettura. La vita era così facile per lui… eppure Nathan si sentiva pieno di problemi ed insofferente.

Considerava ogni cosa una scocciatura e quando, nolente, doveva fare qualcosa, diveniva di cattivo umore ed era a dir poco insopportabile. Rispondeva male a chiunque. Persino a Neil.

E cos’aveva da lamentarsi poi? Il basso profitto all’università? Colpa sua, perché era svogliato e si impegnava poco.

Oppure si lagnava perché il padre lo aveva minacciato nuovamente di non mandargli più un soldo?

O perché delle sue camice firmate non ce n’era nessuna adatta per la festa di domani sera?

Questi erano i grandi problemi di Nathan, eterno insoddisfatto.

Un cattivo ragazzo?

No.

Viziato?

Decisamente.

In fondo, non era proprio colpa sua se era così. Cioè, non tutta colpa sua: in parte, il merito andava anche ai suoi genitori, in realtà segretamente fieri del loro unico figlio maschio, colui che un giorno avrebbe ereditato il Mc Quinn Group, grande impresa edile che costruiva ville extralussuose in tutta la nazione ed anche all’estero.

Nonostante il padre preferisse vederlo iscritto nell’albo degli avvocati, alla fine gli andava bene ugualmente che suo figlio diventasse architetto. Ma questo, naturalmente, non glielo aveva mai detto. E forse non l’avrebbe fatto nemmeno in futuro.

La madre, invece, riteneva il suo ragazzo il migliore in assoluto: non c’era stata una sola volta nei suoi ventunanni di vita che l’avesse rimproverato per qualcosa, anche quando era bambino.

Nathan faceva i capricci perché voleva un giocattolo? Mandava subito un cameriere a comprarglielo.

Nathan voleva avere una Mercedes per i suoi diciotto anni? Nessun problema.

Nathan voleva andare a vivere per conto suo? Gli avrebbe comprato all'istante un piccolo e grazioso loft.

Alla fine, nessuno gli aveva mai detto di no veramente ed era per questo motivo, in sostanza, che il giovane Mc Quinn si era abituato ad avere tutto dalla vita.

Per fortuna, non è solo l’educazione dei genitori a formare il carattere di un bambino: sono anche le persone incontrate lungo il cammino. E Nathan aveva avuto la fortuna di incontrare Neil alle elementari.

Con lui aveva aperto un po’ gli occhi su molte cose che prima dava per scontate. Il ragazzo aveva cambiato un poco il suo punto di vista: grazie a lui, aveva capito, per esempio, il valore di avere accanto un vero amico, su cui poter contare; aveva capito che un’amicizia non si curava da sola, ma andava sempre coltivata (lui era abituato ad essere circondato di gente non interessata davvero alla sua personalità), perché non tutto è dovuto. Molte cose vanno ottenute tramite uno sforzo o un sacrificio. Questo lo aveva capito, anche se non sempre lo applicava.

A ventun’anni si rendeva conto di essere una persona tremendamente vuota. Non aveva mai fatto nulla di buono, tranne accogliere Neil in casa sua. Eppure, anche in questo caso, la situazione andava più a suo vantaggio: per lui, l’amico era essenziale. Un punto fermo in un mare di caos.

Frequentavano lo stesso corso quinquennale di Architettura ed erano finiti per diventare compagni di Progettazione, materia in cui, se si salvava, probabilmente lo doveva a Neil.

“Signor Mc Quinn” lo chiamò una voce baritona e conosciuta.

Riscosso bruscamente dalle sue riflessioni deprimenti, Nathan si stupì di non aver fatto un salto con aggiunta di grida in sottofondo, dato l’accidenti che si era preso. Con il cuore che gli martellava nel petto per lo spavento, visibilmente impallidito, si voltò, trovandosi faccia a faccia con il professore di Statica e Meccanica delle strutture.

“Professor Le Revenant, buon giorno” lo salutò, tentando di chetare il battito del suo cuore.

Si alzò e scese dal muretto su cui era appollaiato. Solo in quel momento si accorse che, dietro all’omino, stava una persona.

Una ragazza piccola, che vestiva in maniera alquanto discutibile, completamente in nero, la cui chioma corvina ricadeva confusa sulle spalle.

Non lo guardava nemmeno, ma fissava un punto impreciso del pavimento.

Era Morticia, quella di cui parlavano prima i suoi compagni.

“Signor Mc Quinn- cominciò il professore, con tono severo- anche questa volta non è riuscito a superare il test” gli disse, guardandolo seriamente.

Il senso di pesantezza che aveva sul cuore aumentò. Inconsciamente Nathan strinse un pugno e aggrottò le sopracciglia.

“Lo so benissimo! È venuto per farmi la solita ramanzina?” chiese, in un moto di arroganza e frustrazione. Doveva proprio mettere il dito nella piaga, quel dannato vecchio?

Il professore si accigliò a quelle parole scortesi, ma non disse nulla: il giovane Mc Quinn era una testa calda, glielo avevano raccontato anche i suoi colleghi. Inoltre, siccome dovevano a suo padre l’ala nuova della biblioteca, preferì non raccogliere la provocazione.

Ci pensò qualcun altro, comunque, a fargli abbassare la cresta.

“Sei un gran cafone. Chiedi scusa al professore!”

Durò un secondo, ma fu come se la temperatura fosse scesa di colpo e avesse ghiacciato l’aria circostante. Nessuno si era mai permesso di parlare così ad un Mc Quinn.

Sia Nathan che l’anziano dal discutibile vestiario si voltarono stupiti nella direzione di colei che aveva parlato.

Era stata la Heather a rivolgersi a lui in quel modo. Il ragazzo fissò con astio le iridi scure di lei, inspiegabilmente inespressive.

“Suvvia, non è successo nulla” si affrettò a dire il professore, cercando di calmare le acque. Come al solito, l’espressione di rara e sadica crudeltà non sparì dal volto dell’uomo, quasi vi fosse stata impressa sopra alla nascita.

“A me non sembra, signore. Questo sbruffone le ha palesemente mancato di rispetto, mentre lei si sta preoccupando per la sua situazione. Non mi sembra educato” insisté la giovane, con tono piatto.

Nathan si maledisse per essere uscito dal proprio letto, quella mattina. Possibile non gliene andasse mai una per il verso giusto? Anche quella piaga nera ci si doveva mettere ad irritarlo?

Voleva solo che quei due sparissero alla velocità della luce e che il mondo intero lo lasciasse in pace, almeno per il resto della giornata.

“Le chiedo scusa, professore” disse il ragazzo, con tono chiaramente falso e sbrigativo. Sia chiaro: non che avesse ubbidito all’ordine di quella tizia stramba, ma aveva semplicemente preferito tagliare corto quella questione e venire subito al sodo.

L’uomo si stupì di nuovo: non si sarebbe mai aspettato che Nathan sapesse anche scusarsi. Sorrise compiaciuto tra sé e sé: forse, dopotutto, non aveva avuto una cattiva idea.

“Di nulla, Mc Quinn- gli disse- ero venuto appunto per proporle una soluzione ai suoi problemi, se le sta bene”

Il moro annuì, con fare non troppo entusiasta. Lanciò un'altra occhiata torva alla giovane, che aveva ripreso a fissare il pavimento, come se nulla di quello che la circondava la interessasse davvero.

Si ritrovò a chiedersi distrattamente per quale motivo quella tipa (ora etichettata nella sua mente come “insopportabile, da evitare come la peste”) fosse lì, come se stesse accompagnando il professore.

In quel momento si ricordò delle parole di Christina, ma non vi diede molto credito. In fondo, il prof. Le Revenant non gli sembrava tipo da fare quelle cose con una studentessa: troppo serio e impostato. Un vecchio di altri tempi, tutto pelle e ossa: era altissimo e secco come un grissino.

“Ecco, lei conosce già la signorina Heather? Siete una quarantina voi del secondo anno, però potreste non esservi ancora presentati” fece il professore, con fare prosaico. Qualunque cosa dovesse dirgli, Nathan sperò lo facesse in fretta. Non sopportava quell’uomo troppo arcigno per i suoi gusti e, inoltre, aveva come un brutto presentimento. Ma soprattutto: perché gli stava presentando quella tizia?

“Infatti non la conosco, ma posso già dire con certezza che non è esattamente il genere di compagnia che potrei amare” sbottò lui, sfidando la giovane con lo sguardo.

Quella, senza alzare la testa, gli rispose: “Hai ragione. Difatti ho notato che di solito preferisci frequentare delle oche. E poi, se non mi conosci e mi stai già classificando come persona sgradevole, dovresti guardarti allo specchio e magari metterti una mano sulla coscienza, prima di parlare”

Nathan la guardò con astio: era davvero una persona insopportabile ed aveva una lingua alquanto velenosa. Se non ci fosse stato il professore, tra loro, l’avrebbe ricoperta volentieri di insulti.

E se non fosse stata una donna, le avrebbe già mollato un pugno sul naso.

Nessuno si era mai permesso tanto con lui. Solo suo padre e Neil potevano farlo liberamente, senza attirarsi il suo disprezzo o il suo odio.

“Stai zitta e lasciami parlare con il professore” le intimò, sperando che la tizia se ne andasse.

Si rivolse all’anziano uomo con un’espressione la quale faceva trapelare chiaramente che aveva raggiunto il livello massimo di sopportazione. Se quel vecchio aveva qualcosa da dirgli, che si sbrigasse!

“Ragazzi, sono spiacente di vedere che non andate d’accordo- sibilò quasi il professore, vedendo sfumare il suo progetto- Mc Quinn, volevo affiancarle la signorina Heather nello studio, così da risollevare la sua situazione. Mi sembrava una buona idea e la signorina è stata già molto gentile nell’accettare di darle una mano” si spiegò.

Nathan lo guardò con orrore: stava scherzando, vero? A parte il fatto che, dopo quelle brevi battute che si erano scambiati, non aveva la minima intenzione di passare un minuto di più in compagnia di quella strega, come poteva un’estranea accettare di aiutare nello studio uno che neanche conosceva? Cioè, lui non l’avrebbe mai fatto, al posto suo.

In quel momento, la risposta fu semplice: tutti sapevano chi fosse e di chi era il figlio, quindi, presumibilmente quella ragazza voleva solo quello che volevano un po’ tutti.

Dopo averle lanciato l’ennesima occhiataccia, che lei non colse, troppo impegnata ad ammirare le piastrelle del pavimento, rispose negativamente.

“Signor Mc Quinn, ci pensi prima di rifiutare. Questa ragazza è molto dotata: potrebbe essere una vera manna dal cielo, per lei” insisté il professore, poggiandogli una mano sulla spalla, con fare minaccioso.

“No, grazie- gli rispose Nathan, vincendo l’impulso di scansare quelle lunghe dita scheletriche dal proprio omero- ho già trovato una soluzione al mio problema. La ringrazio comunque dell’interessamento”. Per fortuna che Neil aveva trovato quel volantino circa le ripetizioni! Alla fine, ancora una volta si ritrovava salvato dall’amico.

Il professore ne fu sorpreso e soppesò le sue parole, come a considerarne la veridicità.

“Perfetto, Mc Quinn. Lieto di vedere che è corso ai ripari” sentenziò, con tono freddo “Ora la saluto, a domani”. Si allontanò, diretto probabilmente verso il suo ufficio, con Morticia che lo seguiva passo passo, come un pulcino segue una chioccia.

Nathan sbuffò, infastidito da quell’episodio. Il gesto gentile di Le Revenant gli era indifferente: era, infatti, convinto che l’uomo non fosse così felice di bocciarlo, sapendo che poi avrebbe dovuto fare i conti con il Rettore della facoltà.

L’unica cosa che l’aveva colpito era stato fare la conoscenza della Heather, che si era dimostrata ancor più insopportabile di come la dipingevano Brooke e gli altri. A questo proposito, chissà cosa avrebbe detto la bionda se le avesse raccontato di aver avuto un tète a tète con la tanto odiata Fay Heather, innegabilmente la “cocca” dei professori, o almeno di Le Revenant.

Quella giornata, in ogni caso, era stata orribile. E Neil avrebbe lavorato la sera, quindi non poteva nemmeno chiedergli di uscire con lui e andare in qualche pub, per distrarsi un po’. Purtroppo si sarebbe dovuto accontentare della compagnia di Ralph.

L’ora di buco passò in un battito di ciglia e, dopo un’altra sigaretta e un tramezzino con troppo formaggio (per i suoi gusti), Nathan si avviò su per le scale esterne del giardino sul retro, quello in cui vi era il parcheggio per le auto dei docenti. I gradini portavano al piano superiore, dove vi era l’aula della prossima lezione. Inutile dire che prestò attenzione per i soli primi cinque minuti, dopodiché si dedicò a scarabocchiare il suo notes.

Finita anche quell’ultima ora, Nathan agguantò l’amico e uscì in fretta dall’aula, sperando di seminare la fastidiosa Brooke, che tutti i giorni cercava di scroccargli un passaggio a casa. Non che non volesse farle un piacere, anzi: non gli costava nulla, dato che il suo appartamento era vicino al proprio, se soltanto lei durante il tragitto avesse tenuto la bocca chiusa. Il fatto era che ciò non si era mai verificato in passato, figurarsi nel prossimo futuro.

“Ma scusa, Nath, non potresti accontentarla una volta sola? Così smetterebbe di ronzarti attorno in modo ossessivo” gli fece notare Neil, mentre tornavano a casa sulla Mercedes dell’altro.

“Guarda che otterrei esattamente l’effetto contrario. Tu non le conosci le donne come lei, Neil” replicò il ragazzo, scalando di una marcia, mentre effettuava un sorpasso.

“Per fortuna che ci sei tu ad illuminarmi” rispose l’amico, ironicamente.

“Oggi Le Revenant è venuto da me” disse d’un tratto, fissando la strada davanti a sé.

Neil lo guardò, interrogativo.

“Voleva propormi di studiare con la Heather, per rimediare ai miei voti… non ti dico che piacevole incontro c’è stato” rise amaramente.

“E tu?”

“E io cosa?”

“Hai accettato o no?”

“Cavolo, Neil! E c’è da chiederlo?! Certo che non ho accettato!” sbottò Nathan, girando il voltante a sinistra.

“Scusami tanto, principino sul pisello, posso sapere perché? La Heather sarà pure strana, ma è la migliore del corso e Le Revenant ha avuto un’ottima idea” disse l’altro, che proprio non capiva come facesse l’amico ad essere sempre così arrogante ed indisponente. Si abbassava a chiedere aiuto solo a lui, ma, se si trattava di chiederlo ad altri, apriti cielo!

“Quella tizia è insopportabile. Non chiedermi oltre. E poi ho già trovato la soluzione al mio problema, no?” gli fece notare.

Erano arrivati sotto il condominio dove abitavano. In due manovre, Nathan parcheggiò abilmente la Mercedes nel viale.

“Intendi dire le ripetizioni del volantino? A volte mi stupisci, Nath: studiando con la Heather non avresti avuto problemi di sorta, ma un bel voto assicurato e avresti passato i pomeriggi con una bella ragazza. Ora, immagina se quello dell’annuncio è un ragazzo, un brutto brufoloso puzzolente ragazzo… rimpiangerai a vita la proposta di Le Revenant” sghignazzò Neil, aprendo il portone, che dava sull’atrio del palazzo.

Inutile dire che Nathan lo guardò malissimo.

“Preferisco mille volte il ragazzo brutto brufoloso e puzzolente a quella stregaccia in nero” sbottò, prima di rendersi conto di un particolare. “Scusa un attimo, Neil. Sbaglio o hai appena detto bella ragazza?”

L’amico annuì, perplesso, poiché non capiva dove l’altro voleva andare a parare.

“Ma hai qualche problema alla vista? Definire bella quel coso nero e incazzoso, puah!” fece il ragazzo, palesemente schifato.

Salirono in fretta le scale illuminate dalla luce, che filtrava dalle ampie vetrate dei corridoi di ogni piano.

“Tu non sei oggettivo” disse Neil, tra un gradino e un altro.

“E tu dovresti farti una visita oculista”

“Sei prevenuto”

“Ho le mie ragioni”

“Ho capito… durante il vostro breve ma intenso incontro, lei ti ha detto qualcosa” esultò lui, convintissimo di aver scoperto l’incognita x della situazione. Nel mentre armeggiò con le chiavi e aprì la porta del loro appartamentino.

“Taci, Neil” lo minacciò l’altro.

“Qualcosa che non ti è proprio piaciuto”

“La smetti, pseudo-indovino dei miei stivali?!”

“Va bene, spocchiosissimo principino sul pisello”

“Spilungone”

“Cocco di mamma”

“Secchione del cavolo”

“Egocentrico del cazzo”

“Ho fame”

“Pennette o risotto?”

“Pennette. Con panna e salsiccia”

“… Viziato”

 

 Dopo pranzo (inutile dire chi aveva cucinato), Nathan si spalmò sul comodo sofà del salottino e accese il televisore lcd, per cercare di passare in modo indolore quel noiosissimo pomeriggio.

Ad un certo punto sentì Neil raggiungerlo a grandi falcate dalla sua camera e, quando questo arrivò sulla soglia della stanza, lo vide infagottato nel suo giubbotto con il solito vecchio zaino in spalla.

“Vado in biblioteca, Nath. Perché non vieni anche tu? Si studia molto bene” cercò di convincerlo il ragazzo.

Due cerulei occhi si posarono su di lui, palesemente annoiati.

“No, grazie”

“Intendi startene lì come un pesce lesso tutto il pomeriggio?”

“Neil, perché cerchi di occupare inutilmente il ruolo di mia madre?”

“Almeno chiama il tipo/a delle ripetizioni” propose Neil, lanciandogli al volo la cornetta del cordless.

Purtroppo Nathan non aveva scelta: l’amico, peggio di una governante sovietica, stava là impalato e lui credeva fermamente che non si sarebbe schiodato di lì, finché non avesse sentito con le sue orecchie chiamare quel benedetto numero.

Così Nathan digitò i numeri che si era segnato sul cellulare e attese.

“Pronto” disse una voce cupa e bassa dall’altro capo del telefono. Sembrava quasi famigliare. A Nathan non piacque per nulla il formicolio che avvertì propagarsi dalla base della testa fino alle spalle.

“Ehm… Ciao… Io chiamo per le ripetizioni” spiegò, col presentimento sempre più pulsante che avrebbe fatto meglio a terminare immediatamente quella telefonata.

“Sì… quando vuoi fissare la prima?” chiese la voce, che Nathan riconobbe appartenere ad una ragazza. Anche se non era del tutto sicuro.

“Oggi sarebbe l’ideale”

“Alle quattro. A casa mia. Via Selvino numero 19. Terzo piano, a sinistra” spiegò sbrigativa la voce, come se all’improvviso avesse avuto molta fretta.

Non gli diede nemmeno il tempo di dire qualcosa, che aveva buttato giù la cornetta e Nathan si ritrovò perplesso, con il cordless ancora sollevato all’altezza dell’orecchio, mentre questo non smetteva di produrre un fastidioso tu.tu.tu.tu…

“Tutto ok?” chiese Neil, che aveva seguito la breve scenetta.

“Non è un ragazzo brutto brufoloso e puzzolente, questo è certo” disse l’altro dopo alcuni secondi di silenzio.

“Meglio se è una ragaz…”

“In compenso è una ragazza strana, cupa e acida” replicò Nathan, ripresosi dallo stato catalettico.

Neil rise di gusto, prima di salutarlo e uscire di casa, lasciandolo sul divano, ancora scombussolato per essere stato trattato in quel modo da una sconosciuta.

Lui, Nathan Mc Quinn, non era abituato ad essere trattato così.

Da nessuno.

Durante l’ora seguente, il ragazzo, frustrato più che mai, dormì sul divano, ma il suo non fu un buon sonno ristoratore, così quando si svegliò alle quattro meno venti era ancor più scontroso di prima.

Resosi conto dell’ora, andò velocemente in bagno a rinfrescarsi un po’. Dopo cinque minuti, uscì quasi correndo dall’appartamento, con in mano le chiavi della Mercedes e il giubbotto di pelle.

Scapicollò per le scale e a momenti fece cadere la vecchia signora del piano di sotto.

Inforcò i Rayban e saltò sul sedile della sua auto: partì con uno scatto rabbioso e la Mercedes schizzò in avanti.

Era maledettamente in ritardo.

Inoltre, proprio come se la sfiga ce l’avesse con lui quel giorno, si rese conto che via Selvino era dall’altro capo della città, lontana dal centro, in uno di quei quartieri cosiddetti “poco raccomandabili”.

Sperò vivamente di trovare ancora tutta intera la sua bella auto, una volta finita la ripetizione.

Se ci mise quasi venti minuti per arrivare nella via giusta, in compenso identificò subito il numero 19: un orribile palazzo rozzissimo e ultracentenario svettava tra case grigiastre e decadenti come un pugno in un occhio.

O-mio-dio, pensò Nathan, schifato oltre ogni dire.

Parcheggiò l’auto davanti al condominio e la lasciò a malincuore.

Si inoltrò nel giardino attraverso un tracciato di terra battuta, costeggiato da erba alta, che nessuno sembrava aver tagliato da secoli. Qua e là, notò sacchi d’ immondizia abbandonati, vecchie ruote e alcuni bidoni di metallo arrugginito.

Un vero tugurio, pensò.

Il palazzo non aveva nemmeno il portone d’ingresso, così Nathan entrò valicando una soglia vuota. Il suo umore non migliorò affatto: dentro era come fuori, se non peggio. C’erano graffiti ovunque e spazzatura agli angoli. Un odore nauseabondo di marcio e di piscio veniva da quei cumuli schifosi.

Nathan si tappò il naso e si avviò veloce lungo la rampa di scale, dato che l’ascensore naturalmente era guasto. Salendo notò disgustato qualche scarafaggio schizzare da un lato all’altro dei pianerottoli.

Finalmente arrivò davanti alla porta consunta e scolorita del terzo piano, a sinistra. Non c’era il campanello, così bussò.

Mentre attendeva che qualcuno gli aprisse, si ritrovò a pensare per quale motivo una ragazza (no, dico, una ragazza!) avesse deciso di vivere in un posto così disgustoso e… poco igienico. E sicuramente pieno di gente malfamata.

E i suoi genitori? Come potevano permetterle di stare in quella topaia? Non amavano la loro figlia?

Nathan si stava trastullando con quei pensieri, dettati più che altro dalla curiosità (di certo non per bontà d’animo), quando un rumore secco proruppe dall’altra parte della porta. Una serratura era stata fatta scattare.

Un secondo dopo, l’uscio si aprì lentamente e sulla soglia apparve la figura snella di una ragazza, vestita con un maglia nera aderente che le arrivava sopra le ginocchia.

Nathan avrebbe potuto anche apprezzare la mise della sconosciuta, se questa non fosse stata proprio una sconosciuta.

Due occhi neri come la notte affondarono nelle sue iridi cerulee, facendolo quasi gelare dalla sorpresa.

“Sei in ritardo” disse Fay, con voce sottile e cupa.

 

 

Note personali:

Che dire? I commenti sono molto graditi, anche perchè se la fic non piace, non perdo nemmeno tempo a continuare. Spero commenterete in tanti! Ah, il personaggio Neil è stato venduto a Urdi, la mia meravigliosa beta, che ringrazio come sempre!!!

 

 

 

  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: queen of night