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Autore: Keiko    25/12/2013    2 recensioni
Torneranno.
Saori Kido ha lasciato partire i Bronze Saint certa che faranno ritorno per il giorno di Natale a Tokyo. Un appuntamento a cui è difficile mancare, divisi tra il richiamo del dovere di Saint e quello del cuore di uomini liberi.
Torneranno, le ha giurato Jabu, e lei è certa che rispetteranno la loro promessa.
A Tokyo però, Saori non è l'unica in attesa.
(La completa comprensione degli eventi è subordinata alla lettura della raccolta Sancta Calendar)
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andromeda Shun, Cygnus Hyoga, Nuovo Personaggio, Pegasus Seiya, Saori Kido
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'La rabbia delle stelle'
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A Sweet Revenge (2001-2013)


Seiya è voluto rientrare a Tokyo perché Atene ora odora di sangue e morti. La Guerra contro il Tempio ha cancellato con un colpo di spugna gli anni dei ricordi, quelli in cui l’infanzia era sofferenza e dedizione ma anche la dolcezza di uno sguardo amico a cui aggrapparsi. Seiya non appartiene ad Atene, questo lo sa. Nonostante si sforzi, Atene è una seconda scelta, mai la prima. Saori è a Tokyo invece, protetta solo da quei pochi che sono rimasti.
Se dovesse accaderle qualcosa?
Siamo stati così egoisti da abbandonarla?
È il Saint di Pegasus che parla, o Seiya?
Forse il cosmo del primo a cui il ragazzo vorrebbe – o dovrebbe – cedere.
Ha discusso con Mia che, infine, ha ceduto e l’ha seguito.
“Lo faccio per Miho e i bambini” gli ha detto, ma sa che non è la sola verità. L’ha accusato, però, e non ci è andata giù leggera. Ha smesso da tempo di indorargli la pillola, forse perché negli occhi ha una passione che lui non è in grado di gestire o arginare e a cui lui non sa dare un nome. Lo travolge, lo stordisce e sono scintille, mai fuochi che si spengono facilmente, in un braciere che arde perpetuo.
“Sai qual è il problema? Che tu non scindi le due persone, Seiya. Saori è Saori Kido, Athena è Athena. Se Saori ci vuole a festeggiare il Natale a Villa Kido non è il desiderio di Athena, okay? Questo puoi avere la decenza di ammetterlo a te stesso?”
Sono preoccupato, avrebbe voluto dirle, ma le parole hanno grattato contro il palato e lì si sono arrestate, tra i denti che si stringevano tra loro. Non lo è solo per la vita di Athena – a scindere l’umano dal divino è in grado anche lui, ma ha davvero senso farlo? Se muore Saori, muore la sua dea – ma per tutti loro, per la piega che gli eventi hanno preso. Dalla guerra al Santuario niente è tornato al proprio posto e si maledice ogni giorno per non essere stato in grado di proteggere anche lei, oltre ad Athena.
Era quello che volevi o voglio illudermi sia così?
“Se Athena è a Tokyo perché restare al Santuario?”
“Dove sono i Gold Saint? Il posto di tutti noi è qui, non altrove.”
Atene è casa tua. Ma gli altri?
“Saori è voluta rimanere a Tokyo e sai qual è il motivo? Che non vuole essere Athena.”
“Tu volevi essere un Saint?”
“Abbiamo mai avuto scelta?”
Si, tu l’avevi, ma il pensiero si è arrestato contro il senso di colpa per averla trascinata in una vita che forse poteva risparmiarle.
“Perché non capisci?” e ha sbottato, Seiya, perché davvero, gli sembra sempre di parlare con un muro di granito. O con il proprio specchio, cocciuto e testardo e ottuso.
“Ho capito benissimo, invece” e Mia si è allontanata dalla parete alla quale era appoggiata, fissandolo per un ultimo istante prima di uscire dalla stanza lasciandolo solo.

Dalla loro discussione, quarantotto ore prima, l’ha evitato accuratamente, ha condiviso con lui il posto in aereo e l’ha lasciato a marcire nel proprio brodo, tamburellando il tempo di qualche canzone grunge con le dita sul finestrino, persa a inseguire i disegni delle nuvole e quella distesa di zucchero e panna oltre il vetro. Non gli ha rivolto parola, ne ha aggiunto altro alla loro conversazione. Seiya vorrebbe tornare sull’argomento ma sa che rischierebbero di litigare sul serio, per cui ha atteso la serata all’orfanotrofio per chiederle – quanto meno – di fare pace. Di chiedere perdono non se ne parla, perché lui è certo di essere dalla parte della ragione e a mettersi in discussione nemmeno ci pensa. Si è distaccato dagli altri uscendo all’aperto, mentre Mia piroetta raggiante tra i bambini e racconta loro storie greche che lui non ha mai sentito.
Dove le ha imparate?
Forse da Lithos o dallo stesso Aiolia, anche se dubita che il Leone si sia mai preso il disturbo di una simile smanceria nei confronti della sua allieva.
“Ehi, non hai voglia di festeggiare o sbaglio?”
Miho spunta al suo fianco all’improvviso, cogliendolo alla sprovvista. Le mani nascoste dietro la schiena, sorriso smagliante e niente codini a incorniciarle il viso. Non sembra nemmeno la stessa persona di sempre.
“Avete discusso di nuovo, vero?”
“Cosa te lo fa pensare?” chiede lui sulla difensiva.
Idiota, avresti dovuto chiedere chi fosse il soggetto, ma pare impossibile scindervi ormai.
“Non ti ha rivolto parola per tutta la sera.”
Lui ci ha provato a farlo, si è avvicinato a lei durante il buffet, tenendo d’occhio ogni suo spostamento nel tentativo di prenderla da parte per parlarle. Anche il suo atto di isolamento con una passeggiata nel parco dell'orfanotrofio aveva quello scopo, ma Mia non l'ha seguito.
Miho mi conosce troppo bene.
“I bambini sono un’ottima scialuppa di salvataggio” continua squadrandolo con attenzione, con quel sorriso furbo di chi ne sa una più del diavolo.
“Fanno un mucchio di baccano” brontola contrito.
“E non ti permettono di pensare” aggiunge lei, incalzandolo, senza dargli tempo di replicare.
“Perché non le chiedi semplicemente scusa?”
“Perché io non ho sbagliato” e questa volta sfoggia tutta la sua determinazione facendola ridere di gusto, portando la mano alla bocca per nascondere quel sorriso spontaneo e raggiante.
Miho è diversa.
Miho gli ricorda il motivo per cui deve combattere e poi trovarsi lì, in mezzo alla vita vera, quella che è fatta di carezze, sospiri, chiacchiere superficiali e un quotidiano monotono e noioso. Dove non serve un Cloth per essere il migliore, ma solo il vivere secondo giustizia. Tornare a quell’esistenza, anche se raramente, gli concede la carica giusta per ritornare poi a combattere, perché sa che la guerra al Santuario è stata solo l’inizio e sarebbe stupido credere il contrario.
La guarda di sottecchi mentre cammina al suo fianco in silenzio, facendogli compagnia, alleggerendo quel peso che gli schiaccia il petto.
Perché basta una cosa così semplice per scaldarti l’anima?
Dalla sua prima guerra, Seiya ha imparato una cosa: combattere e amare sono due nomi differenti per la stessa cosa. Eppure inizia a credere non sia così semplice comprendere i moti del cuore. Dei suoi non si preoccupa, è certo siano la naturale conseguenza del casino che sta nella testa di Mia e non anche nella sua.
“Torniamo dentro?”
“Vorrei restare ancora qui.”
“Ma fa freddo, dai rientriamo. Gli altri ci staranno cercando.”
Ci?
Seiya fa spallucce e decide di tornare sui propri passi senza porsi troppe domande, mentre Miho lo prende sotto braccio sorridendogli, appoggiandosi a lui quel tanto che basta per scaldarsi a vicenda.
Che male può fargli dare un’occhiata per intercettare di nuovo Mia e fare un ultimo tentativo?
E questo sarà davvero l’ultimo sai?

Hanno messo a dormire i bambini con una certa fatica, tra chi si è aggrappato a Seiya sfruttandolo come un albero su cui arrampicarsi, chi si è incollato al collo di Mia e Shun chiedendo altre storie e chi, semplicemente, si è sentito adulto ascoltando i racconti della Siberia di Hyōga. Erii e Miho hanno preparato la serata in modo che tutto fosse perfetto: il buffet, la sorpresa per i bambini, l'arrivo dei ragazzi.
Erii non era così convinta che avrebbero fatto ritorno, non dopo il silenzio durato sino a poche ore prima del tramonto, spezzato da una telefonata di Mia che le ha gettate nel panico più totale, persino peggiore di quello che sarebbe arrivato dalla cocente delusione dei bambini privati dei loro idoli.
Erii accusa Miho di aver sbagliato con i più piccoli: ha mitizzato Seiya, Mia e poi tutti gli altri a seguire, e ora ogni giorno è una sfida a chi, prima o poi, avrà finalmente un Cloth da indossare.
“Certo che di energia ne hanno eh.”
“I piccoli sono stati bravi, Seiya ha avuto il suo bel daffare vero?”
Mia le si è avvicinata stirandosi, allungando verso il soffitto le braccia sottili, la stoffa leggera del vestito candido che le lascia scoperti gli avambracci striati di vecchie cicatrici.
“Qui com'è stata la situazione? Non avete avuto problemi vero?”
Non sa cosa dire, perché parlare con Mia è quasi lasciare una testimonianza a un poliziotto. E poi a lei Mia non piace perché è un ostacolo alla felicità di Miho e, che ne dica l’altra, entrambe lo sanno. Miho però è troppo buona e preferisce un quieto silenzio, accontentandosi di una tacita tregua per una guerra mai davvero dichiarata. Non conosce Mia, non bene quanto sostiene di farlo l’amica, ma senza dubbio parteggia per la compagna. La ragazza di Villa Kido appartiene a un altro mondo, non al loro. L'ha vista solo durante le visite all'orfanotrofio ma non le va troppo a genio. Forse perché nonostante Miho le sia affezionata non si rende conto che le sta portando via Seiya e che, al contempo, non è di certo la ragazzina che dieci anni prima si è trasferita dall'altra parte dell'oceano.
Quanti problemi si fa, quella stupida!
“Si, ma godiamoci la serata. È Natale dopotutto.”
“Già” le risponde l'altra senza convinzione.
“Erii?” le domanda poi esitando, mordendosi il labbro cercando le parole adatte per poter proseguire.
Ehi sei umana anche tu allora.
“Credi che a Natale davvero si possa aggiustare qualsiasi cosa?”
“No, siamo noi che gli diamo questo potere. Siamo più ben disposti verso il prossimo, tutto qui.”
Mia sgrana gli occhi incredula e le sorride affabile, ed Erii con un sorriso tirato si dilegua lungo il corridoio alla ricerca di Hyōga. Lei e Miho hanno preparato per settimane i regali da offrire ai ragazzi, ed è certa che l'amica ora stia dando il proprio a Seiya.
Coraggio Miho, dichiarati!
“Ouch!”
Si massaggia il naso, sollevando lo sguardo dapprima sulla camicia color cobalto, poi sul viso d'angelo incorniciato da una folta chioma bionda.
È... è.
“Scusami non ti ho vista, il corridoio era buio e...”
“È colpa mia Hyōga, sono abituata a muovermi nell'oscurità e a conoscere ogni angolo. Ti sei fatto male?”
Stupida, che razza di domanda fai?
“No, tu piuttosto?”
Erii scuote il viso con forza, poi alza lo sguardo su di lui cercando di raccattare coraggio nella penombra che la protegge. Sente le guance avvamparle, e ringrazia che le luci siano abbassate.
Avanti, dai… digli qualcosa! Anzi, digli tutto!
“Ti stanno bene i capelli” le dice lui sorridendo – perché quando sorride la sua voce ha un’inflessione differente – e lei se li passa tra le dita, nervosa.
“Grazie” balbetta stornando lo sguardo sulle punte dei piedi.
Tu sei bellissimo.
Se ne stanno lì, fermi come due idioti in mezzo al corridoio, Erii che non sa cosa dire o fare e Hyōga che attende che lei faccia qualcosa, perché semplicemente non capisce cosa stia accadendo.
O adesso o mai più, coraggio!
Si da una spinta mentale, avvicinandosi di un passo al ragazzo, il necessario per fargli capire che non deve andarsene. Non ora, almeno.
“Io volevo… ecco, si… mi chiedevo… credi che Seiya sia interessato a Miho?”
Stupida! Stupida! Stupida!
Hyōga si porta una mano alla nuca, imbarazzato. In quel gesto somiglia così tanto a Seiya da farle credere per un istante che a stare con lo zoppo, sia vero che si impara a zoppicare.
Non sei così ottuso, spero. Ma non è possibile, tu sei perfetto.
“Be’, non saprei… dovresti chiederlo direttamente a lui.”
“No, era per…”
Eh?
“Oh, non è per me è che…”
Che?
Gesticola con le mani, portandole davanti al viso e cercando di negare sia lei l’interessata, ma non crede di essere così brava a dire la verità. È quasi più facile mentire, c’è poco da fare. Erii inspira profondamente, cerca di darsi un contegno e di non peggiorare ulteriormente una situazione già precipitata verso il baratro.
Non finirà così, chiaro?
“Puoi attendermi qui un istante? Devo… devo mostrarti una cosa. Un attimo soltanto.”
Un attimo che voglio duri per sempre.
Non gli lascia il tempo di replicare, lo oltrepassa a capo chino e corre incespicando nei propri piedi verso la camera che condivide con Miho, quella che un tempo era stata di Mia. Ha il fiato corto, nemmeno avesse preso parte alla maratona di New York, e si richiude alle spalle la porta, poggiandovi la schiena e inspirando profondamente, il cuore che le batte all’impazzata nel petto, le guance accaldate e gli occhi che le bruciano. Inspira di nuovo, poi si tuffa per terra ed estrae da sotto il letto un pacco dalla forma regolare, la carta candida su cui sono disegnati fiocchi di neve attorniati da glitter argento.
Ha pensato proprio a tutto, Erii, ed è certa che non potrà fallire.

Shun, seduto su una poltroncina solitaria, fissa il soffitto della stanza e si gode un po’ di pace. Quando ha chiesto a Mia se avesse intenzione di andare a Villa Kido, l’ha vista chinare lo sguardo e poi allontanarsi, senza dargli una risposta. Lui vorrebbe che Ikki tornasse per passare il Natale insieme. Sa che ormai, vista l’ora, è impossibile, ma ci spera ugualmente. Non ha mai lasciato Tokyo per questo motivo, anche solo nel caso suo fratello avesse deciso di fargli una telefonata, e solo per la serata di Gala organizzata dalla Fondazione Kido si è preso il disturbo di scollarsi da casa propria e uscire. Mia gli si avvicina e si siede al suo fianco, tenendo tra le mani un bicchiere mezzo vuoto di punch, ma non parla.
“Io vorrei che Ikki fosse qui.”
Lei esita un istante, poi la sente sospirare in modo quasi impercettibile.
“Ikki è tuo fratello.”
“Milady è tua sorella.”
“Lei non… io e Saori non abbiamo lo stesso sangue, non siamo sorelle.”
“Ma avete lo stesso cognome, e un destino che vi ha fatte incontrare. Sai, a volte non serve il legame di sangue per stabilire a chi dobbiamo voler bene.”
“E chi dobbiamo odiare” aggiunge lei, ma lo fa con tono stanco. Non ha voglia di combattere contro gli ideali e i partiti presi anche a Natale.
“Impariamo a voler bene agli altri e a odiarli. Dalle una possibilità.”
“Come Athena o come Saori?”
Shun la fissa sorpreso, e anche lei ora lo sta guardando negli occhi in cerca del consiglio di un amico, di una risposta che determinerà l’esito del loro futuro.
“Come Athena gliel’hai già data. Ora concedila anche a Saori.”
“Perché?”
“Perché forse anche lei ha bisogno di te. Come sorella e amica, non solo come Saint.”
“Saori non…”
Mia non finisce la frase, mordendosi il labbro ed evitando di aggiungere altro. Le trema la voce, dunque preferisce restare in silenzio e ricacciare indietro le lacrime di una scelta che le costa anni di certezze e prese di posizione.
“Shun?”
“Mmh?”
“Verresti a Villo Kido con me?”
Le posa una carezza tra i capelli, ricordando il gesto che anni prima Ikki gli rivolgeva per tranquillizzarlo, mentre lei se ne resta a capo chino, come ad attendere una sfuriata che non arriverà mai.
“Grazie” mormora a bassa voce, ma lui non le risponde “vado ad avvertire Seiya.”
Si alza e si allontana sorridendogli, le guance arrossate e gli occhi umidi di lacrime non versate.
Non c’è altro da aggiungere a una resa che il cuore già conosce.

Mia non sa a chi aggrapparsi quando fa ritorno a Tokyo. L’unico che le concede un po’ di conforto è Shun, con cui è semplice parlare e aprirsi perché è su un’altra frequenza d’onda. È facile escludere uno a uno i Bronze Saint: Hyōga, proiettato verso un ritorno che non giungerà mai; Seiya concentrato solo su stesso cercando di essere il Saint Perfetto; Shiryu che vorrebbe solo fare ritorno a Goro Ho e restarci; Jabu che soffre di un complesso di inferiorità che prima o poi li porterà ad affrontare guai seri e Miho, che ha una vita così diversa dalla sua, che vorrebbe entrarci ogni volta in punta di piedi, per non fare rumore e farle male. Tokyo non è il suo posto, lei lo sa. Cresciuta tra i Gold Saint, in un luogo che trasuda ad ogni angolo la sua devozione per Athena, a Tokyo è costretta a fare i conti con ciò che la sua dea ha scelto per involucro in questa reincarnazione: Saori Kido. È certa che dal Tempio sarebbe più semplice eseguire gli ordini perché non sarebbe costretta a riceverli direttamente da chi per anni si è imposta di odiare.
Vale la pena continuare a farlo? Se lo chiede, perché così come l’amore, anche l’odio nel tempo si esaurisce, se non viene alimentato.
Saori è umana ed è sola.
Lei, invece, può fare affidamento su Marin, su Aiolia e… su se stessa.
Lei ha potuto scegliere e si è gettata a capofitto in una vita che credeva differente. Saori non ha mai avuto questo privilegio, le è stata preclusa ogni possibilità di scelta nell’esatto istante in cui ha emesso il primo vagito. Stringe nella tasca del vestito il sacchetto di seta di un pallido lilla, e avverte il gelo al contatto con il suo contenuto.
Che stupida sentimentale sono, vero Shaina?
I passi sono silenziosi sui tatami, attraversa l’atrio con la stessa facilità con cui lo faceva quando era bambina. Le voci che ode sono bisbigli nella notte, ma può riconoscerle senza sforzo: sono Seiya e Miho.
Si arresta un istante, il cuore che le batte all’impazzata nel petto, prima di svoltare l’angolo e capitare in mezzo a loro all’improvviso.
È corretto?
Si sporge appena, giusto per vedere se…
No, non posso.
Si ritrae, appoggiando la schiena nuda contro la parete. È gelida a contatto con la pelle, ma le ricorda di essere ancora in piedi e non distesa a terra, nell’arena di Atene. Stringe le palpebre tra loro così forte da sentire le lacrime pungere come aghi, poi inspira e avanza di nuovo di un passo.
Se provi ancora più dolore, non ti sentirai più leggera.
Però, un giorno, tutto questo dolore ti sarà utile.
Gliel’ha detto una volta Aiolia, durante gli addestramenti, quando scoppiò a piangere stanca e avvilita, certa che non avrebbe mai ottenuto un Cloth ne tanto meno che sarebbe sopravvissuta all’addestramento.
Tu vali quanto un Gold Saint, se la legge fosse diversa.
Se non indossassi la maschera?
Esatto.

Preferisco che tu resti in vita, mi faccio bastare il Silver Cloth, Aiolia.
Mia si sporge di nuovo e li vede, Miho e Seiya, stretti l’uno all’altra sotto il vischio. Potrebbe fermarli, piombare tra loro con la scusa con cui veramente è andata a cercarli, ma sa che sarebbe sbagliato e non se lo perdonerebbe mai.
Facciamo così: questo Natale sarà un nuovo inizio.
Si stacca dalla parete e ritorna sui propri passi, poi si arresta e decide che no, non vale la pena piangere davvero per Seiya. Anzi si, vale tutte le pene del mondo, perché quando sei innamorato tutto l’amore e tutto il dolore che provi sono ugualmente importanti.
Sarà meno dura per tutti d’ora in poi.
“Shun?” chiede con la voce che è un sussurro per riprenderne il controllo.
“Hai pianto?”
Lei scuote il capo, afferrando le scarpe e sorridendogli.
“Credo che ci siano cose per cui vale la pena combattere mille guerre, ma poi devi saper deporre le armi anche.”
Shun la guarda interrogativo, ma non indaga oltre. Conosce il peso delle parole e la forza del silenzio, conosce, soprattutto, quando il problema si chiama Seiya.
Per questo non fa domande.
Per questo Mia non potrà mai ringraziarlo a sufficienza.
Sei una amico discreto, Shun.
Il migliore che possa desiderare.

Ha aspettato Erii attendendo con pazienza, incuriosito dall’atteggiamento della ragazza. Erii è buffa, distratta, innocente, una di quelle persone che potrebbero incespicare nella propria ombra senza capirne il motivo. Dovrebbero andare a Villa Kido, quanto meno per presenziare all’evento benefico che milady ha organizzato, ma non ne ha voglia. Desidera vivere la propria vita, e desidera onorare la memoria del suo maestro Camus con la stessa forza.
Cosa farebbe lui?
Sarebbe ad Atene a presiedere l’Undicesima Casa, di questo ne è certo.
Eppure Camus ha attraversato la Siberia per cercare sua sorella e dare una risposta e un senso differente alla sua vita.
Come hai fatto a essere uomo e Saint? Sembra che l’uno precluda l’esistenza dell’altro.
“Hyōga?”
Erii è alle sue spalle e bisbiglia il suo nome sorpresa, credendo forse di non trovarlo ad attenderla.
“Sono qui” le risponde, e si rende conto di quanto suoni dolce e rassicurante quella frase, esattamente come la prima volta che l’ha udita rivolta a se stesso.
“Ecco io… questo è per te.”
Erii gli offre un pacchetto perfetto, la carta che ricorda il Cigno e il suo potere.
“Devo aprirlo ora o preferisci…”
“No, preferisco che lo apri domani. Buon Natale Hyōga” e si solleva sulle punte dei piedi, posandogli un bacio sulla guancia.
Lo guarda negli occhi per un istante ancora, poi fugge di nuovo, perdendosi nell’ombra.
Le labbra di Erii erano calde e morbide, leggere come piuma.
E lui, ora, si sente inebriato di un’energia nuova, differente.
Così leggero da poter volare tra le nubi.
Sei tu la mia possibilità di essere uomo?

Si sono baciati, o forse è così strano che sia accaduto che deve essersi addormentata ed ora sognando. Sotto il vischio che lei ed Erii hanno montato sulla porta di ingresso, lei e Seiya si sono arrestati, cercando qualcosa di differente da dirsi, oltre a parlare di Mia. All’improvviso, Miho si è resa conto che l’amica non è stata altro che una scusa, un’attenuante per non sentirsi in colpa e concentrare le attenzioni del ragazzo solo su se stessa. Uno stratagemma di bassa lega con cui, in un istante, si è confrontata.
“Non partire di nuovo” gli ha detto, e lui non ha capito.
Non ha compreso il motivo, o forse è stato così attento da cogliere la sfumatura di una supplica permeata di terrore e ha preferito fingere di non vederla. Sa che Mia non gliel’avrebbe mai chiesto, perché Mia combatte al suo fianco e al suo fianco morirà, se dovesse essere il suo momento.
“Non voglio ti accada nulla di male.”
“Ma io tornerò sempre, figurati se mi può capitare qualcosa che…”
È stato a quel punto che Miho l’ha abbracciato, stringendogli la vita e tuffando il viso nel montgomery pesante e ruvido a contatto con le guance.
“Non andare. Resta qui.”
Ha alzato lo sguardo verso di lui, e ha atteso.
Ha pregato capisse.
Ha pregato accadesse.
Ed è successo.
L’ha baciata con delicatezza, posandole le proprie labbra sulle sue, cercandola dolcemente per poi staccarsi da lei con imbarazzo.
“Io, ecco…”
“Grazie” gli ha risposto lei, quasi Seiya le avesse fatto l’elemosina, concedendole qualcosa che sa non potrà durare in eterno, non oltre il buio di una notte di Natale surreale e folle.
Ora però vai da lei.
Anzi no, ora resta qui con me e non te ne andare. Me l’hai appena giurato.

Seiya si tormenta i capelli, la mano dietro la nuca e l’aria da sbruffone. È a disagio, lo sa bene, ma non sa come rimettere le cose a posto e lei meno di lui, perché è in quel momento che tutto sta andando come dovrebbe, almeno per una volta.
“Io non volevo, cioè, scusami se…”
“È tutto a posto. Davvero.”
Sono così felice che potrei morire ora e andrebbe ugualmente bene.
Gli sorride, poi si volta e intravede nell’ombra il guizzo dorato dei capelli di Hyōga che li guarda attentamente, gli occhi ridotti a due fessure.
“Mia e Shun sono andati a Villa Kido. Hanno lasciato un biglietto in cucina e sono passati dal retro. L’ha trovato Erii. Tu che fai, vieni o resti?”
La voce di Hyōga è come una tormenta di neve, così gelida da spazzare ogni dubbio: ha visto tutto.
“Erii dov’è?”
“Nella sala principale a sistemare. Mi ha detto che avreste pensato voi a ripulire e di andare tranquillamente al Gala dei Kido.”
Fissa di nuovo Seiya, cercando la risposta alla domanda di poco prima, ignorandola, come se non esistesse.
Come fa a piacerti uno così, Erii?
“Sei sicuro che Mia abbia deciso di andare da quella strega?”
“Evidentemente preferisce la compagnia di una strega a quella di chi è pronto a tradirla. Sai, dai tuoi nemici sai già cosa attenderti.”
Colpita e affondata, Miho.
E quelle parole sono schiaffi al cuore e al viso, che spezzano l’idillio di un istante immacolato e magico.
Lo dirai a Mia?
Vorrebbe chiederglielo, ma sa che quella sarebbe un’ammissione di colpa e lei no, non ne ha. O forse, l’unica colpa è quella di essere innamorata dello stesso ragazzo della sua migliore amica.
Ma se lui invece amasse lei?
E se lei, invece, non fosse davvero la sua migliore amica?
Se lei non avesse davvero colpe e tutto fosse accaduto perché entrambi lo desideravano?
Non vuole cedere ai dubbi, abbassa il capo e finalmente si allontana da Seiya, con riluttanza.
“Vi lascio andare allora, vado a dare una mano a Erii. Grazie di tutto.”
Lancia un’ultima occhiata al pacco che Hyōga tiene sotto braccio, e abbozza un sorriso.
Spera, almeno, che a Erii sia andata meglio di come sia andata a lei.
Perché la verità, è che Miho si sente sporca ed è certa che non sarà più in grado di guardare negli occhi Mia.

*

Saori ha smesso di guardarsi alle spalle con insistenza. Non è buona educazione, e sa che prima o poi i ragazzi arriveranno. Non confida nella presenza di Ikki, e sa che Shiryu è impegnato ad aiutare la gente di Goro Ho a contrastare la furia del fiume, ma gli altri… si, gli altri torneranno. Quando si è stancata di aspettare, indispettita da un’assenza che la sfiancava e la rendeva di certo meno attraente, si è lasciata travolgere dalle attenzioni di Julian Solo, rampollo di una ricca famiglia greca di commercio marittimo. Erano pescatori, poi sono diventati borghesi e infine hanno acquisito anche un titolo nobiliare. Mitsumasa Kido ha firmato un contratto prematrimoniale con il giovane molto prima della propria morte, certo che Saori avrebbe trovato nel ragazzo un ottimo compagno.
Julian è divertente, raffinato, sicuro di se.
A guardare in quegli occhi azzurri come il mare di Grecia è certa di rivedere anche un po’ se stessa.
Forse è per questo che… siamo anime affini?
Una volta ha letto un romanzo in cui si diceva che due anime, quando si intrecciano, non si lasciano più, e non si è di certo illusa potesse capitare proprio a lei una cosa di quel genere, con qualcuno così pazzo di lei da inseguirla per vite intere.
“Siete un’eccellente ballerina, milady” le sussurra all’orecchio sfiorandole i capelli con le labbra e avvertendo la sua stretta attorno alla vita farsi un po’ più forte.
Sbatte le palpebre tra loro, le lunghe ciglia che dovrebbero – in chiave moderna e dannatamente romantica – muovere i tumulti del cuore. Lo osserva e sorride affabile, ma non aggiunge nulla.
Devi concederti a pochi, le hanno detto.
Vorrebbe dirgli che può darle del tu, che può chiamarla semplicemente Saori.
Nessuno l’ha mai fatto, tranne Mia.
Tutti a chiamarla milady, dea Athena, signorina… perché non mi chiamate semplicemente con il mio nome?
“Puoi chiamarmi Saori” e infine lo dice, perché quello è il desiderio di una vita, degli ultimi anni passati a vagliare ricerche, trovare ragazzini che credeva morti, riunirli e metterli sotto la propria inesperta guida. Non è da lei cedere a Julian Solo, perché decine di volte già l’ha rifiutato e decine di altre farà lo stesso, ma è come giocare con il bastone e la carota. Uno schiaffo e una carezza e lui continuerà ad attenderla e correrle dietro sino a quando…
Be’, sino a quando Athena non avrà più bisogno di me.
Si stringe un po’ più forte a lui, che l’accoglie con un sorriso raggiante.
Sono belli insieme, perfetti.
Lei non conosce una vita dove manchi la componente di un carisma che incute rispetto e invidia in chi le sta accanto, non conosce nemmeno la possibilità di una vita nell’ombra, seduta sui primi gradini del Tempio.
Julian Solo sarebbe perfetto proprio per questo, vero nonno?
“Vorrei che questa notte non finisse mai, Saori.”
Lei sospira e posa il viso contro il suo petto cercando di ascoltare i battiti del suo cuore.
E quello corre veloce, più in fretta del valzer su cui stanno danzando, ormai fuori tempo.

Milady ha ballato tutta sera stretta tra le braccia di Julian Solo. Jabu non li ha persi un istante di vista, appoggiato alla parete opposta in uno smoking che gli calza perfettamente. Non sarà mai abbastanza per lei, ne come Saint ne come uomo.
“Dovresti farti una bella bevuta e provarci con qualcuno che sia al nostro livello, vecchio mio” e Ban gli da una pacca sulla schiena così forte da spostarlo dalla sua postazione.
“Sei ubriaco” gli ringhia contro l’Unicorno.
“Mai quanto Ichi, credimi. È in giardino con Geki che lo sorregge nel tentativo di fargli smaltire la sbronza prima che diventi molesto. E tu sai quanto possa diventare molesto Ichi, vero?”
“Non farmelo ricordare.”
Ban osserva la sala gremita di ospiti, anche se quelli più attesi non sono ancora giunti.
“Credi che verranno?”
“Chi? Quei disgraziati?”
“Potresti essere meno rigido almeno a Natale, non trovi?”
“Sono dei traditori. Hanno lasciato sola milady e…”
“… e? Non basti tu a difenderla?”
“Vai al diavolo Ban.”
Jabu brontola e grugnisce quasi, ma sono scuse che mal celano l’insofferenza verso i prescelti di Saori Kido.
“Non sei da meno di loro. Nessuno lo è.”
“Ma lei li preferisce.”
“Dovremmo chiederci il perché, non provare invidia soltanto.”
Saori Kido ama ciò che non può avere, ma preferisce non dire nulla e continuare a scrutare ogni volto sconosciuto che varca la soglia dell’ampia sala da ballo. Sgrana gli occhi all’improvviso, e non crede ai propri occhi: dall’altra parte della stanza, imbarazzati e accompagnati da un soddisfatto Tatsumi, ci sono Shun e Mia.
E no, non è l’alcool a giocare brutti scherzi.
Sono realmente loro.
Sono tornati, milady.

Mia è avvolta in un abito candido con un ampio drappeggio sul davanti che le lascia la schiena nuda. Bordato di pailettes e piccoli diamanti, il retro del vestito è una cornice in cui scorgere i segni di un corpo che ha conosciuto la guerra. L’ha scelto Saori appositamente per lei, l’ha fatto sistemare dalla sua sarta di fiducia e gliel’ha fatto recapitare nel suo appartamento.
Mia non voleva indossarlo, poi ha ceduto.
Il terzo segno del suo fallimento, dopo averle acquistato un ninnolo ad Atene – che sa perfettamente non indosserà mai – e dopo aver accettato la richiesta di Seiya di fare ritorno.
In attesa che Takumaru li annunci a Saori, Mia si guarda attorno spaesata: di come ci si comporta nell’alta società ricorda abbastanza da avvertire l’impulso di strappare l’etichetta, ma è un Saint e la formalità marziale di Atene la conosce molto bene. Non deve essere la stessa cosa, però. Sospira, e passa in rassegna la stanza: volti sconosciuti per lo più, e gli altri Bronze Saint addossati alle pareti come suppellettili, dimenticati da Saori. In Grecia sono rimasti solo i ranghi inferiori, i soldati semplici e i Saint cresciuti tra le colonne del Tempio, fatta eccezione per Shaka.
Sono pochi, ma sufficienti a contrastare un primo attacco.
Saori ha voluto offrire a tutti un po’ di pace dopo una guerra che li ha visti massacrarsi tra compagni.
Tra fratelli.
“Mi dispiace Shun.”
“Sapevo non sarebbe tornato. Ma mi piaceva credere che facesse uno strappo alla regola.”
“Mia!”
Saori si fa largo tra la folla svolazzando in un abito ricco di pizzi e trine, con almeno quattro strati di tulle e voile.
Esagerata, come al solito.
E ringrazia che per la scelta del suo vestito abbia avuto buon gusto, anche se le sorge il sospetto che si sia totalmente affidata alla sartoria di fiducia dei Kido. Le si avvicina a passo deciso, in un incedere attento e regale, ma lo sguardo tradisce un’emozione che la stordisce e la coglie impreparata.
Sei felice?
“Speravo tornaste. Anzi, ne ero certa.”
L’abbraccia con trasporto e lei risponde irrigidendosi, senza riuscire a ricambiare la stretta.
Un passo alla volta, okay?
Saori se la scolla di dosso e la squadra attentamente, con fare altezzoso e duro, poi sorride raggiante.
“Si, ti sta una meraviglia. Sapevo che sarebbe stato perfetto.”
“Saori…”
“Si?”
“È tutto sotto controllo qui?”
“A parte il fatto che Julian Solo non mi ha lasciata in pace un solo istante? Si, direi di si” e si lascia sfuggire una risatina compiaciuta, che sottintende quanto invece la corte del rampollo della casata le abbia fatto piacere.
“Forse è perché Mitsumasa Kido ti ha lasciato un contratto prematrimoniale come eredità?” domanda lei asciutta, e la cosa sembra divertire Saori che ridacchia di nuovo, prima di dare finalmente attenzione anche a Shun.
“Grazie per essere venuto. Speravo ci foste tutti ma…”
“Arriveranno” le risponde affabile il Bronze Saint, e la sua risposta sembra accontentarla o almeno, riesce a mascherare in modo perfetto la delusione.
Milady, posso avere il piacere di conoscere la signorina che ha calamitato la vostra attenzione?”
“Julian questa è mia sorella, Mia. Era… in viaggio studio in Grecia.”
Julian Solo si china con fare militare, da cadetto di marina, e le bacia il dorso della mano. Mia trattiene una risata nervosa perché non è abituata a essere trattata come una lady e una donna.
“Questi invece sono i miei ragazzi. Quelli della Fondazione” aggiunge Saori indicando il resto del gruppo, Shun al suo fianco e dietro di loro Hyōga e Seiya.
“Siete una grande risorsa per milady. Parla di voi e di poco altro. Affari soprattutto.”
“Se parlassi di cose tipicamente femminili ti verrei a noia, non trovi?”
Ride e poi lo trascina di nuovo al centro della pista da ballo, civettuola. Mia la osserva e capisce che oltre a una vita imposta dall’alto, anche il quotidiano di Saori è una storia programmata sino nei dettagli.
Avanza di alcuni passi, poi si dirige verso Jabu e Ban lasciando alle proprie spalle Seiya. Ha avvertito il tocco delle sue dita che tentavano di afferrarla, ma è stata di pochi istanti più veloce di lui e l’ha lasciato ad agguantare aria.
Non vuole un confronto con Seiya, non quest’oggi almeno.
Non è certa di volerlo nemmeno in futuro, a essere oneste con se stesse perché il suo cuore ha bisogno di riposo.
Le ferite del corpo si rimarginano con cure e tempo. Allo stesso modo anche quelle dell’anima si richiudono poco a poco e lasciano spazio a una linfa nuova, che riprende a scorrere sotto la corteccia morta.
Per farlo, però, ha bisogno di Atene, dell’arena e una vita lontano dal lusso di Villa di Kido.

“Si può sapere che le prende?”
“Ti riferisci al prima o al dopo di quando siete rientrati a Tokyo?” gli domanda Shun con una punta di sarcasmo nella voce.
“Che diavolo…”
“Lasciala in pace. Se ti sta evitando avrà i suoi buoni motivi, no?” aggiunge Hyōga intromettendosi tra i due.
“Quando lo fa è perché ce l’ha con me.”
“Allora prova a farti un esame di coscienza, genio” rimbecca il biondo in tono asciutto, il tempo di lanciargli la stoccata e lasciarlo in compagnia di Shun per dirigersi verso l’altro gruppo di Bronze Saint, avvicinandosi a Mia. Seiya la osserva muoversi misurando i gesti, ponendo attenzione a come inclina il capo e ai lunghi capelli stretti in una treccia che le incornicia la nuca come un diadema.
Se dovesse dare un giudizio, Mia in quell’istante è la dea che dovrebbe – e vorrebbe – servire.
In realtà ha baciato la sua amica d’infanzia e presenzia al ballo di gala di una ragazzina viziata a cui ha votato l’esistenza senza sapere davvero a cosa stesse andando incontro, ritrovandosi a dover combattere con la ragione.
“Pensi sia molto stupido, Shun?”
“No, solo molto confuso.”
“Quindi credi ci sia un margine di salvezza?”
“Quello dipende da te. E da lei, soprattutto.”
“Ho perso in partenza praticamente” sbuffa, grattandosi il naso in quel gesto nervoso che lo coglie quando sta realmente pensando e non vuole darlo a vedere, mascherandolo con sbruffoneria.
“Sei cieco e ottuso, Seiya. A volte mi domando come sia possibile che… be’, lascia perdere.”
“No, continua. Coraggio” lo incalza lui, certo che Shun non aprirà bocca in proposito, perché il Saint di Andromeda mantiene sempre il silenzio sui segreti degli altri, non è certo un pettegolo come lui, o Hyōga.
“Come sia possibile che tu non capisca mai quando è il momento giusto. Arrivi sempre in anticipo, o sempre in ritardo. Sei fuori tempo massimo con lei, però gli sei sempre andato bene così. Perché? Dovresti riuscire a trovare questa risposta.”
“Lei non è perfetta.”
“Però a te è sempre andata bene così. O sbaglio?”
No, non sbagli.
E la osserva sorridere a Hyōga e parlare con Jabu di chissà cosa, cercando di capire.
Cercando di comprendere come mettere le parole giuste in fila, una volta per tutte.


“Dovresti smetterla di guardarla da lontano soltanto.”
Mia e Jabu sono rimasti nella sala da ballo, dove Saori balla stretta a Julian Solo, il capo appoggiato sulla sua spalla. Shun e gli altri Bronze Saint sono usciti a prendere una boccata d’aria, a rischiararsi le idee dopo aver bevuto così tanto da reggersi a stento sulle proprie gambe. Hyōga, di certo, li ha istigati a puntino, abituato com’è a reggere senza problemi grappa che pare fuoco nella gola, aggiungendo un motivo in più per considerare i compagni delle mezze femminucce.
“Non sono all’altezza.”
“Se non sei all’altezza per qualcosa cosa puoi fare per raggiungerlo?”
“Lasciare perdere.”
“Non c’è nulla che non puoi meritare, Unicorno. Sei fatto per esaudire i sogni in una leggenda antica quanto il mondo. Puoi farlo anche tu, che ne detieni il Cloth.”
“È un invito a rendermi ridicolo?” le domanda lui serafico, scostandosi dalla parete per guardarla in modo torvo. Sa che non lo teme, ne come donna ne come Saint, eppure vorrebbe che quei centimetri in più e i muscoli delle braccia servissero per farla tacere.
Non ti sopporto quando fai il grillo parlante, sei peggio di Shun.
“Ci sono solo poche persone ormai. Perché non le chiedi di ballare con te?”
“Non lo farà mai.”
“Hai paura?”
“Io nono ho paura.”
“Nemmeno di un rifiuto? Avanti, Jabu, cos’hai da perdere?”
Lui la osserva per alcuni istanti, le efelidi che le costellano il viso in modo scomposto e disorganizzato, senza seguire un disegno preciso.
“Mi metterei in ridicolo.”
“Le stelle quando si mostrano vengono ammirate dagli esseri umani, mai derise.”
Il ragazzo scuote il capo, certo che ci sarà un rifiuto ad attenderlo, ma i piedi si muovono da soli per la prima volta seguendo qualcosa che non siano ordini o forse si, ma del proprio cuore, non dettati da una dea coraggiosa o da una ragazzina capricciosa e cocciuta. Quando chiede imbarazzato la mano di Saori, lei l’accetta, scostandosi da Julian Solo che si prende una pausa per rinfrescarsi e darsi una tregua dall’intera serata.
Non perde di vista quella che sarà la sua futura moglie, almeno stando ai desideri di Mitsumasa Kido, ma lascia che i ragazzi della Fondazione abbiano la loro parte nella vita della ragazza.
Buon Natale, Saori.
Mia lascia scivolare nella mano di Tastumi il sacchetto in seta con all’interno il regalo per la sorella, un bracciale in cordoncino e agata nera, con su incisa un’unica frase: Atene ti protegge.
Augurando la buona notte all’uomo che ricambia con un tono brusco, da educatore ancora, si immerge nella caotica Tokyo, dove si riversano turisti chiassosi, curiosi e giapponesi ubriachi dopo i festeggiamenti.
Ad Atene ora ci sarebbe solo silenzio.
E Atene mi manca, mi manca da morire.

Hyōga regge a stento Seya. Sorreggendogli il capo, il ragazzo sembra più uno straccio da buttare che altro.
“Io…”
“Fidati, è meglio che stai zitto.”
Seiya ha perso la gara di bevute contro Jabu e adesso sta pagando lo scotto di una vittoria che l’Unicorno attendeva da dieci anni, anche se sarebbe stato più appagante con un premio differente.
“Che dite, ce ne andiamo a casa?”
Shun annuisce, e passa il braccio attorno alla vita dell’amico, affiancando Seiya da un lato, mentre dall’altro lo regge Hyōga.
“Mia?”
“È già andata. L’ho vista uscire prima da Villa Kido” afferma Ban mentre si accende una sigaretta e ne inspira il fumo soddisfatto.
“Quella roba ti ammazzerà” gli sputa addosso Shun con una punta di stizza nella voce.
“Dubito lo faccia, dopo quello che abbiamo passato.”
Già, come dargli torto?
Hyōga storna lo sguardo verso la luna e poi sulla metropoli che li attende oltre i cancelli di Villa Kido.
“Andiamo a casa, è meglio.”
“Senza… non… io…”
Ma Seiya non finisce di parlare e biascica parole che sembrano scuse e accuse al contempo.
“Domattina potrai sempre parlarle e dirle quanto sei idiota, no?”
“Non… andrà ad Atene e mi lascerà qui!”
Cerca di divincolarsi e cade all’indietro, su se stesso, poi scoppia a ridere in modo sgraziato. I due amici si fissano, poi gli voltano le spalle e si allontanano mentre lui li chiama a gran voce. Si alza, barcolla su se stesso, e continua a gridare i loro nomi.
“Quanto urli?” lo rimprovera Hyōga mentre lo riporta sotto la propria ala protettrice, tenendolo stretto alla cintola.
“Non mi stavi ascoltando!” gli risponde Seiya roteando gli occhi e dando un accento buffo sulle ultime sillabe.
“È uno strazio da ubriaco.”
“Avremmo dovuto prevederlo. Non essere al centro dell’attenzione gli provoca problemi seri” e i due amici ridono, mentre Seiya grugnisce parole al vento, incomprensibili anche a se stesso.
Stretti l’uno all’altro, a farsi forza e scaldandosi, i tre si avviano verso casa, tra i festeggiamenti degli altri, sfiorandone le vite e le storie.
Le loro, sono racchiuse a doppia mandata in uno scrigno lucente e maledetto.

Julian ha atteso l’ultimo istante per darle il suo regalo di Natale. Saori osserva il parco di Villa Kido dalla balconata, guardando un sole che, pallido, si affaccia su Tokyo.
“Non credevo saresti andato via così tardi” gli dice senza voltarsi, perché sa che non è rimasto nessun altro alla villa. I suoi ragazzi si sono divertiti, sono andati e poi tornati, e questo è bastato per sapere che in qualche modo lei per loro è importante anche come Saori.
“Ti ho dato fastidio?” le domanda senza esitazione, deciso a dare fondo a tutte le armi in proprio possesso. La prima, è stata la bellezza, ma quello è un dono che gli hanno concesso il DNA e il mare. La seconda una lingua impertinente, di quelle che le donne adorano ascoltare. La terza è il fascino da principe, senza cavallo bianco ma con una flotta al proprio seguito.
Cederà l’erede dei Kido?
“Buon Natale, Saori” e indugia su quel nome che suona alle orecchie di entrambi come una promessa, un’identità concreta che sarà concesso solo a loro conoscere davvero.
“Grazie Julian, a te…”
Le parole le muoiono in gola quando Julian le apre dinnanzi lo scrigno su cui dorme una collana di perle e diamanti, al cui centro una gemma più grossa delle altre la invita a farla sua. Avrebbe potuto donargliela all’inizio della serata e fare sfoggio a tutti di ciò che gli appartiene, mettendola a un guinzaglio troppo sfarzoso. Invece l’ha fatto alla luce di un’alba leggera, ovattata e silenziosa, un po’ troppo scialba senza l’esplosione di rosa e arancio a cui è abituato dalla villa sul mare dei Solo. L’ha fatto nel silenzio di loro due soltanto, perché la sua donna gli ha concesso un nome che è proibito a molti, e la fiducia non va mai tradita.
Saori è granito, non può essere distrutta, solo levigata.
“Posso?” e lei annuisce con il capo, mentre solleva i lunghi capelli in modo da permettergli di cingerle il collo con un diadema da regina.
“È bellissimo” sussurra lei sfiorandone le gemme, avvertendo il freddo delle pietre dure sotto le dita.
“Non brillerà mai quanto te.”
Non addomestichi il mare, Julian.
Puoi solo imparare a navigarlo.




Note dell'autrice.
ραντεβού in greco significa "Appuntamento".
Davvero, ho avuto il dubbio di non pubblicare questa storia, ma ormai la frittata era fatta, quindi... chapeu.
I Gold Saint sono rimasti ai propri lidi (non potevo scrivere un'epopea), Hyōga ha aperto il regalo di Erii la mattina successiva e il resto.... be', alla prossima storia, se vorrete seguirle (^^)
Non credo di avervi precluso la lettura del Saint di Aglaia, anche perché nel mezzo ci sta parecchia roBBa, e la oneshot credo si possa leggere benissimo da se e essere collocata un po' ovunque, anche se di fatto racconta il Natale successivo alla guerra al Tempio.
Vi auguro un felice e sereno Natale, in compagnia dei vostri cari, di un buon libro e personaggi interessanti.
Come sempre grazie perché il regalo più bello siete voi (^^)
   
 
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