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Autore: syontai    25/12/2013    13 recensioni
Un mondo diviso in quattro regni.
Un principe spietato e crudele, tormentato dai fantasmi del passato.
Una regina detronizzata in seguito ad una rivolta.
Una regina il cui unico scopo è quello di ottenere sempre più potere.
Un re saggio e giusto da cui dipendono le ultime forze della resistenza.
Una ragazza capitata per il volere del destino in un mondo apparentemente privo di logica, e lacerato dai conflitti.
Una storia d'amore in grado di cambiare le sorti di una guerra e di tutto questo magico mondo.
This is Wonderland, welcome.
[Leonetta, accenni Pangie, LibixAndres e altri]
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leon, Un po' tutti, Violetta
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Capitolo 16

Scoccare la freccia, e colpire il bersaglio

Era passato circa un mese da quando Humpty gli aveva messo quella maledetta pulce nell’orecchio, che avrebbe tanto volentieri scacciato. O meglio, la sua parte razionale avrebbe voluto scacciarla, ma il suo animo gli chiedeva continuamente di rievocare ogni momento trascorso intrappolato in quello sguardo così dolce; le parole di Humpty non facevano altro che aumentargli il battito cardiaco, avverando sempre di più quei presentimenti, dapprima fievoli, ma adesso talmente intensi da non poter più essere ignorati: Violetta gli piaceva, e anche molto. Era strano provare quelle emozioni nuove, e ne aveva timore. Aveva paura dell’effetto che solo la sua vista gli provocava nel corpo, era tutto così nuovo, così strano, e le sue certezze erano ormai crollate miseramente, insieme all’eccessiva sicurezza e alla presunta invulnerabilità che lo caratterizzavano. Quando osservava la luce del sole pensava involontariamente al suo sorriso; era la prima volta che qualcuno gli sorrideva in modo così autentico, ed ogni particolare di quel piccolo ma significativo gesto era impresso nel suo cuore. E nonostante ciò, o forse proprio per questo, non poteva sopportare il pensiero di incontrarla, di doverle rivolgere la parola, e continuava ad evitarla come la peste. Non riusciva a vivere in quel clima di terrore, ogni ombra che incrociava per il corridoio gli faceva venire la pelle d’oca. “Non posso andare avanti così, devo rimettermi ed andarmene da questo posto infernale” si disse tra sé e sé, sedendosi di fronte al caminetto spento della sua stanza, e portandosi la testa tra le mani. La spalla stava molto meglio, e la ferita si era quasi rimarginata finalmente, lasciando una profonda cicatrice biancastra, che avrebbe aggiunto alla collezione di quelle delle sue prime battaglie, quando era ancora inesperto. Non poteva negare che gli bruciava terribilmente quella sconfitta per mano del suo rivale; e quell’altro ragazzo mai visto che aveva una spada nera, l’unica che avrebbe potuto scalfire la sua armatura di neranio. Erano dei tipi pericolosi, avrebbero potuto creare problemi all’esercito di cuori, se Pablo li avesse messi a capo di qualche truppa del suo regno, ne era sicurissimo. Si alzò, recuperando il fuoco ardente della vendetta negli occhi e ruotò piano la spalla, per testarne la resistenza, soddisfatto del risultato: “Oggi si ricomincia con gli allenamenti, e poi potrò avere la soddisfazione di infilzare come due spiedini quei rivoluzionari”. L’ultima parola la disse con un misto di sdegno, sottile ironia e disprezzo.
La giornata era stata faticosa come sempre, e Violetta si portò una mano sulla fronte sudata, con l’ardente desiderio di un bagno caldo. Humpty le aveva dato da sistemare alcune librerie. Aveva passato tutto il giorno a togliere libri per spolverare scaffali, e poi rimetterli al loro posto con movimenti meccanici. “Finito?” chiese Humpty, che guardava con apparente svogliatezza dalla vetrata, che si affacciava sul campo di addestramento e dava un breve scorcio anche del viale principale, da cui qualche mese fa era venuta la giovane Violetta Castillo. “Domani vorrei portarti da una parte” le disse infine con un sorriso convinto. “Di che si tratta?” chiese la ragazza, scendendo da una delle scale che portavano ai ripiani più alti. “Non ti piacerebbe imparare a tirare con l’arco?”.
La proposta di Humpty era stata strana e inaspettata. Violetta richiuse la porta della sua stanza, ripensando alla sua risposta. ‘Ma certo, mi piacerebbe tantissimo!’ aveva detto tranquillamente, senza sapere che si sarebbe dovuta svegliare all’alba per non dare nell’occhio e non saltare nessuno dei compiti che le erano stati assegnati. Tutto per il suo romantico e patetico sogno di sentirsi come Giovanna D’Arco. Lena non era ancora tornata, forse era stata trattenuta nelle cucine, ma non aveva la testa per pensarci perché stava per crollare dal sonno. Si lasciò cadere sul materasso pensando di chiudere solo momentaneamente gli occhi e riposarsi un po’, invece si addormentò all’istante, crollando in un sonno agitato.
Il vento faceva frusciare l’erba della misteriosa radura, circondata da alberi i cui rami si intrecciavano come per indicare che non si potesse uscire da quel luogo. Si ritrovò in ginocchio, confusa e con la mente annebbiata, mentre davanti a lei una figura sfocata, ma familiare, era seduta per terra, con i gomiti appoggiati sul prato, e le sorrideva. Mosse le mani in avanti, sorpresa da quell’improvvisa cecità che le stava confondendo i sensi, finché non sentì di perdere il precario equilibrio raggiunto. Due braccia forti la sorreggevano, impedendole di cadere ulteriormente. Alzò il viso, e immediatamente accadde l’opposto: tutto intorno si fece sfocato, appariva nitido solo il personaggio che la stava stringendo a sé. “Devi fidarti di me” le sussurrò Leon, con gli occhi lucidi, che quasi brillavano di luce propria. Violetta annuì debolmente, e desiderò di rimanere in quel posto con lui, per sempre. La sicurezza che le mancava era arrivata, e in quel porto calmo sentiva di poter lasciare finalmente fluire liberamente le proprie emozioni. Il principe sorrise nuovamente, e le accarezzò una guancia con il dorso della mano destra, mentre con il braccio sinistro le circondava la vita in modo protettivo. Ritrovò l’equilibrio sorreggendosi al suo corpo, i cui muscoli erano tesi per mantenerla in quella posizione. Lentamente i loro volti si avvicinarono. Un calore inspiegabile avvolse il suo viso, mentre sorrideva e chiudeva lentamente gli occhi. Le calde labbra di Leon si impossessarono delle sue con avidità. Violetta sentì i brividi correrle non solo lungo la schiena, ma per tutto il corpo, mentre le mani si mossero automaticamente, fino a stringere tra i loro palmi il viso del giovane. Sentì la stretta di Leon aumentare, e il bacio si fece sempre più intenso, più desiderato. Leon le morse debolmente il labbro inferiore, facendola sospirare, quindi spostò lentamente una delle mani sul suo petto, desiderosa di sentire il battito del suo cuore, di potersi fondere con esso. Ma non appena la ebbe poggiata, la ritrasse spaventata: il vuoto, il nulla totale. Si staccò da quel bacio, e tutto si tramutò in incubo. I rami si allungarono estendendosi sul terreno, trasformandosi in scuri rovi che li circondarono, nel tentativo di intrappolarli. Guardò la mano che aveva ritratto e notò che era sporca di sangue; si voltò verso il principe, e inorridita si alzò, inciampando. Una macchia rossa scura si stava espandendo dall’altezza del cuore, e un rivolo di sangue uscì dalla bocca di Leon. Iniziò a piangere mentre il corpo cadeva all’indietro, disteso, morto. “No!” urlò; i rovi coprirono il cadavere, inglobandolo tra le loro spire. La creatura vegetale sembrava volerla attaccare, ma una flebile barriera invisibile la proteggeva. Le immagini di Leon morto però non la facevano sentire meglio, e i rovi si fecero così fitti, che tutto intorno fu l’oscurità.
“Basta, basta!” continuò a strillare, agitandosi nel sonno, mentre Lena la osservava incerta su cosa fare. Si sedette al suo lato, e le accarezzò una spalla, cercando di farla svegliare dolcemente: “Violetta, va tutto bene, è solo un brutto sogno. Svegliati”. La ragazza aprì gli occhi, quegli scuri occhi castani in grado di leggere ciò che sentivano le persone. E per un momento si chiese se non fosse stata anche in grado di capire Leon. Forse era l’unica. “Che ti prende?” chiese Lena. Violetta si mise seduta sul letto, sconvolta, con l’affanno e il cuore che le voleva uscire dal petto per l’angoscia provata. “Che ore sono?” chiese Violetta, guardandosi intorno. “E’ notte fonda ormai, stavo dormendo, ma ad un certo punto ho sentito un urlo agghiacciante, non potevo certo immaginare fosse il tuo” le spiegò la compagna di stanza, prendendole le mani. Rabbrividì: erano fredde come il ghiaccio. “Io…ho sognato che moriva! Leon corre un grave pericolo!” esclamò, scossa per le immagini del sogno, ancora vive dentro di lei. “Era solo un sogno! Il principe sta dormendo al sicuro nelle sue stanze, adesso” tentò di rassicurarlo l’altra, invano. Violetta si alzò di scatto, cominciando a piangere: “Non capisci…quando Leon è rimasto ferito, io lo sapevo già, l’avevo sognato”. “E’stato un caso, Violetta, solo uno stupido caso”. “Non credo al caso, e penso che Leon sia in pericolo, penso che morirà” sentenziò l’altra, lasciandosi trascinare dal braccio di Lena nuovamente sul letto. “Non succederà. Leon è troppo crudele per morire, è troppo forte” disse Lena, cercando di alleviare la tensione, con scarsi risultati. Violetta si distese su un lato, cercando invano di prendere sonno. Intervallava singhiozzi al respiro affannoso, finché la stanchezza non tornò a farsi sentire, e insieme alle materne carezze di Lena non riuscì nuovamente a sprofondare in un sonno profondo, questa volta senza sogni.  
La mattina dopo, come promesso all’anziano bibliotecario, Violetta si fece trovare al campo di addestramento all’alba. Humpty la stava aspettando con un arco in mano e delle frecce inserite nella faretra, e sorrideva allegramente. Lei invece era a pezzi: quel sogno l’aveva devastata e ancora poteva avvertire la consistenza del sangue sul palmo della mano. “Bene, vedo che ti sei presentata giusto in tempo” disse l’uomo-uovo, consegnandole l’arco e indicando con lo sguardo il bersaglio posto a media distanza sul terreno polveroso. “Come faccio a prendere la mira? Come posiziono l’arco?” chiese Violetta a ripetizione, mentre si destreggiava e cercava di allacciare la faretra lungo la vita. “Non ne ho idea, assolutamente” ridacchiò il bibliotecario, divertito. Non riusciva a crederci: che l’aveva portata a fare al campo se poi non sapeva come si facesse a tirare con l’arco? “Ma qualcuno potrebbe darti una mano” aggiunse poi, con aria furba. “Leon! Leon!” chiamò a gran voce il giovane principe, che alla vista di quei due da lontano, aveva voltato le spalle, sperando di non essere stato visto. Si maledì per aver accennato ad Humpty più volte degli orari in cui preferiva allenarsi; doveva aspettarsi un colpo basso del genere. Fece un profondo respiro, deciso a comportarsi nel modo più distaccato possibile, quindi si voltò nuovamente, con un’espressione fredda, costruita alla perfezione. Ma tutta quella fatica fu inutile, perché non appena Violetta alzò lo sguardo per osservare l’interlocutore del suo accompagnatore, si sentì mancare il terreno sotto i piedi. Humpty gli fece cenno di avvicinarsi a loro, e le sue gambe si mossero meccanicamente, mentre il cervello pregava affinché non arrivassero mai a destinazione. “Tutto bene, Leon?” chiese la ragazza, notando la sua espressione a metà tra l’inorridito e lo stupefatto, non appena furono vicini. “Niente. Odio quando qualcuno tocca gli attrezzi che uso per allenarmi” ribatté stizzito l’altro, interrompendo quel contatto visivo, che metteva a nudo la sua anima. E la sua anima era sua, solo sua; nessuno l’avrebbe violata, nessuno avrebbe potuto metterci mano. “Scusa, non volevo” mormorò Violetta umilmente, appoggiando l’arco a terra, creando una situazione di tensione. Humpty osservava con aria di rimprovero il principe, che nonostante la scena in biblioteca non era ancora deciso a lasciarsi andare; si avvicinò alla ragazza, raccolse l’arco, sfidando così l’autorità di Leon, e fece avvolgere la tremante mano di Violetta intorno al supporto in legno. Violetta non sapeva cosa fare, ma tenne stretto l’arco. “Non essere scortese, Leon. Ci sono io con lei, e non sta facendo nulla di male. Anzi, perché non le insegni te?” propose l’anziano, sedendosi su un ciocco poggiato a pochi metri. “Non ce n’è bisogno. Posso imparare da sola” si difese Violetta, tendendo l’arco con la freccia, e scoccando di colpo. La freccia si conficcò nel terreno, a poca distanza da dove era stata lanciata, e Leon scosse la testa divertito, avanzando lentamente, fino a trovarsi alle sue spalle. Sfilò una freccia dalla faretra e la posizionò. Il braccio destro si accostò a quello di Violetta, e posizionò le dita sulle sue. “Chiudi gli occhi, e ti spiego meglio” le sussurrò all’orecchio, facendole rabbrividire. Il petto del principe ormai aderiva alla sua schiena perfettamente, e poteva sentire ogni piccolo rumore proveniente da esso, come se provenisse dal suo corpo: il battito del cuore, il respiro controllato. “Questo è legno di maggiociondolo, molto flessibile, e quindi non necessita di una eccessiva forza per tenderlo. Prima ce ne hai messa troppa, e hai inserito male la freccia, con la punta verso il basso” spiegò pazientemente, coprendo con il palmo della sua mano il piccolo pugno di Violetta, concentrata a stringere l’arco. “E adesso rilassati, ti sento fin troppo tesa” ridacchiò il ragazzo, soffiando nuovamente nel suo orecchio. Violetta si lasciò cullare dalle parole calde pronunciate dal ragazzo, dalla sua dolcissima risata; non l’aveva mai sentito ridere in quel modo, autentico, vero. “Riapri gli occhi lentamente, e fissa unicamente il bersaglio, non lasciare che nulla ti distragga. Siete solo tu e il tuo obiettivo, nessun altro”. La testa di Violetta era vuota, completamente vuota. Non pensava a nulla e a nessuno, la voce di Leon le aveva estratto ogni singolo pensiero, lasciandole solo la pace dei sensi e il nulla.
La freccia sibilò con una velocità incredibile, mentre la punta acuminata si rifletteva negli occhi brillanti della giovane; si conficcò vicino al centro del bersaglio, con un tonfo sordo. “Ce l’ho fatta, ce l’ho fatta!” esclamò, saltellando dalla gioia. Si voltò di scatto, lasciando cadere a terra l’arco, e si fiondò tra le braccia di Leon, tenendosi stretta a lui, e facendo passare le braccia intorno al collo. Leon rimase spiazzato, con lo sguardo vitreo, e fisso nel nulla. I capelli di Violetta gli ondeggiavano davanti agli occhi, e tutto il resto aveva perso importanza. Sentire quel corpo fragile che gli trasmetteva un calore mai provato, gli fece venire il desiderio di prometterle di proteggerla sempre e comunque da chiunque. Chi era lui per promettere però protezione? Un carnefice, un assassino. Non era stato nemmeno in grado di proteggere le persone che amava. No, non meritava nulla di tutto quello, non era giusto che si sentisse così felice, così appagato dalla presenza di Violetta. Lui era un mostro. Ma la luce della sua anima che giaceva nell’abisso, sollecitata in non sapeva quale modo, brillava con più forza, chiedendo a qualcuno di trovarla. Leon rafforzò la presa, quasi inconsapevolmente, e aspirò a fondo il suo profumo, un misto di essenza di rose e lavanda. Ma non era una profumo forte, invasivo, era semplicemente il suo profumo. E si rese conto che avrebbe desiderato svegliarsi ogni mattina con esso. Colto da un senso di colpa ancora più frustrante, si allontanò, girando i tacchi, con l’intenzione di dirigersi al castello, ma la mano di Violetta arpionata al suo braccio, non gli permise di fare un solo passo. “Leon, vedo che stai meglio con la spalla”. Il principe si voltò a rallentatore, pendendo dalle sue labbra, quelle meravigliose labbra rosee e sicuramente dal sapore dolce. Avrebbe tanto voluto assaggiarle, ma aveva paura che potesse sentirsene dipendente, e ancora un velo di orgoglio lo tratteneva. “Si, sto meglio” rispose tranquillamente, cercando il suo sguardo. Ne aveva bisogno, voleva sapere cosa stesse pensando. E quando lo trovò ne rimase ancora una volta incantato. Perché doveva fargli sempre quell’effetto? Perché si lasciava vincere così facilmente? “Bene, allora non dimenticarti la nostra promessa. Che ne dici di andare oggi per l’ora di pranzo al limitare del bosco? Porto io da mangiare” propose con un sorriso solare.
Non se l’aspettava affatto. Tutto, ma non quella proposta che in cuor suo aveva desiderato venisse posta fin dal giorno in cui si erano ritrovati a leggere insieme delle stramaledette poesie. “Va bene. Ci vediamo all’entrata all’una, quando il sole è in alto” rispose secco, per poi allontanarsi a passo lento, mentre Violetta lo osservava sorridendo sempre di più. Qualcosa era cambiato, non solo in Leon, ma anche in lei. E adesso ne era quasi certa, il fremito che gli aveva provocato la sua sola vicinanza, il desidero di abbracciarlo, di sentirsi al sicuro tra le sue braccia, non poteva essere frainteso: era innamorata. Non si trattava di una semplice cotta, non poteva smettere di pensare a lui. Era innamorata davvero sul serio, e prenderne consapevolezza in quel modo la spaventò un pochino, ma in fondo subito il suo cuore si sentì leggero come una piuma. Adesso rimaneva solo da pensare a preparare il pranzo da portare. Cominciò a correre verso il castello, mentre numerose idee sulle pietanze che avrebbe potuto preparare le affollavano la testa. Quel pomeriggio sarebbe stato speciale, lo sentiva. “Nessuno aiuta un vecchio e saggio, eh?” rise l’uomo-uovo, che per alzarsi dal ciocco rischiò di rotolare per terra. “D’altronde sono giovani. Così sognatori, ma soprattutto così innamorati”.
Leon batteva nervosamente il piede all’ingresso, tenendo d’occhio la scalinata. Non sarebbe venuta, e la sua era stata una perdita di tempo. Come poteva pensare che si sarebbe davvero presentata? Forse aveva deciso di prendersi gioco di lui…Il solo pensiero lo faceva ribollire di rabbia, e già nella sua testa stava cercando di decidere in che modo vendicarsi di quell’affronto, quando un rumore di passi lo fece voltare verso il salone d’ingresso. Violetta avanzava indossando un vestito turchese, dai ricami bianchi floreali, molto stretto sulla vita, che risaltava le sue forme. E in quel momento il vestito che indossava nella mente di Leon passò quasi in secondo piano. Non aveva mai fatto pensieri di quel tipo, ma in quella situazione gli sembrò impossibile non farne. Avanzava a passo svelto con un cestino di vimini in mano e le guance arrossate per la corsa che doveva aver fatto. Ancora una volta doveva ringraziare la sua cattiva fede per averlo messo sulla via sbagliata. “Scusa per il ritardo, solo che non sapevo…”. “Che indossare?” completò lui, sicuro della sua intuizione. “No, che preparare. Il vestito me l’ha prestato Lena, a lei sta un po’ grande” rispose Violetta, lisciandosi le pieghe, incerta, all’ingresso. Leon si riscosse dalla bellissima visuale che aveva davanti, e annuì alle parole pronunciate poco fa, dandosi dell’idiota per aver pensato che ci avesse messo così tanto per prepararsi, quando aveva impiegato tutto il suo tempo per cucinare qualcosa che potesse essere di suo gradimento.
“Mi dispiace per averti fatto aspettare” esclamò, mentre camminavano l’uno affianco dell’altro fuori dalle mura, dirigendosi lungo la verde vallata verso il limitare del bosco. “Non è nulla” disse Leon, avanzando sempre più velocemente per la destinazione. “A che ti serve quella spada?” domandò la ragazza, cercando di intavolare una qualche conversazione, pur di rompere quell’imbarazzo iniziale. “Se qualcuno ci dovesse attaccare…” eluse abilmente il tentativo Leon, stringendo l’elsa della spada, per infondersi sicurezza. “E perché dovremmo essere attaccati?”. “Fuori da quelle mura tutto è possibile” replicò il principe, indicando le imponenti strutture di difesa che estendevano la loro ombra sulla valle. Finalmente raggiunsero le prime tracce di vegetazione che si fece sempre più fitta ad ogni passo. “Dove stiamo andando?” chiese Violetta, incerta. “In un posto speciale” rispose l’altro, evasivo come sempre. Raggiunsero il viale rosso fuoco, e Leon le fece cenno di allontanarsi da esso, scostando alcuni rami bassi, per cavalleria. Violetta sollevò leggermente la gonna e chinò il capo lasciandosi nuovamente inghiottire dal folto della foresta da cui tutto aveva avuto inizio. “Siamo quasi arrivati” la informò il principe, lasciando tradire leggermente l’emozione che provava in quel momento. Quando l’ultimo ramo fu scostato, si trovarono su una piccola radura isolata nel bel mezzo della foresta. Il prato era intervallato da accorpamenti di fiori dai colori variopinti, e alcune farfalle volteggiavano pigramente da un fiore all’altro, mettendo in mostra le proprie ali. “Ti piace?” chiese dopo qualche minuto di silenzio, in attesa del verdetto, teso come non mai. “E’…perfetto. Sembra un piccolo paradiso” esclamò Violetta, stupefatta, guardandosi intorno. Il ricordo dell’incubo la investì congelandole il sangue. Quella radura…era esattamente quella del sogno!
“Qualcosa non va?” la interrogò il giovane, prendendo un telo di stoffa dal cestino di vimini e stendendolo con cura. “Se non ti piace, possiamo andare da un’altra parte” aggiunse subito dopo, notando l’espressione terrorizzata di Violetta, che non muoveva un muscolo. “No, è bellissimo” si affrettò a rispondere, sedendosi sul telo, e poggiando delicatamente il cestino. Prese alcuni panini con la carne, preparati con il massimo della cura, e ne tese uno a Leon, che si mostrò incerto se accettare o no quello strano pasto: “Questo cosa sarebbe?”. “Un panino” disse Violetta, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. “E…come si mangia questo…panino?” chiese Leon, prendendo in mano il panino che le era stato offerto e guardandolo da varie angolazioni. “E’ solo pane con dentro della carne; e ci ho aggiunto un po’ di salsa, per renderlo più saporito” spiegò la ragazza, prendendo il suo panino e dando un piccolo morso. “Devi solo morderlo come faccio io”. Leon annuì, sempre più confuso, quindi avvicinò il panino alla bocca e diede un morso piuttosto grande, facendo schizzare la salsa lungo la guancia. Arricciò il naso, infastidito, provocandole una risatina. “Aspetta, ci penso io” disse divertita, prendendo un fazzoletto di stoffa bianca. Si mise in ginocchio e si avvicinò al principe, che la guardava con un timore reverenziale. “Stai fermo, non muoverti” disse lei, poggiando una mano sulla spalla di Leon, e sporgendosi di poco per pulire lo schizzo rosso. Leon le afferrò il braccio non appena lo vide alzato verso di lui, facendole perdere di poco l’equilibrio. Si ritrovò Violetta addosso, con la mano sinistra stretta sulla sua spalla, e la destra appoggiata sul petto. “S-scusa” balbettò lei, diventando dello stesso colore di un papavero vicino a loro. Ed ecco che la scena del sogno si ripeteva esattamente nello stesso modo. Non sapeva come fosse possibile, ma poi si ricordò quello che succedeva dopo e cominciò a respirare a fatica, come se già sentisse le labbra di Leon sulle sue, che le impedivano ogni tipo di normale respirazione. “Perché lo stai facendo?” chiese Leon, sempre più vicino; la mano sinistra era piantata sul prato mentre la destra, attratta in quello che sembrava essere diventato per lei un luogo naturale, le circondava la vita delicatamente. “Facendo cosa?” chiese Violetta, sentendo lo sguardo profondo del principe puntato su di lei, uno sguardo che non riusciva a sostenere per l’imbarazzo. “Tu…sembra quasi che ci provi soddisfazione a mettermi in soggezione” spiegò rafforzando la stretta a portando i loro petti a coincidere. “Sto davvero parlando con Leon? Quel Leon? Che voleva rovinarmi, che provava gioia nel vedere gli altri soffrire?” sussurrò la ragazza, rabbrividendo nel sentire il calore del fiato del principe Vargas. “Mi stai portando alla rovina” disse il principe. Violetta stava per rispondere, quando qualcosa la trattenne. Leon stava chiudendo gli occhi, e lentamente si avvicinava. Poteva avvertire il naso che sfiorava il suo, il ciuffo dei capelli che si incontrava con i suoi, mescolando il castano chiaro con quello più scuro. E quella sensazione di solletico che provava le piaceva fin troppo. Aveva scoccato la sua freccia, trapassando il cuore del principe, impadronendosene, e non poté non sorridere al pensiero. L’odio che li separava non esisteva, ed era stato sostituito da un legame che in fondo c’era sempre stato ma che entrambi avevano rifiutato di considerare. La mano di Violetta salì lentamente fino a sfiorargli piano la guancia, e si intrecciò con l’altra circondandogli il collo. Chiuse anche lei gli occhi, sporgendosi e potendo sentire l’emozione di Leon invaderle l’animo. Era tutto perfetto, l’atmosfera era perfetta, il luogo era perfetto, la musica era perfetta. Musica?!












NOTA AUTORE: Auguri di Buon Natale a tutti! E mentre Leon ha capito che cos'è un panino e come si mangia (LOL), già vi vedo tutti pronti per la grande abbuffata natalizia xD Beh, come regalo, visto che è mercoledì, ho deciso di aggiornare nonostante sia un giorno di festa. Il capitolo era già pronto, quindi non mi ha creato nessun problema, l'ho solo riletto un po' di fretta, quindi se ci sono errori, perdonatemi, ma quando torno dall'orda dei parenti gli ridarò una letta e aggiusterò tutto, promesso :) In tutto ciò, finalmente si sta per compiere la storia d'amore di Leon e Violetta. Violetta è ormai certa di essere innamorata, e Leon dal canto suo, nonostante la paura, e nonostante non si senti degno di provare quelle strane emozioni, ha ormai ceduto, e lo si capisce dalla frase finale e da questo quasi bacio, in cui il principe non può accampare scuse: lo vuole eccome, questo bacio! GForhfil2f, comunque la scena del tiro con l'arco è la mia preferita, e l'avevo in mente dall'inizio della storia, dovevo solo capire quale fosse il momento adatto, e in questo capitolo ci sta proprio alla perfezione. Mi piace molto comunque la diffidenza che prova Leon quando aspetta Violetta, sicuro che l'abbia preso in giro! In fondo Leon ha ancora le tracce del principe freddo e spietato, che pensa male di tutti, e non cambierà il suo comportamento con gli altri. Sarà particolare vedere il solito freddo Leon a corte, e un Leon dolce e premuroso solo con Violetta. Beh, andando avanti capiremo di cosa sto parlando (anche se sono indietro con la stesura dei capitoli. Tragedia!). Detto ciò, vi ho detto questo perchè non stravolgerò completamente il personaggio di Leon fin da subito. Alcune sue vecchie caratteristiche almeno per un po' rimarranno, ma capirete tutto quello che voglio dire. Nel frattempo godiamoci questo bel capitolo, e ricordiamoci il terribile incubo di Violetta, ha una sua importanza :O Mi piace questo capitolo, mi piace un sacco :3 Ah, il finale che dolce! <3 Ma...cosa è questa musica, che non è quella dei loro cuori, è proprio musica! xD Beh, lo scopriremo nel prossimo capitolo dal titolo 'La quadriglia dell'aragosta'. Rivedremo in azione il vecchio caro Beto con la sua comitiva e...AHHHH, non posso dirvi altro xD Grazie a tutti voi che mi seguite, leggete questa storia e mi lasciate le vostre splendide recensioni *O* Grazie di tutto, e alla prossima! :D Buona lettura e BUONA NATALE! :D 
 
  
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