Crossover
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Autore: Registe    25/12/2013    3 recensioni
Terza storia della serie "Il Ramingo e lo Stregone".
"L’esercito del Grande Satana colpì in modo violento l’Impero Galattico. Non vi furono preavvisi, minacce o dialoghi alla ricerca di una condizione di pace. I demoni riversarono i loro poteri in maniera indiscriminata, non facendo differenza tra soldati e civili, guidati solo da un ancestrale istinto di distruzione. Soltanto la previdente politica bellica dell’Imperatore Palpatine riuscì ad impedire un massacro in larga scala.
-“Cronistoria dell’Impero Galattico, dalla fondazione ai nostri giorni” di Tahiro Gantu, sesta edizione.-"
[dal primo capitolo].
E mentre nella Galassia divampa la guerra, qualcun altro dovra' fare i conti con il passato e affrontare i propri demoni interiori...
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anime/Manga, Film, Libri, Telefilm, Videogiochi
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
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Capitolo 13 - Tregua





Darth Maul




Perché gli dèi ci hanno creato in questo modo? Perché ci hanno donato una testa ed un cuore, due gambe e due braccia?
Venerate la testa, perché essa è il santuario della mente, dove gli uomini pregano gli dèi e mirano alla loro più assoluta perfezione.
Magnifico è il cuore, perché ama ciò che la mente contempla; mai si stanca di amare, perché non c’è nulla di più nobile che dividere i propri sentimenti con qualcuno.
Le nostre gambe sono speciali, perché quale altra creatura può guardare le altre dall’alto in basso? Quale altra può sollevare il ventre da terra e mirare il cielo? Esse già sono segno dell’enorme potere che gli dèi ci hanno offerto davanti alle altre creature.
Sulle braccia a lungo si disserta. Mi pare cosa giusta definirle l’arma del guerriero, lo scudo del contadino e la cetra del nobile: ma mi pare ancora più adatto e degno considerarle il sostegno di tutti gli uomini, perché quando tante mani si uniscono e tante braccia si alzano al cielo, allora si vede chiaramente come gli esseri umani non siano fatti per essere soli, ma per creare un’unica barriera contro le insidie del mondo e del Male. Il mondo sarebbe diverso se tutti capissimo che siamo stati creati per aiutarci l’uno con l’altro.

“Il senso del tempo” di Aldebaraan del Toro, trascrizione ad opera del Gran Sacerdote Shaka della Vergine.





Tuonava.
Ma non dalle nuvole.
Mara Jade entrò nella locanda e con un sospiro di sollievo abbassò il cappuccio e si tuffò nella grande baraonda che accompagnava qualsiasi missione dell’Alleanza Ribelle. Era stanca: lei ed Eomer avevano fatto un lungo giro di perlustrazione intorno al villaggio di Amer alla ricerca dei sopravvissuti, lui guidando un cavallo e lei estendendo le sue percezioni. Si erano spinti fino al fiume che segnava la fine del territorio della cittadina ed erano tornati indietro, ma non c’era alcuna traccia di sopravvissuti o feriti ed erano tornati indietro accompagnati dal fragore dei turbolaser e dalle loro luci verdi in lontananza.
Da quando erano scappati da BEF non avevano mai smesso, ed anche se si erano allontanati molto dalla base militare i rumori della battaglia tra gli Star Destroyer ed i draghi celesti si erano solo attenuati. Lei ci era cresciuta tra gli spari, le granate, il ronzio delle spade laser: ma per gli uomini, le donne, e soprattutto per i bambini ammassati in quella stanza erano solo terribili rumori privi di qualsiasi spiegazione se non la furia di chissà quale furibonda divinità. Ci fu una raffica più intensa, ed una ragazza si tappò le orecchie con le mani gridando come una forsennata, per poi raggomitolarsi tra le braccia di un uomo. Due giovani guardie, nessuna con più di sedici anni, stringevano nervosamente le lani sulle loro lance, ma i loro visi pallidi tradivano una paura senza nome.
Paura. La locanda ne era piena.
Estese i suoi poteri Sith verso i soldati, accarezzando le loro menti ed instillando qualche goccia di fiducia; i due si calmarono, ma nemmeno le sue capacità potevano rimuovere il pesante manto di terrore che era calato sugli abitanti di Amer. Erano giunti lì dopo la fuga da BEF, stanchi ed affamati, ed avevano sperato di trovare qualche posto per dormire al sicuro e soprattutto per farsi un’idea delle condizioni del mondo, ma erano stati presi in contropiede: il villaggio era stato assaltato da qualcosa o da qualcuno, la gente era atterrita per lo spavento e tutti fissavano nervosamente il cielo oltre il fiume, dove le sagome triangolari degli Star Destroyer svuotavano i loro turbolaser contro dei draghi. Avevano deciso di iniziare da lì la loro missione di soccorso in barba alla stanchezza: senza nemmeno presentarsi avevano trascinato i feriti dentro l’unica locanda del paese, e mentre Aragorn ed i guaritori elfici si occupavano di loro lei ed Eomer avevano girato per le campagne alla ricerca di sopravvissuti mentre Valygar e Lavok avevano radunato lì tutti gli abitanti in grado di camminare da soli. E Gandalf … beh, si era occupato dell’intrattenimento.
Tra i tanti visi sconvolti in quella stanza l’unica oasi di felicità sembrava il camino, dove una ventina di bambini saltellavano giocosi mentre il vecchio stregone scuoteva la barba e ne faceva uscire caramelle e cioccolatini. Le madri li osservavano in silenzio, i cuori sempre più stretti ad ogni esplosione. Cercò di ignorare la morsa di panico che ribolliva tra quei semplici contadini e si sedette al centro della stanza.
Aragorn stava masticando una manciata di foglie di athelas; quando lei gli venne vicino, lui le chiese di passargli una ciotola d’acqua calda che gli elfi avevano preparato. Sciolse la poltiglia verde nell’acqua, vi aggiunse delle strane bacche azzurre e vi imbevve uno straccio che aveva visto giorni migliori.
Si voltò verso un soldato che giaceva riverso sul pavimento, metà faccia portata via da chissà quale incantesimo. “Adesso ti sentirai meglio”.
Il ramingo appoggiò il panno sul viso, e Mara vide un’espressione di pace attraversare i duri lineamenti dell’uomo: all’Impero era abituata a curare qualunque ferita con il bacta, ma niente era così portentoso come le conoscenze guaritive degli elfi. Sapeva che Aragorn le aveva imparate nella sua giovinezza trascorsa a Gran Burrone, alla corte del re Elrond, e da quello che ne sapeva a nessun altro umano era stato concesso il privilegio di conoscere i segreti della nobile razza arborea. E, tra tutti i guaritori elfici in quella stanza, Mara non si sarebbe fatta curare da nessun altro che da lui: perché gli elfi erano incredibilmente precisi ed abili in tutto quello che facevano, ma Aragorn curava le persone con un sorriso.
La pelle del soldato smise di sanguinare dopo pochi secondi. L’orecchio sinistro era perduto, ma la pelle della guancia si rimarginò al contatto con l’athelas, ed in breve ne rimasero solo delle cicatrici che si aggiunsero a quelle che già segnavano anche la metà destra del viso. Dalle giovani guardie che aveva visto all’ingresso partirono delle parole di incoraggiamento, e la Sith sorrise quando corsero ad abbracciare l’uomo e lo aiutarono a sedersi.
“Grazie, stranieri …” disse il soldato, poggiando i suoi occhi prima su di lei e poi su Aragorn. “Se non fosse stato per voi …”
“Ve la sareste cavata lo stesso, non temete!” Aragorn finì la frase per lui, dandogli una pacca sulla spalla. “Noi abbiamo solo dato una mano, nulla di più!”.
Mara annuì, accompagnata dal sorriso degli altri Ribelli.
“Però ci farebbe piacere sapere cosa vi è successo. Se vi è qualcosa che possiamo fare per voi non avete che da chiedere”.
“Quanta generosità …” rispose il soldato. Il suo tono si era fatto aspro, e gli occhi si erano soffermati su un gruppo di donne di ogni età che piangevano spaventate accanto agli altri feriti. “Ma non fatevi troppe illusioni. Non abbiamo abbastanza denaro per pagare nemmeno la più sgangherata banda di mercenari, figuriamoci un bel gruppetto come il vostro”.
Per tutta risposta Aragorn staccò qualche altra foglia di athelas e preparò un secondo impacco. “Credo ci sia un errore. Non siamo mercenari”.
“E allora per quale motivo ci state soccorrendo?”.
“C’è bisogno di un motivo per aiutare qualcuno?”
Seguì un silenzio innaturale. Tutta la stanza si ammutolì, come se le parole quasi bisbigliate dal ramingo fossero state udite da tutti; nemmeno il fragore delle batterie di turbolaser era riuscito a coprire la forza di quella frase. Tutti, ad eccezione dei bambini, si voltarono verso di loro e li scrutarono con occhi nuovi. Mara non riusciva a leggere la differenza tra quelle decine di sfaccettature, ma di una cosa ne era certa: le parole di Aragorn avevano toccato un tasto che probabilmente era rimasto nascosto molto a lungo nel cuore di quella gente. O forse un tasto che qualche volta era stato sfiorato, ma ne erano uscite solo note stonate ed una melodia priva di senso.
Il soldato grugnì, ma accettò il secondo impacco guaritivo. “Sono diversi anni che non sentivo parole simili. Avete forse prestato servizio presso i sacerdoti delle Dodici Case?”
“Non abbiamo avuto l’onore di conoscerli” rispose Aragorn.
Mara stava per ribattere, ma decise di rimanere in silenzio. Lei aveva conosciuto un sacerdote. Mu era stato una guida riottosa e caparbia, che sotto le apparenze deboli e sottomesse aveva mostrato di possedere del coraggio che teneva sempre nascosto sotto l’armatura. Quando tre anni prima aveva rapito lei e Daala e le aveva portate nel Castello dell’Oblio era condizionato, ma pur sempre un sacerdote delle Dodici Case. Le giuste argomentazioni –ed un cazzotto al momento più adatto- lo avevano spinto a tornare sulla retta via e Mara lo ricordava ancora con piacere, anche se i suoi compagni dell’Alleanza non l’avevano mai incontrato.
“Erano persone straordinarie … ormai molti villaggi li hanno dimenticati, e sputano persino sul loro nome … tutti gettano fiori ed incenso ai piedi delle statue del Grande Satana e fingono che nulla sia cambiato, che in fondo pagare le tasse al re dei demoni o ai principi umani sia la stessa cosa …”
Qualche contadino aggrottò le sopracciglia a quelle parole, ma la maggior parte degli uomini e delle donne annuì. La Sith aveva visto all’ingresso della città l’enorme statua di un demone dalla lunga barba, con uno sguardo arcigno che avrebbe fulminato qualsiasi visitatore sgradito.
L’uomo continuò, quasi come a volersi liberare di un terribile peso. “ … noi le paghiamo le tasse, certo che le paghiamo … non facciamo nulla di strano, ed i demoni ci lasciano in pace … ma i sacerdoti …” Riprese fiato, e i suoi ricordi si persero in uno strano sorriso. “Circa dieci anni fa ricevemmo la visita di un Cavaliere d’Oro. Era l’uomo più alto che avessi mai visto, e con le spalle che si ritrovava avrebbe potuto essere un fabbro, non un uomo di libri! Doveva fermarsi qui ad Amer soltanto un giorno perché era una delle tante tappe che lo avrebbero condotto al santuario di Budur, eppure … eppure quando seppe che la nostra diga era crollata e che non avevamo abbastanza oro per pagare immediatamente dei carpentieri bloccò il pellegrinaggio e mandò tutti gli altri fedeli ed i sacerdoti del suo seguito a ripararla. Noi ci saremmo seppelliti per la vergogna, ma lui ci rispose che il più grande problema di questo mondo era che nessuno aiutava il prossimo …”
Sorrise.
“Non pensavo che avrei mai sentito di nuovo delle parole simili” sospirò commosso, e con lui praticamente tutti gli avventori. La paura che allignava lì dentro non era svanita, ma essa si era leggermente sollevata, come se qualche parola ed un ricordo lontano avessero allentato la sua morsa. Mara sorrise insieme a quell’uomo, rendendosi conto di quanto importante fosse quella lezione e quanto invece l’Imperatore l’avesse trascurata nel corso dei suoi anni come apprendista Sith. Aveva trascorso oltre dieci anni credendo che l’arma più forte fosse la paura, ed il vincolo migliore la sottomissione: anche se si era unita all’Alleanza da molto tempo, ancora trovava difficile liberarsi dalle lezioni oscure. Aveva bisogno di esempi positivi giorno dopo giorno, e forse era anche per quel piccolo motivo un po’ egoista che non riusciva a stare lontana troppo tempo da Aragorn e Gandalf.
La gente intorno a lei era in fermento. Alcuni piangevano, e non per le esplosioni e le raffiche che ancora tempestavano il cielo. L’oste si fece avanti, ed offrì a tutti loro un boccale di birra. Lei lo accettò, e lentamente tutti i soldati ed i membri dell’Alleanza sollevarono i boccali in direzione della gente. Molti applaudirono, e come per sugellare quella tregua improvvisata Gandalf si levò il cappello e dal fondo uscirono luci gialle, verdi e blu che mandarono in visibilio tutti, non solo i bambini.
Il soldato che il ramingo aveva curato doveva stare molto meglio, perché si levò da solo l’impacco di erbe e si alzò, portandosi a sedere proprio accanto a loro. “Volevate sapere cosa ci è successo, eh? … Beh, ve lo dirò! I demoni hanno trovato una sacca della Resistenza proprio qui ad Amer!”
“Resistenza?”
“Sì, la Resistenza! Non ne avete mai sentito parlare?”
Scossero la testa, sorpresi, e l’uomo parlò dopo aver trangugiato tutto il boccale di birra. “Sovversivi, o almeno così dicono i demoni. Un gruppo di umani che si è ribellato al Grande Satana. Gente che ha poca voglia di vivere, se volete la mia opinione!” fece sbuffando. “È una follia ribellarsi alla famiglia demoniaca …”
“È forse una follia inseguire un sogno? Allora a che serve vivere?”
Aragorn salì in piedi su un tavolo, il boccale alzato. “Tutti abbiamo qualcosa da proteggere. Dei figli, una moglie, un marito, dei genitori, una terra lavorata col sudore della fronte … E ogni giorno ci troviamo a scegliere non solo cosa sia meglio per noi stessi, ma soprattutto cosa sia meglio per loro: ogni giorno, ogni minuto, ogni istante dobbiamo compiere delle scelte, da quando andiamo ad acquistare il pane a quando bruciamo l’incenso davanti alle divinità. Spesso siamo costretti a sacrificare i nostri sogni per il bene nostro e degli altri, e nessuno può farcene una colpa: mettiamo da parte ciò che ci è caro e viviamo per il prossimo, lasciando il posto all’amarezza ed alla disillusione”.
Fece una pausa, e controllò lo sguardo di tutti i presenti. “Ma non tutti scelgono il nostro sentiero. Ci sono alcune persone che mettono da parte la famiglia, gli affetti e persino la propria vita pur di raggiungere un ideale. Persone che abbandonano tutto per raggiungere, acchiappare e fare proprio un sogno. E chi può dire chi ha torto? Voi, che sacrificate il domani in favore del presente? O loro, che sacrificano il presente in nome del futuro?”
Gli uomini e le donne erano ammutoliti.
“Io dico che nessuno ha torto. Tutti siamo costretti a rinunciare a qualcosa. Voi curate il loro presente, e loro lottano per un futuro migliore: siete necessari l’uno all’altro, non potete e non dovete voltarvi le spalle, perché se smettete di camminare insieme sarete preda di ogni nemico in grado di vedere questa breccia. Noi umani siamo deboli, piccoli e corruttibili, ve lo dico per esperienza personale …” disse, con un sorriso rivolto allo stregone “… e dobbiamo faticare cento volte più delle altre razze per ottenere lo stesso risultato. La nostra debolezza nasce dal non essere uniti, dall’avere migliaia di idee e di sogni. Ma ne dobbiamo prendere atto. Quando però riusciamo a trovare un obiettivo comune, allora diventiamo inarrestabili: è quell’obiettivo adesso è la libertà, e non importa quale strada scegliate per arrivarvi: la meta è la stessa per tutti!”
Fu seguito da un applauso. Un applauso lungo e sincero, un boato nato dalle centinaia di mani nella sala: i bambini seguivano i genitori in quella che ai loro occhi era una grande festa, un velo di gioia che si estendeva davanti ai sensi sbalorditi della Sith. Un velo non perfetto, lacerato da qualche dubbio che nemmeno le parole di un abile oratore potevano sciogliere: ma comunque un velo palpabile, intessuto con le sensazioni di quelle persone che erano state impregnate per anni dal terrore. Mara sapeva che la paura sarebbe ritornata a breve, ma quel velo sarebbe rimasto nascosto tra le pieghe, con tanti fili sottili per tutti coloro che avevano bisogno di un raggio di speranza.
Aragorn scese dal tavolo e venne vicino a lei ed Eomer. “In questo mondo c’è una Resistenza … andiamo a cercarla!”




“Lasciatelo dire Tarkin, oggi hai davvero una brutta cera. Peggio del solito, intendo.”
Da quando aveva messo piede sul ponte del Basilisk il conte Dooku non aveva fatto che lanciare occhiate di disapprovazione verso tutto e tutti. La sua delicata anima aristocratica doveva sentirsi piuttosto a disagio in mezzo a tutti quei soldati sporchi e sudati, con le divise bruciacchiate e gli occhi rossi per la mancanza di sonno. Molti esibivano bende e fasciature macchiate di sangue coagulato: l'infermeria era piena fino all'ultima vasca di bacta, e i feriti che potevano reggersi in piedi erano consegnati ai loro posti. Non potevano permettersi di sprecare nemmeno un uomo.
“Anche tu mi sembri stanco, Dooku. Prendere il tè per tutto il pomeriggio con le baronesse di Hapes dev'essere stato estenuante.”
“Puoi ben dirlo!” rispose l'altro portandosi una mano alla fronte nella patetica imitazione di una posa tragica. “Sarà almeno la terza volta che insistono per farmi vedere la serie completa delle foto dei loro gattini... “
L'ironia non era mai stata il punto forte di Dooku. Non che l'anziano conte ne avesse tanti altri, dopotutto: la prova vivente che non bastava qualche sporadico potere Sith per fare un individuo intelligente, e meno che mai un buon Signore Oscuro. Al posto dell'Imperatore Tarkin lo avrebbe fatto terminare già da molto tempo, ma Palpatine evidentemente aveva una soglia di sopportazione ben più elevata della sua. Tanto meglio per il conte.
“In ogni caso” proseguì Dooku “vedi di fare buon uso dei rinforzi che ti ho portato. Due intere squadre di Star Destroyer, ora ne hai il triplo di quelli con cui sei partito.”
Il damerino godeva a vederlo in difficoltà, e non era nemmeno troppo bravo a nasconderlo. Fortunatamente la sua opinione valeva quanto un ammasso di escrementi di rancor agli occhi di Tarkin.
Il conte frugò tra le pieghe del mantello nero e ne trasse un sacchettino di velluto che emanava un lieve bagliore verde. Conteneva le Pietre della Sapienza, gli artefatti magici con i quali aveva teletrasportato nel mondo dei demoni i rinforzi per la flotta. Finalmente Dooku aveva deciso di togliere il disturbo.
Strinse il sacchetto nel pugno e la luce verde aumentò d'intensità.
“L'Imperatore si aspetta una vittoria nel minor tempo possibile” aggiunse, e un secondo dopo era svanito in un lampo smeraldo. Le sue ultime parole continuarono ad aleggiare sul ponte e nella mente di Tarkin come un presagio minaccioso.
L'opinione dell'Imperatore era tutto un altro discorso.
Tarkin odiava ammetterlo persino con se stesso, ma malgrado tutte le precauzioni prese e la sua solita cautela aveva sottovalutato nettamente il problema dei draghi. Non li avrebbe mai immaginati in grado di competere allo stesso livello con una flotta di Star Destroyer, meno che mai di mettere le astronavi in seria difficoltà.
Unico fattore positivo: per quanto terribili, i draghi restavano esseri di carne e sangue, e come tutti gli esseri viventi erano soggetti alla fame, alla fatica e alla stanchezza. Tarkin aveva accettato con gratitudine l'opportunità di una tregua momentanea: anche lui e i suoi uomini erano arrivati allo stremo dopo ore e ore di battaglia serrata, e non sarebbero riusciti a proseguire ancora per molto.
Tuttavia non si faceva illusioni. Anche l'esercito nemico avrebbe approfittato della tregua per approntare rinforzi ed elaborare nuove strategie, e questo significava che per lui, il comandante della flotta, non ci sarebbe stata nemmeno un'ora di vero riposo.
Il segnale sullo schermo principale indicava che mancavano due ore all'alba. Ancora due ore di pace, due ore di calma per escogitare una soluzione che rovesciasse le sorti della battaglia. I tecnici avevano lavorato alacremente, e quasi tutti gli Star Destroyer sopravvissuti allo scontro ora erano di nuovo in grado di sollevarsi sopra l'atmosfera. E poi c'erano i rinforzi portati da Dooku. Poteva seguire il suo piano originale e piombare sul Baan Palace dall'alto, lasciando una sola squadra a tenere impegnati i draghi...
“Dovresti riposare un po' Tarkin. Nemmeno i tuoi nervi d'acciaio possono durare all'infinito.”
Le stesse parole di Dooku, ma prive del fastidioso tono di derisione del conte; preoccupate, anzi. Le persone che potevano rivolgersi in quel modo al governatore Tarkin e sopravvivere si contavano sulle dita di una mano.
Maul era apparso sul ponte, il braccio ferito legato al collo. I tatuaggi rossi e neri potevano trarre in inganno, ma gli occhi attenti di Tarkin notarono immediatamente che anche l'amico non aveva una buona cera.
“Mi fa piacere che tu ti sia ripreso” gli disse comunque.
“No Tarkin, dovresti insultarmi.” disse Maul avvicinandosi alla plancia di comando. “Mi sono fatto fregare come il primo idiota di passaggio. Messo ko dall'autodistruzione di un IG-88... mi terminerei da solo per l'idiozia, te lo giuro.”
Tarkin fece un gesto con la mano per indicare che non aveva importanza. “Se può consolarti nemmeno io me la sto cavando troppo bene qui.”
“Meno male che c'è Boba a tenere alta la bandiera del Trio Destroyer. Ho visto i video dell'apocalisse zombie a Coruscant... è stato un grande!”
“Assolutamente. Qualcuno doveva pur dare una bella manifestazione di forza a quei demoni arroganti. Ora ci penseranno due volte prima di attaccare di nuovo la nostra capitale.”
“Comunque Tarkin, appena mi rimetto in sesto torno a dare la caccia a quei maledetti Ribelli. Per adesso ho inviato sul pianeta dei droidi sonda, ma ancora non hanno rilevato la loro presenza.”
I Ribelli. Quasi li rimpiangeva. Loro almeno non avevano draghi.
“Sai Maul, è strano dirlo ma temo che l'Alleanza al momento non sia il più grande dei nostri problemi.”
“Già” fece il Sith, pensieroso. “Ma dobbiamo prendere esempio da Boba: se lui ha vinto, possiamo farcela anche noi.”
Tarkin stava per replicare che non aveva la benché minima intenzione di farsi sconfiggere quando un colpo di tosse alle sue spalle attirò la sua attenzione, facendolo voltare.
Un ufficiale piuttosto giovane fissava il pavimento con imbarazzo, probabilmente chiedendosi perché avevano mandato proprio lui a riferire una brutta notizia al governatore. Perché si trattava di una brutta notizia, Tarkin glielo leggeva negli occhi che evitavano sistematicamente i suoi e nel movimento convulso delle mani strofinate contro la divisa. Con un'occhiata lo invitò a vuotare il sacco.
“Tenente Dalton a rapporto, signore! Abbiamo ricevuto un messaggio di soccorso dall'Harbinger!
“Non è la nave su cui avevamo trasferito Kratas?” intervenne Maul.
“Proprio così, signore! Erano a terra oltre la catena di montagne del quadrante Lambda-2 per effettuare delle riparazioni, ma a quanto pare una squadra di ricognitori nemici li ha trovati e circondati!”
Tarkin si rilassò. Dal tono urgente di Dalton si era aspettato chissà quale catastrofe imminente.
“Non resisteranno per molto signore, dobbiamo intervenire il prima possibile!”
Dobbiamo, tenente Dalton? Deve essermi sfuggito qualcosa... quand'è che lei sarebbe stato nominato comandante in capo di questa flotta?”
Il povero tenente si fece di mille colori: “Io... signore non intendevo mancarle di rispetto! E' solo che... “
“Nessuna nave si muoverà da qui” tagliò corto Tarkin, parlando ad alta voce in modo che tutti i soldati e gli ufficiali presenti sul ponte sentissero. “Non ci esporremo a inutili rischi per recuperare un solo Star Destroyer che comunque non verrebbe riparato in tempo per partecipare al prossimo scontro. In quanto a lei, tenente Dalton... ” riservò al malcapitato uno dei suoi migliori sguardi di disprezzo, poi si voltò verso i due soldati più vicini: “... visto che è così ansioso di partire al salvataggio, scaricatelo sulla superficie. Nel quadrante Alfa-5.”
“Signore, il settore Alfa-5 è il prossimo obiettivo dei bombardamenti della squadra Delta” fece notare un tecnico decisamente poco perspicace. Per un attimo Tarkin fu tentato di spedirlo dietro a Dalton, ma non poteva permettersi di sprecare troppi uomini. Un solo esempio sarebbe bastato a far rigare dritto tutti gli altri: funzionava sempre.
“Beh, una missione di salvataggio non può essere troppo semplice, no?” disse percorrendo con lo sguardo le file di soldati e tecnici radunati all'ascolto. “Altrimenti dove sarebbe la gloria?”
Ad un suo cenno le due guardie afferrarono Dalton e iniziarono a trascinarlo via, mentre quello strepitava e supplicava perdono e una seconda possibilità come facevano sempre tutti. Che seccatura. Anni e anni di disciplina e duri addestramenti all'accademia di Carida e poi di fronte alla morte si rivelavano tutti dei piagnucoloni senza dignità. Ma da un lato meglio così: troppa dignità li avrebbe resi dei martiri agli occhi dei colleghi.
“Mi dispiace un po' per Kratas” disse Maul mentre le urla di Dalton svanivano in lontananza.
“Kratas è un valido soldato e un ufficiale capace. Darà il meglio di sé.” Maul corrugò la fronte e gli lanciò uno sguardo interrogativo, ma tacque di fronte all'occhiata eloquente di Tarkin
“E ora” disse il governatore “Al lavoro. Abbiamo una battaglia da vincere.”




Era mezzogiorno quando i Ribelli entrarono in un ampio canalone tra i picchi imponenti coperti da una tenda di nubi, che si apriva in una vallata oltre la quale si vedeva un passaggio stretto e tortuoso che svaniva nella roccia. Mara precedeva il gruppo, attraversò il fondo del canalone ed entrò nella gola. La battaglia tra i draghi e le navi imperiali doveva essersi spostata, perché del rombo dei turbolaser adesso rimanevano solo lievi rimbombi, come tuoni in lontananza, che riecheggiavano in quel posto. L’umidità intrappolata tra i picchi si raccoglieva formando delle pozze, e la donna sentì che il freddo si faceva meno pungente. Si immerse di nuovo nelle sue percezioni, estendendo la Forza in avanti alla ricerca di forme di vita ostili.
Poi le pareti del canalone si aprirono e fece un cenno agli altri. Il loro viaggio era finito.
Si erano trattenuti al villaggio di Amer un giorno in più del necessario su insistenza dei soldati di guarnigione e della popolazione: in fondo erano andati fin lì per aiutare i civili, quindi erano rimasti insieme a quegli uomini stanchi per un altro po’. Ma l’idea di conoscere la Resistenza di quel mondo aveva fomentato Aragorn e Gandalf, che avevano deciso di lasciare in quel paese i guaritori ed i soldati semplici per buttarsi in quella missione di salvataggio con la coscienza più leggera. I soldati avevano raccontato che i demoni avevano fatto irruzione nel loro villaggio ed avevano prelevato qualcuno: nessuno sapeva di chi si trattasse, ma i demoni avevano detto a più riprese di trasportarli nella Cripta Nera. Avevano quindi deciso di spostarsi verso sud e raggiungere questo posto che, a detta dei locali, era sempre stato controllato dai demoni.
L’accesso alla Cripta Nera era davanti a loro, un varco nella parete della montagna, nero e maestoso, sostenuto da grandi sentinelle di pietra modellate in forma di demoni, un maschio ed una femmina, coperti da un’armatura con le lame delle spade rivolte verso terra. Le sentinelle erano poste ai lati della caverna e i loro volti erano segnati dal tempo e dal vento, quasi a narrare la gloria di un passato ormai dimenticato; avevano gli occhi fissi su di loro.
Mara rallentò, poi si fermò. Il percorso che le stava davanti era avvolto dalle tenebre e dal silenzio. I rumori della battaglia erano svaniti, e nell’oscurità riusciva a scorgere una lieve nebbia. Anche il freddo si era trasformato in una specie di brivido che intorpidiva i sensi.
“Mara, va tutto bene?” chiese Aragorn, raggiungendola.
“Non saprei … c’è un tremito nella Forza …”
“E da quando in qua voi Jedi non sentite tremiti nella Forza? Mi preoccuperei il giorno che sentirete qualcosa di forte e chiaro!” rispose l’altro, scherzando.
La sensazione le si attanagliò addosso come una seconda pelle, permeò il suo corpo giungendole fino alle ossa. “Percepisco un senso di morte”.
“Un senso di morte? Ho visto di peggio!” disse il ramingo. Fece un cenno verso il resto della squadra, ed in un attimo Valygar e Lavok furono al suo fianco. Confabulò un po’ con loro e portò la mano all’elsa della spada. “Ai tempi della guerra contro Sauron mi sono lanciato sottoterra con Gimli e Legolas lungo i Sentieri dei Morti. Ed è andata anche abbastanza bene, visto che ne sono uscito con un esercito funzionante ed una schiacciante vittoria. Se ci sono morti … lascia che vengano!”
Aragorn si lanciò nell’ingresso, seguendo il mago ed il ranger che erano entrati durante il loro breve scambio di battute. Eomer le passò vicino, sempre molto silenzioso, e le diede una pacca sulla spalla. Lei ascoltò il silenzio. Scrutò le tenebre. Attese. Lasciò che la sua mente assorbisse ciò che le stava davanti e calmasse il suo cuore prigioniero di un’ansia che non riusciva nemmeno a descrivere. Il tempo sembrava essersi fermato.
“Le tue sensazioni ti logorano, Mara. Non abusarne per noi”.
Gandalf arrivò per ultimo, lanciando sguardi sospetti al canalone, la loro unica via di fuga.
“I miei sensi possono salvarci la vita. So di poter fare la differenza!”
“Tutti noi possiamo fare la differenza. Basta vedere in che momento e perché. Usa i tuoi poteri solo quando davvero ti servono, se fai affidamento solo su di essi finirai per non essere più in grado di vedere da un palmo dal naso” disse lui, accendendo la fioca luce della punta del suo bastone. “Mi sento più sicuro a saperti in retroguardia, mia cara. Non sono mai stato portato per essere l’ultimo della fila!”.
Lo disse in tono naturale e scherzoso, le fece un occhiolino ed entrò.
Lei respirò a fondo, cercò di ignorare la sensazione spiacevole ed entrò con passo felpato, passando silenziosamente tra le gigantesche sentinelle di pietra. Esitò, scrutando le rocce dell’ingresso, temendo di vedere in qualche momento qualche demone sbucare dalle pareti. Davanti a lei c’era la debole fosforescenza verdastra dell’incantesimo di Gandalf, ma era così fioca che anche la sagoma dello stregone si distingueva a malapena nonostante fosse poco distante da lei.
Cercò di disegnare mentalmente una mappa e di capire l’andamento della grotta. Se davvero vi erano dei prigionieri umani, l’unico posto dove potevano averli nascosti erano i livelli inferiori, a patto che ne esistessero.
Avanzò.
Il passaggio era largo e le pareti ed il pavimento non offrivano punti di appoggio. La semioscurità era avvolta nel silenzio, si udiva solo il debole risuonare dei loro stivali. L’aria era fredda; il gelo che era penetrato nella roccia della montagna investì la Sith facendola rabbrividire nonostante la tunica pesante. Un groviglio di sensazioni sgradevoli si insinuò in lei: qualcosa dalle pareti stesse della caverna le gridava di andarsene di lì. Non erano voci vere e proprie, ma un senso di odio antico, qualcosa che narrava di un passato lontano, lo stesso in cui erano vissuti i volti duri delle sentinelle di pietra. Lottò contro quei sentimenti, e ben presto quelli si sopirono.
Raggiunse gli altri, che avevano rallentato l’andatura. Il passaggio si restringeva ed iniziava a scendere tortuosamente. Valygar sbuffò qualcosa sulla chiara presenza di magia oscura, ma quando suo zio iniziò a deriderlo si rannicchiò ed avanzò. Il vecchio Lavok lo seguì, insultando quel fifone di suo nipote anche quando le loro sagome erano svanite dal suo raggio visivo.
“Sarà necessario fare un po’ di luce” mormorò Gandalf, piegandosi in due. Aragorn e Eomer gli diedero uno spintone in tutta simpatia e si lanciarono nello spazio angusto lasciandole la retroguardia. Lei si guardò di nuovo alle spalle, ma la luce del sole che filtrava dall’ingresso era solo un ricordo lontano in quell’oscurità e nella sua morsa. Tirò un sospiro ed entrò nel cunicolo.
Qualcosa non quadra, rifletté, con il viso premuto contro la roccia mentre avanzava. Non sento alcuna presenza vitale qui dentro … non sarà che … siamo arrivati troppo tardi?
Fece per avvisare le due persone davanti a lei, ma non fece in tempo.
Iniziò un suono.
Fu un’ondata violenta, improvvisa, come liberata dalle stesse pareti, avvolgendoli con la forza di mille catene, spingendoli in avanti. Era come l’urlo del vento attraverso un canalone, come lo sbattere delle onde sulle scogliere. E poi, nel sottofondo, era come il grido terribile di creature tormentate da un’indicibile sofferenza. A meno di un metro da lei, Eomer provò a gridare qualcosa, ma la sua voce venne sommersa da quei suoni terrificanti. Corse in avanti, piegata in due nello spazio angusto, tagliandosi il vestito e le braccia pur di portarsi le mani alle orecchie ed isolare quel suono spettrale che cercava di penetrarla; raggiunse il ramingo e lo stregone che stavano cercando di riunire il gruppo, ma lo spazio per muoversi era quasi inesistente e soprattutto Valygar e Lavok erano probabilmente molto più avanti.
La furia del suono era spaventosa. Gli strilli e gli ululati colpivano come cose corporee, martellando il loro corpo anche in assenza di vento. Cercò di usare i suoi poteri Sith per isolare almeno se stessa, costruendo una sua immagine mentale con contorni ed ombre, riempiendo ogni sua fessura come a creare un muro impenetrabile, ma la concentrazione le venne meno; provò a combattere, ma un brivido la attraversò quando vide vacillare l’immagine di sé che aveva appena creato. L’unica cosa tangibile era la mano di Aragorn, che in quel momento aveva afferrato saldamente la sua e stava avanzando a capo chino, sopportando quel suono spettrale senza nemmeno erigere delle difese.
Cercò riparo nell’immagine di Luke e di sua figlia Mistraal, ma quando le due figure si deformarono, trasformandosi in sagome urlanti che sembravano liquefarsi ai suoi piedi, le distrusse prima che il loro dolore prendesse il controllo della sua mente. La testa le esplodeva. Ancora un minuto, forse due, e anche le flebili difese dei suoi poteri sarebbero andate in frantumi.
Poi, come per incanto, le voci svanirono.
Caracollò sul pavimento della Cripta Nera insieme ai suoi compagni, e solo dopo qualche istante si accorse che c’era qualcosa di strano.
La luce.
L’interno della Cripta sembrava inondato dalla luce del giorno. Abbagliata, si voltò e vide che il cunicolo che avevano appena attraversato era svanito. Alle loro spalle non c’era nulla a parte la nuda roccia. Estese subito tutti i sensi in quella direzione, ma la Forza trovò roccia, montagna ed ancora roccia fino all’ingresso, come se il corridoio, l’oscurità e le voci non fossero mai esistiti. Gandalf si portò accanto a lei e cercò qualche segno di fessure o cardini, ma non trovò nulla.
Guardarono il posto dove erano arrivati, e non trattenne un grido di meraviglia.
Dentro quella caverna c’era il luogo più incantevole che avesse mai visto. Una distesa di erba verde cresceva dentro la caverna infischiandosene di tutte le regole della botanica, tempestata in ogni punto di fiori rosa, bianchi e gialli, alcuni che facevano capolino vicino ai fili ed altri con uno stelo che le arrivava fino al gomito. Si piegavano come sospinti dal vento, ma l’aria dentro la Cripta era immota. E la luce … c’era.
Semplicemente. Senza sole, senza fessure con l’esterno, senza lampade, niente che lei potesse associare ad una fonte di energia. Doveva essere senza dubbio magica, ma non percepiva alcuna ostilità da essa, così come dal piccolo rivolo d’acqua che tagliava a metà il prato e spariva dentro un minuscolo passaggio alla base della roccia. Sembrava uscito da un sogno, e Mara pensò che con un bel cinguettio di sottofondo sarebbe stato il posto ideale per addormentarsi un po’. Scosse la testa, allontanando il pensiero tentatore. Un urlo la riportò all’improvviso alla realtà. “PORCO PALPATINE!”
Eomer indicò un punto all’angolo della caverna incantevole, in parte coperto da sottili piante rampicanti dai fiori gialli e minuscoli. Seguì la direzione del suo dito e raggelò.
Valygar e Lavok giacevano a terra, immobile, e quello che macchiava i loro vestiti poteva essere solo sangue.
“Ragazzi!” gridò il cavaliere di Rohan, lanciandosi senza riflettere nel prato. Aragorn e Gandalf gli vennero dietro per fermarlo, ma prima che potessero raggiungerlo Mara li vide cadere a terra. Eomer cercò di rialzarsi, ma dal suo fianco, proprio dove l’armatura cedeva spazio ai vestiti, usciva un fiotto di sangue; si portò la mano alla ferita mentre cercava di aiutare i suoi amici, ma qualcosa lo scagliò lontano; una seconda ferita apparve sulla sua fronte, un taglio che andava poco sopra la linea degli occhi. Lo stregone si premette la mano sulla spalla e mulinò il bastone alla cieca, ma cadde una seconda volta quando la tunica si lacerò dal nulla e la gamba sinistra cedette sotto il peso di una ferita.
Ma cosa …
Con un solo salto Mara si portò in mezzo a loro con la spada laser accesa. Qualcosa le passò accanto all’orecchio, ma si piegò in tempo; i suoi compagni cercarono di rialzarsi, e fece ruotare la lama rossa intorno a loro come semplice scudo. L’attimo dopo un dolore le attraversò la mano destra, e quando la osservò vide una colata di sangue che partiva dal dorso ed arrivava fino alle dita: cercò di muoverla, ma le estremità sembravano rattrappite e deboli. La portò alla bocca per lenire il dolore, ma mantenne la presa dell’elsa metallica con la mano sinistra.
C’è qualcosa di invisibile … se solo Lavok riuscisse a percepirlo, potrei …
Il pensiero si interruppe quando qualcosa le attraversò la gamba sinistra. Urlò per il dolore e perse la presa dell’arma. Sentì il freddo di una lama che penetrava nella sua carne e che ne veniva estratta senza alcuna difficoltà: cadde riversa nel prato, ed il meraviglioso profumo dei fiori si mescolò con quello del sangue, trasformandosi in un aroma dolciastro che le diede un violento senso di vomito.
Una lama … no, non è una sola … pensò, cercando di allontanare il dolore focalizzandosi su qualcosa. Delle lame invisibili.

E dove c’è una spada, c’è sempre qualcuno che la impugna.

Le parole dell’Imperatore Palpatine arrivarono. Per prime. Come sempre.
Per quanti anni avesse trascorso all’Alleanza, cercando di liberarsi delle catene nere del Lato Oscuro, le parole del suo primo mentore riuscivano a scavalcare qualsiasi suo pensiero. Cosciente o meno, tutte le volte che ne aveva bisogno gli insegnamenti mortali della scuola dei Sith arrivavano, rapidi e seducenti come la parte tenebrosa della Forza.
Cerca, Mara.
Cerca.

La sentì arrivare. Vide la lama diretta contro le sue spalle attraverso il Lato Oscuro, l’immagine mentale di se stessa agonizzante, trafitta da parte a parte. La vide sfocata, ma la traiettoria dell’arma si disegnò chiara nella sua mente. Richiamò la spada laser nel palmo della mano e vibrò un fendente in aria. La lama urtò qualcosa, e l’attimo dopo due frammenti di una spada caddero ai suoi piedi, finalmente visibili.
Cerca.
Chiuse gli occhi senza nemmeno riflettere. Scivolò in mezzo ai suoi tre amici ed estese tutti i sensi, proprio come tanti anni prima, quando da bambina si allenava con i remoti ed i loro odiosi raggi laser. Le sembrava ancora di rivedere le piccole sfere, che l’Imperatore tarava sempre al massimo per farle capire rapidamente quanto fosse pericoloso farsi colpire da uno di quei droidi da addestramento. Avere gli occhi chiusi aiutava. Usò la spalla di Aragorn come supporto e saltò in aria, distruggendo due spade pronte a sferrare un attacco incrociato; atterrò ignorando il dolore alla propria gamba e si mise in posizione di guardia. Almeno un’altra decina di lame la circondò, staccandosi dai suoi compagni, come se avessero capito che lei era la loro vera minaccia.
Cerca lo spadaccino, Mara.
Estese tutti i sensi. Quando le lame sferrarono un attacco non le distrusse, ma scivolò tra l’una e l’altra con un unico movimento: il Lato Oscuro le vedeva per lei, e nella sua mente poteva contarle chiaramente, una ad una, anticipando senza alcuno sforzo le loro mosse. Evitò un secondo affondo saltando in aria, percependo le armi tornare indietro e rivolgere la punta contro la sua schiena. Fu in quel grande mosaico mentale, dove poche cose potevano nascondersi al suo occhio interiore, che la percepì.
La forza vitale dietro a quell’incantesimo.
Sorrise tra sé, sicura della vittoria. Con il Lato Oscuro prese il controllo di quelle spade: le strappò con violenza alla magia, proprio come faceva con qualsiasi oggetto inanimato: riempì l’aria intorno a sé del proprio potere, e fu come impugnare le dieci armi con altrettante mani, sentendo il calore delle loro else fin dentro il proprio corpo. Superò l’ostacolo e le diresse contro il bersaglio.
Le spade si conficcarono nella roccia, tutte intorno alla piccola figura. Una lama aveva inchiodato il suo cappello alla parete della cripta, altre tre avevano attraversato la sua tunica e lo immobilizzavano, mentre le altre disegnavano una gabbia impenetrabile che aveva costretto l’esserino a lasciar cadere il suo incantesimo di invisibilità.
“Hai smesso di giocare, mostriciattolo!” disse lei, aiutando Eomer a rialzarsi. Era la creatura più strana che avesse mai visto: aveva un solo occhio gigantesco, che occupava quasi tutta la testa e che si muoveva all’impazzata. La bocca non era larga, ed il corpo dalle sembianze umanoidi sembrava svanire nella tunica di diverse taglie più grande di lui. Non sembrava terrificante, ma aveva appena rischiato di ucciderli tutti con il suo vilissimo trucchetto. “Adesso noi abbiamo qualche chiacchiera da fare, piccoletto. E vedi di essere convincente …”
“F-farò tutto quello che v-vuole, signora, Piro Piroro!” disse la creatura. Era difficile leggere le emozioni di un unico, grande occhio, ma la voce era rotta dalla paura. In altri tempi Mara si sarebbe gettata su di lui e lo avrebbe afferrato per il collo per carpirgli qualsiasi informazione, ma cercò di calmarsi e aspettò che i suoi compagni si rialzassero. Guardò in direzione di Valygar e Lavok: percepì in loro il battito vitale, ma le loro ferite erano gravi.
“Dove sono i membri della Resistenza che avete catturato al villaggio di Amer? E vedi di non mentire …”
“Membri della Resistenza? Membri della Resistenza? Qui dentro ce ne sono solo sei, Piro Piroro!” disse quello, cercando di divincolarsi senza successo, finendo solo per strapparsi l’abito e tagliarsi con una delle sue stesse spade. “S-sono molto forti questi membri della Resistenza, sì! Proprio così!”
“Portaci da loro e ti lasceremo andare, promesso” disse Aragorn, conciliante nonostante le ferite.
“M-ma, ma come faccio, Piro Piroro? Sono già t-tutti qui!”
Tutti?
Mara si guardò intorno. Prolungò di nuovo i sensi in tutta la caverna, dal soffitto alla parete da cui erano entrati, scandagliò persino il rivolo d’acqua, ma non vi era alcuna presenza di altre persone. C’erano solo lei, Aragorn, Gandalf, Eomer ed i loro due amici feriti. E capì. “Credo che tu non abbia capito, mostriciattolo. Noi non siamo membri della Resistenza”.
“No? Oooops, questo è un grande problema, Piro Piroro! Tutta la fatica di Killvearn per preparare questa sublime trappola è andata in fumo, Piro Piroro!”
Trappola?
“Hai sentito, Killvearn?” disse la piccola creatura. Nella sua grande iride Mara vide un riflesso che non le piacque affatto. “Non solo hanno rovinato il tuo mitico Phantom Razor, ma hanno anche la faccia tosta di non essere della Resistenza! Tutto questo lavoro ed il tuo grande spettacolo è stato vanificato! Non lo posso tollerare, Piro Piroro!”
“Piroro, non ti scomporre!"
La voce venne proprio alle loro spalle. Si volarono tutti insieme, e Mara vide una figura alta e nera stagliarsi contro la parete della Cripta, proprio nel punto in cui loro erano entrati attraverso quel dedalo di urla e dolore. Indossava una lugubre maschera sorridente, ed al suo arrivo le tredici spade tornarono a lui, alcune liberando lo gnome e le altre, quelle distrutte, si fusero e tornarono integre. Si mossero verso di lui e circondarono a raggiera la sua maschera. L’attimo successivo erano sparite, e tredici simboli rettangolari lampeggiavano sulla sommità della testa.
Aveva una lunghissima falce, che aveva portato all’altezza delle labbra.
Ma non era questa la cosa inquietante.
Il Lato Oscuro non lo aveva percepito. Era lì, davanti ai loro occhi, ma per i suoi sensi interiori era invisibile, come se intorno a lui qualsiasi percezione fosse cieca: non emanava nemmeno la più piccola scintilla vitale. Il suo corpo fu scosso da un brivido di paura.
“Ricordati, Piroro: io sono la Morte, e tutto torna sempre a mio vantaggio. Non sia mai detto che la gente veda un mio spettacolo e non rimanga … senza fiato”.
Mara si avventò contro il nuovo nemico, ma non fu abbastanza rapida. Una strana nota si insinuò nella sua testa, delicata come un petalo che scivolava lungo la sua pelle. Poi ne giunse una seconda. Il nemico mascherato aveva iniziato a suonare con la sua arma, ma tutto le sembrava rallentato, come se le proprie gambe fossero di pietra; l’odore dei fiori di quel meraviglioso campo le arrivò fin nelle narici, e quando le invase del tutto i polmoni era già caduta a terra, svenuta.
  
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