Anime & Manga > Kuroko no Basket
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Autore: mughetto nella neve    25/12/2013    8 recensioni
" « Se è il ragazzo delle consegne, digli che deve andare nel retro! » parlò di nuovo l’uomo all’interno dell’edificio. Il rumore di scatoloni e di oggetti che venivano momentaneamente appoggiati a terra gli fece immediatamente capire come si stesse avvicinando all’ingresso dell’abitazione. « Oggi è avanzato un po’ di zuppa di miso, gli va bene? »
Prima che Kise potesse anche solo realizzare che quell’uomo a parlare era il tanto chiacchierato “sposo”, avvertì le mani di Kuroko allontanarlo dal suo corpo e spostarlo di qualche centimetro indietro; lo vide torcere il proprio busto verso l’interno della casa e assumere un’espressione che gli aveva mai visto in volto. Sembrava felice, ma allo stesso tempo preoccupato; i suoi occhi brillavano di una strana luce, completamente dipendente da quella misteriosa voce che sapeva ammaliarlo con poche e semplici parole.” 

[ Coppia Principale: KagaKuro | Coppie Secondarie: MidoTaka, KasaKise, AoKise, MuraMuro, AkaKuro ] 
[ AGGIORNAMENTO: 3 su 5 | INCOMPIUTA ]
Genere: Angst, Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Taiga Kagami, Tetsuya Kuroko
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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« Aka-chin, io ho fame »
Murasakibara appoggia la testa sulla spalla del proprio amico, cercando disperatamente di attirare le sue attenzioni, e prende ad osservare imbronciato le numerose cameriere intente a servire i numerosi clienti. Ha fame. Ed il fatto che Akashi non abbia ancora risposto lo irrita molto. Si accartoccia sulla propria sedia e sbuffa spazientito.
Quella di incontrarsi alla fine di ogni anno scolastico in un locale del centro, è quasi una ricorrenza ormai – partita un po’ per gioco, un po’ per risaldare un legame che pareva essersi sciolto nel corso degli anni. Non mangiano molto, bevono qualche birra e discutono del basket. Ora che è arrivato marzo e anche il terzo anno di università si è consumato, si sono resi conto di quanto le loro strade si stiano separando sempre di più; così, nel massimo della discrezione, hanno deciso di incontrarsi ogni tanto per sapere come se la stessero cavando gli altri. A volte ascoltano i racconti allucinanti di Aomine sulla vita in caserma, altre si limitano ad annuire ai rimproveri di Midorima sul prendere sul serio il proprio corso di studio.
Parlano, insomma. E questo basta a renderli felici, anche se solo per una serata.
« Bakagami! » sbotta improvvisamente Aomine mostrando i denti con rabbia. Continua a giocare con il menù del locale, facendolo girare velocemente fra le dita e producendo una fastidiosa brezza che convince Midorima a spingersi leggermente più in là, lontano da lui « Lui e i suoi orari di merda per fare una telefonata! »
« Ma lo doveva chiamare proprio adesso? » sbuffa Kise sporgendosi verso la porta, cercando di scorgere la figura di Kuroko lì vicino. È un tentativo inutile: non riesce a capire cosa stia facendo o se stia ancora al telefono. Ritorna ad appoggiare la propria schiena sulla sedia, leggermente irritato da quella telefonata che aveva spinto l’amico ad allontanarsi dal loro tavolo. Da quanto tempo stanno parlando? Kise crede sia un’eternità. E questo non fa che irritarlo ancora di più. Kuroko non è certo il tipo di persona che si mostra particolarmente loquace al telefono; non può fare a meno di essere geloso, quindi, di quella conversazione che sta avendo luogo a pochi metri da lui.
« Aka-chin, io ho fame » continua a lamentarsi Murasakibara ondeggiando sul proprio posto come un bambino piccolo alla ricerca di attenzioni da parte del genitore; il non ricevere ancora una risposta, quindi, lo spinge ad aggrottare entrambe le sopracciglia e prende a dondolarsi avanti e indietro. Midorima alza di poco un sopracciglio e sposta il suo sguardo verso il suo ex-compagno di squadra, che però non da segno di aver recepito la sua richiesta di spiegazioni.
Gli occhi di Akashi sono fissi sulla figura di Kuroko. La studiano in silenzio. Indagano minuziosamente su ogni dettaglio. Vegliano silenziosamente su di lui per evitare che gli succeda qualcosa.
Midorima si limita semplicemente a seguire lo sguardo dell’altro e si direziona anche lui verso la porta alla ricerca dell’ombra. Impiega un po’ per trovarlo, come al solito; ma, non appena riesce a scovare la sua figura in quella semi-oscurità, non riesce a celare a sé stesso un leggero stupore. Nonostante l’espressione di per sé sia rimasta la stessa, Kuroko gli appare molto più sereno rispetto a prima. Lo vede stringere il telefono, sussurrando velocemente qualche parola; le dita dell’unica mano libera picchiettano velocemente sullo stipite della porta, tracciando una melodia veloce di cui non si riesce ad avvertire alcun suono. Non ha idea di cosa stia parlando – e forse non vuole nemmeno saperlo; nota, suo malgrado, quanto il viso del ragazzo sia illuminato da una luce tutta nuova.
« Credo che andrà avanti per le lunghe » rivela dopo un po’, tirando via la carta del menù ad Aomine e prendendo a consultarla in silenzio, attirando immediatamente l’attenzione della parte restante del gruppo « Cominciamo ad ordinare »
 
« Midorimacchi! Aspettami, dai! Torniamo assieme! »
« Sei lento, Kise» sbuffa questi, rallentando il proprio passo per permettere al ragazzo di raggiungerlo. Kise gli mostra un sorriso allegro nell’accostarsi a lui e subito prende ad osservare la strada davanti a lui; non ha idea di che ore siano – probabilmente anche la mezzanotte è passata ed è quindi inutile aspettare l’arrivo del prossimo autobus, meglio procedere assieme fino alla stazione.
Le stelle brillano silenziose in cielo, studiando con attenzione i movimenti della Terra e degli uomini. I loro occhi viaggiano velocemente lungo la superficie, cavalcano le onde dell’oceano e sguisciano abilmente per i palazzi troppo alti: non conoscono limiti e sono più curiosi dei bambini. Così come il vento che spira ogni tanto per la via, facendo rabbrividire per il freddo i due giovani uomini.
« È stato divertente oggi! » esclama divertito Kise sfoderando un bel sorriso verso l’amico: il quale, però, continua a percorrere la strada in religioso silenzio « Dovremmo incontrarci più spesso, magari una volta al mese! Lo so che per Akashicchi e per Murasakicchi potrebbe essere difficile – e anche abbastanza costoso – ma sarebbe divertente! Sono convinto che ci divertiremmo molto di più stando assieme più spesso! »
Ne sussegue un rapido silenzio. Midorima si sistema gli occhiali sul proprio volto e continua a guardare davanti a sé. Non ha ben capito il perché gli astri finiscano sempre col lasciarlo assieme a Kise quando si tratta di ritornare a casa – fin dalle medie si è visto costretto a condividere il tragitto con lui e le sue rumorose chiacchiere su quella che è stata la giornata.
«E poi Kurokocchi mi è apparso molto più allegro rispetto a prima! Secondo me si è completamente ripreso dalla partenza di Kagamicchi! Possiamo stare tranquilli per un po’! » continua ancora l’altro ragazzo lanciando veloci occhiate sia all’ex-compagno di squadra sia alla strada, quasi a voler celare quella curiosità che sente farsi sempre più forte. Non sa dire il perché, ma il passare del tempo con il resto della squadra lo fa stare bene: perde la cognizione del tempo e si dimentica dei problemi che, in quest’ultimo periodo, lo stanno assillando « Non lo credi anche tu, Midorimacchi? Quanto pensi che durerà ancora? »
« Gli do un paio di mesi »
Kise alza leggermente un sopracciglio e si volta immediatamente verso l’amico, alla ricerca di qualche spiegazione in più. È palese che sia sorpreso da una simile dichiarazione: non fa che sbattere velocemente le ciglia e quasi ondeggia su sé stesso nel tentativo di incrociare il suo sguardo. Questo, però, non fa che irritare Midorima che, sbuffando spazientito, aumenta di poco il suo passo.
« Lo pensi davvero, Midorimacchi? »
« Le storie a distanza non durano, Kise. E questa non farà eccezione »
 
 
 
Certe notti sei sveglio
O non sarai sveglio mai.

 
2.
 
« Sei impazzito? Vuoi dirlo a Satsuki? Quella è capace di combinare il finimondo – come minimo, ci scappa il morto! Sta fermo! Me ne occupo io! Chiamo io Tetsu! Niente Satsuki! »
Ed era stato così che Aomine aveva firmato la sua condanna.
Quella mattina si era rivelata essere un autentico inferno per lui. Oltre che esser stato svegliato per la seconda volta dal proprio telefono cellulare – questa volta gettato per davvero fuori dalla finestra – aveva dovuto sorbirsi un alquanto stressante ramanzina al lavoro. Il suo capo, tale Yugo Ito, lo aveva tenuto attaccato ad una sedia per una buona mezz’ora, rimproverandolo per il ritardo e minacciandolo di lavoro d’ufficio per almeno un mese se questo suo atteggiamento “spocchioso e irriverente” sarebbe andato avanti. Inutile dire che Aomine si era limitato ad annuire scocciato, come al solito, senza dar retta alle parole del proprio superiore; che presto aveva cominciato a dare in escandescenze dandogli del “maleducato e irrispettoso” , creando in breve tempo il malcontento in caserma. Fortunatamente qualche collega era venuto in suo soccorso e, bene o male, era riuscito di nuovo a cavarsela. Si era quindi ritrovato su una pattuglia in giro per la città assieme a due suoi colleghi, che non facevano altro che parlare della vacanze natalizie ormai in arrivo, ed aveva passato il resto della mattinata in giro per la città, rincorrendo studenti che avevano rubato qualche rivista in negozio e recuperando un peloso quanto grasso gatto che – violando ogni legge della fisica – si era arrampicato su un albero, destando lo spavento e la preoccupazione della sua anziana padrona. Avrebbe quindi rifiutato immediatamente l’invito di Kise di recarsi a casa sua, se questi non avesse offerto che gli avrebbe volentieri il pranzo – o gli avanzi, visto che sia lui che Midorima avevano già iniziato a mangiare.
Ed era stato proprio mentre si apprestava a mangiare, che Aomine era venuto a sapere del “geniale” piano di Kise. Questi glielo aveva presentato con un sorriso leggiadro in volto, rivelando di essere davvero curioso di sapere chi fosse la dolce metà che Kuroko aveva scelto – proponendo nel frattempo di avvisare anche Momoi delle nozze. Inutile dire che, il solo pensiero di informare la propria amica di una simile novità, fece andare di traverso un boccone di carne al povero poliziotto che prese a tossire spasmodicamente; facendo immediatamente andare su di giri i propri compagni – Midorima soprattutto, che già si era messo i guanti senza un ben noto motivo.
Dopo aver ripreso a respirare normalmente, si era sbrigato a dissuadere Kise da un simile piano e minacciarlo di morte se avesse di nuovo tentato di riferirgli simili idee durante i pasti. Suo malgrado, nonostante Midorima continuasse a ripetere quanto quest’idea della telefonata fosse ridicola e approssimativa, aveva afferrato il telefonato e digitato con velocità il numero di Kuroko.
« Aomine-kun »
Ora, volendo essere sinceri, Aomine si aspettava tutto fuorché una così veloce risposta. Di solito, Kuroko si faceva attendere al telefono: si prendeva tutto il tempo possibile per cercarlo nella borsa o per la casa, leggeva con attenzione il numero che compariva sul display e poi se lo portava all’orecchio lentamente. Il poliziotto, insomma, sperava di avere qualche secondo a disposizione per mettere in ordine le idee, e invece … niente. Come al solito, Kuroko si era dimostrato imprevedibile.
« O-Ohi, Tetsu. Q-Quanto tempo! » rispose con voce roca avvicinandosi di poco all’apparecchio telefonico, come se potesse ridurre la distanza che lo separava dall’altro. Volendo essere sinceri, l’idea di Tetsu di recarsi in Hokkaido non lo aveva entusiasmato un granché. Non a caso, non aveva esitato di dargli dello stupido non appena lo aveva informato della partenza. Non gli piaceva saperlo così lontano, immerso in un ambiente così freddo e duro che solo quell’isola poco sviluppata continuava a mantenere nel corso dell’anno; tuttavia, nel sentirsi raccontare di un lavoro sicuro e di una sistemazione più che soddisfacente non aveva esitato a dargli ragione e augurargli buon viaggio.
« Sì, è vero. È passato davvero molto tempo dall’ultima volta che ci siamo sentiti »
Aomine trattenne il respiro voltandosi verso gli altri. Midorima lo fissava da lontano con fare truce. Non si capiva cosa effettivamente fosse venuto a fare visto che non faceva altro che bocciare ogni possibile piano che Kise proponeva. Quest’ultimo continuava a rimanere in silenzio, seduto sul divano; era abbastanza serio, chiaramente in attesa di maggiori chiarimenti – sembrava davvero preoccupato per Kuroko e, nonostante avesse camuffato il tutto sotto la parola “curiosità”, non era difficile capire il perché di una simile telefonata. Aomine si ritrovò a sbuffare scocciato.
« Tetsu » lo chiamò, quindi, a bassa voce senza aspettare che l’altro rispondesse « Come vanno le cose da te? »
« Bene. Tu, piuttosto. Kise-kun mi ha detto che stai lavorando molto »
« Ah … Beh, sì. Lavoriamo molto, ma non è nulla di ché. Infondo … » lanciò una rapida occhiata verso Kise che aveva preso a gesticolare, cercando di mandargli chissà quale messaggio; aggrottò le sopracciglia in sua direzione e poi tornò a fissare il muro davanti a sé, cercando di pronunciare una frase di senso completo « Infondo, non è ancora successo nulla di particolarmente importante da raccontare »
« Capisco »
« Stiamo tutti bene, comunque » si ritrovò a confermare passandogli svogliatamente una mano fra i capelli, quasi a volerli scompigliare un altro po’.
« Aomine-kun » La voce di Kuroko apparve improvvisamente molto più risoluta nel chiamarlo; ma, nonostante questo, continuò a sembrare abbastanza serena. Non poteva che dare ragione a Kise, Tetsu appariva davvero rilassato; le sue parole scorrevano velocemente dalla sua bocca e sapevano di tranquillità e di pace. Probabilmente la vita in Hokkaido si era rivelata più calma e posata di quel che si aspettava. « Con questo non intendo mancarti di rispetto, ma posso sapere perché hai chiamato? »
Aomine si ritrovò a schioccare la lingua più volte. Inutile nasconderlo, difficilmente si riusciva a farla franca con Tetsu: riusciva a scorgere il minimo cambiamento o un particolare stato d’animo in una persona anche solo tramite la voce. Non sapeva se definirlo un “orecchio fine” o “particolarmente perspicace”; semplicemente, la sua capacità di osservare e studiare le persone si andava sempre più raffinando negli anni, tanto che ormai era difficile anche solo mentirgli.
« Non intendo girarci intorno, Tetsu. Kise ha detto che hai intenzione di sposarti o di fare una stronzata simile » parlò con monotonia, alzando lievemente lo sguardo verso il soffitto in attesa di una fulminata o di un pallone vacante. Magari avrebbe fatto meno male della risposta. « È vero? »
« Sì, lo è »
Non c’era vergogna o imbarazzo nella sua voce. Non che Aomine si aspettasse una qualche nota di stupore nella sua voce, probabilmente Tetsu si aspettava una fuga di notizie, non che fosse una novità parlando di Kise! Il suo carattere lo portava spesso a non riuscire a mantenere i segreti o semplici confessioni. Kuroko non gliene faceva certo una colpa – solo, aveva quasi sperato, che avvisasse Aomine per ultimo o penultimo.
« Bene, suppongo. Almeno Kise non si è giocato del tutto il cervello viaggiando da un continente all’altro » brontolò piano il poliziotto, lanciando una veloce occhiata verso il proprio ex-compagno di squadra che però non sembrò gradire affatto il commento. « E quindi, lui chi è? »
« Anche se facessi il suo nome tu non lo conosci, Aomine-kun.»
« Non mi hai invitato per questo? »
« No, non è stato per questo »
Ne seguì un momento di silenzio.
Aomine poteva sentire il respiro di Kuroko soffiare dolcemente nel suo orecchio. Era un suono così basso e discreto da perdersi con estrema semplicità; tuttavia, gli apparì stranamente stabile e tranquillo, non particolarmente turbato dall’atmosfera sempre più crescente. Non si sentiva affatto minacciato da quelle domande, probabilmente se le aspettava e sapeva già quale risposta dargli.
« Non può nemmeno definirsi un matrimonio quello che abbiamo in mente di fare. Non ci saranno testimoni, sacerdoti, invitati, giuramenti … è solo un semplice scambio di fedi. Non avevo intenzione di dirlo a nessuno, nemmeno alla mia famiglia  »
« Perché? »
« Perché è una cosa che riguarda me, Aomine-kun. Me soltanto. »
Questo era stato troppo. Decisamente troppo per Aomine.
Lui, che era solito considerarsi ancora un qualcosa di “importante” nella vita di Kuroko, si sentì improvvisamente tirato fuori dalla vita dell’altro. Quello che era stato la sua ombra alle medie – un punto di riferimento, un amico, un fratello – ora lo trattava come una persona qualsiasi, preferendo celargli i particolari della propria esistenza e di possibili sviluppi all’interno di essa. Si sentì alla stregua di un perfetto sconosciuto, forse ritenuto troppo opprimente e curioso, a cui Tetsu aveva concesso qualche particolare in più. Per accontentarlo. Per farlo stare zitto.
Questo lo irritava. Lo irritava tantissimo.
« E tu credi veramente che io sia d’accordo?! » urlò contro la cornetta del telefono facendo sussultare visibilmente spaventato Kise; il quale non esitò ad alzarsi per cercare di calmarlo, venne però trattenuto di Midorima che gli appoggiò una mano sulla spalla e lo rimise a sedere.
« Aomine-kun, non alzare la voce »
« Dimmi chi diavolo è, Tetsu! Devi dirmelo! » sbraitò con maggiore intensità digrignando i denti con rabbia « Cos’è? Improvvisamente non ti vado più a genio? Come al liceo? »
« Non è questo »
« Cosa diamine è allora?! » gridò più forte Aomine facendo leggermente tremare i vetri delle finestre «Dopo tutto quello che è successo con Kagami me lo devi dire, diamine! »
Se Aomine fosse stato un poco più attento forse avrebbe udito quel piccolo sussurro proveniente dall’altro capo del telefono. Il respiro di Kuroko fu per qualche istante più veloce, come se qualche spiacevole ricordo gli fosse tornato alla mente; ma subito tornò normale, anche se più brusco e pesante. Sembrava quasi fare pressione su sé stesso. Come a volersi controllare. E trattenere. Perché, in fondo, comprendeva quell’improvviso moto d’ira dell’altro e pur essendo irritato dalle sue parole, preferì tenere per sé i suoi pensieri. Ne seguì, infatti, un momento di silenzio. Aomine respirava velocemente, vittima di quell’improvvisa rabbia che aveva preso il controllo del proprio corpo e di quella insana preoccupazione di essere tornato ad essere una figura indistinta nella vita di Kuroko.
« Ohi, Tetsu! Rispondimi! »
« Mi spiace, Aomine-kun, ma come ho detto è qualcosa che riguarda solo me. Ora devo andare, mi stanno chiamando i bambini. A presto. »
 
I – I – I – I
 
 
Ora, prima di continuare con la nostra storia, teniamo ad informarvi della situazione di Murasakibara Atsushi.
Stiamo parlando di un uomo alto ormai due metri, la cui età celebrare oscillava fra i dieci e gli undici anni mentre quella fisica sui trent’anni. Non particolarmente comunicativo o loquace, un po’ goffo nei movimenti e quasi timido nello stabilire un rapporto con gli altri. Quello che colpiva di più di lui, oltre che l’incredibile altezza e lo sproporzionato appetito, erano quei capelli viola che continuavano ad arrivargli alle spalle; nonostante non avesse più la giusta età per portarli in quel modo si era mostrato fortemente contrario all’idea di tagliarli, preferendo di gran lunga legarli in una coda bassa piuttosto che ritrovarsi “a collo scoperto”, come diceva lui. Amante dei dolci e, forse, anche del sorriso che gli rivolgeva Himuro quando lo vedeva rientrare a casa – anche se non lo avrebbe mai ammesso, visto che detestava quello sguardo intenerito che ogni tanto l’altro gli dedicava quando gli faceva un complimento.
Murasakibara non era quindi cambiato molto dopo il liceo: era rimasto lo stesso identico bambino di cui Himuro aveva deciso di prendersi cura.
Era proprio grazie a quest’ultimo se era riuscito a trovare lavoro presso una pasticceria del centro. A quanto pare, Tatsuya conosceva molto bene il proprietario e non aveva esitato a presentarglielo non appena lo aveva ritenuto abbastanza maturo per intraprendere una carriera lavorativa; anche se, a ben guardare, quello che Murasakibara frequentava, era un ambiente più che protetto. La sua vita, a detta di molti, era “immersa in un campo di rose e fiori, traboccante di dolci e balocchi”. Lavorava circondato da giovani collaboratrici che lo viziavano nei peggior modi – preparandogli continuamente pacchetti di cioccolata e caramelle – con un orario non particolarmente duro e che gli permetteva di chiamare Himuro ogni qual volta ne sentisse la necessità. Per non parlare del fatto che, il padrone del locale gli lasciava sempre ogni tipo di avanzo possibile e raramente era costretto a dedicarsi a qualche straordinario.
E magari, se tutto fosse andato come le precedenti volte, anche quella giornata si sarebbe consumata velocemente: Murasakibara si sarebbe recato a lavoro alle nove, avrebbe ricevuto la solita serie di buffetti sulle guance ( che erano solite dargli le colleghe ogni qual volta lo vedessero), e avrebbe lavorato fino alle diciotto di sera, con uno stacco di un’ora per poter consumare il pranzo e avere tempo di chiamare Himuro.
Sfortunatamente, quella mattina non andò affatto come da programma.
Hayato Yamashita – quarantenne, tarchiato ed disoccupato da ormai due mesi – era affamato. Aveva voglia di qualcosa di caldo o, semplicemente, di un posto in cui potersi accoccolare anche solo per alcuni istanti. Si può dire che passò per caso sotto la pasticceria e che, ammaliato un po’ dal profumo e un po’ dalle formose figure delle lavoratrici, si convinse ad entrare. Gran parte dei lavoratori si trovava nella cucina, intenta ad impastare e preparare il forno, e una minima parte sul retro presa a fumare la prima o la seconda sigaretta della giornata; Murasakibara era appena arrivato: si era tolto la giacca, infilato il grembiule e lasciato strapazzare dalle varie colleghe.
L’urlo che, quindi, cacciò la ragazza alla cassa non appena vide il coltello a serramanico colse tutti alla sprovvista; costringendo l’intero gruppo a dirigersi verso l’interno del locale, finendo così nella bocca del leone.
Proprio così. Mentre Midorima chiamava Kise per ulteriori chiarimenti riguardo alle nozze di Kuroko, la pasticceria “bon bons à tous divenne oggetto di un tentativo di rapina. 
A differenza delle altre sue colleghe che non facevano che agitarsi, dando vita ad un irritante susseguirsi di urla isteriche femminile, Murasakibara era rimasto in silenzio fino all’ultimo. Non che non avesse capito cosa stesse succedendo – semplicemente, non sapeva come comportarsi e cosa fare. Non aveva mai vissuto un momento del genere nel corso della sua vita. E, francamente, l’idea di urlare anch’egli come una gallina non lo attirava affatto.
Era accaduto tutto velocemente: il rapinatore che gli puntava il coltello contro, una ragazza che lo pregava di assecondarlo, un’altra che gli diceva di fare qualcosa ( chenonfossedargliisoldi ) e poi il resto del gruppetto che si limitava ad urlare spaventato … insomma, Murasakibara non ci aveva capito più nulla. Le grida lo avevano sempre mandato in confusione, gli ricordavano fin troppo il verso dei corvi e aveva cominciato a fissare con occhi spalancati il coltello. Così incapace di capire quello che stava realmente accadendo che si era limitato ad indietreggiare un poco, senza capire cosa l’uomo volesse da lui. Aveva aperto la bocca quasi a dire “smettila di urlare ordini. Non capisco nulla con queste urla”, ma era stato perfettamente inutile. L’uomo continuava a puntargli contro quel coltello, urlandogli qualcosa di non meglio noto.
Murasakibara voleva semplicemente fermare tutte quelle urla. Nulla di più. Gli davano così fastidio da ricordargli il disappunto di quando sua madre lo chiamava per chiedergli come si trovasse e se mangiasse abbastanza. Aveva quindi steso il braccio, a voler fermare quei movimenti sconnessi e nervosi del rapinatore, ma questo non aveva portato che caos in più. Con tutte le probabilità, l’uomo lesse questo gesto come un atto di ribellione e, nel tentativo di fargli paura, cominciò ad agitare il coltello davanti a sé. Se Murasakibara fosse stato abbastanza furbo, avrebbe ritratto il braccio e magari avrebbe anche indietreggiato, ma lui non lo fece e, in pochi secondi, vide comparire un gigantesco taglio all’altezza dell’avambraccio. Le grida disperate non fecero che aumentare, ma l’uomo sembrò quasi non sentirle più.
In quel momento, la sua attenzione era tutta per quel liquido scarlatto che vedeva fluire via dal proprio braccio destro.
E non ci vide più.
Il rovescio che gli dedicò fu così forte da togliere il fiato persino ai presenti – tanto che, per un attimo, il silenzio tornò sovrano nella sala. Le giovani donne si limitarono a seguire col capo il rapido volo del rapinatore dal bancone contro i tavoli del locale, lasciando che la bocca si spalancasse un poco; qualcuna si portò le mani sulla bocca, altre strinsero i pugni vittoriose (convintesempredipiùcheMurasakibarafossel’armavincente ). Inutile dire che il rapinatore perse i sensi e Murasakibara fu costretto a mettersi seduto per terra.
Il gestore della pasticceria lo pregava di rimanere fermo mentre urlava a qualche ragazza di chiamare un’ambulanza, qualcuna piangeva spaventata, altre gli si affollavano intorno chiedendole come stesse e se si sentisse mancare. A detta di molte stava perdendo davvero troppo sangue, necessitava di un’imminente soccorso – e magari di qualche dolce.
Era stata quindi chiamata un’ambulanza e, solo in seguito, la polizia. Murasakibara era stato trasportato in ospedale, accompagnato dal gestore del locale e dall’unica ragazza che sembrava aver mantenuto il sangue freddo, e rinchiuso dentro una stanzetta bianca con una strana flebo attaccata al braccio. I medici avevano detto che non c’era nulla di cui preoccuparsi: non aveva perso molto sangue e non sembrava essere nemmeno in stato di shock, poteva quindi rispondere alle domande della polizia senza problemi. Dopotutto il rapinatore lo aveva steso lui. Chi altri meglio di lui poteva spiegare la dinamica dei fatti?
L’uomo ondeggiò un poco sul posto, annoiato da tutto quel silenzio che lo attorniava. Non sapeva che ore fossero, ma il languorino allo stomaco gli fece intuire come l’ora di pranzo fosse ormai passata. Si guardò in giro, alla ricerca di qualche snack lasciato in giro, ma si scoprì presto completamente solo nella gigantesca camera bianca. Prese così a studiarla con falsa curiosità, dopotutto, doveva pur far qualcosa là dentro! Si rese perciò conto che, oltre il suo gigantesco letto, vi erano paio di armadi e comodini; in più scoprì che una gigantesca finestra, che si estendeva per tutta la parete destra, dava su un piccolo boschetto di sempreverdi. Spalancò leggermente gli occhi e, chinando il capo in avanti, tentò di scorgere le cime di quelle chiome. Si ritrovò presto a pensare, per un motivo o per un altro, ad Himuro e al fatto che non lo avesse ancora chiamato. Probabilmente si stava preoccupando. Ma cosa poteva mai fare lui? Il cellulare era rimasto in pasticceria e, probabilmente, ora le sue rumorose colleghe lo avevano già avvisato della rapina e del suo rapido ricovero in ospedale.
Tanto era preso da quei pensieri che non si rese subito conto dello scatto nella porta – segno che qualcuno stava per entrare in stanza – e continuò ad osservare quelle cime verdi, cercando di scorgere qualche scoiattolo o magari un nido per uccelli: ondeggiò un poco, piegandosi ancora di più in avanti. L’individuo che era appena entrato quasi sussultò nel vederlo preso da un simile studio: chiuse immediatamente il libretto che teneva fra le mani e lasciò che un respiro scocciato fuoriuscisse dalle sue labbra secche.
« Ah, bene. Prima Kise, ora tu. » sbottò dopo un po’, avvicinandosi al letto dell’altro con velocità. Murasakibara raddrizzò il busto, ma continuò ad osservare a sottecchi l’uomo; irritato dal fatto che lo avesse interrotto proprio nel momento topico della sua ricerca di uno scoiattolo – anche se, a ben guardare, era un po’ difficile che lo si riuscisse a trovare proprio nel centro di Tokyo. « Che cosa devi dirmi tu? Che Tetsu è incinto? »
L’uomo in divisa, che altri non era che Aomine in servizio, si tolse il berretto e prese a osservarlo con sufficienza. Dire che fosse sorpreso dal vedere Murasakibara era dire poco. Il loro ultimo incontro risaliva alla Vigilia di Natale dell’anno passato: Kise li aveva invitati a casa sua e avevano passato una tranquilla serata, mangiando e bevendo a volontà e scambiandosi stupidi regali inutili. Erano presenti un po’ tutti – eccetto Akashi e Kuroko; il primo perché aveva dovuto recarsi in Europa per lavoro proprio in quei giorni, il secondo perché … beh … Aomine non aveva ben capito quale fosse stato il motivo, aveva saputo da Kise solo che “non poteva venire”. Nulla di più.
« Mine-chin … Ma tu non dovresti lavorare? » domandò alzando leggermente un sopracciglio e inclinando la testa di lato nel vederlo così improvvisamente vicino al suo letto.
« Io STO lavorando, razza di idiota! » ribatté piccato l’altro digrignando i denti con rabbia. Osservò irritato Murasakibara, sbuffando scocciato, per poi concentrarsi su quei numerosi tubicini che, serpeggiando dalla flebo, si insinuavano nelle carni dell’amico; non faticò ad individuare il braccio ferito, una pesante fasciatura lo copriva. « E, contrariamente a te, non mi faccio infilzare dal primo che passa! »
 
Himuro percorse a passo veloce il corridoio, lanciando veloci occhiate dentro le stanze dell’ospedale sperando ogni volta di intravedere la chioma di Atsushi. Era quasi tentato di tornare alla reception e chiedere di nuovo quale fosse il numero della stanza che avevano assegnato al proprio compagno; tuttavia, la fretta e la convinzione che l’avrebbe trovata presto o tardi, lo convinse a non perdere ulteriore tempo. Non riusciva a sentirsi rassicurato dalle parole del personale e dei medici, voleva controllare personalmente che Murasakibara stesse bene e quale fosse l'entità della ferita al braccio.
Per un giocatore di basket, le gambe e le braccia sono un qualcosa di vitale importanza; durante il gioco e nella vita quotidiana, si cerca sempre di proteggerli da particolari urti o graffi – in particolar modo, si ha molta cura delle mani proprio perché è tramite esse che la palla prende una determinata direzione o meno. Himuro si trovò a mostrare un poco i denti, vittima di un crescente nervosismo. Se aveva capito bene ( eavevacapitobene ) Atsushi aveva riportato una ferita proprio all’altezza del braccio destro: proprio quello con cui Murasakibara era solito effettuare la maggior parte delle azioni difensive durante una partita.
Si mostrò, tuttavia, abbastanza accorto nel evitare di sbattere contro un altro individuo che proveniva dalla direzione opposta. Questi avanzava a passo lento, giocando un poco col blocchetto che teneva fra le mani; pur essendosi immediatamente reso conto della presenza di Himuro, aveva preferito non variare di un singolo centimetro il proprio percorso. Forse per pigrizia o forse per altri pensieri che ancora affollavano la sua mente.
Restava il fatto che Aomine Daiki era davanti a lui e sembrava più scocciato e irritato del solito. Questi, nel vederlo, si limitò ad alzare un sopracciglio e aprire leggermente la bocca. Probabilmente non si aspettava di vederlo in ospedale così presto – e nemmeno così in ansia – perciò si limitò ad un rapido cenno del capo come saluto.
 « Atsushi! Lui dove – » cominciò Himuro visibilmente preoccupato.
« Sta bene » tagliò corto Aomine, digrignando i denti difronte a tanto nervosismo – a suo parere, veramente ridicolo, visto che si stava parlando di Murasakibara. Indicò, con un cenno del capo, il corridoio da cui proveniva e si spostò di lato per permettere all’altro di passare « La stanza è in fondo a destra »
Avrebbe voluto aggiungere altro, ma Himuro lo aveva già superato e correva velocemente verso il corridoio; si ritrovò così a sbuffare stanco, chiaramente irritato per l’ennesima perdita di tempo. Lui, i fatti, li sapeva già. Murasakibara si era limitato a confermare che la sventola che aveva regalato all’assalitore era per legittima difesa, per poi chiedere con una voce profonda e fastidiosa cosa avesse per essere così nervoso. Così, alla fine, fingendosi il più distaccato possibile, gli aveva raccontato di Kuroko e dell’ultima lieta notizia che aveva avuto di lui. Nulla di più. Aveva preferito glissare sulla sua brillante performance al telefono, che lo aveva portato a sorbirsi un secondo pesante rimprovero di Kise e pessime occhiate di Midorima; e poi, come era venuto, se ne era andato.
Ora, quello che doveva fare, era chiedere la perizia al medico e vedere quanto fossero gravi i danni riportati dal rapinatore e di Murasakibara. Diciamo pure, che provava un po’ di pena per il rapinatore. Un scontro con l'amico, anche senza giocare a basket, poteva portare più danni di un anno di radiazioni. In particolare, questo, era volato per quasi due metri, atterrando su un tavolo di metallo, spaccandosi due costole e un femore. Ridacchiò un poco nel ricordare l’espressione scioccata del rapinatore nel riportare la dinamica dei fatti, descrivendo l’amico come un gigante dalle possenti spalle e una forza erculea, che lo aveva scaraventato via con estrema facilità.
Aomine prese così a scompigliarsi i capelli e, pensando al lavoro, quasi si dimenticò di cosa era stata quella telefonata e del suo orgoglio ferito.
 
I – I – I – I
 
Dire che la telefonata era stata un disastro era dire poco. Kuroko era andato immediatamente sulla difensiva non appena aveva sentito parlare di Kagami e non se ne era più cavato un ragno dal buco. Molto probabilmente se Aomine avesse avuto un poco di tatto in più, si sarebbe riuscito a ottenere qualcosa di più. Era questo che stava pensando Midorima mentre parcheggiava la propria macchina, prima di darsi di nuovo del pettegolo e negare con forza la testa.
La compagnia di Kise gli faceva male, perdeva quel poco autocontrollo che era scampato dalla convivenza con Takao. Il che non era un bene, per un medico non è mai un bene: si perde la facoltà e la cura nel trattare con il paziente, di visitare con calma e anche di riferire esami e assegnare medicine. Dopo quel pranzo e quella fantomatica telefonata, per un attimo, aveva davvero creduto che si stesse sfiorando una crisi isterica collettiva: Kise aveva cominciato a lamentarsi a gran voce dicendo che “non era così che ci si comportava” e che la colpa non era di Kuroko ma di Aomine che “non sapeva fare il poliziotto”; il che, oltre che sapere di paradossale, aveva irritato l’uomo chiamato in causa che aveva preso a sbottare strani commenti senza né capo né coda. Da parte sua, aveva preso anche lui a dare dello stupido ad Aomine: ma come non capirlo? Pur non avendo mai avuto un legame così intimo con Kuroko, riusciva ad intuire la rabbia e frustrazione di Aomine nel vedersi improvvisamente “cacciato via”.
Midorima girò la chiave nella serratura ed entrò nel proprio appartamento. Appoggiò il proprio ombrello nell'apposito contenitore e provò a massaggiarsi la testa; quella giornata non era andata minimamente come era stata programmata e ora si ritrovava con un pesante mal di testa che non gli permetteva di ragionare razionalmente. Si stupì nel notare un paio di scarpe lasciate sull’uscio furono la conferma. Midorima alzò velocemente un sopracciglio e poi lo riabbassò nell’udire strani rumori provenienti dalla cucina.
« Oh, Shin-chan! Sei tornato presto oggi! » esclamò una voce a lui ben nota. Non ci volle molto prima che Takao si sporgesse leggermente dalla cucina e dedicasse all’altro uomo un sorriso entusiasta. La sua frangetta era stata legata sopra la testa, donandogli un ché di ridicolo – e, in qualche modo, anche di divertente – agli occhi di Midorima.
« Cosa ci fai a casa? Non dovresti essere al giornale a consegnare le tue foto? »
« Già fatto, Shin-chan. È stata una cosa veloce! » rivelò con sorriso sulle labbra l’altro, per poi mostrargli con falsa solennità un ananas che troneggiava sul tavolo della cucina. Midorima alzò lievemente un sopracciglio e si domandò il perché Takao lo agitasse a destra e manca quasi fosse un trofeo ottenuto in guerra; scosse lievemente la testa e riprese ad osservarlo « Così, visto che ho finito prima, ho pensato di passare da Kimura e prendere qualcosa! E lui mi ha regalato un ananas! »
« … Perché un ananas? »
« In onore dei vecchi tempi, Shin-chan! » sorrise di nuovo l’altro continuando ad agitare quello strano frutto con una certa felicità. Midorima, questa volta, non lasciò trattenere il suo disagio: aggrottò le sopracciglia e lanciò un’occhiata leggermente disturbata a Takao, cercando di far capire quanto fosse difficile per lui parlare del passato a cuor leggero.
L'estate dell’ultimo anno di liceo si era consumata lentamente, senza che nessuno dei due rivelasse i propri sentimenti nei confronti dell’altro. Si erano visti un paio di volte, più per richiesta di Takao che per altro, e non avevano fatto altro che parlare dell’università e dei progetti per il futuro. Era stato proprio durante uno di quei giorni che l’altro ragazzo si era dichiarato. Non era stato qualcosa di particolarmente trionfale o romantica, semplicemente aveva sorriso un poco imbarazzato e aveva dichiarato quel profondo affetto che lo aveva legato al tiratore. Era stata una cosa abbastanza intima, detta davanti ad un caffè in un locale di periferia. Ma Midorima non l’aveva comunque presa bene. Si era alzato in piedi e, tempo di mettere in ordine le proprie cose, era scappato. Non ricordava il volto di Takao durante quel giorno; forse era una maschera di dolore o forse aveva celato fino all’ultimo quei sentimenti che lo stavano lentamente corrodendo.
Da lì in poi, era stato facile perdersi. Non aveva risposto più alle sue telefonate o alle sue email, si era buttato a capofitto negli studi di medicina e aveva conseguito con successo i propri progetti. Il basket era sempre più diventato un ricordo – qualcosa legato al passato e a Takao. E forse, chissà, se non si fosse confrontato con Kuroko non avrebbe più rivisto né l’uno né l’altro.
Gli era stato dato del codardo quel giorno.
L’ombra lo aveva guardato dritto negli occhi e gli aveva detto che non era questo il comportamento che un adulto doveva adottare. Che non era giusto. Per lui. Per Takao. E per tutte quello che avevano passato assieme. In quel momento aveva pensato che Kuroko lo avesse detto per invidia, perché ciò che amava era lontano e forse non sarebbe più lontano. E gli aveva dato dell’irrazionale e irresponsabile. Ma l’ombra aveva insistito. Aveva detto che doveva tentare di chiarire.
E poi un giorno, quando Kuroko era già lontano (sperduto nel freddo Hokkaido), aveva afferrato il telefono e semplicemente ci aveva parlato. Si aspettava un freddo rifiuto e, invece, Takao era stato gentile. Gli aveva chiesto come stava e se aveva trovato lavoro. Lui aveva risposto e domandato a sua volta come stesse. Sembrava una conversazione fra vecchi amici e Midorima, per un attimo, aveva creduto che lo fosse. Che non fosse cambiato nulla e che Takao continuasse a ritenerlo un semplice amico. Ma poi avevano cominciato a sentirsi più spesso. Giorno dopo giorno. Si chiamavano a pranzo, durante le pause e parlavano sempre di più. Midorima non era mai stato un gran conversatore, preferiva tenersi ogni cosa per sé; ma in breve tempo scoprì di voler rendere partecipe Takao di tutto quello avvenuto in quei anni. E, a sua volta, si sentì curioso di sapere cosa avesse fatto l’altro.
Era un fotografo. Lavorava per una rivista scientifica ed era solito viaggiare molto e fotografare quanto più raro e unico che ci fosse. Lo pagavano molto e lui era felice. Midorima aveva così finito per ascoltare i vari racconti dell’altro, perdendosi nelle accurate descrizioni di monti tibetani e delle acque oceaniche; credeva che tutto fosse tornato come prima, ma poi Takao lo aveva sorpreso ancora.
Si stava parlando della barriera corallina e l’uomo se ne era uscito con un commento a dir poco imbarazzante: “Nessun paesaggio sarà mai paragonabile alle colline e le pianure che ho visto sul tuo corpo” aveva sussurrato al telefono. Probabilmente stava sorridendo, o come minimo sghignazzando; ma Midorima, contrariamente a quello che avrebbe fatto pochi anni addietro, non riattaccò la conversazione. Rimase ad ascoltarlo.
Quello fu l’inizio del loro amore.
« A proposito, Shin-chan, ha telefonato quel tuo amico spaventoso! Akashi Seijuro. Te lo ricordi, no? » interruppe i suoi pensieri Takao affacciandosi nella camera da letto con espressione incuriosita sul volto; probabilmente in attesa di qualche spiegazione o possibile reazione da parte dell’altro « Ha detto che devi richiamarlo »
Non che credesse di poterla fare franca, Midorima. Non si poteva con Kuroko, figuriamoci con Akashi. Si ritrovò così a sospirare mentre toglieva la giacca di lavoro e l’appendeva con cura nel proprio armadio, mentre cominciava ad elaborare un possibile discorso da rifilare all’amico. Nulla sfuggiva Akashi – soprattutto se si parlava di qualcosa che riguardasse la Generazione di Miracoli e, in particolare, Kuroko.
« Devo essere geloso, Shin-chan? » domandò allora Takao entrando nella stanza con un sorriso divertito in volto, suscitando immediatamente l’irritazione di Midorima. Non che fosse una novità, per carità!, l’uomo lo prendeva spesso in giro per quella sua amicizia: sosteneva che avesse una specie di infatuazione nei suoi confronti. “Il fascino del potere” diceva con fare divertito, sperando sempre di di riuscire a punzecchiarlo a dovere.
« Non intendo rispondere ad una domanda così stupida » rispose acidamente l’altro continuando a sistemare la propria roba dentro gli appositi cassetti e contenitori.
« Shin-chan, è successo qualcosa? » La voce di Takao gli apparve improvvisamente seria, tanto che fu costretto a voltarsi di nuovo verso di lui. Lo scoprì, così, più vicino di quel che si aspettava: non sorrideva più ed aveva preso ad osservarlo con attenzione, alla ricerca di qualche possibile cambiamento a lui visibile. « Sembri parecchio turbato »
« Non è cosa che ti riguarda » berciò di nuovo, chiudendo gli occhi e tornando a sistemare il propri effetti personali.
Lo sguardo che gli rivolse Takao fu tutto fuorché cordiale. Sembrò quasi prenderla sul personale visto che, scuotendo leggermente le spalle, lasciò che il proprio sorriso sfumasse fino a diventare un lieve piegarsi di labbra.
« Come vuoi » mormorò rassegnato tornando in cucina.
 
Takao continuava a leggere il proprio opuscolo in religioso silenzio. Era chiaramente offeso, ma Midorima non valutò nemmeno per un secondo l’idea di chiedergli scusa per avergli risposto male.
Col passare degli anni Takao era leggermente cambiato. Si era fatto più serio e maturo. Guardava il mondo con occhi diversi, seppur mostrasse sempre lo stesso sorriso luminoso, e sempre più raramente si lasciava andare alla risata. Si intuiva la rivoluzione che si era appena compiuta dentro di sé, ma non si capiva cosa l’avesse generata. Forse lo si doveva alla scelta lavorativa intrapresa o, magari, al recente lutto familiare che sembrava averlo colpito profondamente. Fatto sta che la loro relazione si stava leggermente modificando, prendendo sempre di più una piega matura e adulta; e questo rendeva Midorima sempre più nervoso e scontroso. Probabilmente quest’ultimo non riusciva a spiegarsi un simile cambiamento e, sebbene facesse pressioni su di sé per accertarlo, finiva per allontanarlo e chiudersi ancora di più dentro di sé.
Takao vedeva ogni cosa – ogni luce, ogni ombra – ma, contrariamente a come era al liceo, era disposto a giudicare e far valere la sua opinione. Era un fotografo: doveva valutare se uno scatto fosse meritevole o meno; e, qualora non lo fosse, insinuarsi di nuovo nella vita e coglierne l’essenza.
« Kuroko si sposa » rivelò finalmente sedendosi accanto con la massima discrezione ed educazione. Non voleva sembrare avventato e nemmeno mostrarsi pentito per quello che era successo. in fondo, erano affari suoi, no?
« E non ti ha invitato? »
« A quanto pare »
« Questa cosa ti turba?»
A quest’ultima domanda, Midorima lo fulminò con lo sguardo e valutò l’idea di soffocarlo con uno dei cuscini posti sul divano; non fece caso al sorriso provocatorio dell’altro, dettato probabilmente da quell’imbarazzo che vedeva scorgere sempre di più su quelle guance. Midorima non era cambiato col tempo, aveva mantenuto la stessa discrezione compostezza che pian piano lo aveva conquistato; Takao si riteneva fortunato, questo lo spinse a chiudere la rivista e volarsi meglio verso l’altro.
« Takao, ti proibisco di farmi queste domande da psicologo squattrinato » gli ordinò con voce fredda il medico, sperando vivamente che quel sorriso irriverente scomparisse dal volto dell’altro.
« Shin-chan, non essere così cattivo! » rise divertito Takao, avvicinandosi un pochino alla sua figura. Sembrava essersi improvvisamente rasserenato e questo, anche se non lo avrebbe mai ammesso, lo fece sentire un poco meglio « È normale fare una domanda simile, non c’entra niente la psicologia! »
« Non lo credo affatto » negò di nuovo con la testa Midorima lanciando veloci occhiate prima alla rivista e poi al televisore che continuava a rimanere spento. Di solito, quando veniva la sera e si ritrovavano entrambi a casa, finivano per seguire qualche strano programma o film; Takao lo coinvolgeva in strani commenti e scommesse, rideva divertito alle battute e cercava di sentire il suo parere. Era un buon modo per passare la serata e, sotto sotto, Midorima cominciava a ritenere necessaria la presenza di Takao accanto alla sua; probabilmente, se non ci fosse stato lui, non avrebbe mai saputo apprezzare un certo oggetto o momento se non l’avesse vissuto assieme all’altro.
« E allora ? » lo distrasse di nuovo l’altro, portandolo di nuovo sull’argomento che aveva finalmente deciso di affrontare. Midorima si voltò verso il proprio compagno, il quale continuava a sorridergli – questa volta più dolcemente, quasi fosse intenerito da quel sottile imbarazzo che cercava di nascondere. « Che farai? »
« Gli invierò un po' di soldi via posta » rispose incolore l’altro rifiutandosi di mantenere lo sguardo. Alla fine era la cosa migliore da fare, pensava. Se Kuroko non li voleva al matrimonio, tanto meglio – lui avrebbe fatto la persona educata, avrebbe mandato dei fiori e con questo ne sarebbe uscito vincente. La discrezione lo avrebbe tolto da questa situazione sgradevole e, magari, Takao gliel’avrebbe anche appoggiata.
« Un po' di soldi? Via posta? Che cosa triste! » obbiettò Takao aggrottando le sopracciglia e dondolandosi un pochino sui lati, con chiaro intento provocatorio; convinto che, presto o tardi, la cosa avrebbe preso la direzione da lui sperata. Midorima era quel tipo di persona che si riusciva facilmente a circuire – e, la maggior parte delle volte, nemmeno se ne rendeva conto. Takao si sistemò indietro i propri capelli, liberi da quel laccio che aveva usato quando era intento a cucinare, e gli sorrise con maggiore intensità. « Shin-chan sei davvero un tipo noioso! »
« Essere noiosi non c’entra »
« Sì che c'entra! »
« No, invece. Non vuol dire nulla. »
« Shin-chan! »
« Takao, per favore » lo riprese di nuovo Midorima, volgendo lo sguardo di nuovo verso di lui intriso di rabbia e rancore per tutte quelle scemenze che si stava ritrovando ad ascoltare « Non è una cosa su cui scherzare. Sii serio. »
« La stai prendendo sul personale »
« Non la sto prendendo sul personale! »
« Devo un favore a Kuroko. Ha fatto molto per noi – soprattutto, per te. È grazie a lui se ho potuto rivederti! » rivelò con un sorriso genuino Takao, stendendo le gambe e lasciando che il proprio sguardo vagasse sul soffitto bianco dell’appartamento. Se avesse guardato Midorima probabilmente lo avrebbe scoperto scosso, quasi intimorito dal toccare un simile argomento; si rendeva perfettamente conto dell’imbarazzo dell’altro, tuttavia credeva che fosse ora di fare un ulteriore passo in avanti « Credo sia il caso che tu vada a trovarlo, Shin-chan! Il matrimonio è una cosa importante e tu un po’ gli devi la tua presenza! Dopotutto, vi conoscete dalla medie, no? »
Midorima spalancò leggermente gli occhi nel sentirsi dire una cosa simile. Avrebbe voluto dargli dell’idiota e dire che, come al solito, non ragionava mai su quello che gli altri provavano e volevano. Avrebbe anche voluto aggiungere che era stato lo stesso Kuroko a dire che la loro presenza lì non era ritenuta necessaria; tuttavia, gli bastò sentir posare quelle labbra bollenti sulle proprie per lasciarsi di nuovo andare al silenzio e alla pace. Chiuse gli occhi e smise semplicemente di pensare. Si dimenticò del lavoro, di Kuroko e di Akashi. Strinse il corpo di Takao al suo e si lasciò andare.
 
I – I – I – I

 
Kasamatsu sospirò piano e lasciò che il giovane lo stringesse a sé come se fosse un pupazzo, chiudendo un poco gli occhi nell’avvertire il profumo che il corpo di Kise emanava; blaterò qualcosa sul fatto che si stesse comportando come un bambino ma continuò a respirare piano quell’aroma così gradito al suo spirito e al suo corpo.
Aveva intuito che qualcosa era andato storto non appena era entrato in casa. Questa era, incredibilmente e inquietantemente, silenziosa. Non si sentiva né il rumore della televisione né si riusciva a scorgere qualche luce accesa. Ed erano solo le nove di sera. Non aveva trovato Kise né in cucina né nelle altre stanze e, dopo averlo chiamato al cellulare e non aver ottenuto alcuna risposta, aveva deciso di entrare in camera e utilizzare il telefono della casa per sapere dove e con chi fosse. Non che fosse geloso, per carità!, solo che non riusciva a digerire quella carenza di maturità che ogni tanto il proprio compagno mostrava. Ed era stato proprio nel letto che lo aveva trovato: Kise era immerso in uno strano ammasso di coperte invernali che rendevano il letto una specie di campo di battaglia. Si era rannicchiato nel suo lato, formando una specie di scogliera dalla forma circolare, e non si degnò nemmeno di salutarlo quando Kasamatsu pronunciò un sonoro “ehi”.
Probabilmente, in un altro momento, l’uomo avrebbe afferrato le coperte e gliele avrebbe tirate via, dandogli del cretino visto che non faceva così freddo per tutti quegli strati di lenzuola e che ora toccava lavare anche quello. Tuttavia, scoprendolo così silenzioso e remissivo, lasciò che tutta la sua rabbia si dileguasse con un sospiro; si tolse velocemente le scarpe e, ben presto, anche lui si ritrovò immerso in quel fitto nido di coperte colorare.
Non che fosse una novità, per carità!, con gli anni aveva imparato a lasciarsi trascinare dal proprio compagno. Il sorriso che gli dedicava Kise ogni qual volta che gli proponesse di fare qualcosa era più luminoso del sole stesso. In principio Kasamatsu tentava di allontanarlo, cercando di non mostrargli il suo disagio, ma poi finiva sempre col farsi coinvolgere in ogni suo progetto e col desiderare sempre di più di condividere con lui ogni momento della sua vita. Si ritrovava così in pieno centro di Tokyo a Natale o spersi in un’inquietante radura sul far della sera.
« Ne deduco che la telefonata non sia andata bene » aveva esordito questa volta scorgendo il volto dell’altro fra un lenzuolo e l’altro. Il chiamato in causa aveva, difatti, aperto gli occhi e, con rapidi movimenti, si era rifugiato fra le sue braccia come un bambino spaventato dal buio. Kasamatsu lo aveva accolto con dolcezza, quasi rassegnato da quella fragilità che l’altro gli mostrava. Non poteva certo cambiarlo e, in fondo, quel lato di lui gli piaceva. « Kise, non puoi pretendere che ogni cosa vada secondo i tuoi piani e rifugiarti qui dentro qualora qualcosa non vada come previsto ... »
« Ma non va mai nulla secondo i miei piani, senpai! Perché sono così sfortunato? Non è giusto! » si lamentò l’altro, quasi fosse un bambino a cui hanno appena rotto un giocattolo davanti agli occhi – il che, effettivamente, era vero.
« Tutti sono sfortunati. È inutile comportarsi come un bambino in questi casi » obbiettò Kasamatsu passando rapidamente una mano lungo la schiena dell’altro; se Kise ne fosse stato in grado, probabilmente in quel momento avrebbe preso a fare le fusa, beandosi di quelle attenzioni. Il corpo del compagno era dotato di avvolgente calore che, in breve tempo, gli fece perdere ogni possibile sentimento di rabbia e risentimento accumulato durante la giornata. Si strusciò piano contro il suo petto e si riscoprì più sereno, tanto che accennò un rapido sorriso.
La presenza dell’altro accanto a sé lo rassicurava a tal punto da non temere più nulla.
Kise non aveva faticato ad abbandonarsi a quel calore umano. Gli aveva raccontato di quella telefonata, di come Aomine avesse mandato tutto a scatafascio con una semplice frase di troppo, di come Kuroko li aveva semplicemente ritenuti “fuori luogo” e di come tutta la faccenda si fosse conclusa con un “A presto”. Inutile dire che Kise era a dir poco furioso. Non aveva gradito affatto il comportamento dell’amico: se doveva comportarsi così, tanto valeva lasciar fare a lui! Magari la cosa sarebbe andata meglio e lui non avrebbe subito una così brutale “umiliazione”. Perché, sì, Kise cominciava a credere che Aomine avesse preso male la faccenda solo perché non ne era stato messo al corrente e perché Kuroko lo riteneva alla stregua degli altri. E questo era inaccettabile per lui.
« Pensi che possa trattarsi di Kagami? » domandò allora Kasamatsu sistemandosi un po’ meglio nel suo giaciglio. Kise si ritrovò a sorridere difronte a quei movimenti così goffi e, alla stregua di un sacco, si lasciò sistemare.
« No, non è lui. Kurokocchi ha detto che non lo conosciamo! » rivelò con un piccolo sorriso sulle labbra Kise. Non arrivava un granché di ossigeno lì dentro, forse lo si doveva al fitto strato di coperte che li sormontava o al fatto che fossero in due; restava il fatto che aveva scoperto più volto il senpai ansimare nervosamente, e quasi si era commosso nel vederlo intestardirsi per rimanere al suo fianco. Kasamatsu sapeva essere davvero determinato alle volte, ma il tutto era condito da un discreto imbarazzo e compostezza che lo rendeva divertente agli occhi di Kise.
« Forse dovresti lasciarlo in pace » si espresse di nuovo l’uomo, allontanandosi un poco dal corpo dell’altro, quasi a voler riprendere il suo solito comportamento distaccato nei suoi confronti – anche se la cosa non gli riuscì un granché, visto che Kise continuava a trovarsi sul suo petto. « È giusto che percorra la strada che ha scelto. È un uomo, ormai. Come te e me. »
« Lo so, senpai » annuì piano l’altro chiudendo un poco gli occhi e lasciando che il battito cardiaco di Kasamatsu cominciasse a battere con forza nel suo orecchio. Kise scostò piano i suoi biondi capelli ed appoggiò meglio l’orecchio contro lo sterno dell’altro. « Ma io ho paura »
“Ho paura che stia di nuovo male e che non abbia detto niente a nessuno” avrebbe voluto aggiungere, ma preferì tenersi per sé quell’inconscia paura che aveva cominciato a prendere forma nell’anima di Kise durante le medie al Teiko. Non sarebbe stata la prima volta, comunque. Kuroko era solito celare i suoi pensieri e le sue emozioni alla maggior parte delle persone, non per modestia o per senso di superiorità. Semplicemente, amava la propria libertà e la propria autonomia; Kise era convinto che nemmeno durante la sua relazione con Kagami avesse perduto questo suo modo di fare. Si ritrovò a battere più volte le palpebre nel ricordare il volto di Kuroko accanto a quello di Kagami. Quanto tempo era passato dall’ultima volta che li aveva visti assieme nello stesso luogo? Non poteva credere che fossero davvero passati quattordici anni! Era davvero troppo!
E forse era proprio quel “troppo” che aveva fatto finire tutto.
Kagami si trovava in America, Kuroko in Giappone. Li dividevano dieci ore di fuso orario, 10871 chilometri e la consapevolezza che quel loro amore si stava consumando sempre di più. In quei anni, nonostante lo sforzo di entrambi, non erano riusciti mai a incontrarsi fisicamente; cercavano di organizzarsi, ma poi Kagami fermava tutto dicendo che non poteva venire – perché aveva una partita o una cosa così. Si chiamavano, sì, ma sapevano entrambi che non era lo stesso. Nulla lo era più. Si stava lentamente formando una divisione fra di loro, a livello mentale e anche sentimentale: cominciavano a vedere il mondo in maniera completamente diversa e, probabilmente, neanche la loro relazione era più la stessa da molto tempo. Per questo si erano lasciati – o meglio, così gli aveva raccontato Akashi.
Strano a dirsi ma quest’ultimo sapeva sempre quello che succedeva Kuroko, in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento. Otteneva facilmente ogni informazione che lo riguardava e, soprattutto, riusciva a ricavarle da Kuroko stesso. Kise non sapeva spiegare il perché, ma col passare degli anni, aveva cominciato a vedere il rapporto fra questi due sempre più ambiguo; più volte aveva avuto modo di valutare l’idea di definire tutto come una possibile ossessione di Akashi verso Kuroko. Perché, infondo, era stata l’ombra colui che lo aveva battuto. Era colui che aveva reso l’imperatore un semplice giocatore, non un Dio incontrastato. Ed era probabilmente questo che aveva attirato Akashi verso Kuroko.
« Se penso al fatto che ad ogni mio dolore e debolezza, Kurokocchi sia stato presente e mi abbia infuso coraggio, mentre io non sono riuscito mai a fare nulla per lui … » Kise serrò gli occhi e tornò a stringersi al corpo di Kasamatsu con forza. Ricordare il volto di Kuroko in quel momento gli faceva male al cuore: la sua mente lo collegava a quello che era successo alle medie, focalizzandosi in particolare sulle finale del loro terzo anno, facendolo stare ancora peggio. “Kise-kun, non devi preoccuparti per me” gli aveva detto durante l’ultimo anno di liceo dedicandogli un leggero sorriso, facendolo immediatamente arrossire; “è acqua passata” , aveva aggiunto per poi allontanarsi un po’. Eppure Kise aveva da sempre avuto la certezza che Kuroko non lo avesse ancora perdonato – e magari, chissà, il non invitarli al matrimonio era stato proprio per ripicca. « Anche con Kagamicchi è stato così. Ho saputo quello che era successo quando tutto si era già concluso. Non ho avuto neanche il tempo di parlarne con Kurokocchi che lui se ne stava già andando via … »
« Sei uno stupido! » lo fermò immediatamente Kasamatsu dandogli un veloce colpo sulle testa, quasi a voler farlo rinsavire e far tornare il solito immaturo « Non è certo colpa tua per quello che è successo! Smettila di fare la vittima anche quando non serve! »
« Ma mi sento lo stesso inutile, senpai! » cominciò Ryota con voce bassa. E, magari se non avesse scoperto che i movimenti dell’altro fossero stati controproducenti visto che lo ritrovò ben presto intrappolato in uno strano impacco di coperte, avrebbe aggiunto anche altro. Kise per poco non scoppio a ridere, divertito da quella serie di insulti che cominciarono a venir fuori dalla bocca di Kasamatsu non appena si scoprì catturato; lo vide agitarsi nervoso. Non fu un lavoro particolarmente difficile, ma l’imbarazzo che si generò non appena Kasamatsu vide Kise troneggiare sopra di lui nel tentativo di liberare il suo braccio destro per poco non sfociò in un ennesimo cazzotto contro lo sterno dell’altro. Il pilota si ritrovò a ridacchiare di nuovo, quasi felice di vedere quei due rossi sulle guance del compagno, e quasi avrebbe scherzato un po’ se non avesse sentito la mano dell’altro uomo sulla propria guancia.
Fu Kise ad arrossire questa volta, abbassò immediatamente lo sguardo e si scoprì osservato dallo stesso Kasamatsu. Cosa avesse spinto un simile gesto, non lo sapeva; l’unica cosa che riusciva a percepire era quella mano che continuava ad accarezzargli piano il viso, tracciando i contorni della sua guancia con delicatezza e poi scostandogli piano le ciocche bionde. Kise chiuse un poco gli occhi e si strusciò dolcemente contro la mano dell’altro cercando di godere per quanto possibile di quel calore che emanava. Era raro che il compagno si mostrasse propenso a momenti di simile intimità; di solito, nel sentire Kise così vicino a sé, prendeva ad agitarsi e riempire di pugni il braccio di quest’ultimo, dandogli dell’idiota – facendo immediatamente lagnare l’altro. Non poteva che essere felice della confidenza che, col passare degli anni, il compagno gli stava donando.
Kise era grato a Kasamatsu. Per essergli rimasto accanto. Per averlo sopportato. Per averlo sorretto e incoraggiato. Si sentiva profondamente in debito nei suoi confronti. La sua vicinanza lo faceva stare meglio, si sentiva rassicurato da quel calore umano e da quella stretta che lo avvolgeva ogni volta che ne avesse bisogno. La sicurezza che l’altro gli infondeva non gliela aveva data nessuno; era così sincera e certa che gli faceva dimenticare di tutti quei dolori e pensieri che accumulava durante la giornata.
Si piegò su di esso e gli diede un piccolo bacio sulle labbra.
« Andrà tutto bene, Kise » gli sussurrò l’altro all’orecchio stringendolo con maggiore forza a sé, come se volesse proteggere da tutto quel dolore e insoddisfazione di sé che stava provando in quel momento.
« Lo so, senpai » pigolò debolmente l’altro abbandonandosi totalmente all’uomo.
 
I – I – I – I

 
Doveva essere mezzanotte – o forse anche più tardi, vista lo scarso affluire di macchine per le strade.
Akashi Seijuro era comodamente seduto sulla sua poltrona di ufficio, intento a giocare con i pezzi della scacchiera che era solito tenere nella sua stanza privata. Aveva spento tutte le luci e lasciava che fosse il lampione posto lì vicino a fornire la brillantezza necessaria per quel suo strano gioco a cui si stava dedicando dall’inizio del pomeriggio. Con un movimento secco aveva allontanato i pedoni ed era immerso nello studio della Regina Nera: la teneva fra le mani e ne ammirava le forme, inebriato da quella luce opaca che trasmetteva, lasciando spesso che un sorriso si affacciasse sul suo volto. Nemmeno il suo segretario aveva mai compreso la sua passione per un simile gioco, finendo sempre col tenersi lontano da quella scacchiera che l’uomo era solito tenere al suo fianco. Durante il lavoro, Akashi era solito parlare veramente poco; analizzava i dati in silenzio, studiava i grafici e raramente chiedeva ulteriori chiarimenti riguardo l’andamento delle vendite. Era un uomo dalla concorrenza spietata: riusciva, con poche e giuste mosse, ad eliminare tutti i suoi possibili rivali affacciandosi vincente sul panorama internazionale.
Anche quella giornata lavorativa si era conclusa e lui, come al solito, si era appartato nel suo ufficio per studiare meglio la serie di dati ricevuti. Le vacanze invernali si stavano avvicinando e questo era forse il momento migliore per far fruttare la sua attività: ora più che mai, Akashi stava mostrando tutto il suo talento nel gestire gli affari, divenendo ora più flessibile ora più rigido, nel trattare con i propri fornitori e dipendenti.
In quel momento, però, la sua attenzione era su altro.
Aveva abbandonato i propri documenti in un angolo del tavolo e si stava dedicando all’osservazione, quasi maniacale, di quel tanto desiderato pezzo. La Regina era, forse, il pezzo che più apprezzava; amava quel suo dispiegarsi sulla scacchiera, volando velocemente su un lato e un altro combinando assieme le mosse della torre e dell’alfiere. Ella era rapida e mortale, un po’ come una persona di sua conoscenza. La stessa persona che continuava a non rispondere alle sue telefonate, chiudendosi in un freddo quanto insolente silenzio. Cos’è? Sperava che perdesse la voglia e lo lasciasse stare? Povero illuso. Akashi era un tipo paziente, non soleva abbattersi per un semplice ostacolo – anzi, più intricato era il rompicapo, è più desiderava risolverlo e scoprirsi vincitore.
Un leggero sorrisetto si dipinse delicatamente sulle sue labbra nel riappoggiare la Regina nella propria casa. La sua, di Regina, era scappata di nuovo, rifugiandosi in un’isola fredda e inospitale – sperando magari che anche quel dolore che la stava lentamente logorando si allievasse un po’. Non era particolarmente furba o bella, eppure l’attirava. Si perdeva in quei occhi azzurri e desiderava possederli e renderli suoi per sempre.
« Non vuoi rispondermi, Tetsuya? » chiese retoricamente alzando leggermente la testa, continuando però a tenerla attaccata sul proprio schienale « Molto bene. Prenderò i necessari provvedimenti »
E con questo anche il Re scese in campo.
 
 
~Il Mughetto dice~
E anche il secondo capitolo è andato.
Detto sinceramente non mi aspettavo che questa storia riscuotesse un simile successo! Ben 8 persone hanno lasciato una recensione, 6 hanno inserito la storia nelle preferite, 1 nelle ricordate e 19 nelle seguite … ve ne sono molto grata, grazie a tutti.
Spero che anche questo capitolo ottenga di nuovo il vostro consenso e vi invito ad esprimere o a continuare ad esprimere il vostro parere tramite una recensione. Come ho detto in precedenza, la continuazione si basa sul consenso dei lettori; perciò, se avete tempo e spazio, non dimenticatevi di lasciare un commento.
Passando alla storia, terrei a specificare che sia Murasakibara che Himuro si trovano a Tokyo – non più ad Akita, dove hanno frequentato le superiori; probabilmente la scelta di un simile spostamento lo si deve all’attività di Himuro che è diventato uno psicologo e un po’ perché mi piaceva scrivere di loro senza dovermi “muovere” qua e là per il Giappone. Spostare Kuroko in Hokkaido è stato, quindi, veramente duro. Doversi informarsi sul clima, stili di vita e caratteri generali che sono tutt’ora in corso in quest’isola è stato a dir poco stressante.
Quest’isola, infatti, segue una strada del tutto a parte rispetto al Giappone. È considerata quella meno sviluppata, caratterizzata da un clima rigidissimo e una natura che prospera; si vive soprattutto di allevamento e di agricoltura, le estati durano poco e gli inverni secchi. Ho pensato fosse il luogo perfetto in cui Kuroko potesse abitare e così l’ho spostato lì – sta bene, tranquilli. Continuando, mi è piaciuto molto scrivere di Murasakibara e del suo lavoro. Mi piace molto come personaggio e mi risulta facile muoverlo visto che abbia una personalità simile e lo stesso problema con i dolci. Se fossi portata in cucina, anch’io opterei per la pasticceria - e per Himuro. Mi sono divertita molto a scrivere di lui immerso in un universo femminile, vezzeggiato e coccolato come un bambino; se non fosse stato per il rapinatore, probabilmente nessuno si sarebbe preso la briga di avvisarlo – quindi, in fondo, è stato un bene trovarsi il braccio aperto in due.
Anche Akashi è sceso in campo. Lui è leggermente più “aggressivo” rispetto ad altri, ma questo motiva il perché abbia inserito come coppia l’AkaKuro. Mi piace molto come coppia, la ritengo una delle mie preferite e spero di esserla riuscita a rendere al meglio. Non vedo Akashi come un folle psicopatico, tuttavia credo che al momento fosse abbastanza irritato; mi sembra un tipetto abbastanza dispotico che, nel vedersi allontanato, è capace di tirare fuori il peggio di sé. Comincio però col dire che non farà fuori nessuno. È un bravo ragazzo, in fondo. Un po’ solo un po’ triste. Ha bisogno di amore e crede che Kuroko sappia darglielo – e, tanto per cambiare, lo credo anch’io.
Per quanto riguarda Kise, invece, posso dire che mi piace molto scrivere di lui; tuttavia, volendo essere sincera, credo che l’avviso OOC sia soprattutto per lui. Forse il Kise di cui scrivo è fin troppo emotivo e instabile rispetto all’originale. è un uomo che si preoccupa, che si lascia facilmente andare alle emozioni e che è felice della sua “allegra vita matrimoniale”. Il suo rapporto con Kasamatsu si è sviluppato durante gli anni, facendosi sempre più intimo e quotidiano; con lui, più di tutti, Kise riesce a mantenere quel lato allegro e spensierato. Probabilmente si sente al sicuro e mai giudicato.
Concludendo, grazie per aver letto questo capitolo. E lasciate una recensione.
 
PS:
Non ho idea di chi sia quella personcina che ha chiesto di me sulla pagina facebook “L’arcinota gazzarra di Aomine” (che tra l’altro ringrazio *saluta con la manina* ). Sappia solo che io ho perso trent’anni di vita nel vedere il mio nome lì. Per favore, non lo faccia più. Credo che aggiornerò sempre a fine mese quindi, non ha di ché preoccuparsi.

PS: (2)
Grazie a Milady Ophelia per avermi betato il capitolo. Se non fosse stato per lei, la storia sarebbe stata ancora più sconclusionata del solito.
  
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