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Autore: Shichan    26/12/2013    1 recensioni
Senza contare che come tutte le persone di poche parole sembra essersi circondato, per una sorta di legge naturale, di gente che ha sempre riempito i silenzi al posto suo.
[Leviweek; capitolo 32]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Eren, Jaeger
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Silence
Personaggi: Rivaille, Eren Jaeger
Prompt: Favourite scene/moment, Day 4; (post morte della squadra di Rivaille capitolo 32 pg. 19)
Note:  secondo prompt della leviweek.

 

Il silenzio nella stanza è innaturale persino per Rivaille.
Il Caporale non è mai stato il tipo di persona che solitamente riempie quei momenti di stallo in cui nessuno sa mai cosa dire o cosa fare; lui è più quello che nella calma si sente a suo agio, più di quando è costretto a sentire idiozie – a quelle preferisce che la gente chiuda la bocca e risparmi a lui e agli altri inutili chiacchiere che dimostrano solo la totale stupidità che dilaga nel genere umano. Senza contare che come tutte le persone di poche parole sembra essersi circondato, per una sorta di legge naturale, di gente che ha sempre riempito i silenzi al posto suo.
È per questo che ora sembra tanto strana l’assenza di parole in quella stanza: Rivaille siede sulla sedia, la tazza semivuota e lo sguardo fermo di fronte a sé; siede con il busto leggermente voltato, la postura meno rigida e impostata rispetto a quella “norma” che ha perso di significato ormai.
L’unica persona lì con lui è Eren – e tutto sembrerebbe naturale, con Rivaille in silenzio ed Eren che dovrebbe parlare e riempire il silenzio; invece è il Caporale che continua a parlare, fare osservazioni, chiarire dubbi che Eren nemmeno ha esposto.
Non parla per il bisogno di sfogarsi.
Lo fa perché ha bisogno di non pensare.

Eren è un ragazzino, e Rivaille se ne rende conto nei momenti più impensabili: quando si ritrova a rassicurarlo sul non avere responsabilità in merito alla morte delle persone, laddove un soldato dovrebbe saperlo da sé o essere in grado di convincersi che c’è ancora qualcosa che può fare e che per questo ha bisogno di non focalizzarsi troppo sul senso di colpa.
O quando, con un’innocenza che non credeva qualcuno in quel loro mondo potesse mantenere anche dopo aver visto l’inferno, gli fa notare di chiacchierare più del solito. Gli scappa un sorriso amaro, perché per quanto l’osservazione sia corretta la trova stranamente goffa in un certo senso; in un momento diverso, forse incurverebbe persino le labbra in un sorriso impercettibile.
Invece può solo dargli ragione e permettere finalmente al silenzio di tornare a farla da padrone finché qualcuno non lo romperà di nuovo al posto suo – si concede un istante di dolorosa realtà prima di tornare a portare dentro di sé le vite di una squadra che non c’è più, ma della quale è ancora responsabile.
Ha sulle spalle le loro speranze per il futuro, la loro lealtà alla causa dell’umanità, e la volontà di difendere la loro unica possibilità di vittoria in quella guerra; quando guarda Eren si riscopre capace di non provare odio, ma di sentirsi vicino al pensiero di un affetto dimostrato attraverso il sacrificio.
Le porte si aprono e la stanza si riempie: per la durata di un istante, Rivaille avverte il peso di un’assenza spirituale in uno spazio che va animandosi – in quel momento, sa che solo Jaeger è riflesso di quello stesso sentimento, e nessun altro.

   
 
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