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Autore: MarySmolder_1308    26/12/2013    4 recensioni
Sequel di "Friendzone?" (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2098867)
L'amore non è mai facile.
In amore non sempre tutto è rose e fiori, ci sono i problemi.
L'amore ci rende felici, tristi, fortunati, devastati; ci consuma, ci consola, ci risolleva, ci distrugge, ci pervade, ci fa perdere il senno, ci fa agire d'istinto.
Mary e Ian stanno per riconciliarsi, quand'ecco un'auto giungere.
Ian scansa Mary.
L'auto lo travolge.
Dal mezzo esce una donna, che spara a Mary.
Nina guarda impietrita e terrorizzata.
Abbiamo lasciato i nostri protagonisti a quello che poteva essere il "lieto fine", a quella che poteva essere finalmente una riconciliazione, dopo tanti litigi e fraintendimenti; ma qualcosa è andato storto.
Chi è questa donna?
Perché ha agito in questo modo?
Ian e Mary sopravviveranno?
Continuate a leggere, perché l'amore vi/ti mostrerà ogni cosa.
Genere: Drammatico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ian Somerhalder, Nina Dobrev, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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POV Nina
Ian: << Ehi, non so rispondere alla prima domanda. Perché no? Mi va di passare un pranzo fuori casa di nuovo. Passo a prenderti io, tra un paio d’ore. Un bacio :* Ah, e grazie! >>.
Sorrisi e bloccai il cellulare.
Presi Lynx in braccio e scesi al piano di sotto.
Joseph stava guardando la televisione, spaparanzato sul divano.
“Che guardi?” gli chiesi dolcemente, dirigendomi verso la cucina.
“Quel canale di gossip. Sapevi che il fidanzato di Jennifer Aniston ha baciato la moglie di Sting? E si dovevano sposare!” mi rispose divertito, sgranocchiando un cracker.
“Sei un pettegolo” scoppiai a ridere.
Poggiai Lynx a terra e le presi una scatoletta.
La aprii e versai il suo contenuto nella ciotola della mia gatta.
“Ecco qua, Lynx. Buon appetito” sorrisi.
“E sapevi anche che tu e Ian siete stati avvistati a pranzo l’altro ieri? I fans non si arrendono con voi”.
Alzai gli occhi al cielo e tornai di là.
“Beh, dovrebbero, perché io sto con te e Ian sta con Mary… più o meno” conclusi la fase titubante e afferrai anch’io un cracker.
“Credo sia proprio questo il loro problema. Io sto simpatico, per carità, ma non sia mai che ‘il mitico e figo da paura e cucciolo e fantastico’ – fece le virgolette, imitando alcune fans di Ian – Ian Somerhalder possa innamorarsi di una persona che non sia la ‘bellissima e fantastica e sorridente e splendida’ – imitò alcuni miei fans – Nina Dobrev, giusto?”.
Scoppiai a ridere, nonostante avesse ragione.
“Ah, ma quando lo lasceranno in pace, povero figlio” Joseph brontolò.
“Non lo so – mi accucciai sul suo petto – Forse mai. Forse dovremmo abituarci a tutte queste intrusioni nelle nostre vite”
“No. Le nostre condizioni sentimentali non sono affari mondiali, come le nostre condizioni lavorative. Siamo persone, come le altre! E come le altre difendono la loro privacy a spada tratta, anche noi dovremmo avere la possibilità di farlo. Cosa che ci viene negata”
“Sei saggio, JoMo”
“E’ per questo che ti piaccio”
“Per questo e – sottolineai la congiunzione – per il tuo accento”
“Ah, mi stai dicendo che non ti piaccio per i miei baci? Dannazione” brontolò.
“Beh, non te la prendere. Si può sempre migliorare, giusto?” sorrisi, guardandolo.
Joseph ricambiò il sorriso, sgranando i suoi meravigliosi occhi.
“Giusto, Niki” mi diede un bacio stampo.
“Resterei qui su di te per tutto il giorno” lo strinsi.
“Allettante – Joseph annuì, d’accordo – Sto aspettando il ‘ma’”
“Ma tra qualche ora vado”
“Pranzo con Ian?”
“Sì. Spero non ti dispiaccia. Ha bisogno di me”
“Oddio, i Nian sono a piede libero, chiamate la stampa” urlò come una ragazzina.
“Joseph” gli diedi uno schiaffo scherzoso sul petto.
“Scusa, mi sono lasciato trascinare – fece una risatina – Comunque è ovvio che, sebbene voglia averti sopra di me per tutto il giorno, non mi dispiace. Spero, tuttavia che risolvano presto. Non possono continuare così”
“Lo so – sospirai – Vedremo cosa succederà”.
 
“JoMorgasm, sto andando, d’accordo?” presi la borsa al volo e guardai il corridoio, aspettando una sua risposta.
“Ciao, tesoro! E mi raccomando”
“Cosa?”
“Salutami quando la telecamera ti inquadra, ci tengo” fece capolino dalla cucina, ridendo.
“Sei un cretino” risi anch’io.
Corsi velocemente e lo baciai.
"Buon lavoro" gli sussurrai, poi uscii di casa.
Ian mi guardò sorridente e mi aprì lo sportello della sua Audi.
“Uh, Smolder si ricorda le buone maniere, ne sono lusingata” dissi ironica, entrando nell’abitacolo.
Ian salì in macchina e mise la cintura di sicurezza.
“Stai bene?” mi guardò confuso.
“Sì – sorrisi – Perché?”
“Sembri molto felice oggi”
“Lo sono. Al contrario di un certo trentaquattrenne che non si decide a chiarire con la sua ragazza”
“Dobbiamo toccare questo tasto per forza?”
“Oh, sì. Non puoi scappare”
“Che Dio me la mandi buona” alzò gli occhi al cielo.
“Metti in moto, scemo, su” gli diedi una spintarella.
Ian accennò un sorriso e fece come gli avevo detto.
Guidò silenziosamente per tutto il tempo.
Non appena arrivammo al ristorante dell’altro giorno, Bone’s, Ian parcheggiò e mi fece scendere.
Entrammo insieme al ristorante e chiedemmo dello stesso tavolo.
“Mi dispiace, signori, ma oggi tutti i posti sono presi – ci disse mortificato il cameriere – Eccezion fatta per quel tavolo” ce lo indicò.
Era un tavolo per due persone attaccato alla grande vetrata su cui era scritto il nome del ristorante.
“Se non ci sono proprio altri posti” disse Ian vago con la faccia rassegnata.
“Seguitemi, vi ci accompagno” il cameriere ci sorrise e ci accompagnò.
Ci fece accomodare, poi ci consegnò i menù.
“Allora, vi siete sentiti?”
“Uh, potrei provare questo piatto oggi – Ian mi ignorò, guardando attentamente il menù – Oppure questo. O quest’altro”
“Ian, non potrai ignorarmi a lungo. Tra massimo dieci minuti il cameriere si porterà via questi… questi cosi di carta – gli abbassai il menù, costringendolo a guardarmi – e ti ritroverai il mio bel faccino davanti”
“Ti prego, mi ha fatto la predica Jess stamattina. Potremmo parlare d’altro?”
“Ian, sarò chiara. Di nuovo. Non. Puoi. Scappare – sillabai, divertita dentro di me – Rassegnati”
“No, non mi sono fatto sentire e no, non si è fatta sentire nemmeno lei. Ok? Risparmiati la lezione sul fottuto orgoglio, me l’ha già fatta Jess. Ho capito, abbiamo sbagliato entrambi, ma non riesco a metterlo da parte, questo mio fottuto orgoglio. E’ vivo e molto presente, non posso ingoiarlo, come se niente fosse successo”
“Nemmeno se potessi perderla? Ian, ti ricordi cosa mi hai detto tre giorni fa?” gli chiesi.
Si ammutolì.
“Ti rinfresco la memoria. Mi hai detto che hai paura di perderla. Beh, se è davvero così, allora fa’ qualcosa, perché altrimenti la perdita è sicura al cento per cento”
“Lo so, ma”
“Avete deciso cosa ordinare?”.
Il cameriere sorridente interruppe Ian.
“Io prendo una bistecca” gli risposi, sorridendo gentilmente.
“Io… io prendo un’insalata per ora”.
Il cameriere appuntò tutto sul taccuino, poi se ne andò, portando i menù con sé.
“Continua pure”
“Nina, io so che tutta questa situazione è assurda. So che mi sto comportando come un bambino di dieci anni. So che potrei perderla. So che dovrei chiamarla o mandarle un messaggio o chissà che altro, ma… ma una parte di me pensa che tutto questo non si possa aggiustare”
“Ian, possiamo avere anche pensieri contrastanti dentro di noi, ma poi spetta sempre a noi la scelta. E, se tu al momento non riesci a ingoiare il tuo orgoglio, è perché stai dando ascolto all’ ‘io’ sbagliato. Stai dando ascolto all’ ‘io’ che pensa negativo. Pensa che potete risolvere. Pensa che potete tornare a sorridere. Pensa che potete tornare a essere felici. Pensa positivo. Pensare negativo non porta a niente”
“Hai ragione. E Jess ha ragione” sospirò.
Rimanemmo in silenzio, fin quando non arrivarono le nostre ordinazioni.
“Buon pranzo” disse cordialmente il cameriere.
“Grazie” dicemmo entrambi.
Cominciammo a mangiare.
“Quindi – dissi, dopo aver inghiottito un pezzo di carne – cos’hai intenzione di fare?”.
Non appena finii la frase, l’Iphone di Ian squillò.
“Chi è?” chiesi.
“Non lo so, è un numero privato. Lo lascio suonare”
“No, no. Rispondi”
“E va bene – sospirò e premette il tasto di risposta – Pronto?”
“Conosco un’idiota che ha fatto l’idiota con un uomo che non lo meritava”
“Mary?!” disse sorpreso.
Mi sporsi per sentire meglio.
“L’idiota si chiama proprio così, ma come hai fatto a indovinare? – rispose ironica, poi tornò seria – Ian, non so davvero come scusarmi. Ho avuto dei comportamenti pessimi in queste settimane e ti ho fatto soffrire tanto. Non volevo farti stare male, credimi”
“Mary…” disse Ian titubante.
“No, aspetta. Hai ragione, io scappo via, non affronto le situazioni. Sono sempre stata così, ma non so perché. Forse è semplicemente paura di affrontare la realtà o paura di soffrire, ma non importa, perché questo riguarda la mia persona, non te. Perciò non dovevo assolutamente prendermela con te. Ian, ti prego”
“Mary, non so davvero che dire”
“Non dire niente. Guarda solo alla tua… alla tua destra” disse dolcemente.
Ci voltammo entrambi.
Mary era dall’altra parte della strada, con il telefono attaccato a un orecchio e qualche pacchetto ai suoi piedi.
Accennò un saluto a Ian con le dita della mano sinistra.
Ian non perse tempo. Uscì dal locale in fretta.
Li guardai camminare l’uno verso l’altra teneramente, poi addentai un altro boccone di carne.
“Questa bistecca è davvero” pensai adorante, ma non completai la frase.
Delle ruote stridettero sull’asfalto, come se qualcuno avesse dato più gas a un’auto.
Si sentì un forte rumore, poi un tonfo.
Mi voltai verso la loro direzione.
 
POV Ian
“Nina, basta! – dissi esasperato, stanco dei nostri continui litigi – Sembri” mi arrestai.
Non potevo continuare la frase.
“Oh, adesso ti fermi? Non continui la frase? Andiamo, Ian, so cosa stavi per dire! Dillo e basta”
“Sembri un’adolescente, va bene?”
“Perché, rispetto a te, lo sono, dannazione! Sono una donna di ventitre anni, che, quando è in tua compagnia, diventa una ragazzina. Una ragazzina fottutamente gelosa” mi urlò contro.
“Ti ho mai dato motivo per esserlo?”
“Sì!”
“Non riesco a credere che tu possa dire una cosa simile”
“Beh, l’ho detta e la penso” incrociò le braccia, guardandomi duramente.

“Vaffanculo, Nina” dissi e mi avvicinai al portone d’ingresso, esitante.
“Vattene, su. Scappa dai nostri problemi, coraggio!”
“Chiamami quando cresci”.
Scossi la testa e, adirato, me ne andai, sbattendo la porta.
Misi in moto l’auto e me ne andai il più lontano possibile da quella casa.
Sorpassai gli studios e mi fermai al bar, sperando che non ci fosse nessuno dei miei colleghi. Avevo bisogno di bere e avevo bisogno di farlo da solo.
Spensi l’auto e scesi. Chiusi la macchina ed entrai.
Mi guardai intorno attentamente.
Nessuno in vista.
Perfetto.
Mi avvicinai ad Austin.
“Buonasera al mio barista preferito” sfoggiai il mio sorrisetto sghembo.
“Buonasera, Ian. Non fare il ruffiano, non ti si addice” fece una smorfia.
Risi.
“Allora, cosa posso portarti da bere?”
“Un bourbon andrà benissimo” dissi, mettendomi a sedere.
 
Dopo aver passato la maggior parte della serata a bere, decisi che dovevo tornare a casa.
Mi alzai un po’ barcollante dallo sgabello.
“Ian, non hai la macchina, vero?” Austin mi guardò.
“Sì. Non preoccuparti. Sto benone”
“Non è vero. Andiamo, ti chiamo un taxi”
“No, no. Chiamo John”
“Va bene” Austin alzò le mani in segno di resa e andò a servire altri clienti.
Presi l’Iphone e, con dita tremanti, composi il numero del mio autista.
“Pronto? Mr. Somerhalder?” John rispose dopo il primo squillo.
“John, sono Ian. Sono da Austin con la mia macchina. Vieni”
“Quanto ha bevuto, Mr. Somerhalder?”
“Giusto un po’. Andiamo, per favore”
“Mi faccia prendere la macchina”
“No, no. Vieni a piedi, guidi la mia Audi stratosferica” feci una risatina.
“Agli ordini” sospirò e riattaccò.
Non appena John arrivò, gli diedi le chiavi della macchina e, salutato Austin, lo seguii fuori. Salii in auto e John mise in moto.
“Grazie, John” dissi a bassa voce.
“Si figuri. Litigato ancora?” mi lanciò un’occhiata dallo specchietto retrovisore.
“Sì. Mi chiedo quanto possiamo durare ancora”
“Solo il tempo potrà dirlo. Solo il tempo”.
La nostra conversazione finì lì.
Ben presto le strutture di Atlanta lasciarono il posto agli alberi. Eravamo giunti in periferia. Mancava ancora un po’ a casa.
“John” lo chiamai.
“Sì, Mr. Somerhalder?”
“Lasciami qui”
“Qui dove?” chiese confuso.
“Qui. Per strada”
“Mr. Somerhalder, non può chiedermi una cosa simile. E’ troppo pericoloso”
“Ti prego, John. Vado a piedi”
“Ma manca ancora tanto a casa sua”
“Farò una passeggiata, davvero. Ora, fermati, per favore, e lasciami qua”
“Come vuole”.
Detto questo, John accostò a destra e mi fece scendere.
Dopodiché, fece inversione di marcia e tornò verso Atlanta, dove si trovava il suo appartamento.
Non appena vidi la mia auto svanire definitivamente, cominciai a camminare barcollante. “Ian, chi era quella donna?”
“Ian, dov’eri?”
“Dobbiamo davvero continuare così?”
“Non era nessuno”
“Mi trascuri per quasi un mese, trovo foto tue con un’altra donna e dovrei credere che questa donna non sia nessuno?”
“Perché stiamo ancora insieme?”
“Sembri un’adolescente, va bene?”
“Scappa dai nostri problemi, coraggio!”.
Le voci infuriate mie e di Nina si mescolarono nella mia mente.
“Ah!” mi toccai le tempie con forza, sperando che tutte quelle voci finissero.
Niente da fare.
Lasciai ricadere le braccia lungo i fianchi mollemente, mentre il mio sguardo si perdeva nell’oscurità dell’asfalto.
Senza pensarci due volte, mi sdraiai.
La strada era fredda, ma era davvero rilassante starsene lì, a guardare il cielo.
Certo che a Damon piaceva farlo!
Sghignazzai, pensando che mai e poi mai avrei pensato di sdraiarmi per strada.
Improvvisamente dei fari cominciarono a illuminare l’asfalto, divenendo sempre più vicini.
L’auto frenò di botto, producendo un rumore fastidioso, che per le mie orecchie da sbronzo era insopportabile.
Strizzai gli occhi e feci una smorfia.
Si chiuse una portiera.
“Signore, è ferito?” disse una voce femminile timorosa, mentre dei piccoli passi riecheggiavano dappertutto.
“No, mi sono solo perso” risposi secco.
“E si sdraia in mezzo alla strada?” chiese, confusa da ciò che avevo detto.
“Non perso in quel senso. Metaforicamente” ribattei, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
“Mi ricorda molto la scena di un telefilm” sussurrò.
Nonostante fossi sbronzo, capii a cosa si riferiva. Questa donna o ragazza o quello che era guardava The Vampire Diaries.
Mi voltai verso dove proveniva la voce.
Non vedevo bene il suo volto, era in controluce.
Quando si spostò, permettendo ai fari della sua auto di illuminarmi, riuscii a vederla più chiaramente.
Dei capelli castani, lunghi e ricci le incorniciavano quel piccolo volto, quasi rotondo.
Un paio di occhiali con la montatura nera e le lenti medio-grandi contornava i suoi occhi.
E che occhi.
Il verde e il castano si mescolavano perfettamente dentro quelle iridi.
Le labbra sembravano disegnate.
La bocca era lievemente spalancata.
Da un momento all’altro sarebbe uscita anche la bava?
Ah, mi aveva riconosciuto.
“Se te lo stai chiedendo, sì, sono io” dissi, spezzando quel silenzio che si era creato.
“C-come h-hai f-fatto a c-capire c-che” balbettò, ancora sorpresa.
“Fanno tutte quella faccia quando capiscono chi sono”.
La donna si chinò e mi prese un braccio, portandolo attorno al suo collo.
Dopo, cercò di alzarmi.
“Coraggio, Signor Somerhalder, si tiri su, non siamo sul set di ‘The Vampire Diaries’, poteva investirla qualcuno”.
 
La macchina accelerò e io tornai in me.
“Poteva investirla qualcuno” le parole di Mary mi tornarono in mente.
Ebbi brividi di terrore.
“Mary, no!” urlai, mentre quella macchina si avvicinava sempre di più.
Mi slanciai verso il corpo di Mary.
Lo sentii per qualche attimo contro il mio.
Chiusi gli occhi, imprimendomi la sua figura nella mente, poi la spinsi via.
Paraurti. Cofano anteriore. Parabrezza. Asfalto.
Femore sinistro. Schiena. Petto. Testa.
Queste sequenze erano successe così in fretta, che non me ne ero nemmeno reso conto del tutto.
“Ian! Ian!” sentii Mary urlare il mio nome.
La sua voce trasmetteva un dolore allucinante, tremendo.
I suoi passi veloci riecheggiarono nella mia testa.
“Ian, svegliati”.
Sentii le sue mani scrollarmi le spalle delicatamente, poi toccarmi tutto il corpo, forse cercando di capire che danni avessi. Sentii qualcosa di liquido sul mio volto. Stava piangendo?
“Mary, sto bene!” provai a dire per tranquillizzarla, ma non ci riuscii.
Era come se le mie corde vocali si rifiutassero di collaborare.
Dovevo guardarla. Così facendo, avrebbe capito che stavo bene.
Cercai di aprire gli occhi, ma anche le palpebre si rifiutavano di aiutarmi.
Era come essere bloccati all’interno di un fantoccio fatto a pezzi.
La gamba, la schiena, il petto e la testa cominciarono a fare più male. Molto più male.
Sembrava un incubo.
Iniziai a gridare.
“Ti prego, Mary, falli smettere! Fanno male! Ti prego!” la imploravo, ma lei non riusciva a sentirmi.
Le urla restavano dentro di me.
Dannazione, perché?
“No, no, no, no! Ti prego, no!” la voce singhiozzante di Mary cominciava a diventare più distante.
Capii.
Stavo perdendo conoscenza.
 
POV Nina
“Ian! Ian!” urlò Mary, trapanandomi i timpani.
Mi alzai dal tavolo immediatamente.
Ian era a terra e non si muoveva.
“Oh mio Dio” dissi scioccata.
Presi il cellulare con mani tremolanti e chiamai il 911.
“Pronto 911, buon pomeriggio. Qual è l’emergenza?” rispose una donna.
“C’è stato un incidente. Il m-mio amico è stato investito” risposi, cominciando ad agitarmi.
“Si tranquillizzi, signorina. Dove si trova?”
“3130 P-piedmont…”
“Ho capito dov’è, non si preoccupi. Il paziente è cosciente?”
“Io n-n-n-non lo so”
“Signorina, deve dirmelo. Controlli, per favore. Qualcuno l’ha soccorso?”
“L-la sua ragazza è un m-medico del Saint J-jospeh”
“Bene. Mi dica le condizioni del paziente ora”
“O-ok” uscii dal locale e andai verso Mary.
Era voltata di spalle.
Ian era ancora a terra al suo fianco.
“Mary, ma che diavolo è successo?” chiesi scossa.
Mary fece per voltarsi, ma un rumore assordante la arrestò.
Cadde a terra come un sacco di patate e potei vedere chiaramente una donna bionda, probabilmente sulla trentina, tenere in mano saldamente una pistola.
“Signorina, tutto bene? Che cos’era quel rumore?” disse la donna del 911 agitata.
“Una donna bionda ha sparato alla ragazza del mio amico. Venite presto” dissi con tono spento e riattaccai.
L’occhio mi ricadde nuovamente su Ian.
Decisamente non era cosciente.
Del sangue, proveniente dalla sua testa, colava lentamente sull’asfalto.
Distolsi lo sguardo e strizzai gli occhi, cercando di trattenere le lacrime.
Quando ci riuscii, mi voltai verso Mary.
Aveva gli occhi sbarrati ed era percorsa da lievi convulsioni, come se respirasse a fatica. Anche il suo sangue, proveniente dall’addome, colava inesorabilmente sull’asfalto, allargando sempre di più la pozza rosso vivo.
Non avevo visto così tanto sangue vero in tutta la mia vita.
Con gli occhi fissi su di lei, mi avvicinai cautamente per provare a dare una mano.
La donna, però, mi bloccò il passaggio, ponendosi davanti a me.
“Signorina, si sente bene?” chiesi con voce tremante, ancora spaventata dall’arma che teneva in mano.
“Elena, finalmente sei qui! Prendi Damon appena si riprende e fuggite, così questa sgualdrina non starà più in mezzo ai piedi” disse trionfante, guardando Mary e stringendomi una spalla.
La rabbia mi ribollì nelle vene.
Dissi furiosa: “Damon ed Elena non esistono, sono solo i personaggi di un telefilm!”
“Telefilm? Elena, ma che stai dicendo? O forse… sei Katherine?” mi guardava confusa.
Ero adirata. Perché parlava in quel modo? Perché aveva investito Ian e sparato a Mary?
Si sentirono delle sirene in lontananza. Mi voltai.
 
POV Mary
Guardai l’orologio di sfuggita, mentre mangiavo distratta una mela.
Erano già le tre del pomeriggio.
Addentai nuovamente la mela, poi sgranai gli occhi.
“Merda” imprecai sottovoce.
Infilai il cellulare nella borsa, la presi e uscii in fretta dalla mensa, con ancora la mela in bocca.
La lezione stava per riprendere. Come avevo fatto a essere così sbadata?
Cominciai a correre verso l’aula magna, in cui quel giorno si stavano tenendo le lezioni.
Arrivata, presi un bel respiro ed entrai con calma.
Mi sedetti al solito posto.
Recuperai il registratore, il quaderno e la penna e aggiustai la coda, con cui avevo acconciato i capelli quel giorno.
Accavallai le gambe e cominciai a prestare attenzione al professore.
“Bene. Cominciamo. Nella seconda parte di questa lezione, come avevo anticipato pocanzi, tratteremo le ferite d’arma da fuoco. Queste si dividono in due grandi gruppi: uno è il gruppo delle ferite penetranti; il secondo delle ferite non penetranti. Per quanto riguarda il primo gruppo, esso è caratterizzato da tre sottogruppi. Il primo sottogruppo tratta le ferite a fondo cieco, ferite da codice rosso, in quanto presentano solamente un foro d’uscita; il secondo tratta quelle trapassanti, che presentano un foro d’entrata e uno d’uscita e che attraversano una parte del corpo già affossata; il terzo tratta quelle a setole, caratterizzate anch’esse da un foro d’entrata e uno d’uscita, con la differenza che in questo caso il proiettile attraversa una parte del tessuto non affossata naturalmente, lacerandola. Il gruppo delle ferite non penetranti tratta tutte quelle ferite dette ‘a semicanale’, in quanto hanno colpito la cute solamente di striscio. Tuttavia, sebbene alcune ferite possano sembrare meno gravi delle altre, è bene prestare sempre la massima attenzione a tutte. Le ferite d’arma da fuoco sono imprevedibili e tutte differenti. Non si sanno mai le conseguenze sul paziente”.
  
Aprii gli occhi di scatto.
Il sole sembrava più giallo. Il mio respiro più veloce. I miei polmoni richiamavano più ossigeno.
Sempre di più.
I miei occhi guardavano fissi quella figura in piedi a qualche metro da me.
Nina.
Li sentivo bruciare, mentre con tutta me stessa provavo a urlare il suo nome, a chiederle aiuto. Sentii una lacrima solcarmi la guancia. I miei sforzi erano vani. La mia bocca non si apriva di un millimetro.
Provai a muovere lievemente la testa verso sinistra. Ci riuscii. Ero ancora cosciente. Non si poteva dire la stessa cosa di Ian, ancora immobile.
Volevo chiamarlo, ma anche quel tentativo fu inutile.
Ero come improvvisamente paralizzata.
Cosa diavolo era successo? Abbassai lo sguardo verso il mio corpo, attirata da un dolore improvviso.
Sgranai gli occhi scioccata. Riuscivo a vedere chiaramente il mio sangue fluire fuori dal mio corpo. Riuscivo chiaramente a sentire i miei organi protestare, lacerati brutalmente dalla pallottola.
Quella donna mi aveva sparato.
La testa cominciò a girare. Voci confuse aleggiavano attorno a me. Delle sirene in lontananza. Poi buio e silenzio.
 
POV Nina
Le ambulanze arrivarono poco dopo e uno dei paramedici, oltre a prendere Ian e Mary con le barelle insieme ai colleghi, si rivolse alla donna.
“Miss Evans, sta bene?” chiese.
“B-bene” rispose sconvolta.
“Bene – ripeté lui, annuendo – Mi segua, su”
“Dove? Dove?” la donna cominciò ad agitarsi.
“Andiamo in un bel posto, promesso. Però, miss Evans, deve mettere questa”.
Il paramedico dispiegò l’indumento che teneva in mano. Era una camicia di forza.
“No, no – la donna iniziò a urlare – Io devo finire ciò che ho cominciato, devo finire ciò che ho cominciato!” guardò sprezzante verso l’ambulanza, in cui era stata posta Mary.
“Lo finirà. Mi guardi – il paramedico le sorrise – Deve solo farsi mettere questa”.
La donna annuì e lasciò che il paramedico le facesse indossare la camicia.
Il paramedico fece sì con la testa e la invitò a salire sull’ambulanza di Mary.
“Ma che sta facendo? Quella donna” dissi.
Feci alcuni passi per raggiungerli.
Era impazzito?
Se quella donna fosse stata in ambulanza con Mary, avrebbe davvero finito ciò che aveva cominciato.
“Miss Evans non sa distinguere la realtà dalla finzione. E’ una paziente psichiatrica, è scappata da casa sua circa tre giorni fa. Suo fratello l’ha cercata dappertutto…” concluse sottovoce, poi salì sull’ambulanza di Mary, seguito dalla donna.
“Dove andiamo?” chiese con voce cristallina, come se non avesse fatto niente.
Osservai la scena senza parole, poi guardai l’ambulanza di Ian.
Il secondo paramedico mi guardò attentamente.
“Che c’è?” gli chiesi.
“Non sale con noi?” indicò con un cenno del capo l’ambulanza.
“S-sì” farfugliai, annuendo.
“E comunque non si preoccupi. Il mio collega sa il fatto suo” accennò un sorriso.
Guardai un’ultima volta l’altra ambulanza, poi salii su quella di Ian.
Il paramedico chiuse le portiere.
Partimmo.
Il viaggio sembrò infinito, scandito solamente dai ‘tic’ dell’elettrocardiogramma a cui Ian era stato attaccato.
Era completamente legato alla barella.
Il sangue non usciva più dalla sua testa.
Era un segno buono o cattivo?
Non sapevo dirlo.
E Mary come stava?
Non sapevo nemmeno questo.
Mi presi il volto tra le mani.
Com’era potuto succedere tutto questo?
L’ambulanza si arrestò.
Eravamo arrivati?
Il paramedico aprì le portiere, cominciando a dire le condizioni di Ian.
Scesi dall’ambulanza con il suo aiuto.
Non appena misi piede a terra, sentii una voce sempre più vicina dire: “No, no, no! Mary!”.
Le porte scorrevoli del pronto soccorso si aprirono, mostrando una Rose nel panico.
I suoi occhi verdi brillavano per la paura, mentre le sue ciglia cominciavano a imperlarsi di lacrime.
Rose corse incontro alla barella su cui era adagiata Mary.
“Ehi, Stakanovista, sono io. Apri gli occhi. Aprili! Da quanto tempo sei incosciente? Apri gli occhi! – cominciò a singhiozzare – Mary, ti prometto che guarirai, ok? Ci penso io a te, ci penso io” le carezzò il volto.
Nel mentre, il paramedico di quell’ambulanza aiutò miss Evans a scendere dall’ambulanza.
Un altro medico uscì dal pronto soccorso, prese per le spalle la donna e le parlò sottovoce.
Dall’atteggiamento che aveva sembrava le stesse dicendo cose dolcissime.
La stava ammaliando.
Che fosse lo psichiatra?
Li seguii con lo sguardo, finché non sparirono oltre le porte del pronto soccorso.
“Rose, spostati, su”.
Focalizzai nuovamente la mia attenzione su Rose.
Steve era al suo fianco.
“No, io devo aiutarla, io”
“No, tu devi farti da parte. Sei troppo coinvolta”
“Steve, no, ti prego. Devo… devo… l-lei” singhiozzò più forte.
Giunsero altri colleghi di Mary, due uomini bruni e una donna castana.
“Al, portati Rose. Ti chiamo se ho bisogno di te. Ora muoversi. Dobbiamo. Salvare. Queste. Vite – scandì le parole e si avvicinò a me, mentre i paramedici avevano già sceso la barella di Ian – Margaret, Jason, occupatevi di Mary – disse alla donna castana e all’altro uomo; guardò Ian, poi me – Ciao, Nina”
“Steve, salvali”
“Senz’altro”.
Steve, Jason e Margaret sparirono dentro la struttura con le barelle.
Mi guardai intorno un po’ spaesata.
Cosa dovevo fare?
Scossi la testa, sentendomi una stupida.
Dovevo avvisare i parenti di Ian e Mary.
Presi l’Iphone e aprii la rubrica.
Mentre cercavo il numero di Robyn, sentii delle voci.
“Alex, ti prego, fammi entrare. Io devo provare a fare qualcosa per lei”
“Rose, non puoi fare niente. Dovresti guardarti. Sei chiaramente sconvolta. In queste condizioni non aiuteresti di certo Mary. Calmati, su”
“Almeno lascia che avvisi le loro famiglie” singhiozzò.
“Va bene. Questo puoi farlo”.
Camminai verso quelle voci.
Girato l’angolo, trovai Rose e Alex seduti su una panchina.
“Rose, se vuoi posso darti il numero dei genitori di Ian o dei suoi fratelli”
“S-sì, grazie. Tu avvisa i tuoi colleghi, se vuoi” si asciugò le lacrime.
Annuii.
Le diedi i numeri, poi mi allontanai da loro e composi il numero di Joseph.
“Ti sei abbuffata già di cibo? Siete stati veloci stavolta” sghignazzò.
“Joseph, è successa u-una cosa”
“Nina, che hai?” la sua voce divenne seria.
“S-sono in o-ospedale, raggiungimi, ti prego”
“Perché? Nina, che succede? Stai bene?”
“Una psicopatica ha investito Ian e poi sparato a Mary” cominciai a piangere.
“Arrivo subito”.
Riattaccammo.
Chiamai tutti i miei colleghi e Jessica, piangendo e singhiozzando, senza riuscire a fermarmi.
Mentre li aspettavo, entrai in ospedale.
 
“Oggi parleremo di un luogo, che spesso e volentieri viene sottovalutato. Chi sa dirmi cos’è?” disse Mary, sedendosi sulla cattedra del laboratorio.
“Il laboratorio?” Daniel tirò a indovinare.
“Risposta scontata. No, mi dispiace” Mary scosse la testa.
“La caffetteria” Paul agitò l’indice.
“No, decisamente no” Mary ci sorrise.
“Non ne ho la minima idea” sbuffai.
“Questo luogo è… rullo di tamburi – Mary batté le mani sulla cattedra, simulando il tamburo – la sala d’attesa”
“Perché, che ha di speciale la sala d’attesa?” chiese Steven incredulo.
“Steven, visto? La stai già sottovalutando! La sala d’attesa è l’arma a doppio taglio degli ospedali. La sala d’attesa è quel luogo in cui le persone aspettano le notizie dei propri cari, tesi, preoccupati, ma allo stesso tempo speranzosi. Questa speranza a volte viene ricompensata. Allora la sala d’attesa si colma di gioia. Le persone, che prima attendevano silenziose e con occhi persi, ora sorridono, piangono perché i loro cari sono sani e salvi, si abbracciano. Purtroppo, però, la sala d’attesa può colmarsi anche di tristezza. Allora i singhiozzi e le urla di dolore la dominano. Tutte le persone, che prima attendevano silenziose e con occhi persi, ora si disperano e si chiedono quale sia il motivo di tutto ciò; ora si arrabbiano; ora si riempiono di tutti i rimpianti possibili e immaginabili. Pensateci bene. Se voi foste queste persone, la sala d’attesa non sarebbe il vostro tutto?”.
 
Guardai quella sedia con la vista offuscata dalle lacrime.
Senza pensarci due volte, mi accomodai.
La speranza si impossessò di me.
Ian e Mary dovevano farcela.
Chiusi gli occhi e mi aggrappai al mio tutto, mentre attendevo notizie.








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Note dell'autrice:
Eccomi finalmente con un nuovo capitolo!
Scusate il ritardo e il periodo di silenzio, ma tra tutte le fatiche scolastiche e le feste, ho potuto pubblicare solo oggi! Chiedo venia!
Allora, questo capitolo... che dire?
La donna che ha investito Ian e sparato a Mary è una psicopatica. Ve l'aspettavate? Vi ho delusi? XD
Ian e Mary sono arrivati in ospedale. Vedremo come e SE se la caveranno.
Adoro Joseph in questo capitolo e spero sia piaciuto anche a voi! Con le sue battutine e le sue imitazioni ha parlato di un argomento che mi sta molto a cuore (ma credo si sia già notato dagli ultimi capitoli di "Friendzone?").
Ci sono stati dei flashback, che spero non vi abbiano confusi.
Non so che altro aggiungere, perciò grazie per aver letto, grazie a chi ha messo la storia di già tra le seguite, grazie a chi lo farà, grazie a chi recensirà, grazie a tutti quei lettori silenziosi!
Nei prossimi giorni penso proprio che creerò un gruppo su fb per parlare della storia, dato che in pagina non mi fa interagire -.-
Perciò, nel prossimo capitolo metterò il link di questo gruppo! Spero che vi uniate, tengo davvero tanto ai vostri pareri, per questo vorrei saperli :)
Buon Natale (anche se in ritardo); auguri a tutti i Stefano e le Stefania, che magari leggeranno e... auguri anche di un felice anno nuovo (li faccio ora per sicurezza, non so quando pubblicherò!) :)


Alla prossima, 
Mary :*
  
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