Anime & Manga > Naruto
Ricorda la storia  |      
Autore: Black_Eyeliner    26/12/2013    4 recensioni
Sebbene il tempo trascorra sempre uguale a se stesso, con la stessa velocità ineluttabile con cui gli orologi lo scandiscono giorno dopo giorno, ora dopo ora e minuto dopo minuto, in notturna persino i secondi hanno la stessa sacralità dell’eternità.
[Accenni Uchihacest]
[ItachixSasuke]
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Itachi, Sasuke Uchiha
Note: Lime, OOC, What if? | Avvertimenti: Incest | Contesto: Nessun contesto
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Notturna
 
A notte fonda, pochi erano i suoni che indicavano che qualcuno, in casa, non riuscisse a dormire. Pochi, ma incredibilmente nitidi, nel silenzio scandito solo dal frinire dei grilli. Il fruscio sommesso della carta di riso degli shoji, fatti scorrere con la lentezza di chi stesse avendo l’impacciata cortesia di non svegliare nessuno. Il rumore appena percettibile dei piedi nudi a calpestare i tatami, la sua cessazione sporadica a tradire l’esitazione, il timore di poter essere scoperti nonostante il buio denso come la pece appena colata. Ed infine scricchiolii, bisbigli, un sospiro. Poi, subito dopo, ancora il silenzio di una indisturbata quiete notturna.
 
Tra i sensi da sviluppare, l’udito era uno dei più importanti per uno shinobi. Esclusi gli occhi, già forti della kekkei genkai che, ereditata, li aveva resi la sua arma più potente, Itachi alla percezione dei suoni aveva aggiunto un intelletto fuori dal comune.
 
Sasuke, sapeva, andava a letto abbastanza presto. Aveva la premura di uscire di casa quando l’alba mandava i primi balugini di luce a dorare i kawara, solo per poter guadagnare qualche ora di allenamento in più, prima che cominciassero le lezioni all’accademia. E non soffriva assolutamente di quella che lui, colto sul fatto da loro padre, si ostinava a definire “momentanea insonnia notturna”. C’era sempre qualcosa, un motivo particolare, per il quale a Sasuke capitava di alzarsi di notte.
 
I suoni che indicavano che dovesse andare in bagno erano pochi, ma incredibilmente nitidi. Il fruscio della carta di riso, quattordici passi, lo scricchiolio del tatami rotto che, maldestramente, finiva sempre per calpestare e il richiudersi delle porte che separavano la toletta dal corridoio. Gli stessi, a ritroso, indicavano che Sasuke era tornato nella sua camera, nell’ingenua certezza di non essere stato scorto da nessuno.
 
La prima volta che Itachi si era reso conto che Sasuke non si era alzato per andare al bagno fu quando, contandoli uno ad uno, anziché quattordici, i passi furono soltanto otto. Ed erano esattamente otto i passi che separavano la propria dalla stanza di Sasuke. Forse la voce grave e profonda di loro padre, col quale stava discutendo proprio nella propria camera, aveva svegliato suo fratello minore e ciò lo aveva portato, quasi come una normale conseguenza, a fermarsi fuori le porte e a origliare attraverso la carta di riso.
 
-Sasuke, quando hai finito in bagno, torna in camera tua.
 
-S-subito…
 
Era stato il mormorio mortificato di Sasuke, dopo che Fugaku lo ebbe duramente ripreso, più per essersi alzano a quell’ora di notte che per aver origliato.
 
Da allora ad Itachi, steso sul suo futon, le braccia incrociate dietro la testa e gli occhi aperti nella sua insostenibile insonnia notturna, capitava talvolta di percepire il fruscio della carta di riso e lo scricchiolio del tatami ancora rotto, intervallati sempre e solo dal suono dei quattordici, meccanici, matematicamente perfetti passi che separavano la stanza di Sasuke dal bagno.
 
*  *  *
 
Sebbene il tempo trascorra sempre uguale a se stesso, con la stessa velocità ineluttabile con cui gli orologi lo scandiscono giorno dopo giorno, ora dopo ora e minuto dopo minuto, in notturna persino i secondi hanno la stessa sacralità dell’eternità.
 
Le lanterne appese in giardino sembravano effondere una luce rossastra ancora più fioca del solito e il dorso delle carpe sottacqua parevano fatte di carta argentata riflettente, tanto la luna era luminosa la notte in cui ai quattordici si sottrassero sei passi.
La luna continuò a crescere, spicchio dopo spicchio ogni notte a seguire ma, con la stessa precisione con cui un pendolo compie la sua oscillazione completa, così i passi rimasero otto. Esattamente quelli che bastavano a Sasuke per raggiungere la soglia della stanza di suo fratello maggiore.
 
-Sasuke, quando hai finito in bagno tornatene a letto.
 
Un secco “No”, sussurrato con una voce appena più profonda e matura di quella che possedeva qualche anno prima, aveva riempito l’aria con un rumore sordo, come il tonfo di una valanga precipitata in pieno solstizio d’estate.
 
Appena un istante dopo gli shoji, scorrendo, avevano prodotto lo stesso suono di una falena che, morendo, aveva battuto le ali bruciate un’ultima, violenta, disperata volta.
Violenti, proprio come gli occhi infinitamente neri di Sasuke, posati sul corpo steso di suo fratello maggiore.
Disperati, come quando si posarono sulla figura armoniosa del suo fianco coperto dalla seta dello yukata nero e poi del petto niveo laddove la stoffa si schiudeva per lasciare intravedere i pochi riccioli scuri sul candore perfetto della sua pelle. Itachi non aveva avuto bisogno dello sharingan per cogliere la follia degli occhi del fratello. Una follia cui ebbe paura di dare il suo vero nome.
 
-Sasuke, lo sai bene. Sai benissimo che non si può. Noi non possiamo…
 
La voce non è altro che un suono, prodotto dalle corde vocali come le corde di un qualsiasi shamisen pizzicate da una mano gentile e esperta. Ed anche se non articolati in sillabe, i suoni possono dire più di quanto possa fare una convenzionale e semplice parola.
 
Il suono dei vestiti di Sasuke, sfilati uno ad uno con la lentezza di un peccato impossibile da non commettere, scandì più che una sillaba; come se ogni capo, l’obijime, i calzerotti, lo yukata anch’esso nero, toccando il pavimento dicesse una parola.
La frase muta che ne uscì sembrò ad Itachi più intensa della sensazione di Sasuke sotto di sé, del suo corpo esile accaldato e tremulo, delle poche e silenziose lacrime di dolore che gli solcarono il viso arrossato e che leccò via prima di baciarlo ancora e ancora, delle sue gambe lisce e bianche strette attorno al proprio bacino.
 
Il suono che, insieme a quello della loro carne che si scontrava, diceva: sì. Sì, noi possiamo. Possiamo perché ti amo.
 
*  *  *
 
La luna divenne piena a poco a poco. Parve montarsi bianca e morbida come la panna sui mirtilli di primavera; ma non il dorso, bensì il ventre di una carpa galleggiante  sul pelo dell’acqua faceva triste mostra di sé. Come i rami rinsecchiti e abbrustoliti dei ciliegi, le foglie dei cespugli ancora scoppiettanti di lapilli, il fumo denso e grigio che saturava l’aria, profumandola d’inferno.
Il fuoco aveva divorato ogni cosa, il legno, la paglia, la carta di riso e solo le tegole ancora resistevano all’incendio.
Da lontano le alte fiamme divampanti, di un rosso più fioco di quello dello sharingan che rifulgeva impetuoso negli occhi di Sasuke, parevano ardere inarrestabili, per il solo gusto sadico di completare l’opera di distruzione cui erano scampati solo i ricordi di innumerevoli promesse notturne gridate fra spasmi, sudore, baci e mani che afferravano qualunque cosa potessero stringere per aggrapparsi ancora alla vita.
 
Sul sentiero che portava fuori da Konoha, poche impronte ancora imitavano la forma perfetta dei piedi di Itachi. Ma più che i suoi passi ormai lontani, era lo scoppiettio dei tizzoni ardenti che, in notturna, parve urlare la frase muta ti amerò per sempre a cancellare per sempre, insieme alla vita, il segreto che i passi di Sasuke, nella notte, erano rimasti per un’intera estate sempre e solo otto.
   
 
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Naruto / Vai alla pagina dell'autore: Black_Eyeliner