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Autore: HamletRedDiablo    26/12/2013    1 recensioni
Una pallottola gli aveva sottratto il mare; un ragazzo gli avrebbe restituito il mondo.
[Spamano]
[Prima Classificata al Contest del terzo incomodo di BeaLovesOscarinoBello]
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Rosa de los Vientos'
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Libeccio

 

La schiena si Lovino si accapponò quando venne messa a nudo.

La luce dell’alba colò lungo la sua colonna vertebrale, incuneandosi nei punti in cui la pelle si increspava in minuscoli sfregi.

Negli ultimi due mesi, quel rituale si era ripetuto spesso: Lovino a torso nudo e Antonio che gli esaminava la schiena, entrambi seduti sul letto dell’uomo. Le prime volte erano state necessarie affinché Antonio applicasse un unguento medicamentoso sulle ecchimosi violacee, ben visibili sulla pelle chiara del ragazzo. Pian piano i lividi erano retrocessi verso un verde malato e un giallo spento fino a sparire del tutto, lasciandosi dietro solo il brutto ricordo delle percosse subite.

Lovino non si era opposto a quella terapia, ma non aveva nemmeno mostrato riconoscenza. In un’unica occasione si era esibito in un abbozzo di gratitudine: la prima volta che Antonio gli aveva spalmato la mistura curativa sugli ematomi, il giovane gli aveva rivelato il proprio nome. Era stato il suo modo rozzo di ringraziarlo.

Antonio aveva imparato due cose di Lovino: la prima, che aveva fatto vedere i suoi lividi solo a lui, perché non voleva che quella storia circolasse tra le comari. La seconda, che il motivo che lo spingeva a tornare in quella stanza non era più la terapia, ma l’amore per il mare: ogni giorno si faceva raccontare qualcosa sui trascorsi da corsaro dell’uomo, avido di conoscenza.

«Sei guarito» diagnosticò Antonio, richiudendo l’ormai inutile contenitore di pomata.

Lovino annuì in silenzio, chiudendo la camicia.

Fu mentre l’ultimo bottone entrava nell’asola che sbottò:

«Cos’è successo due anni fa?»

La domanda freddò l’ex-capitano per qualche istante prima che la memoria lo soccorresse: la sera precedente, al termine del lavoro, aveva accennato ad un incredibile evento avvenuto due anni prima. Lovino non dimenticava nulla che avesse a che fare con vascelli e galeoni.

«Fummo sorpresi da una tempesta» raccontò Antonio, la voce di un’ottava più bassa e appena più raspata del solito. «Poche volte ho visto una simile furia d’acqua: non so se fosse più aggressiva quella del mare o quella del cielo. Le nuvole ci rovesciavano addosso cascate di pioggia, e le onde si abbattevano sull’albero maestro come se volessero spezzarlo. Ci rifugiammo sottocoperta, ma uno dei miei uomini rimase bloccato sul ponte. Mi legai una corda in vita e corsi a recuperarlo.»

Lovino si era voltato per ascoltarlo meglio, le sopracciglia inarcate ad esprimere scetticismo. Antonio non vi diede importanza: ormai aveva imparato che, spesso, Lovino manteneva quella facciata antipatica solo per non far trapelare il suo reale interesse.

«Ci salvammo entrambi» continuò. «Ma mentre eravamo sul ponte, che possa essere fulminato se mento, ho visto il volto della Dea del Mare.»

«La Dea?» replicò Lovino. «Ma le donne portano male sulle navi…»

«Forse perché lei sarebbe invidiosa di un’intromissione femminile nel suo regno» sorvolò Antonio, immerso nei ricordi. «Lo ricordo benissimo: si era levata un’onda gigantesca e lì ho visto il suo viso, fatto di flutti e di spuma. Era bellissima e terrificante. Non ho mai visto niente di simile in tutta la mia vita…» lo sguardo gli cadde sul bastone, ed il cuore gli crollò a terra. Non aveva mai visto niente di simile, e mai più ne avrebbe avuto occasione: la Dea del Mare aveva deciso di maledire il mortale tanto sfrontato da averla guardata negli occhi.

«Secondo me, avevi bevuto troppa acqua di mare» lo screditò Lovino.

Antonio non replicò: si appoggiò al bastone per issarsi in piedi, silenzioso.

«E’ ora di andare a lavorare» disse, porgendogli una mano per aiutarlo ad alzarsi.

Lovino lo ignorò spudoratamente  e si sollevò dal letto da solo.

«Non facciamo aspettare i clienti» mugugnò, arrotolando le maniche della camicia.

 

***

 

Antonio non era stato il solo a chiedersi perché continuassero a vedersi ogni mattina nonostante i lividi fossero spariti da tempo.

Lovino si era letteralmente arrovellato per trovare una risposta.

E la strada che prendevano le sue ipotesi non gli piaceva per nulla.

Aveva giurato che non si sarebbe mai più affezionato a niente.

Aveva amato la sua terra natale, la sua bella Italia: il suo cuore aveva immagazzinato l’odore asprigno delle arance, il biancore delle case rurali, il cielo azzurro che si specchiava nel mare. L’aveva adorata in ogni sua parte, ed era stato costretto ad abbandonarla. Tutti i suoi ricordi erano marciti in una poltiglia caustica che gli corrodeva lo stomaco quando provava a ripensare al suo paese d’origine.

Aveva amato la sua famiglia, e anche loro erano spariti. Erano volati in un luogo molto più lontano della sua patria natia, un posto che non si poteva raggiungere navigando. Anche loro erano stati inglobati nel marciume che gli avvelenava l’anima.

L’unico a non averlo tradito era il mare, maestoso e familiare in qualunque porto.

Aveva giurato che non avrebbe aggiunto altre tossine a quelle che già gli circolavano nello spirito: il suo cuore sarebbe stato occupato solo dall’oceano, l’unico sempre uguale a se stesso. Non avrebbe concesso nulla più di un contenuto distacco ai paesi e, soprattutto, agli uomini: la città in cui si trovava era solo un posto in cui vivere, e non avrebbe sofferto abbandonandola; le persone che conosceva erano suoi colleghi di lavoro, e non avrebbe provato grossi rimpianti nel lasciarli.

Antonio era la variabile imprevista che incrinava il suo progetto.

Non aveva avuto remore nel lasciarsi alle spalle l’umorale fruttivendolo che era stato il suo capo, anzi, ne aveva provato un immenso sollievo: la scarsa paga non valeva certo i maltrattamenti che subiva ogni giorno.

Antonio, invece, sapeva come farsi benvolere dai suoi dipendenti: aveva assegnato l’intero piano terra agli alloggi del personale, ed offriva loro un vitto decente, che aveva convertito il fisico rachitico di Lovino in quello asciutto e sano di un ragazzo in forma. Lui stesso si era sorpreso quando allo specchio aveva scoperto delle guance floride ed un colore più vivo negli occhi. Non pensava che il cibo potesse operare un simile prodigio.

Consapevole della sua passione per la costa, Antonio gli aveva affidato il ruolo di pescatore.

Lovino era stato felice di quell’incarico: poteva passare ore e ore da solo con la spuma salata, e vedere le correnti che vorticavano sotto la sua barca. Si era fatto insegnare alcuni trucchi dai marinai che intrecciavano le reti sul lido, e ne aveva fatto buon uso: aveva imparato quali fossero i siti più ricchi di pesce e le rotte preferite di alcune specie marine.

I primi giorni aveva riportato all’albergo un raccolto striminzito, ma, con l’affinarsi della tecnica, era riuscito a garantire il pesce fresco sul menù della locanda.

Masticò il labbro inferiore mentre analizzava la sua rete per assicurarsi che non ci fossero dei fili strappati. Più delle lodi sarcastiche dei vecchi pescatori, che gli offrivano un tiro di pipa quando lo vedevano carico di pesce e lo chiamavano “Neleo”, gli aveva fatto piacere vedere il volto di Antonio rinfrancato per la scelta fatta. Il suo precedente padrone non gli aveva mai sorriso e Lovino non sarebbe stato né contento né dispiaciuto di vederlo sereno.

Si caricò la rete in spalla, ed afferrò la canna da pesca e il cestino delle esche con la mano libera. Doveva ammettere che Antonio era una persona gentile. L’unico ad essersi dimostrato così disponibile con un orfano emigrato.

«Vado» annunciò a cuochi e camerieri che finivano di indossare le loro divise.

«Prendi qualcosa per ripararti dalla pioggia» gli consigliò il capocuoco, da sopra il trambusto delle stoviglie sbatacchiate sui fornelli. «Il tempo non promette nulla di buono.»

Lovino lanciò uno sguardo fuori dalla finestra: immerso com’era nei suoi pensieri, non si era accorto del principio di nubifragio che si stava ammassando ad occidente. Il vento avrebbe presto spinto sulla loro città quei nembi gravidi di burrasca.

«Non ti conviene metterti in barca, oggi» si premurò una cameriera che proprio non riusciva a raccogliere gli sfuggenti capelli mori in una coda. «Se dovessero esserci i fulmini…»

«Pescherò dal molo» sminuì Lovino. Afferrò una palandrana stinta dalla salsedine e decise che sarebbe stata sufficiente a proteggerlo finché non avesse cominciato a piovere. «Se si scatenerà il temporale, tornerò indietro.»

«Quando si scatenerà» lo corresse il corpulento capocuoco, emergendo dagli scaffali con una selva di pentole tra le braccia grassocce. «Fai attenzione.»

Lovino annuì. Indossò il tabarro, si calò il cappello da pescatore in testa, raccolse i suoi attrezzi e si preparò ad avventurarsi nel mondo che minacciava tempesta.

Ma qualcosa lo bloccò a pochi metri dall’uscita: dal piano superiore si udì un tonfo sordo, come di un corpo svenuto. La cameriera desistette dall’impresa di legare la zazzera crespa e si affrettò a vedere cosa fosse successo. I passi della donna aumentarono esponenzialmente la velocità nel discendere le scale, e si affacciò con il volto livido di chi ha visto un fantasma.

«Diego, sbrigati, Antonio si sente male!» strepitò, afferrando per la collottola il cameriere appena nominato.

«E’ la gamba, vero?» sberciò il capocuoco mentre Diego volava su per le scale. «Quando cambia il tempo, è sempre così.»

«La gamba?» chiese Lovino, senza dare un’inflessione troppo partecipe alla voce.

«Quando si avvicina la pioggia, le vecchie ferite fanno sempre male, ragazzo. A volte sembra di impazzire» borbogliò l’uomo. «Ma non preoccuparti: Diego è abituato a dargli una mano, in queste situazioni. Vai a pescare tranquillo.»

Lovino annuì e si affrettò ad uscire dalla porta.

Antonio non gli aveva mai parlato di quella sua debolezza. Forse non lo aveva informato perché c’era Diego ad aiutarlo.

Pestò con forza i piedi sull’acciottolato mentre si dirigeva alla spiaggia e al mare grigio per il nubifragio incombente.

Diego avrebbe sostenuto il gestore della locanda. E lui intanto sarebbe rimasto fuori a pescare.

C’era qualcosa, in quell’equazione, che lo infastidiva come una puntura di calabrone. Ma si rifiutò di esplorare il motivo di quel suo stato d’animo.

Si sbrigò a raggiungere la risacca ruggente. Almeno lei non avrebbe preferito Diego.

 

***

 

Il cuscino si appiattì accondiscendente sotto la sua schiena.

Non si aspettava un acquazzone così violento a maggio: credeva che ormai la stagione delle piogge e degli strazi alla vecchia ferita fosse terminata. C’era sempre un’eccezione alla regola, avrebbe dovuto ricordarsene.

Scostò un lembo del lenzuolo per osservare la gamba offesa: Diego e Consuelo avevano stretto per bene le bende sul balsamo antidolorifico, ma non era servito a molto. Più i mesi passavano, più quella cicatrice sembrava tormentarlo. Ogni giorno che trascorreva ad ascoltare il mare anziché viverlo depositava una spina nella sua ferita. Ormai la sua gamba era un unico roveto.

Per di più, la Dea del Mare aveva deciso di colpirlo con una stoccata a tradimento: i cirri scuri e la caligine opprimente erano gli stessi del giorno in cui aveva mostrato il suo viso.

«Forse sto invecchiando davvero» sospirò, portandosi una mano alla fronte.

Dall’arrivo di Lovino, era diventato più difficile combattere la malinconia, poiché rivedeva in lui tutto ciò che era stato alla sua età: un ragazzo affamato di avventure e di terre da esplorare.  Prima o poi, il mare si sarebbe portato via anche il suo pescatore: Antonio sapeva meglio di tutti quanto fossero allentanti le promesse di lidi lontani e di litorali sconosciuti.

Bastava che il richiamo degli abissi si elevasse con più forza dalle scogliere, e Lovino se ne sarebbe andato.

E lui, Antonio, come si sarebbe comportato quando quel giorno fosse giunto?

Qualcuno bussò alla porta, o meglio, prese a pugni il legno dello stipite. L’ex-capitano non ebbe bisogno di chiedere chi fosse.

«Avanti» invitò.

In controluce, con la palandrana sgocciolante e il cappello fradicio, Lovino sembrava uno spirito delle intemperie. Diede la stessa impressione anche quando si addentrò nella stanza, in uno spiaccichio di vestiti zuppi e gocce che si infrangevano sul pavimento.

«Devi asciugarti, o ti ammalerai» lo redarguì gentilmente Antonio, sistemandosi più composto contro il cuscino.

«Non mi avevi detto dei tuoi problemi con la gamba» fu la risposta incoerente di Lovino, mentre si toglieva il cappello scoprendo la capigliatura intrisa di tempesta. Nemmeno il diluvio, però, era riuscito ad abbassare quell’unico ciuffo ribelle che svettava verso l’alto.

«Non è una storia interessante» si giustificò Antonio.

Lovino si spogliò del tabarro grondante pioggia, ma non si fece scrupolo di sedersi sulle coperte con i pantaloni bagnati.

«Come è andata la pesca?» chiese l’uomo per aggirare l’ostilità di Lovino.

«Non è una storia interessante.» Fu con acidità che il ragazzo gli restituì le sue stesse parole.

Lovino non voleva ammettere che, se quel giorno aveva catturato pochi pesci, non era stato a causa del tempo ostile, ma dei pensieri insulsi che lo avevano distratto dal suo lavoro.

Stupido Diego e stupido Antonio.

«Succede sempre, quando arriva la tempesta. La cicatrice comincia a farmi male, e il muscolo cede. Faccio fatica a camminare, quando succede» spiegò Antonio, per poi domandargli di nuovo: «Come è andata la pesca?»

«Magra» ringhiò Lovino. «Pochi pesci e troppi grattacapi.»

«Grattacapi?»

«Grattacapi» confermò il ragazzo, senza aggiungere una sillaba.

Antonio drizzò la schiena contro la testiera del letto, Lovino si impegnò a guardare altrove.

Il silenzio cadde tra di loro come un masso. Fu il proprietario dell’albergo a liberarsi di quel fardello.

«Pensi mai di prendere il mare?» chiese.

Gli occhi del giovane scattarono verso di lui, accesi da una rabbia di cui Antonio non comprese il motivo. E Lovino tenne la ragione del suo malumore ben nascosta: il gestore era l’unica persona, da quando era stato separato dall’Italia, cui si fosse veramente affezionato. Aveva tentato in tutti i modi di erigere barriere tra di loro e di iniettarsi dosi di indifferenza, ma era stato come cercare di spegnere il fuoco a mani nude: aveva ottenuto solo scottature.

Sentire quella stessa persona tenergli nascosto il malessere alla gamba e chiedergli quando sarebbe partito lo feriva più di quanto desse a vedere: aveva promesso di non legarsi a nessuno, invece lo stava facendo con la persona più sbagliata del mondo. E quella consapevolezza non faceva che aumentare il suo malcontento.

«Certo. Non vedo l’ora di andarmene da qui» ribatté secco.

Lo sguardo verde di Antonio lo studiò per qualche momento. Non seppe cosa lui avesse intuito dal suo cruccio imbronciato, ma la seguente domanda sembrò contenere una molteplicità di significati diversi:

«Cosa ti trattiene?»

Non gli piacque il tono dell’uomo, cadenzato come i passi del cacciatore che ha intravisto la tana della preda e cerca di non spaventarla per catturarla. Non aveva alcuna intenzione di finire nella sua tagliola.

«La mia peseta» attaccò. «Non me l’hai ancora restituita.»

L’incredulità sollevò le sopracciglia scure dell’ex-capitano.

«Resti qui solo per una peseta

Lovino si sprangò dietro un mutismo ostinato. Una goccia si tuffò dalla frangia allo zigomo, e rotolò sulla guancia mimando una lacrima; il ragazzo la asciugò sul polsino umido, che passò anche sul resto della faccia bagnata.

Antonio si protese verso di lui, avvicinando la mano alla testa del giovane.

«Lovino…» mormorò, poggiandogli il palmo sulla chioma madida di temporale.

Il pescatore reagì come se gli avessero infilato uno scorpione nella camicia: sollevò il volto dalla manica e schiaffò via la mano dell’uomo, alzandosi con uno scatto dal letto.

«Non mi toccare!» esclamò. «E ricordati di restituirmi la peseta, così finalmente me ne potrò andare!»

Fu più rapido di un fulmine nell’uscire dalla stanza, lasciando dietro di sé solo l’odore di mare e di nubi.

 

***

 

«Oh, hanno litigato?» si dispiacque la bimba con le trecce.

«Un pizzico di conflitto accende l’amore» recitò Francis.

«Ma avevate detto che quel giorno di maggio aveva segnato uno stacco. Invece battibeccarono» protestarono le tredicenni in un angolo.

«Signorine, non avete colto l’essenziale: perché litigarono? Perché erano entrambi innamorati» decise di essere più chiaro, notando il dubbio serpeggiare nell’improvvisata platea. «Lei aveva intuito di provare qualcosa per quell’uomo, ma non voleva accettarlo.»

«E perché?» petulò un bimbo in prima fila.

Francis riuscì a morsicare la sua vera risposta – “perché era cocciuto come un mulo” – e a formularne un’altra, più lirica e ugualmente veritiera:

«Perché non poteva ammettere di amarlo, se metà del suo cuore palpitava per il mare e l’altra metà era il cimitero dei lutti passati. Tuttavia, quel giorno fu fondamentale per entrambi: lei comprese i propri sentimenti, ma cercò di ignorarli e soffocarli; e lui si accorse di questi suoi tentativi.»

«E Antonio come capì di essere innamorato di lei?» domandarono di nuovo le ragazzine.

«Lui…» Francis sorrise, galante. «Lui lo aveva capito molto prima di lei

Un uggiolio estasiato si levò dalle gole femminili.

«Ma se volete conoscere meglio quali fossero i sentimenti che lo animavano…» li mise sulle spine Francis, assumendo l’espressione sorniona di chi sa molto e rivela poco. «Devo rievocare il giorno in cui a cambiare la vita di Antonio non fu qualcosa di piccolo. Giugno giunse assieme ad un enorme galeone inglese: la Queen of Pirates aveva gettato l’ancora. E il suo capitano era diretto proprio alla locanda di Antonio…»

 

   
 
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