Zefiro
Quando
Lovino tornò all’albergo, quel giorno, fu accolto
da
un gran trambusto: dalla sala da pranzo si gonfiava un gran vociare che
riempiva tutto l’ingresso di chiacchiere.
«Che
sta succedendo?» chiese a Diego, che correva
indaffarato dal salone alla cucina.
«Abbiamo
un ospite importante!» gioì il cameriere,
emergendo
con un vassoio carico di specialità di pesce. «Il
capitano della Queen of Pirates!»
I
muscoli di Lovino evaporarono in nebbia a quella notizia:
perse la cognizione dei sensi, lo spazio e il tempo diventarono un
agglomerato
colloso intorno a lui. Dovette battere le palpebre per riscuotersi.
«Il
corsaro della regina d’Inghilterra, Arthur
Kirkland?»
enfatizzò, incredulo.
Diego
annuì distratto, filando a servire i commensali.
Lovino
fu un lampo nel portare in cucina il pescato della
giornata e, con altrettanta velocità, corse in camera sua
per indossare un
vestito che non puzzasse di fauna d’oceano: il pesce era
delizioso come
pietanza, ma come profumo lasciava molto a desiderare.
Si
recò quindi in sala da pranzo: la testa di ogni persona
presente era girata verso l’inglese sistemato al centro della
sala; alcuni deformavano
la bocca in modo davvero grottesco per mangiare senza distogliere lo
sguardo da
lui.
Nella
sua immaginazione, Arthur Kirkland era un gigante di
due metri, armato di fucili grossi come cannoni. La realtà
gli restituì
un’immagine assai diversa: il capitano del più
splendido vascello della flotta
inglese era un uomo di altezza normale, forse appena più
basso di Antonio; i
corti capelli biondi, increspati e schiariti dal mare, scendevano in
una
frangia disordinata che solleticava le strambe sopracciglia e lasciava
scoperti
gli occhi verdi, più chiari di quelli
dell’ex-capitano de La Reina.
La divisa da corsaro non era uscita del tutto indenne
dalle lunghe peregrinazioni affrontate, ma le finissime stracciature
del
cappotto e degli stivali accrescevano il fascino del completo: a cosa
erano
dovuti quegli sfilacciamenti? Un colpo di spada evitato per un soffio?
Un
proiettile schivato al millimetro?
Arthur
rispondeva quieto alle domande incessanti degli altri
avventori, continuando a pigiare il tabacco nella propria pipa con il
pollice.
Al
suo fianco sedeva Antonio, che lo ascoltava con il
sorriso amareggiato dai ricordi lontani e le dita intrecciate
sull’impugnatura
aurea del bastone.
Lovino
si sorprese nel notare Antonio vestito con la propria
uniforme da corsaro. Differiva da quella dell’inglese per i
colori, i sigilli
reali ricamati sul petto e mille altri dettagli di sartoria, ma erano
entrambe
divise da comandante di vascello. Da quanto sapeva, Antonio aveva
rinchiuso la
sua in fondo all’armadio quando era stato chiaro che non
avrebbe mai più fatto
ritorno su La Reina.
Perché
aveva deciso di metterla, quel giorno? Che fosse una
sorta di codice d’onore tra capitani, in servizio e in
pensione?
«Lovino!»
Antonio lo riconobbe e gli fece cenno di
avvicinarsi con la mano.
Il
ragazzo fu ulteriormente stupito dal suo tono cordiale:
si era forse scordato del loro diverbio di qualche settimana prima? Era
impossibile che non ne avesse memoria, poiché da allora
Lovino aveva smesso di
recarsi nella sua camera ogni mattina per farsi controllare la schiena.
Allora
perché si comportava come se non fosse successo nulla?
«Arthur,
questo è Lovino» lo presentò non appena
il
pescatore si fu accostato al loro tavolo, nell’attenzione
generale.
«E’
nuovo?» s’informò l’inglese,
nel suo spagnolo stentato.
«Non l’ho visto quando sono venuto la scorsa
primavera.»
«Lavoro
qui da poco» spiegò Lovino, cui non piaceva che si
parlasse di lui come se non fosse fisicamente presente. Nemmeno se era
il gran
capitano della Queen of Pirates a
farlo. «Piacere» aggiunse, caustico.
Arthur
gli assegnò un sorriso sghembo, mentre accendeva la
pipa.
«Vuoi
aggiungerti a noi?» domandò.
Lovino
si appropriò di una sedia e si unì al tavolo.
La
serata corse veloce tra una trattazione delle
caratteristiche del galeone maestro della flotta inglese e racconti di
ricchezze esotiche e scenari misteriosi.
Lovino
assorbì le parole di Arthur Kirkland come tutti gli
altri ascoltatori: sentiva il sangue spumeggiare e le orecchie
rombargli come
le onde che si infrangevano contro gli scogli; l’oceano che
aveva sede nel suo
cuore si risvegliava ai discorsi dell’inglese.
Una
punta amara guastava la sua passione: Antonio era come
stregato dalle novelle del capitano più acclamato di Gran
Bretagna. Un incanto
che lui non era mai riuscito a creare quando gli parlava delle sue
escursioni
mattutine per procurarsi il pesce.
«Cosa
vi ha spinto a fermarvi in Spagna, capitano?» chiese
uno dei più affezionati clienti del loro locale, un
bucaniere con i denti
consumati dallo scorbuto.
«Trattative
commerciali, principalmente» rispose l’inglese,
svuotando la pipa. «E l’ospitalità di
questa locanda.»
Arthur
Kirkland sapeva fare i complimenti, era indubbio.
Riusciva a quantificare la giusta dose di lode per non sembrare lezioso
e, al
contempo, a proferirla senza superbia: sembravano elogi sinceramente
genuini.
Ad Antonio facevano piacere, a giudicare dal mezzo sorriso con cui li
accoglieva.
Il
capitano dimostrò anche di saper fare annunci in sordina,
discreti ma ugualmente avvincenti: il giusto modo per stimolare lo
spirito
delle persone senza farle sentire costrette ad accettare.
«Antonio,
se non sbaglio il tuo albergo raccoglie marinai da
tutti i porti» considerò Arthur, facendo roteare
la pipa tra le dita.
«Chi
è stato sfiancato dal mare è sempre il
benvenuto» confermò
puntuale l’uomo.
L’inglese
annuì e riprese: «Sto cercando qualche nuovo
mozzo. Gli ultimi che hanno tentato di reggere il ritmo della Queen of Pirates…»
storse il labbro,
disgustato dal ricordo. «Sai che il mal di mare non perdona
chi non sa ballare
con le onde.»
Antonio
asserì con il capo: non gli erano nuove le scene dei
principianti che si sporgevano dai parapetti di legno per vomitare
anche
l’anima.
«Quanti
uomini ti servono?» volle sapere Antonio.
«Ho
dovuto lasciarne tre sulle coste britanniche»
sospirò
Arthur, contrariato. «Me ne servono altrettanti.»
«Cosa
ne pensi, Lovino?»
Il
ragazzo fu chiamato in causa così improvvisamente che
impiegò qualche attimo per formulare una risposta adeguata.
«Che
ci saranno sicuramente tre volontari disposti a servire
il capitano» ribatté asciutto.
Antonio
fece per aggiungere qualcosa, poi richiuse le labbra
senza dire nulla: Lovino lo avrebbe odiato se avesse insistito di
fronte a
tanta gente.
Il
giovane attese che il resto della serata gli scorresse
addosso, e si congedò quando l’ora divenne troppo
tarda per lui.
Aveva
apprezzato la compagnia del capitano, anche se era
stata direzionata principalmente vero il gestore
dell’albergo, ed era felice di
aver fatto la conoscenza di una persona così influente.
L’acido
che gli graffiava lo stomaco era dovuto al
comportamento di Antonio: non gli era piaciuto il singolare scintillio
degli
occhi smeraldini, né la complicità con cui
conversava con Arthur Kirkland.
Scosse
la chioma ramata, esasperato.
Era
stanco per la lunga giornata. Avrebbe fatto meglio ad
andarsene a letto quanto prima.
Aveva
raggiunto la sua stanza quando si accorse del
minuscolo gonfiore nella tasca dei suoi pantaloni.
Non
faticò ad identificarlo. E sentì il nervosismo
montagli
di nuovo alle tempie.
***
«Vuoi
davvero propormi il tuo nuovo aiutante?»
Nella
grande sala erano rimasti solo loro due. In nave non
si poteva dormire a lungo: il mare era un alleato volubile, ed
occorreva
restare costantemente vigili. I loro orari erano tarati
sull’umore delle maree,
del tutto scoordinati rispetto alla placidità terrestre.
«E’
un ragazzo sveglio, impara in fretta. E ama moltissimo
l’oceano» considerò Antonio.
Arthur
picchiettò il tavolo con la pipa, insoddisfatto dalla
risposta.
«E
tu lo lasceresti partire?» indagò.
Antonio
inalberò la schiena sulla sedia, ed impugnò con
più
forza il bastone.
«Perché
non dovrei?»
Arthur
inspirò a fondo e rispose con un’altra domanda:
«Per
quanto tempo abbiamo navigato insieme, Antonio?»
Il
gestore si prese qualche istante per conteggiare a mente.
«Quasi
dieci anni» sancì alla fine.
L’inglese
dondolò il capo in un assenso.
«Ti
ho visto fare mille cose, in quel tempo: hai assaltato
navi, condotto contratti mercantili, scoperto nuove rotte commerciali,
corteggiato moltissime donne. Ho visto passare sul tuo viso fierezza,
astuzia,
gioia, galanteria… ma l’espressione che avevi
questa sera non riesco proprio a
farla rientrare tra queste categorie.»
«Voi
inglesi siete troppo inclini alla poesia» lo
screditò
amichevolmente Antonio.
«E
voi spagnoli siete troppo inclini ai sentimenti smodati»
rincarò Inghilterra. Finì di ripulire la pipa e
la ripose nel tascapane. «Non
credo che ti farebbe piacere vedere quel ragazzo partire.»
Antonio
accarezzò il suo bastone con i pollici, trattenendo
nel petto un corteo di sospiri.
«Sono
un corsaro, e sai quanto vada fiero di questa
qualifica. Ma se quel ragazzo salpasse con la mia nave, non sarei
diverso da un
pirata» si risentì Arthur.
«Un
pirata?»
«Cosa
fanno i pirati, se non piombare nelle imbarcazioni
altrui e depredarli dei loro tesori?»
Di
certo non si aspettava di suscitare l’ilarità di
Antonio:
l’uomo esplose in una fragorosa risata, che riuscì
a contenere solo mettendosi
una mano davanti alla bocca.
«E
poi dicono che voi inglesi non avete senso
dell’umorismo!» ansò, provato dalle
risa. «Lovino non è affatto un tesoro.»
Arthur
contorse le bizzarre sopracciglia, per nulla
persuaso.
«I
dobloni, i gioielli…» elencò Antonio
con un filo di voce.
«Sono tutte cose che si possono racchiudere in un forziere.
Quello è un tesoro.
Lovino non è così» un rimpianto
salì ad imbrunirgli le iridi verdi, mentre
concludeva: «Se cercassi di rinchiuderlo, ne morirebbe.
È uno spirito libero,
avvizzirebbe se dovesse mettere radici da qualche parte.»
«Se
è vero che è tanto innamorato del mare, potresti
non
vederlo mai più, una volta lasciato il porto. Sai che
l’oceano è un amante
geloso» gli ricordò Arthur.
Antonio
socchiuse gli occhi per annuire, ma li tenne aperti
e fermi nel dichiarare:
«Non
sarò io a mettergli il lucchetto che lo
ucciderebbe.»
Arthur
scosse la testa, scontento.
«Ti
ho seguito da sottoposto, Antonio: tu mi hai insegnato
ad essere il capitano che sono ora. E questa è la prima
volta che disapprovo
una tua decisione.»
«Arthur,
non ho intenzione di costringerlo a partire con la
tua nave. Ho detto solo che non gli impedirò di farlo, se
è questo che
desidera.»
L’inglese
tamburellò le dita sul tavolo con impazienza e
sbuffò:
«Non
riesco a capirti: se ami quel ragazzo…»
«Non
esagerare con i termini» lo frenò Antonio.
«Non lo
conosco da così tanto tempo.»
«Quando
hai capito che il mare era il tuo futuro?» lo mise
alla prova Arthur.
«La
prima volta che sono salito su una nave» rispose onesto
l’altro.
«Allora
vedi che, per certe cose, il tempo è irrilevante?»
lo
mise in fallo il capitano, con una certa soddisfazione a torcergli le
labbra in
un ghignetto. «Ad ogni modo, non voglio esplorare il vostro
tipo di rapporto.
Che sia amicizia, affetto filiale o di altro genere, non conta.
L’unica cosa
che mi è chiara è che, se quel…
Lovino, giusto? Se lui partisse, tu avresti la
stessa espressione di quando hai salutato La
Reina dal molo.»
«Hai
davvero una memoria formidabile» commentò Antonio.
«Smentiscimi,
se sbaglio» lo sfidò l’inglese,
incrociando le
braccia.
Lo
spagnolo inclinò per un attimo il capo
all’indietro e
respirò a fondo. Rialzò quindi la testa e
rispose, reggendosi la fronte con le
dita:
«Anche
se non fossi tu, Arthur, prima o poi arriverebbe un altro
capitano in cerca di marinai. O sarebbe Lovino stesso a rintracciare un
equipaggio con dei posti vacanti. L’hai detto anche tu, ho
capito che il mio
futuro era il mare dalla prima volta che ho messo piede su
un’imbarcazione, e
lui ha preso la mia stessa decisione. I suoi sogni non si realizzeranno
sulla
terraferma» passò i polpastrelli sugli occhi e
proseguì, a voce bassa: «Non sei
tu il pirata, Arthur. Il pirata è l’occasione di
solcare i mari. Posso anche
impedirgli di partire adesso, ma cosa cambierebbe? Sai bene quanto sia
irresistibile il richiamo delle sirene al di là degli
scogli: prima o poi la
Dea del Mare verrà a prendersi anche lui. Preferisco che
parta con te,
piuttosto che con uno sconosciuto. So che tu sei un ottimo capitano, e
non usi
la violenza per farti comprendere dai tuoi subordinati.»
Arthur
non si addentrò oltre nelle sue motivazioni: aveva
visto un simile pallore sulle guance di Antonio solo quando il dottore
gli
aveva comunicato l’impietoso verdetto sulla sua ferita.
«Quindi
il problema non sono io, ma l’opportunità che
offro»
valutò. Lo spagnolo annuì stancamente.
«Se
l’avessi saputo prima, me ne sarei rimasto zitto»
brontolò l’inglese. «Perdonami, ma
l’idea di arrecarti un danno non mi sorride:
sei stato il mio maestro per anni, su La
Reina, e io ti ripago portandoti via l’unica cosa
che ti rende sopportabile
l’esilio sulla spiaggia.»
«Non
essere così melodrammatico» minimizzò
Antonio,
alzandosi dal tavolo. «Bisogna adattarsi alla vita,
perché la vita non si
adatterà a noi.»
«L’ultima
volta che sei stato costretto ad “adattarti”, ho
visto la tua anima andare in pezzi» protestò
Arthur. «Hai intenzione di
compiere un simile suicidio anche questa volta?»
«Buonanotte,
capitano» lo salutò Antonio, inchinandosi
cavalleresco senza perdere la presa sul bastone. «Un vero
peccato che il mare
ti abbia reclamato per sé: avresti fatto impallidire i
drammaturghi di tutte le
terre con le tue metafore.»
«Hai
capito quello che intendevo» si risentì
l’altro,
alzandosi per restituire l’inchino. «Buonanotte,
capitano.»
«Non
sono più un comandante» gli fece presente lo
spagnolo,
mentre si avviavano sulle scale.
Arthur
gli scoccò un ghigno furfante e replicò:
«Finché
il mondo avrà memoria, il capitano Antonio Fernandez
Carriero sarà ricordato come il più valente uomo
di mare di tutti gli oceani.»
Il
gestore fu sbalordito da un simile omaggio, tanto da
rimanere senza parole. Del suo silenzio approfittò
l’altro per scoccare una
frecciatina finale, prima di sparire nella sua camera:
«Peccato
che il corsaro della Queen of Pirates
sia un poco più valoroso di lui.»
Antonio
non trattenne un sorriso mentre terminava di salire
le scale.
Grazie
al cielo, il tempo cambiava molte cose, ma non tutte.
E Arthur Kirkland non si sarebbe mai lasciato erodere dagli anni che
passavano.
***
Furono
due cose a colpirlo, quando entrò nella stanza.
La
prima fu un piccolo oggetto che lo centrò alla bocca
dello stomaco per poi finire rotolando sotto il comodino.
La
seconda fu una voce rossa di rabbia che sibilò:
«Come
può un uomo tanto stupido essere stato capitano de La Reina?»
Antonio
massaggiò il ventre e richiuse la porta della camera
spingendola con il bastone.
«Pensavo
fossi già a letto, Lovino.» Assottigliò
gli occhi
per scorgere qualcosa in più del profilo umbratile del
giovane: man mano che le
sue pupille si adattavano alla fitta penombra della camera i lineamenti
del
ragazzo emergevano dalla notte, come un disegno di cenere su una tela
nera. La
poca luce lunare che strisciava attraverso le imposte
spruzzò di argento i
capelli e le pieghe dei vestiti, ma non riuscì a scostare
l’ombra annidata
sugli occhi. Tutto ciò non rappresentò un grosso
problema: Lovino era talmente
irato con lui che le iridi quasi luccicavano nel buio.
«Credevi
che io valessi una sola peseta?»
ringhiò.
Ecco
cosa gli aveva lanciato addosso: la moneta che aveva
fatto scivolare nella sua tasca durante il colloquio con Arthur.
«Hai
detto che era quella a tenerti ancorato a questo posto»
ribatté Antonio, sedendosi sul letto a fianco del ragazzo,
che, per tutta
risposta, arretrò fino a rimanere accovacciato
sull’angolo più lontano.
«Quindi
era il tuo modo per darmi il benservito.»
«Volevo
solo farti capire che sei libero di accettare
l’offerta del capitano, se è quello che
vuoi.»
«E
non potevi usare la tua fottuta bocca per dirlo?»
Un
raggio lunare si frantumò nei suoi capelli quando Lovino
scattò con il volto verso il basso.
«Liquidarmi
con una moneta… mi hai preso per una puttana?»
Il
palmo di Antonio si poggiò sulla testa del ragazzo e
Lovino sgroppò come un torello per liberarsene. Ma questa
volta l’uomo non
aveva intenzione di assecondare la sua ostinazione: vedendo rifiutato
il primo
approccio, lasciò cadere il bastone per serrare il giovane
in un abbraccio.
L’impugnatura di metallo rintoccò contro il
pavimento nella sorpresa muta che
seguì il gesto dell’ex-capitano.
«Lasciami
andare!» s’incaponì Lovino, agitandosi
come se le
braccia del compagno fossero fatte di tizzoni ardenti.
Antonio
contenette la rivoluzione del ragazzo con una
tranquillità encomiabile: non imprecò contro i
pugni che gli tempestavano il
petto, non gli permise di sciogliere il nodo del suo abbraccio e
sopportò il
suo dimenarsi senza mai smettere la maschera di accondiscendenza.
Quando
finalmente la fatica spossò la sommossa, Antonio
accentuò la presa sulla schiena del giovane, premendolo
contro di sé.
Sollevò
gli angoli della bocca in un sorriso nel momento in
cui il fisico sodo del ragazzo si delineò contro il suo:
Lovino non era più lo
scheletro semovente giunto alla sua porta qualche mese prima.
«Ascoltami»
comandò paterno. Il pescatore emise uno sbuffo
incomprensibile, che non fermò l’uomo:
«Non volevo offenderti. Volevo solo
farti capire che sei libero di andare, se vuoi.»
«L’ho
capito!» reagì Lovino, sollevando il volto. Per la
prima volta, la luna riuscì a stracciare il drappo
d’ombra dai suoi occhi, che
balenarono nella notte come laghi castani. Il loro particolare
sfavillio non fu
dovuto solo all’azione dell’astro notturno:
imprigionati nelle iridi orgogliose,
si agitavano sciami di lacrime trattenute. «Sei
così ansioso di buttarmi
fuori?»
La
gamba malata lanciò un gemito, ma venne ignorata
dall’uomo, concentrato solo nello scostare la frangia fulva
per poggiare un
bacio sulla fronte del ragazzo.
«Lovino,
ho detto che puoi andare, non che sei obbligato a
farlo» bisbigliò sulla pelle seccata dal mare, e
addomesticò il rimbrottare del
compagno accarezzandogli i capelli profumati di vento e salsedine.
«Ma
saresti felice se me ne andassi»
s’invelenì lui.
«Lovino»
la voce di Antonio scivolò in una tonalità roca e
calda. Il giovane aveva imparato a riconoscere quella particolare
cadenza tra
tutte le altre; gli ricordava la sabbia di mezzogiorno, ardente e
ruvida. Affiorava
a raschiare le morbide tonalità spagnole solo quando Antonio
parlava della sua
ferita e del mare, ossia quando menzionava rispettivamente il suo
dolore più
grande e il suo amore più sconfinato. Come se la sua voce
normale non potesse
reggere emozioni troppo forti, e si sgretolasse sotto il peso di quei
sentimenti incalzanti.
«Resta.»
Bastò
una parola ad infrangere lo scudo di collera che
Lovino aveva innalzato: quelle poche lettere trapassarono le sue difese
come giavellotti,
e si conficcarono dritte nello sterno. Perché Antonio usava
la voce delle
grandi emozioni per lui? Non era solo un suo dipendente?
Cercò
di distanziarsi per osservarlo in volto, ma il
compagno lo cinse con maggiore forza, immobilizzandolo.
«Lovino…»
lo chiamò di nuovo, con quella modulazione
arrochita.
La
mano dell’uomo scivolò sulla sua guancia,
guidandogli il
viso verso l’alto.
Antonio
non era fiero del suo comportamento. Aveva deciso di
non imporsi, per lasciare Lovino libero di assecondare il suo ardore
per le
onde. Ma il suo piccolo pescatore era così bello, anche con
i segni del mare
sul volto: la salsedine incastrata nella zazzera rossiccia, il colorito
abbronzato
che il sole aveva coltivato sulle guance, la fragranza di iodio
annidata nei
vestiti. Era il modo in cui l’oceano esigeva quel ragazzo
come suo,
marchiandolo con i propri simboli; aveva ragione Arthur, il mare era un
amante
geloso.
Ma
cosa poteva fare un fuoco d’acqua, in confronto ad un
uomo innamorato?
Le
labbra del capitano si appropriarono di ciò che i flutti
non avrebbero mai potuto raggiungere: schiusero la bocca del giovane in
un
bacio, ed il respiro del ragazzo si intrecciò al suo.
Lovino
non si lasciò domare istantaneamente: oppose
un’instabile resistenza, altalenando tra momenti di cedimento
e istanti di ostilità.
Antonio attese che le animosità del ragazzo cessassero fino
a sentirlo più
malleabile nel suo abbraccio.
Fu
Lovino il primo a troncare il bacio: quasi si rovesciò
per la forza con cui si spintonò via.
«Ti
odio» le dita si serrarono sulla camicia del compagno,
scosse da un impercettibile tremore. «Perché devi
sempre complicare tutto?»
«Se
vuoi andartene, la peseta
è sotto il comodino» lo informò
carezzevole Antonio.
Il
pugno non lo vide arrivare, ma le nocche di Lovino furono
brutali nell’abbattersi sulle sue costole.
«Perché
dai tanta importanza ad uno spicciolo?» si
arrabbiò,
sferrando un secondo colpo. «Sei davvero un uomo
stupido.»
«Talmente
stupido da chiederti di rimanere, non è
così?»
«Fottiti.»
Antonio
non si risentì della scurrilità del ragazzo. Al
contrario, lo condusse con gentilezza sul materasso, al suo fianco.
Tenne le
mani saldate alla sua schiena, per impedirgli di arretrare, e la bocca
sulla
sua fronte perché anche la pelle potesse udire
l’ultima richiesta:
«Resta
qui, Lovino.»
Il
ragazzo gonfiò le guance indispettite, ma fu
l’unico
segno del suo risentimento; le mani si appoggiarono sulle braccia
dell’uomo con
uno schiaffo appena trattenuto: quello era un abbraccio,
nell’ottica bisbetica
del giovane.
I
baci caddero sul volto del pescatore con la dolcezza della
pioggia primaverile, intervallati dalla voce roca dell’uomo
che mormorava il
suo nome.