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Autore: HamletRedDiablo    26/12/2013    2 recensioni
Una pallottola gli aveva sottratto il mare; un ragazzo gli avrebbe restituito il mondo.
[Spamano]
[Prima Classificata al Contest del terzo incomodo di BeaLovesOscarinoBello]
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Rosa de los Vientos'
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Zefiro

 

Quando Lovino tornò all’albergo, quel giorno, fu accolto da un gran trambusto: dalla sala da pranzo si gonfiava un gran vociare che riempiva tutto l’ingresso di chiacchiere.

«Che sta succedendo?» chiese a Diego, che correva indaffarato dal salone alla cucina.

«Abbiamo un ospite importante!» gioì il cameriere, emergendo con un vassoio carico di specialità di pesce. «Il capitano della Queen of Pirates

I muscoli di Lovino evaporarono in nebbia a quella notizia: perse la cognizione dei sensi, lo spazio e il tempo diventarono un agglomerato colloso intorno a lui. Dovette battere le palpebre per riscuotersi.

«Il corsaro della regina d’Inghilterra, Arthur Kirkland?» enfatizzò, incredulo.

Diego annuì distratto, filando a servire i commensali.

Lovino fu un lampo nel portare in cucina il pescato della giornata e, con altrettanta velocità, corse in camera sua per indossare un vestito che non puzzasse di fauna d’oceano: il pesce era delizioso come pietanza, ma come profumo lasciava molto a desiderare.

Si recò quindi in sala da pranzo: la testa di ogni persona presente era girata verso l’inglese sistemato al centro della sala; alcuni deformavano la bocca in modo davvero grottesco per mangiare senza distogliere lo sguardo da lui.

Nella sua immaginazione, Arthur Kirkland era un gigante di due metri, armato di fucili grossi come cannoni. La realtà gli restituì un’immagine assai diversa: il capitano del più splendido vascello della flotta inglese era un uomo di altezza normale, forse appena più basso di Antonio; i corti capelli biondi, increspati e schiariti dal mare, scendevano in una frangia disordinata che solleticava le strambe sopracciglia e lasciava scoperti gli occhi verdi, più chiari di quelli dell’ex-capitano de La Reina. La divisa da corsaro non era uscita del tutto indenne dalle lunghe peregrinazioni affrontate, ma le finissime stracciature del cappotto e degli stivali accrescevano il fascino del completo: a cosa erano dovuti quegli sfilacciamenti? Un colpo di spada evitato per un soffio? Un proiettile schivato al millimetro?

Arthur rispondeva quieto alle domande incessanti degli altri avventori, continuando a pigiare il tabacco nella propria pipa con il pollice.

Al suo fianco sedeva Antonio, che lo ascoltava con il sorriso amareggiato dai ricordi lontani e le dita intrecciate sull’impugnatura aurea del bastone.

Lovino si sorprese nel notare Antonio vestito con la propria uniforme da corsaro. Differiva da quella dell’inglese per i colori, i sigilli reali ricamati sul petto e mille altri dettagli di sartoria, ma erano entrambe divise da comandante di vascello. Da quanto sapeva, Antonio aveva rinchiuso la sua in fondo all’armadio quando era stato chiaro che non avrebbe mai più fatto ritorno su La Reina.

Perché aveva deciso di metterla, quel giorno? Che fosse una sorta di codice d’onore tra capitani, in servizio e in pensione?

«Lovino!» Antonio lo riconobbe e gli fece cenno di avvicinarsi con la mano.

Il ragazzo fu ulteriormente stupito dal suo tono cordiale: si era forse scordato del loro diverbio di qualche settimana prima? Era impossibile che non ne avesse memoria, poiché da allora Lovino aveva smesso di recarsi nella sua camera ogni mattina per farsi controllare la schiena. Allora perché si comportava come se non fosse successo nulla?

«Arthur, questo è Lovino» lo presentò non appena il pescatore si fu accostato al loro tavolo, nell’attenzione generale.

«E’ nuovo?» s’informò l’inglese, nel suo spagnolo stentato. «Non l’ho visto quando sono venuto la scorsa primavera.»

«Lavoro qui da poco» spiegò Lovino, cui non piaceva che si parlasse di lui come se non fosse fisicamente presente. Nemmeno se era il gran capitano della Queen of Pirates a farlo. «Piacere» aggiunse, caustico.

Arthur gli assegnò un sorriso sghembo, mentre accendeva la pipa.

«Vuoi aggiungerti a noi?» domandò.

Lovino si appropriò di una sedia e si unì al tavolo.

La serata corse veloce tra una trattazione delle caratteristiche del galeone maestro della flotta inglese e racconti di ricchezze esotiche e scenari misteriosi.

Lovino assorbì le parole di Arthur Kirkland come tutti gli altri ascoltatori: sentiva il sangue spumeggiare e le orecchie rombargli come le onde che si infrangevano contro gli scogli; l’oceano che aveva sede nel suo cuore si risvegliava ai discorsi dell’inglese.

Una punta amara guastava la sua passione: Antonio era come stregato dalle novelle del capitano più acclamato di Gran Bretagna. Un incanto che lui non era mai riuscito a creare quando gli parlava delle sue escursioni mattutine per procurarsi il pesce.

«Cosa vi ha spinto a fermarvi in Spagna, capitano?» chiese uno dei più affezionati clienti del loro locale, un bucaniere con i denti consumati dallo scorbuto.

«Trattative commerciali, principalmente» rispose l’inglese, svuotando la pipa. «E l’ospitalità di questa locanda.»

Arthur Kirkland sapeva fare i complimenti, era indubbio. Riusciva a quantificare la giusta dose di lode per non sembrare lezioso e, al contempo, a proferirla senza superbia: sembravano elogi sinceramente genuini. Ad Antonio facevano piacere, a giudicare dal mezzo sorriso con cui li accoglieva.

Il capitano dimostrò anche di saper fare annunci in sordina, discreti ma ugualmente avvincenti: il giusto modo per stimolare lo spirito delle persone senza farle sentire costrette ad accettare.

«Antonio, se non sbaglio il tuo albergo raccoglie marinai da tutti i porti» considerò Arthur, facendo roteare la pipa tra le dita.

«Chi è stato sfiancato dal mare è sempre il benvenuto» confermò puntuale l’uomo.

L’inglese annuì e riprese: «Sto cercando qualche nuovo mozzo. Gli ultimi che hanno tentato di reggere il ritmo della Queen of Pirates…» storse il labbro, disgustato dal ricordo. «Sai che il mal di mare non perdona chi non sa ballare con le onde.»

Antonio asserì con il capo: non gli erano nuove le scene dei principianti che si sporgevano dai parapetti di legno per vomitare anche l’anima.

«Quanti uomini ti servono?» volle sapere Antonio.

«Ho dovuto lasciarne tre sulle coste britanniche» sospirò Arthur, contrariato. «Me ne servono altrettanti.»

«Cosa ne pensi, Lovino?»

Il ragazzo fu chiamato in causa così improvvisamente che impiegò qualche attimo per formulare una risposta adeguata.

«Che ci saranno sicuramente tre volontari disposti a servire il capitano» ribatté asciutto.

Antonio fece per aggiungere qualcosa, poi richiuse le labbra senza dire nulla: Lovino lo avrebbe odiato se avesse insistito di fronte a tanta gente.

Il giovane attese che il resto della serata gli scorresse addosso, e si congedò quando l’ora divenne troppo tarda per lui.

Aveva apprezzato la compagnia del capitano, anche se era stata direzionata principalmente vero il gestore dell’albergo, ed era felice di aver fatto la conoscenza di una persona così influente.

L’acido che gli graffiava lo stomaco era dovuto al comportamento di Antonio: non gli era piaciuto il singolare scintillio degli occhi smeraldini, né la complicità con cui conversava con Arthur Kirkland.

Scosse la chioma ramata, esasperato.

Era stanco per la lunga giornata. Avrebbe fatto meglio ad andarsene a letto quanto prima.

Aveva raggiunto la sua stanza quando si accorse del minuscolo gonfiore nella tasca dei suoi pantaloni.

Non faticò ad identificarlo. E sentì il nervosismo montagli di nuovo alle tempie.

 

***

 

«Vuoi davvero propormi il tuo nuovo aiutante?»

Nella grande sala erano rimasti solo loro due. In nave non si poteva dormire a lungo: il mare era un alleato volubile, ed occorreva restare costantemente vigili. I loro orari erano tarati sull’umore delle maree, del tutto scoordinati rispetto alla placidità terrestre.

«E’ un ragazzo sveglio, impara in fretta. E ama moltissimo l’oceano» considerò Antonio.

Arthur picchiettò il tavolo con la pipa, insoddisfatto dalla risposta.

«E tu lo lasceresti partire?» indagò.

Antonio inalberò la schiena sulla sedia, ed impugnò con più forza il bastone.

«Perché non dovrei?»

Arthur inspirò a fondo e rispose con un’altra domanda:

«Per quanto tempo abbiamo navigato insieme, Antonio?»

Il gestore si prese qualche istante per conteggiare a mente.

«Quasi dieci anni» sancì alla fine.

L’inglese dondolò il capo in un assenso.

«Ti ho visto fare mille cose, in quel tempo: hai assaltato navi, condotto contratti mercantili, scoperto nuove rotte commerciali, corteggiato moltissime donne. Ho visto passare sul tuo viso fierezza, astuzia, gioia, galanteria… ma l’espressione che avevi questa sera non riesco proprio a farla rientrare tra queste categorie.»

«Voi inglesi siete troppo inclini alla poesia» lo screditò amichevolmente Antonio.

«E voi spagnoli siete troppo inclini ai sentimenti smodati» rincarò Inghilterra. Finì di ripulire la pipa e la ripose nel tascapane. «Non credo che ti farebbe piacere vedere quel ragazzo partire.»

Antonio accarezzò il suo bastone con i pollici, trattenendo nel petto un corteo di sospiri.

«Sono un corsaro, e sai quanto vada fiero di questa qualifica. Ma se quel ragazzo salpasse con la mia nave, non sarei diverso da un pirata» si risentì Arthur.

«Un pirata?»

«Cosa fanno i pirati, se non piombare nelle imbarcazioni altrui e depredarli dei loro tesori?»

Di certo non si aspettava di suscitare l’ilarità di Antonio: l’uomo esplose in una fragorosa risata, che riuscì a contenere solo mettendosi una mano davanti alla bocca.

«E poi dicono che voi inglesi non avete senso dell’umorismo!» ansò, provato dalle risa. «Lovino non è affatto un tesoro.»

Arthur contorse le bizzarre sopracciglia, per nulla persuaso.

«I dobloni, i gioielli…» elencò Antonio con un filo di voce. «Sono tutte cose che si possono racchiudere in un forziere. Quello è un tesoro. Lovino non è così» un rimpianto salì ad imbrunirgli le iridi verdi, mentre concludeva: «Se cercassi di rinchiuderlo, ne morirebbe. È uno spirito libero, avvizzirebbe se dovesse mettere radici da qualche parte.»

«Se è vero che è tanto innamorato del mare, potresti non vederlo mai più, una volta lasciato il porto. Sai che l’oceano è un amante geloso» gli ricordò Arthur.

Antonio socchiuse gli occhi per annuire, ma li tenne aperti e fermi nel dichiarare:

«Non sarò io a mettergli il lucchetto che lo ucciderebbe.»

Arthur scosse la testa, scontento.

«Ti ho seguito da sottoposto, Antonio: tu mi hai insegnato ad essere il capitano che sono ora. E questa è la prima volta che disapprovo una tua decisione.»

«Arthur, non ho intenzione di costringerlo a partire con la tua nave. Ho detto solo che non gli impedirò di farlo, se è questo che desidera.»

L’inglese tamburellò le dita sul tavolo con impazienza e sbuffò:

«Non riesco a capirti: se ami quel ragazzo…»

«Non esagerare con i termini» lo frenò Antonio. «Non lo conosco da così tanto tempo.»

«Quando hai capito che il mare era il tuo futuro?» lo mise alla prova Arthur.

«La prima volta che sono salito su una nave» rispose onesto l’altro.

«Allora vedi che, per certe cose, il tempo è irrilevante?» lo mise in fallo il capitano, con una certa soddisfazione a torcergli le labbra in un ghignetto. «Ad ogni modo, non voglio esplorare il vostro tipo di rapporto. Che sia amicizia, affetto filiale o di altro genere, non conta. L’unica cosa che mi è chiara è che, se quel… Lovino, giusto? Se lui partisse, tu avresti la stessa espressione di quando hai salutato La Reina dal molo.»

«Hai davvero una memoria formidabile» commentò Antonio.

«Smentiscimi, se sbaglio» lo sfidò l’inglese, incrociando le braccia.

Lo spagnolo inclinò per un attimo il capo all’indietro e respirò a fondo. Rialzò quindi la testa e rispose, reggendosi la fronte con le dita:

«Anche se non fossi tu, Arthur, prima o poi arriverebbe un altro capitano in cerca di marinai. O sarebbe Lovino stesso a rintracciare un equipaggio con dei posti vacanti. L’hai detto anche tu, ho capito che il mio futuro era il mare dalla prima volta che ho messo piede su un’imbarcazione, e lui ha preso la mia stessa decisione. I suoi sogni non si realizzeranno sulla terraferma» passò i polpastrelli sugli occhi e proseguì, a voce bassa: «Non sei tu il pirata, Arthur. Il pirata è l’occasione di solcare i mari. Posso anche impedirgli di partire adesso, ma cosa cambierebbe? Sai bene quanto sia irresistibile il richiamo delle sirene al di là degli scogli: prima o poi la Dea del Mare verrà a prendersi anche lui. Preferisco che parta con te, piuttosto che con uno sconosciuto. So che tu sei un ottimo capitano, e non usi la violenza per farti comprendere dai tuoi subordinati.»

Arthur non si addentrò oltre nelle sue motivazioni: aveva visto un simile pallore sulle guance di Antonio solo quando il dottore gli aveva comunicato l’impietoso verdetto sulla sua ferita.

«Quindi il problema non sono io, ma l’opportunità che offro» valutò. Lo spagnolo annuì stancamente.

«Se l’avessi saputo prima, me ne sarei rimasto zitto» brontolò l’inglese. «Perdonami, ma l’idea di arrecarti un danno non mi sorride: sei stato il mio maestro per anni, su La Reina, e io ti ripago portandoti via l’unica cosa che ti rende sopportabile l’esilio sulla spiaggia.»

«Non essere così melodrammatico» minimizzò Antonio, alzandosi dal tavolo. «Bisogna adattarsi alla vita, perché la vita non si adatterà a noi.»

«L’ultima volta che sei stato costretto ad “adattarti”, ho visto la tua anima andare in pezzi» protestò Arthur. «Hai intenzione di compiere un simile suicidio anche questa volta?»

«Buonanotte, capitano» lo salutò Antonio, inchinandosi cavalleresco senza perdere la presa sul bastone. «Un vero peccato che il mare ti abbia reclamato per sé: avresti fatto impallidire i drammaturghi di tutte le terre con le tue metafore.»

«Hai capito quello che intendevo» si risentì l’altro, alzandosi per restituire l’inchino. «Buonanotte, capitano.»

«Non sono più un comandante» gli fece presente lo spagnolo, mentre si avviavano sulle scale.

Arthur gli scoccò un ghigno furfante e replicò:

«Finché il mondo avrà memoria, il capitano Antonio Fernandez Carriero sarà ricordato come il più valente uomo di mare di tutti gli oceani.»

Il gestore fu sbalordito da un simile omaggio, tanto da rimanere senza parole. Del suo silenzio approfittò l’altro per scoccare una frecciatina finale, prima di sparire nella sua camera:

«Peccato che il corsaro della Queen of Pirates sia un poco più valoroso di lui.»

Antonio non trattenne un sorriso mentre terminava di salire le scale.

Grazie al cielo, il tempo cambiava molte cose, ma non tutte. E Arthur Kirkland non si sarebbe mai lasciato erodere dagli anni che passavano.

 

***

 

Furono due cose a colpirlo, quando entrò nella stanza.

La prima fu un piccolo oggetto che lo centrò alla bocca dello stomaco per poi finire rotolando sotto il comodino.

La seconda fu una voce rossa di rabbia che sibilò:

«Come può un uomo tanto stupido essere stato capitano de La Reina

Antonio massaggiò il ventre e richiuse la porta della camera spingendola con il bastone.

«Pensavo fossi già a letto, Lovino.» Assottigliò gli occhi per scorgere qualcosa in più del profilo umbratile del giovane: man mano che le sue pupille si adattavano alla fitta penombra della camera i lineamenti del ragazzo emergevano dalla notte, come un disegno di cenere su una tela nera. La poca luce lunare che strisciava attraverso le imposte spruzzò di argento i capelli e le pieghe dei vestiti, ma non riuscì a scostare l’ombra annidata sugli occhi. Tutto ciò non rappresentò un grosso problema: Lovino era talmente irato con lui che le iridi quasi luccicavano nel buio.

«Credevi che io valessi una sola peseta?» ringhiò.

Ecco cosa gli aveva lanciato addosso: la moneta che aveva fatto scivolare nella sua tasca durante il colloquio con Arthur.

«Hai detto che era quella a tenerti ancorato a questo posto» ribatté Antonio, sedendosi sul letto a fianco del ragazzo, che, per tutta risposta, arretrò fino a rimanere accovacciato sull’angolo più lontano.

«Quindi era il tuo modo per darmi il benservito.»

«Volevo solo farti capire che sei libero di accettare l’offerta del capitano, se è quello che vuoi.»

«E non potevi usare la tua fottuta bocca per dirlo?»

Un raggio lunare si frantumò nei suoi capelli quando Lovino scattò con il volto verso il basso.

«Liquidarmi con una moneta… mi hai preso per una puttana?»

Il palmo di Antonio si poggiò sulla testa del ragazzo e Lovino sgroppò come un torello per liberarsene. Ma questa volta l’uomo non aveva intenzione di assecondare la sua ostinazione: vedendo rifiutato il primo approccio, lasciò cadere il bastone per serrare il giovane in un abbraccio. L’impugnatura di metallo rintoccò contro il pavimento nella sorpresa muta che seguì il gesto dell’ex-capitano.

«Lasciami andare!» s’incaponì Lovino, agitandosi come se le braccia del compagno fossero fatte di tizzoni ardenti.

Antonio contenette la rivoluzione del ragazzo con una tranquillità encomiabile: non imprecò contro i pugni che gli tempestavano il petto, non gli permise di sciogliere il nodo del suo abbraccio e sopportò il suo dimenarsi senza mai smettere la maschera di accondiscendenza.

Quando finalmente la fatica spossò la sommossa, Antonio accentuò la presa sulla schiena del giovane, premendolo contro di sé.

Sollevò gli angoli della bocca in un sorriso nel momento in cui il fisico sodo del ragazzo si delineò contro il suo: Lovino non era più lo scheletro semovente giunto alla sua porta qualche mese prima.

«Ascoltami» comandò paterno. Il pescatore emise uno sbuffo incomprensibile, che non fermò l’uomo: «Non volevo offenderti. Volevo solo farti capire che sei libero di andare, se vuoi.»

«L’ho capito!» reagì Lovino, sollevando il volto. Per la prima volta, la luna riuscì a stracciare il drappo d’ombra dai suoi occhi, che balenarono nella notte come laghi castani. Il loro particolare sfavillio non fu dovuto solo all’azione dell’astro notturno: imprigionati nelle iridi orgogliose, si agitavano sciami di lacrime trattenute. «Sei così ansioso di buttarmi fuori?»

La gamba malata lanciò un gemito, ma venne ignorata dall’uomo, concentrato solo nello scostare la frangia fulva per poggiare un bacio sulla fronte del ragazzo.

«Lovino, ho detto che puoi andare, non che sei obbligato a farlo» bisbigliò sulla pelle seccata dal mare, e addomesticò il rimbrottare del compagno accarezzandogli i capelli profumati di vento e salsedine.

«Ma saresti felice se me ne andassi» s’invelenì lui.

«Lovino» la voce di Antonio scivolò in una tonalità roca e calda. Il giovane aveva imparato a riconoscere quella particolare cadenza tra tutte le altre; gli ricordava la sabbia di mezzogiorno, ardente e ruvida. Affiorava a raschiare le morbide tonalità spagnole solo quando Antonio parlava della sua ferita e del mare, ossia quando menzionava rispettivamente il suo dolore più grande e il suo amore più sconfinato. Come se la sua voce normale non potesse reggere emozioni troppo forti, e si sgretolasse sotto il peso di quei sentimenti incalzanti.

«Resta.»

Bastò una parola ad infrangere lo scudo di collera che Lovino aveva innalzato: quelle poche lettere trapassarono le sue difese come giavellotti, e si conficcarono dritte nello sterno. Perché Antonio usava la voce delle grandi emozioni per lui? Non era solo un suo dipendente?

Cercò di distanziarsi per osservarlo in volto, ma il compagno lo cinse con maggiore forza, immobilizzandolo.

«Lovino…» lo chiamò di nuovo, con quella modulazione arrochita.

La mano dell’uomo scivolò sulla sua guancia, guidandogli il viso verso l’alto.

Antonio non era fiero del suo comportamento. Aveva deciso di non imporsi, per lasciare Lovino libero di assecondare il suo ardore per le onde. Ma il suo piccolo pescatore era così bello, anche con i segni del mare sul volto: la salsedine incastrata nella zazzera rossiccia, il colorito abbronzato che il sole aveva coltivato sulle guance, la fragranza di iodio annidata nei vestiti. Era il modo in cui l’oceano esigeva quel ragazzo come suo, marchiandolo con i propri simboli; aveva ragione Arthur, il mare era un amante geloso.

Ma cosa poteva fare un fuoco d’acqua, in confronto ad un uomo innamorato?

Le labbra del capitano si appropriarono di ciò che i flutti non avrebbero mai potuto raggiungere: schiusero la bocca del giovane in un bacio, ed il respiro del ragazzo si intrecciò al suo.

Lovino non si lasciò domare istantaneamente: oppose un’instabile resistenza, altalenando tra momenti di cedimento e istanti di ostilità. Antonio attese che le animosità del ragazzo cessassero fino a sentirlo più malleabile nel suo abbraccio.

Fu Lovino il primo a troncare il bacio: quasi si rovesciò per la forza con cui si spintonò via.

«Ti odio» le dita si serrarono sulla camicia del compagno, scosse da un impercettibile tremore. «Perché devi sempre complicare tutto?»

«Se vuoi andartene, la peseta è sotto il comodino» lo informò carezzevole Antonio.

Il pugno non lo vide arrivare, ma le nocche di Lovino furono brutali nell’abbattersi sulle sue costole.

«Perché dai tanta importanza ad uno spicciolo?» si arrabbiò, sferrando un secondo colpo. «Sei davvero un uomo stupido.»

«Talmente stupido da chiederti di rimanere, non è così?»

«Fottiti.»

Antonio non si risentì della scurrilità del ragazzo. Al contrario, lo condusse con gentilezza sul materasso, al suo fianco. Tenne le mani saldate alla sua schiena, per impedirgli di arretrare, e la bocca sulla sua fronte perché anche la pelle potesse udire l’ultima richiesta:

«Resta qui, Lovino.»

Il ragazzo gonfiò le guance indispettite, ma fu l’unico segno del suo risentimento; le mani si appoggiarono sulle braccia dell’uomo con uno schiaffo appena trattenuto: quello era un abbraccio, nell’ottica bisbetica del giovane.

I baci caddero sul volto del pescatore con la dolcezza della pioggia primaverile, intervallati dalla voce roca dell’uomo che mormorava il suo nome.

 

   
 
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