Bora
L’alba
gli parve diversa, quella mattina: aveva visto
innumerevoli volte il manto violaceo del mare stingere in un rosa
pallido e poi
infuocarsi di rosso, seguendo i dettami del cielo soprastante.
Poggiò
una mano sul tessuto ruvido della camicia,
all’altezza del ventre.
Forse
il cambiamento non era nel sole che sorgeva.
Quella
notte aveva visto per la prima volta la cicatrice di
Antonio, un piccolo cratere di pelle nivea. Sembrava impossibile che
una cosa
così modesta avesse potuto cambiare tanto la vita
dell’uomo.
Scosse
la testa per sbatacchiare fuori quei pensieri
inopportuni, ma la spiaggia lo tradì: il timido calore
dell’alba che si
insinuava nei suoi vestiti gli ricordò il tepore del corpo
del compagno, la
pelle riscoprì nello scirocco che la sfiorava le carezze del
capitano, e la
risacca scrosciante sembrava chiamarlo con la voce roca che
l’aveva fatto
fremere la sera prima...
«Già
sveglio a quest’ora?»
Lovino
quasi saltò sul posto come un gatto selvatico: troppo
preso dai suoi pensieri, non si era accorto del capitano seduto sulla
sabbia
fresca. Anche se quel giorno l’uomo non indossava la
sgargiante uniforme,
avrebbe dovuto comunque notare di non essere da solo sulla battigia.
L’inglese
lo squadrò con calma, giocherellando con la pipa
che teneva in mano.
«Hai
dormito male» sancì alla fine. «O non
hai dormito
affatto.»
«Ho
dormito benissimo» lo contraddisse Lovino, abbassando
però il cappello per coprire gli occhi affaticati.
«Davvero?»
si meravigliò sornione Arthur.
Il
ragazzo annuì scontroso, e sollevò il colletto
della
camicia: i baci di Antonio marchiavano la sua pelle nonostante la notte
fosse
finita, e preferiva che l’astuto capitano non notasse il
petalo rosso che
svettava sopra la clavicola.
Il
pescatore si diresse verso la barca rovesciata e appoggiò
l’equipaggiamento sulla sabbia per poterla ribaltare. Non
riuscì a farlo:
Arthur si appoggiò al guscio ligneo, impedendogli qualunque
azione.
«Pensi
di proporti per la Queen of Pirates?»
Sentire
lo spagnolo storpiato affiancato all’inglese fluido
del capitano nella stessa frase faceva davvero un buffo effetto, ma
Lovino non
era dell’umore per ridere.
«Una
volta preso il largo è difficile tornare indietro,
sai?» lo ammonì Arthur, picchiettando
l’estremità grassoccia della pipa contro
il legno della barca.
«Perché
siete così interessato alle mie scelte?»
«Perché,
se tu declini l’offerta, dovrò cercare un nuovo
mozzo» replicò con candore Arthur. «E
perché mi sembra che tu sia molto affezionato
a questo posto.»
«Questo
sarebbe un valido motivo per partire» oppose Lovino,
in attesa che il capitano si spostasse dalla barca.
L’inglese
poggiò la pipa alle labbra e ne masticò
l’imboccatura, assorto.
«Perdonami,
ma l’essere innamorato… di questa
città» si
corresse, notando il cipiglio corrucciato del giovane. «Non
dovrebbe essere un
motivo per restare?»
«Niente
affatto» mugugnò Lovino. Doveva ricordarsi
dell’Italia che gli aveva accoltellato il cuore e della
famiglia che gli aveva
ridotto a brandelli l’anima. Se voleva salvare quel poco che
gli era rimasto,
non doveva permettere a nessuno di metterci le mani sopra. Nemmeno ad
Antonio.
Arthur
si sporse sulla barca e lo avvertì:
«Se
salperai con noi, ragazzo, difficilmente tornerai in
questo porto. E, se ci tornerai, sarà solo per vedere come
la vita è continuata
senza di te, e forse sarà anche peggio che non farvi
ritorno. Pensa a questo
mentre deciderai.»
Lovino asserì
velocemente, facendogli capire che il tempo delle chiacchiere era
finito. Il
capitano si sollevò dall’imbarcazione, e
finalmente il ragazzo poté girarla e
caricarla con l’attrezzatura per la pesca.
Arthur
si allontanò, lasciandolo solo con il suo lavoro.
Tanti
anni prima, lui non era riuscito ad abbandonare il
mare per stare al fianco del suo amico; l’espressione di
Antonio, quella volta,
era speculare a quella di un naufrago che vede i soccorsi passare senza
dargli
aiuto. Sperava che almeno quel ragazzo riuscisse a preferire un
abbraccio vivo
alle fredde lusinghe dell’oceano.
Tuttavia,
Antonio aveva ragione: Lovino era come loro, nel
bene e nel male.
Il
capitano abbandonò la spiaggia durante il risveglio dei
gabbiani e dei loro stridii scoordinati.
***
«Ma
come poteva essere indecisa?» si adirò una
ragazzina.
«E’
difficile scegliere tra due sogni di pari valore:
Antonio e il mare occupavano ciascuno metà del suo cuore. Fu
arduo decidere. E
non dimenticate che la poverina
usciva scottata dai suoi precedenti legami: come biasimarla se non
voleva
soffrire di nuovo?» Francis difese la docile
pulzella sentendo il viscidume della bugia scivolargli lungo
la spina dorsale.
«Ma
avrebbe sofferto comunque!» obiettò una delle
amichette.
«Lei pensava di
patire di meno recidendo quel sentimento prima che diventasse troppo
forte»
spiegò Francis.
«Ma…
ma non è vero! Era già innamorata!» una
delle
tredicenni quasi pianse nel lanciare quel lamento.
«Ma
non voleva ammetterlo. Ricordatevi che lei considerava
l’attaccamento affettivo un errore: ecco perché
non voleva assolutamente
ammettere di provare qualcosa per l’ex-capitano.»
«E…
come continua la storia?» pigolò la prima, con il
labbro
tremulo.
«Avete
mai sentito il detto: “Le decisioni si prendono
all’alba”? Fu proprio il sole che spuntava in cielo
a udire la conclusione cui
giunse la giovane dopo lunga e
sofferta meditazione. Passò una settimana
dall’incontro con il capitano, e
mancavano altri sette giorni prima che la Queen
of Pirates partisse.»
Francis
ricominciò a narrare, pago delle espressioni
addolorate delle signorine.
***
L’alba
distribuì una cascata di rame sui tetti, sui muri e
sui selciati, incendiando la città con i colori del sole
nascente.
Lovino
non riuscì ad apprezzare lo spettacolo: era sveglio
da ore, seduto sul bordo del letto del gestore della locanda, vestito
della
sola camicia di tessuto grezzo. Stringeva la coperta tra le dita, la
testa lievemente
incassata nelle spalle; i sospiri bloccati si impastavano tra di loro
in un
groviglio vischioso a livello dell’esofago.
Antonio
si mosse sotto le lenzuola, per poi alzarsi a sedere
con il viso stropicciato di sonno. Ebbe qualche difficoltà
nel sistemarsi sul
materasso per via della gamba, che ancora non aveva smesso di dolergli,
benché
il temporale fosse passato.
«Ho
deciso» comunicò Lovino, senza lasciargli nemmeno
il
tempo di rivestirsi.
Antonio
batté le palpebre per cacciare gli ultimi residui di
torpore, e rassettò le coperte in modo che coprissero
l’indispensabile prima di
invitare Lovino a proseguire.
«Accetterò
la proposta del capitano.»
Lo
vide andare in pezzi, lo sentì
andare in pezzi.
Con
una sola frase, aveva devastato l’uomo che gli stava di
fronte: restò integro nel corpo, ma qualcosa dentro di lui
si spense e si
frantumò, come se qualcuno avesse fatto cadere la lampada
del suo spirito.
Con
stoicismo invidiabile, Antonio riuscì a rispondere,
sfoggiando
persino un sorriso tirato:
«D’accordo.
Te l’ho detto, sei libero di partire. Arthur
sarà felice di averti nella sua ciurma.»
Non
aggiunse altro: si sporse verso il ragazzo e lo
strattonò contro di sé in un abbraccio possessivo.
Il
giovane simulò un flebile dissenso per pura scena, ma la
sua finta si incagliò nella preghiera dell’uomo:
«Non
alzare la testa, Lovino.»
La
voce rauca grondò fuori dal cuore spaccato, e Lovino,
quella volta, ubbidì. Se Antonio non voleva che lui
drizzasse il capo per
vederlo in viso, l’avrebbe fatto: almeno quel piccolo favore
poteva
concederglielo.
Artigliò
le spalle dell’uomo e spinse la fronte nell’incavo
del suo collo, ad occhi chiusi.
Restarono
così, stretti uno all’altro, ciascuno trincerato
nel rispetto del dolore altrui: nessuno dei due aprì le
palpebre per vedere la
sofferenza del compagno. Lovino si sciolse dall’abbraccio a
testa bassa;
Antonio girò il viso verso la parete opposta, e
restò così mentre il ragazzo si
rivestiva e scendeva.
Dopo,
solo dopo che se ne fu andato, si afferrò la testa con
le mani.
***
Fu
più lento del solito a scendere le scale, quella mattina:
aveva l’impressione che qualcuno gli avesse colato del piombo
fuso nelle
arterie della gamba. Perfino con il bastone fece fatica a raggiungere
il piano
terra, e ciò suscitò la preoccupazione dei suoi
dipendenti.
Li
rassicurò velocemente e si recò nella sala
principale,
dove il capitano inglese si stava riposando sul divanetto.
«Partirà»
telegrafò Arthur, vedendolo entrare.
«Lo
so. Lo immaginavo da prima che me lo dicesse» disse
Antonio, sedendosi al suo fianco con un sospiro di sollievo: la vecchia
lesione
sembrava impazzita, quella mattina.
Arthur
lo esaminò critico, e corrugò la fronte in segno
di
disapprovazione.
«Antonio,
non offenderti, ma sembra che tu sia appena
tornato dal regno dei morti» constatò clinico il
capitano.
«Sei
il solito esagerato» lo acquietò il padrone
dell’albergo.
«La
nave parte tra sette giorni.»
«Lo
so.»
«Non
lo vedrai più.»
«E’
probabile.»
«E
lo accetti?»
Antonio
serrò i pugni, come aveva fatto quando il medico gli
aveva estratto il proiettile dalla carne viva.
«Dovrò
accettarlo» decise alla fine.
«Io
non posso obbligare te a trattenerlo né lui a restare.
Ma se entra davvero nel mio equipaggio, non cambierò le
rotte perché lui possa
tornare a trovarti, lo capisci?» insistette Arthur.
«So
quali sono i doveri di un capitano. Fallo diventare un
bravo uomo di mare, e non te ne pentirai» previde Antonio.
«Ma
tu sì» replicò brutale
l’altro. «Perché rendi sempre
tutto complicato?»
Antonio
sorrise con amarezza, ricordando:
«Mi
è stata mossa questa stessa critica circa una settimana
fa.»
Arthur
digrignò i denti, seccato. Non aveva diritto di
intromettersi oltre nella vita di quei due, ma
l’arrendevolezza di Antonio lo
faceva imbestialire: non capiva con quale spirito avesse deciso di
martirizzarsi
a quel modo, rinunciando volontariamente all’unica persona
che per lui fosse
paragonabile al mare.
«Partiremo
tra sette giorni, con la marea» gli ricordò,
alzandosi. «Se vuoi fare qualcosa, fallo entro quella
data.»
«Salpa
tranquillo con il tuo nuovo mozzo» ribatté
Antonio,
con spossata affabilità.
Restò
immobile sul divano ancora per un po’, ad ascoltare il
tempo che passava.
Poi
fece leva sul bastone e si rialzò.
C’erano
ancora tante cose da fare.
La
giornata lavorativa era appena iniziata.
***
Le
tredicenni lanciarono un acuto lacrimoso.
«Come
ha potuto?» guairono.
«Aveva
preso la sua decisione, e voleva portarla fino in
fondo: sarebbe partita la settimana seguente»
rimarcò Francis, con una vena di
sadismo.
«Dunque
partì?» s’impensierì la donna
con la crocchia.
Francis
si concesse un’abbondante manciata di secondi per
accrescere la tensione delle giovinette.
«La
storia è quasi terminata. E questa è la
conclusione.»
Prese
fiato e cominciò.