Ave Maria
La
notizia scottò sulla pelle come un tizzone ardente, e
Lovino faticò a restare fermo sulla sedia.
L’abitudine
l’aveva convinto che Antonio fosse nato nella
città in cui aveva avviato la sua locanda. Mai avrebbe
immaginato che
provenisse da un altro villaggio, per di più flagellato
dall’Inquisizione.
Nicolas
sfilò l’anello, lasciandolo penzolare
sull’ultima
falange.
«Vivevi
in una cittadina ammorbata dagli eretici» si
giustificò candido l’uomo. «Per quanto
drastica, era un’operazione necessaria. Soprattutto
per le anime di quei peccatori.»
«Sono
sicuro che vi avranno benedetto per la vostra premura,
mentre il rogo gli dilaniava le carni.»
Antonio
non aveva mai usato parole meno che gentili, in sua
presenza, le labbra perennemente curvate in un sorriso e la voce
impostata su
modulazioni calde e amichevoli come il sole spagnolo. Se non
l’avesse visto con
i propri occhi, non avrebbe mai creduto al distacco ghiacciato nelle
iridi
dell’uomo; se non l’avesse udito con le proprie
orecchie, non avrebbe mai
ipotizzato la lama del distacco nelle sue parole e il macigno del
rancore nella
sua gola. Strinse i pugni sulle ginocchia, sperando che
quell’interrogatorio
finisse presto: Antonio stava diventando la personificazione della
vendetta, e
quella sua trasformazione lo spaventava più delle
insinuazioni
dell’Inquisitore.
«Li
abbiamo salvati dalle fiamme eterne, che si sarebbero
cibate della loro anima, e non del loro corpo»
classificò Nicolas.
«Ammirevole»
si complimentò monocorde Antonio, stringendo la
presa sul bastone e parandosi ulteriormente davanti a Lovino.
«Hai intenzione
di innalzare qualche rogo salvifico anche qui?»
«Solo
se sarà necessaria una purificazione»
l’anello tornò
al suo posto, e Nicolas si accomodò tracotante sulla
poltrona. «Non possiamo dimenticare
la nostra missione contro le eresie, per quanto possa sembrare
spaventosa.
Satana non dorme mai.»
«Concordo»
asserì Antonio, fissando eloquente l’Inquisitore.
Nicolas
passò una mano tra i capelli in cui si mescolavano
castano e argento, lentamente, lasciando che un silenzio teso si
allungasse tra
di loro.
«Ma
non stasera. Sono venuto solo per farti visita»
garantì
infine. Studiò lo spazio circostante con attenzione e
dichiarò, teatrale: «Temo
che manchi una persona.»
Lovino
lo fissò senza capire, e la medesima confusione
passò
anche sul volto di Antonio.
«La
vostra amata» spiegò Nicolas. «Avete
spezzato il cuore a
molte fanciulle per quella donna. Ma non la vedo nella vostra
locanda.»
Il
pescatore si fissò le dita con vivo interesse. Un
miscuglio di emozioni gli stava agitando le viscere: l’acido
del tradimento gli
attaccava lo stomaco, e il rombo della rabbia gli echeggiava tra le
costole.
Non sapeva niente di quella presunta donna. Ma non voleva rischiare di
dire
qualcosa che potesse mettere Antonio nei guai, o di battere le palpebre
in modo
compromettente: un Inquisitore poteva accusare sulla base di un respiro
troppo
rumoroso. Doveva aspettare; avrebbe fatto la sua scenata non appena si
fossero
trovati da soli e lontani da orecchie indagatrici.
Le
sopracciglia dell’uomo scattarono nervose quando
compresero le trame dell’Inquisitore.
«Hai
mandato tu le due giovani di ieri sera»
l’irritazione
di Antonio, scacciata forzatamente dalla voce, migrò nelle
nocche, sbiancandole
completamente.
«Non
sono le uniche ad essere state rifiutate per questa
donna, presumo» Nicolas sorvolò la domanda con
insolente noncuranza. «La tua
prediletta è ormai una favola che gira per le
strade.»
«E
tu presti orecchio alle favole cittadine? Invidio il tuo
tempo libero: io sono così indaffarato con la gestione della
locanda che riesco
a malapena a respirare» replicò
l’ex-capitano.
«Ascoltare
le voci di popolo fa parte del mio lavoro. I
mormorii delle strade sono le confessioni del volgo: non hai idea di
quanta
verità possa nascondersi in esse. Ebbene?»
insistette l’Inquisitore.
La
mano di Antonio, ben nascosta dallo sguardo di Nicolas,
sfiorò appena la coscia di Lovino. Non comprese cosa volesse
comunicargli con
quell’accenno di carezza, ma il pescatore serrò le
labbra e contenne il
malcontento. Fu così che riuscì a controllare il
colpo che la successiva
affermazione dell’uomo gli assestò dritto nello
sterno.
«E’
vero, amo una donna. Ma la mia fede nuziale è in un
sepolcro. E’ morta anni fa» rivelò
Antonio.
Gli
occhi rapaci del cacciatore di blasfemie si dilatarono
in un’esagerata sorpresa.
«Davvero?
Le mie condoglianze, non intendevo mancarti di
rispetto» si scusò l’Inquisitore con
squisita falsità. Le dita predatorie si
appoggiarono sull’anello. «Immagino che le visite
alla sua tomba siano
frequenti…»
«Sarebbe
complicato. Si trova oltreoceano» si difese
Antonio.
«Oh…
era un’indigena?»
«Un’emigrata
spagnola. La sua famiglia si era trasferita
nella colonia.»
«Doveva
essere molto giovane, se l’hai conosciuta navigando.
Come può…»
«Malaria»
Antonio anticipò la domanda del rivale. «La febbre
l’ha portata al delirio e alla morte in poco più
di una settimana.»
Il
lontano rombo di un tuono suonò come una campana funebre.
«Deve
essere stato straziante» giudicò Nicolas, senza
dispiacere nella voce. «E per questo hai deciso di esserle
devoto fino alla
tomba?»
«I
motivi non dovrebbero interessarti, se davvero non vuoi
mancarmi di rispetto» lo riprese Antonio, visibilmente
seccato.
«Capisco.
Ti chiedo di perdonarmi» si schernì
l’altro. Si sporse
per oltrepassare con lo sguardo l’ex-capitano, e Lovino
percepì la lancia
gelida della paura scorrergli lungo la colonna vertebrale.
«E’
in memoria della tua dama che hai dato rifugio ad un
immigrato?» investigò l’Inquisitore,
fissando il pescatore. «Entrambi hanno
abbandonato la loro terra natia.»
«Sono
un buon pescatore. E’ per questo che lavoro qui.»
La
fronte di Nicolas si increspò al centro, come se avesse
sentito parlare una statua. Sebbene un po’ gracchiante, la
voce di Lovino era
uscita chiara e comprensibile.
Il
primo tuono fu seguito dal corteo dei suoi fratelli,
preannunciati da alcune scariche si lampi che abbagliarono i vetri
della
locanda.
«Sei
davvero generoso ad assumere un immigrato senza
referenze e senza famiglia» considerò, prima di
rivolgersi nuovamente a Lovino:
«So che siete orfano.»
«Sì»
convalidò. Non capiva perché si rivolgesse in
tono
tanto formale a lui, che era solo un pescatore, e parlasse con tanta
familiarità ad una leggenda dei mari come Antonio. Forse era
anche quella una
tattica per disorientarlo.
«Siete
molto devoto al vostro padrone, nevvero?» rimarcò
Nicolas, congiungendo le punte delle dita. «Avete rifiutato
l’occasione della
vostra vita per lavorare qui.»
«Prego?»
«Far
parte dell’equipaggio della Queen
of Pirates è il sogno di molti marinai. Eppure voi
avete
preferito rimanere qui» espose l’uomo, un ghigno
sardonico che si faceva strada
sulle labbra maligne.
«Ho
capito che la vita di mare non faceva per me»
spiegò
conciso Lovino.
Come
faceva quell’uomo a sapere anche quello?
Era una delle storie di cui parlava con più riserve, e
certamente non gli faceva piacere che un Inquisitore cercasse di
ritorcerla
contro di lui.
«Eppure
pescate ogni giorno» cercò di coglierlo in fallo
l’altro.
«Mi
bastano poche remate per pescare. È molto diverso
dall’imbarcarsi per mesi» Lovino quasi
ringhiò, nonostante le spalle abbassate
e le dita contratte.
«E
l’avete capito semplicemente salendo la
passerella?» lo
sfidò Nicolas.
«Sì,
signore. Se voi foste un marinaio, capireste»
attaccò a
sua volta il ragazzo. Il suo cuore era raggrinzito dalla paura, ma non
avrebbe
permesso a quell’uomo di rigirarlo secondo i propri capricci
come stava facendo
con il suo anello.
Uno
scroscio di pioggia si aggiunse allo spettacolo dei
lampi e dei tuoni, riempiendo tutto il cielo con le musiche della
tempesta.
Nicolas
si voltò a fissare una finestra sferzata dalle
intemperie, e decise fosse giunto il momento del commiato.
«Chiedo
scusa per avervi sottratto tanto tempo. Vi ringrazio
per la piacevole compagnia» salutò, dirigendosi
tranquillo verso la porta.
«Fai
attenzione ai fulmini» non vi era premura nelle parole
di Antonio, ma Nicolas le accolse comunque come la più
sentita delle
preoccupazioni.
«Fai
attenzione al tuo pescatore. Non lo farei uscire con una
simile bufera» l’Inquisitore scoccò la
sua ultima illazione prima di essere
inglobato dalla tormenta.
Per
un momento, il tempo smise di scorrere nella locanda:
solo la pioggia che batteva furiosa sui vetri indicava che il mondo non
si era
fossilizzato.
Il
primo a rompere quella quiete innaturale fu il cuoco.
«Stavo
per strozzarlo!» barrì, furibondo.
«Giuro, gli avrei
cavato quel sorrisetto con… dove vai, tu?»
esclamò, afferrando Lovino per il
colletto.
«Devo
andare a pesca» rispose brusco il ragazzo.
«A
quest’ora? Con questo tempo?» lo
rimproverò il cuoco,
rispedendolo indietro con le sue mani da galeotto. «Sono le
quattro di notte.
E, con questa pioggia maledetta, non penso ti convenga andare a
pescare.»
«Dovrei
passare la giornata a oziare?» s’inasprì
il giovane.
«Puoi
aiutarli con il servizio. Che non comincerà prima
delle cinque e mezzo, comunque» suggerì Antonio,
alzandosi dalla sedia.
Lovino
chinò sbrigativamente il capo e si diresse a passo
veloce verso la propria stanza.
«Quell’Inquisitore
l’ha innervosito parecchio» notò il
gigante, poggiando i pugni contro i fianchi rocciosi.
«No,
non è stato Nicolas. E’ arrabbiato con
me» sospirò
Antonio.
«Con
te?» si sbalordì l’omone.
Non
era molto difficile fare previsioni su Lovino. Era come
indovinare l’indole del cielo: determinati segnali
corrispondevano a precisi
cambiamenti umorali. Nicolas lo aveva spaventato, ma lui lo aveva
irritato. E
conosceva anche il motivo.
«Vado
a parlargli» il bastone si mosse con più fatica
del
solito mentre Antonio raggiungeva la stanza del ragazzo. Sperava che la
stagione delle piogge finisse presto e, con essa, le torture alla sua
gamba.
«Non
sapevo nulla di questo tuo grande amore» sparò
Lovino
non appena il compagno varcò la soglia.
Il
petto dell’uomo si rilassò
nell’esalazione di un profondo
sospiro: la sua intuizione si era rivelata corretta. Era stato il
discorso
sulla spagnola emigrata a indispettire Lovino, che ora se ne stava
seduto a
braccia conserte, appallottolato su se stesso come un riccio bellicoso.
Antonio
trascinò in avanti la gamba fino a sedersi a sua
volta sul letto. Come prevedibile, il giovane si spostò sul
lato opposto.
«Non
te ne ho parlato perché non esiste» il pescatore
storse
il capo per fissarlo con un cipiglio ostile, e l’uomo
rincarò: «Ho dovuto mentire.»
«Perché?»
volle sapere il ragazzo.
Antonio
passò una mano sul viso, pesantemente.
«Perché
l’Inquisizione considera sacrilego un rapporto come
il nostro» esalò.
Quell’affermazione
sciolse le spalle conserte di Lovino, e
ne moderò impercettibilmente la tensione.
«Perché
l’Inquisizione dovrebbe considerarlo sacrilego?»
domandò il giovane.
Antonio
inclinò la testa all’indietro per sciogliere i
muscoli del collo, indolenziti dal poco riposo.
«Pensano
che non sia nell’ordine naturale delle cose»
raddrizzò
la testa e continuò: «In Natura esistono uomini e
donne, quindi è logico che
gli uomini giacciano con le donne. Se la Natura avesse voluto
diversamente,
avrebbe creato solo uomini o solo donne. E poi, l’unione tra
uomo e donna
genera un figlio, quindi un futuro. Ed è innaturale che un
uomo si privi da
solo del proprio futuro, giusto?»
«Quindi
per loro non è logico che un uomo possa volere un
altro uomo» terminò Lovino.
«Non
solo non è logico, è un’offesa ai
più vincolanti
dettami della Natura» ribadì Antonio.
«Quindi, se un uomo sceglie di amare una
persona del suo stesso sesso, sta infrangendo una delle leggi
più sacre
dell’universo. E per commettere un simile peccato, che non
è proprio della sua
indole, vuol dire che è stato fuorviato.»
«Fuorviato?»
gli fece eco Lovino.
«Dal
diavolo. Solo Lucifero può convincere una persona a
commettere una tale blasfemia, secondo loro. Pertanto, il demonio va
estirpato.
E questo significa…» l’ex-capitano
deglutì, incapace di finire la frase.
«Purificazione»
sussurrò il giovane, appena udibile.
«Con
il fuoco» Antonio asserì, serrando le mani
all’impugnatura del bastone.
Il
materasso di paglia scricchiolò a seguito dello
spostamento di Lovino verso il compagno.
«Non
hai bisogno di parlarne» lo consolò rudemente.
Il
padrone della locanda impiegò qualche istante a
rispondere: dovette scuotere la memoria per cacciare dagli occhi
l’immagine di
una città carbonizzata dal sospetto, e segnata dalle nere
cicatrici dei roghi.
Attirò a sé il ragazzo con un brusco strattone e
respirò il profumo familiare
dei suoi capelli, scacciando dalle narici il puzzo di
quell’orrore ancora vivo
nei suoi ricordi.
«Te
ne parlerò» promise l’uomo,
carezzandogli le ciocche
sulla nuca. «Ma stasera… no.»
Lovino
annuì contro la sua clavicola, poi rimase immobile.
Le
sue labbra si piegarono poco dopo a formare una protesta
tremolante. La voce vacillò sotto il peso delle lacrime
trattenute, e lo stress
per lo spavento di poco prima trasmise un lieve tremore alle mani
chiuse a
pugno.
«Diceva
che ho sprecato la mia occasione. Ma cosa ne sa,
lui, di me?»
«Cerca
solo di confonderti. E’ uno specialista in questo»
tentò di tranquillizzarlo Antonio, inutilmente. Le spalle
del ragazzo quasi
sobbalzarono, e la testa venne chinata di scatto per non mostrare le
lacrime al
compagno.
«Detesto
che quella storia continui a saltare fuori. Ho
fatto la mia scelta, d’accordo? Un estraneo non
può venire a dirmi qual è
l’occasione della mia vita.»
«Lovino…»
Antonio lo costrinse ad alzare la testa con due
dita sotto il mento: Lovino fece resistenza il più possibile
e, quando si trovò
a volto scoperto, deviò lo sguardo verso il basso,
infuriato. Un’altra cosa che
detestava era come Antonio avesse la capacità di coglierlo
sempre nei suoi
momenti di maggiore debolezza: doveva essere disgustoso mentre frignava
come
una donnetta. Tuttavia l’ex-capitano non sembrò
nauseato nell’asciugargli le
lacrime con il pollice, e nemmeno quando baciò la scia
salata sulle guance.
«Non
permettergli di sconvolgerti così. E’ quello che
vuole»
mormorò sulla sua tempia.
Lovino
restò muto così a lungo che Antonio temette fosse
svenuto. Poi una domanda flebile, dal retrogusto amaro,
fuoriuscì dalle sue
labbra:
«Davvero
non c’è nessuna emigrata spagnola?»
L’uomo
sorrise sulla sua capigliatura ramata. Anche quegli
sbalzi di umore, quell’accatastare frasi sconnesse in un
unico discorso, erano
deliziosamente tipici del giovane pescatore.
«Lovino»
lo chiamò, sollevandogli il viso. «La mia
occasione
sei tu.»
Avrebbe
ripetuto quella frase un milione di volte solo per
gustare lo sbigottimento che si rovesciò sul volto del
ragazzo.
«Credevo
fosse il mare» articolò Lovino.
«Era»
catalogò brevemente l’altro.
Rimasero
così, abbracciati sul letto senza proferire verbo,
circondati dal rumore della tempesta e cullati dalla presenza del
compagno.
«E’
meglio che vada» decise Antonio, cercando il bastone per
alzarsi. «Tra poco cominceranno i preparativi per il
servizio, e abbiamo un
disperato bisogno di riposare…»
Le
dita incerte del giovane si strinsero sulla stoffa al
centro della schiena, bloccandolo.
«Ti
fa male la gamba. Non devi fare le scale. Dormi qui»
telegrafò, spostandosi per fargli spazio.
Antonio
fissò critico il giaciglio, e stette ad osservare le
manovre di Lovino per farli adagiare entrambi su un letto progettato
per
un’unica persona.
La
soluzione finale per il pescatore fu stendere
l’ex-capitano di schiena e sdraiarsi sul suo ventre.
«Sicuro
di stare comodo?» lo prese in giro Antonio,
circondandolo con un braccio perché non cadesse.
«No.
Le tue costole mi stanno pugnalando» rimbrottò
Lovino,
accucciandosi su di lui.
«Non
posso toglierle» fece notare il locandiere.
«Lo
so. Buonanotte» troncò il ragazzo.
Poggiò la testa sul
suo petto, ben acciambellato sull’addome del compagno, e
chiuse gli occhi nella
pretesa di dormire.
Mascherare
una gentilezza con il fiele. Anche quello era
Lovino, il suo Lovino.
Allargò
le dita sulla schiena del giovane, e le richiuse
stringendolo a sé. Serrò a sua volta le palpebre,
pronto a concedersi un po’ di
meritato riposo.
Per
quanto la bufera potesse essere spaventosa, per quella
notte era sicuro che la gamba non gli avrebbe fatto male.
***
Le
spine dell’agitazione tennero ben lontano il sonno,
facendola quasi ballare sul letto alla ricerca di una posizione
più comoda.
Alla
fine desistette, e si rialzò con un verso risentito.
Tentò di pettinare la chioma annodata dalla preoccupazione
con le mani, e aveva
ancora le dita infilate tra le ciocche crespe quando bussarono alla
porta.
«Non
riesci a dormire nemmeno tu, vero?» la salutò
Diego,
entrando nella stanza subito seguito da un burrascoso cuoco.
«Chiunque
abbia visto Nicolas non dormirà affatto, questa
notte» predisse la donna. Si sistemò uno scialle
sulle spalle perché non la si
accusasse di impudicizia: non era così libertina da
accogliere ben due uomini
nella sua camera vestita della sola camicia da notte.
«Quello
è un topo di fogna» sberciò
l’omone, emettendo un orribile
verso con il naso. «Sta alle costole di Antonio da quando ha
aperto questa
taverna!»
«Io
penso che l’abbia preso in antipatia da quando era
corsaro» osservò Diego.
«Il
successo ha come rovescio l’invidia altrui»
completò
Consuelo. «Oppure è arrabbiato con lui
perché gli è sfuggito la prima volta.
Avete sentito cosa ha detto Antonio del suo paese…»
Il
raccoglimento per il dolore del padrone della locanda li
zittì per un minuto intero.
«Ma,
finché era capitano, godeva della difesa del re. Ora
invece…»
il giovane cameriere venne sorpreso dalla sua immagine riflessa nello
specchio
di bronzo della donna: «Buon Dio, oggi i clienti avranno
l’impressione di
essere serviti da un morto vivente» si
raccapricciò, valutando l’estensione
delle occhiaie e il gonfiore delle palpebre.
«Ho
dei cosmetici, se vuoi rimediare» propose Consuelo.
«No,
grazie. Meglio affondare con dignità che sopravvivere
con infamia» dichiarò sicuro Diego.
«Io
non credo che il re sia del tutto indifferente alle
richieste di Antonio» echeggiò il cuoco, fermo
alla discussione di poc’anzi.
«Voglio dire, è stato uno dei suoi servitori
più fedeli. Nonché uno di quelli
che hanno ingrassato di più i forzieri reali.»
«Però
il re è lontano» Consuelo si strinse nello scialle
per
un brivido improvviso. «Se anche Antonio dovesse chiedere un
favore,
passerebbero intere settimane prima che il sovrano ne sia
informato.»
«Ma
è comunque una delle persone più benvolute di
questo
posto!» protestò l’omone.
«Sicuramente si ribellerebbero tutti se ad Antonio dovesse
succedere qualcosa!»
«Io
credo invece che starebbero zitti e quieti se
l’Inquisizione minacciasse di buttare anche loro sul
rogo» lo contraddisse
Diego.
Consuelo
giocherellò irrequieta con le nappine dello scialle
e bisbigliò:
«Non
ho paura solo per Antonio. Lovino è più indifeso,
più
vulnerabile… E’ una preda molto più
facile.»
«Ma
non può accusarlo di niente» confutò il
cameriere.
«E
quando mai questo ha fermato i fuochi
dell’Inquisizione?»
Gli
uomini si guardarono, pietrificati e inorriditi.
«Sarebbe
capace di fargli del male solo per vedere Antonio
soffrire» predicò mesta la donna.
«Forse
ci stiamo preoccupando troppo» Diego cercò di
risollevare il morale. «Voglio dire, prima li ho sentiti
parlare. Non gli hanno
dato motivo di sospettare, no?»
Consuelo
si strinse nelle spalle, senza più la forza di
aggiungere altro.
«E,
comunque, è ora di cominciare il nostro lavoro»
annunciò
il giovane, trascinando fuori dalla stanza il corpulento cuoco.
La
donna si alzò per seguire gli uomini ma, prima ancora di
alzarsi dal letto, gettò uno sguardo al soffitto e
mormorò una preghiera
rivolta a qualunque santo, angelo o divinità avesse voglia
di ascoltarla.
Che
la locanda potesse rimanere sempre come negli ultimi
mesi.
Che
gli artigli dell’Inquisizione non ghermissero la loro
pace.
E
che la felicità di Lovino e Antonio potesse essere
preservata.
Prega
per noi
peccatori
Adesso
e
nell’ora della nostra morte
Amen.