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Autore: HamletRedDiablo    26/12/2013    0 recensioni
Un capitano e un pescatore vivevano felici su una locanda vicino al mare.
Finché l'ombra dell'Inquisizione non si stese su di loro. E il mondo si riempì di cenere.
[Seguito di "Rosa de los Vientos"]
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Inghilterra/Arthur Kirkland, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Rosa de los Vientos'
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Nunc Dimittis

 

L’umidità della notte offuscò il lume, che fluttuò spettrale sul ponte di prua.

Il chiarore della lampada spalmò un colorito cereo sulla pelle del suo interlocutore, impallidito per gli avvenimenti della serata.

Arthur lanciò un’occhiata alla sagoma crudele degli scogli dietro di loro, punteggiata dalla spuma delle onde turbolente. Non era un fervido fedele, anzi, provava quasi compassione per quelle persone che non sapevano respirare senza una manciata di salmi in bocca; tuttavia, provò un forte desiderio di credere in un’entità superiore per potervi così rivolgere una preghiera.

Fece ondeggiare il lume, spostando lo sguardo acquamarina sulla persona di fianco a lui.

«Raccontami cosa è successo» esigette.

Le labbra del suo interlocutore si incresparono per un attimo, prima di schiudersi nel racconto.

 

***

 

Antonio aveva sentito il cuore fermarsi quando Lovino si era avvicinato a Nicolas e alle spade sguainate contro di lui: ogni passo gli aveva fatto perdere un battito e un anno di vita.

Poi Lovino aveva parlato.

«Forse i capelli lunghi vi hanno tratto in inganno, e vi siete dimenticato una cosa. Io non sono una donzella indifesa.»

Poi, il mondo impazzì. Si trovò catapultato in una baraonda simile agli arrembaggi più incontrollati dei suoi primi periodi in mare: non c’era tempo per pensare, non c’era tempo per respirare. Bisognava seguire il ritmo asfittico di un ballo con la morte, in cui ogni passo poteva essere l’ultimo.

L’Inquisitore urlò quando il pugnale dell’italiano, veloce come una serpe, si conficcò nel suo fianco. La ferita vomitò un getto copioso di sangue sulla mano guantata che era accorsa a premere i lembi della lesione, cercando inutilmente di sigillarli.

Le dita e i nerbi di Lovino vacillarono nel sentire le vene squarciarsi contro la lama del pugnale e l’odore dolciastro del sangue fare irruzione nelle sue narici; la facilità con cui lo stiletto aveva aperto le carni del cacciatore era quasi sconvolgente, e divenne improvvisamente consapevole delle gocce di sangue che scivolavano sul suo viso come vermi cremisi. Uno scatto nervoso involontario gli serrò la mascella e gli occluse lo stomaco, scatenando un’improvvisa urgenza di vomitare.

Le guardie sollevarono le spade, pronte ad affondarle nel fisico esile del giovane.

La gamba di Antonio decise di elargirgli un’ultima grazia, assistendolo nello scatto per recuperare la propria spada. Troppo concentrate sul ragazzo italiano, le sentinelle non colsero immediatamente il guizzo dell’ex-capitano: tutto il corpo del locandiere si allungò in avanti, finché le dita protese non sfiorarono l’elsa della spada.

Consuelo approfittò della confusione per estrarre la pistola sulla schiena: la sua fu una mossa dettata meramente dall’istinto di sopravvivenza, ma si incastrò egregiamente nell’improvvisato piano d’azione. La paura le inondò i palmi di sudore, ma la disperazione rafforzò la sua presa come mai prima di allora. La donna puntò la pistola verso i vigilanti più distanti da Lovino e Antonio, per paura di coinvolgere anche loro nel suo primo sparo.

Il tuono del colpo si propagò con una violenza tirannica, frantumando lo spazio circostante, e Consuelo dovette lottare per reggersi in piedi a causa del rinculo dell’arma. Non vi fu silenzio, dopo lo sparo: una guardia urlò come un’ossessa, fissando l’osso che sporgeva dalla sua spalla esplosa, macabro e sanguinolento. La durezza di quello spettacolo orrendo distolse la concentrazione delle guardie, e Antonio sfruttò quell’istante: facendo forza sulla schiena, poiché la gamba aveva ormai esaurito tutte le energie residue, ruotò su se stesso tenendo il gladio con le braccia stese. Un anello di sangue si aprì nell’aria, formato dai fiotti delle ferite aperte sull’addome delle sentinelle: tre di loro caddero a terra, lasciando andare le armi per portare le mani sulle ferite sanguinanti.

Nella calca, nessuno notò un guanto scivolare a terra. La sentinella di fianco a Diego avrebbe avuto una vita molto più lunga, se avesse prestato attenzione a quel piccolo dettaglio. Ma non vi badò e un’arma sconosciuta, saldata alle dita macilente dell’uomo, affondò nel suo collo. Il vigilante non seppe mai che quella puntura fu causata da una serie di piccoli aghi, aggrappati alle dita del cameriere mediante un’anima di stecche e anelli di metallo, che tenevano stese le ossa frantumate. Non seppe nemmeno che il veleno di cui erano intrise era curaro, lo stesso intruglio in cui alcuni popoli dell’America Latina intingevano le loro frecce mortali. L’unica cosa di cui fu consapevole fu la sensazione che le vene del suo corpo stessero inspiegabilmente lievitando, bloccando il passaggio dell’ossigeno con la loro mole; i polmoni parvero seccarsi e sfaldarsi come fogli di pergamena vecchia. Conficcò le dita nel polso del suo collega, fino ad escoriargli la pelle, tentando inutilmente di articolare una richiesta di aiuto con la sua gola troppo gonfia; trascorsero solo alcuni secondi prima che l’uomo si accasciasse al suolo, gli occhi sbarrati e le dita congelate in una strenua lotta per la vita. I suoi due colleghi non ebbero tempo di inorridire per quella morte, talmente improvvisa e insensata da apparire una punizione divina, che la fatale puntura si infisse anche sui loro colli: il pavimento sopportò i loro arti scalpitanti nella lotta per la sopravvivenza, feroce quanto inutile, e ospitò le loro membra immobili, abbandonate nel freddo sonno della morte.

Il palmo di Antonio si poggiò pesantemente sul pavimento, con l’ingrato compito di sorreggere il busto mentre la battaglia infuriava: incapace di rialzarsi in piedi, l’ex-corsaro fu costretto a combattere con una gamba inerte stesa a lato e l’altra ripiegata come per spiccare un balzo.

Lovino era stato istruito da Arthur, ma comprendere la teoria ed eccellere nella pratica erano concetti distanziati da un oceano; strinse le dita attorno al pugnale per sferrare un secondo colpo, ma lo sparo inaspettato e le grida delle guardie colpite lo fecero tentennare un secondo di troppo. Accecato dal dolore ed aizzato dall’acre sapore della sconfitta, Nicolas aveva mosso la sua ultima pedina: lo stiletto era emerso dal suo stivale, e si era diretto con precisione alla coscia del giovane.

La spada di Antonio affondò con particolare impeto nelle viscere della guardia di fronte a lui quando udì il rantolo di dolore del compagno. Il gladio saettò forsennato per aprirsi un varco tra i vigilanti, la lama che riemergeva più rossa e bagnata ad ogni colpo.

Consuelo tenne la pistola dritta davanti a sé, pronta a premere il grilletto in qualunque momento, ed i suoi occhi in fibrillazione colsero anche il più truculento dettaglio dello spettacolo innanzi a lei. Le sentinelle giacevano a terra, chi ancora gemente nell’agonia e chi paralizzato dalla morte, chi con la faccia immersa nella pozza del proprio sangue e chi con il viso orribilmente sfigurato dal veleno. Il puzzo ferrigno e malsano della morte era così acuto in quella stanza da non essere più immateriale; era percepibile come un liquido viscoso che scendeva lungo l’esofago e si depositava disgustoso sullo stomaco, provocando lancinanti conati di vomito. Ma ciò che calamitava il suo sguardo era il gruppo di fronte a sé: Antonio, circondato dalla truce corolla delle sentinelle uccise, che cercava inutilmente di rialzarsi in piedi per raggiungere il suo amante; Lovino, che si appoggiava al muro con il palmo libero dal pugnale, l’equilibrio irrimediabilmente compromesso dal taglio poco sopra il ginocchio; infine Nicolas, una mano premuta sulla ferita al fianco e l’altra stretta attorno ad uno stiletto, entrambe intrise di sangue.

«Finirai all’Inferno, pagano blasfemo» sibilò Nicolas. Il pugnale rintoccò argentino contro il suolo quando le dita dell’Inquisitore persero la forza necessaria a sostenerlo. Le palpebre dell’uomo si chiusero più volte, mentre le labbra si affaticavano a comporre quella che sarebbe stata la loro ultima frase. Nicolas non si illuse a riguardo; aveva visto mille volte il terribile angelo della morte troncare con un solo colpo di falce una vita umana: sapeva che quella lama ricurva si stava avvicinando sempre di più a lui, la avvertiva con maggiore chiarezza ad ogni goccia di sangue che la sua ferita sputava, sempre più sottili e sporadiche. Quel demonio italiano non aveva mai toccato un pugnale in vita sua, ma era stato tremendamente accurato nel colpirlo a morte: aveva l’assassinio nel sangue e chissà quali altri peccati, come tutti gli abietti diavoli della sua razza perversa.

«Il Quinto Comandamento recita: “Non uccidere”» esalò. «Ed è un peccato mortale contravvenire alle Tavole.»

«E i vostri roghi?» ringhiò Lovino, inalberando il capo; la parrucca scivolò al suolo, lasciando scoperta la sua malvagia chioma rossiccia. «Quante volte avete offeso il Comandamento, con quelli? State pur certo che, se esiste un Inferno, finirete in un girone molto più basso del mio.»

Il mondo diventò troppo buio, troppo indistinto, e le forze troppo scarse per rispondere. “Lo spirito è forte, ma la carne è debole”, stava scritto; sperava che, in virtù delle parole del Figlio, il Padre lo avrebbe perdonato se non fosse riuscito a salmodiare la sua ultima preghiera.

Un’improvvisa ondata di freddo lo avvolse, facendolo tremare da capo a piedi. Era il gelo della ghiacciaia del Cocito, quello che avvertiva? No, il diavolo orfano non poteva aver ragione su quel punto: la sua santa missione gli era stata affidata da Dio. Era solo un umile servo dell’Altissimo, del tutto indegno di sedere ai piedi del Suo trono, ma confidava che, nella Sua infinita bontà, Egli avrebbe riservato un piccolo spazio per il Suo indegno servitore.

Lo sguardo annebbiato deragliò su Antonio: non riuscì a distinguere la sua espressione a causa della fitta caligine che gli stava adombrando la vista, ma comprese comunque. Quello che aveva avvertito non era il gelo del ghiaccio, ma la sferzata artica del vento che infuriava nel girone della Lussuria: non sarebbe finito all’Inferno per la sua opera di pulizia, come profetizzato dall’eretico pescatore, ma a causa dei suoi vecchi sentimenti impuri, che non era riuscito ad estirpare nemmeno con un’esistenza votata alla rettitudine.

Sentì le pietre del pavimento battere contro le sue costole, ma le percepì come filtrate attraverso un corpo non suo. Ed era così: la sua anima stava lentamente abbandonando il suo involucro di carne, per dirigersi nel luogo del giudizio.

Stese un braccio, puntando un dito malfermo contro l’ex-capitano. Avrebbe voluto dirgli che era colpa sua se sarebbe stato dannato, perché non gli aveva permesso di purificarlo, tanti anni prima. Pur nella nebbia dell’agonia, avvertì il peso dell’anello al suo dito. Se era davvero solo colpa del capitano, perché non era mai riuscito a disfarsi di quell’inutile monile? Lo aveva conservato come ricordo della sua passata debolezza, ma la sua memoria era forte abbastanza da non dimenticarsene anche senza l’ausilio di quell’orpello. Lo aveva tenuto perché era l’unico ricordo del suo amico, della sola persona che avesse fatto vacillare la sua ineffabile vocazione.

La mano si abbatté al suolo, e il cerchio d’oro tintinnò contro la dura pietra.

Non lo aveva mai toccato, e si era maledetto ogni giorno per quei sentimenti indecenti, si era punito con il cilicio e con il digiuno. Pregò che il Signore fosse indulgente con il Suo servo peccatore, e che gli permettesse di scontare le sue colpe nella pace del Purgatorio.

«Oh Signore» l’ultimo, sottilissimo filo di voce volò instabile dalle sue labbra. «Perché hai fatto l’uomo così debole, di fronte al diavolo…»

Il fiato si condensò contro le pietre. Poi l’alone svanì. E non se ne formò un altro.

«È… morto?» balbettò Consuelo, che ancora non osava calare la pistola.

Antonio annuì, deglutendo nell’ugola inaridita.

«Dobbiamo andarcene, prima che arrivino altre guardie» li sollecitò con la voce scricchiolante.

Diego si mosse per aiutare Antonio a camminare, ma una voce stentorea lo bloccò.

«Hai la schiena cucita e le mani frantumate. Non esagerare con il fare l’eroe.»

L’enorme figura del cuoco occupava tutto il corridoio, e Consuelo quasi pianse per la gioia di vederlo lì in quel momento.

«Aiuta il ragazzo» le impartì l’energumeno, che, senza alcuna esitazione, aveva rialzato Antonio da terra e lo stava aiutando a camminare. In realtà, il cuoco lo stava portando in giro come un cesto di verdura, poiché i piedi dell’ex-capitano a malapena sfioravano il suolo.

Lovino rimase addossato al muro mentre la donna si inginocchiava per fasciargli la ferita con un lembo di tessuto, strappato dalla camicia troppo larga, per poi rialzarsi e offrirgli le spalle come appoggio. Il pescatore soffocò tra i denti digrignati una sonora imprecazione per il dolore al muscolo ferito, e si addossò a Consuelo per procedere.

Diego avanzava in mezzo ai due gruppi, zoppicante, aiutato a tratti dalla futura moglie e a tratti dal collega gigantesco.

La bestemmia ruvida di Thomas li accolse all’uscita di quel luogo infernale, e lo scalcagnato lupo di mare si affrettò ad aiutare il traballante Diego.

«Siete riuscito ad uscire!» sputacchiò il bucaniere, infervorato. «Per le balle di Nettuno, siete davvero il capitano leggendario!»

«È merito della mia ciurma» il sorriso si trascinò a fatica sulle labbra esauste di Antonio, e gli costò uno scrollone imbarazzato da parte del cuoco.

«Non essere modesto, capitano» ruggì quello, trasportandolo a viva forza.

La relativa tranquillità finì con la velocità di una fucilata: dalle guglie alle loro spalle, uno stuolo di guardie, accorse allo sparo di Consuelo e trovato l’Inquisitore privo di vita, cercava di purificare quel luogo dissacrato mediante la polvere da sparo. Tre colpi esplosero nella loro direzione, prima che le sentinelle si fermassero per ricaricare.

Antonio si sentì avvolgere da qualcosa di nerboruto, e la stessa sensazione fu avvertita dal resto del personale della locanda. Quando l’eco degli scoppi si allontanò nel cielo, si accorsero di essere schiacciati contro il petto mastodontico del cuoco, il cui viso era contorto in una smorfia sofferente. Ma non fu loro concessa nemmeno una domanda.

«Sbrighiamoci prima che ricarichino!» mugghiò l’uomo, sollevando di nuovo il capitano come se fosse senza peso. Consuelo si affrettò dietro di lui, e lo stesso fece Thomas.

Nella loro precipitosa corsa per guadagnare la spiaggia, Antonio fu l’unico ad avere un’idea precisa del progressivo aggravarsi delle condizioni del cuoco. Il punto rosso che gli aveva solleticato il palmo si espanse mentre percorrevano il primo vicoletto, fino a coprirgli tutta la mano. Il buio notturno in cui era sprofondata la città aveva ammantato anche le ferite del gigante, ma Antonio riuscì comunque a percepite la chiazza arrivare a sporcargli il polso.

Le guardie spararono una seconda raffica di colpi, prima che il gruppo riuscisse a sparire nel dedalo delle stradine laterali, e anche quella scarica fu schermata dal cuoco.

Lovino arrancava e incespicava, e, ad ogni passo, aveva la sensazione che un ferro arroventato gli martoriasse la ferita aperta. Si morse l’interno delle guance con forza, deciso a non lamentarsi: quello stupido di Antonio aveva sopportato quel patimento per anni interi, lui avrebbe potuto resistere per qualche ora.

I segni dello scompiglio portato da Arthur e dai suoi uomini erano ancora visibili nelle ceste rovesciate, negli oggetti sparsi per tutta la piazza e nei lumi irrequieti che si muovevano dietro le finestre della cattedrale e del Palazzo di Giustizia. Nonostante le ombre che sfumavano ogni cosa, era possibile respirare ancora il panico di quel pomeriggio.

Tutti loro accelerarono il passo quando le campane della chiesa e del Palazzo suonarono in sincrono: il corpo dell’Inquisitore era stato trovato, e quello era il modo per allertare le sentinelle alle porte della città.

Percorsero le stradine meno conosciute, evitando ogni possibile vicolo sorvegliato, tutti ammutoliti nel raccoglimento della fuga.

Thomas non si lasciò sfuggire l’occasione di inveire coloritamente contro il cielo quando il profumo e il rumore del mare furono distinguibili in quella notte di sangue e lotte, ed imprecò ulteriormente quando fu loro visibile il regno della Dea. Una piccola scialuppa li attendeva, attraccata al molo, e i due marinai su di essa si sbracciarono nella loro direzione non appena li videro sbucare dall’ultimo calle.

Raggiunsero la barca, e Thomas fu il primo a saltarvi dentro, aiutando poi gli altri a caricare i feriti. Lovino ringhiò nella sua direzione, quando il bucaniere tese le mani verso di lui, e salì con le sue sole forze. Consuelo lo seguì, ed assistette Diego ed Antonio durante la salita. Il cuoco si abbatté sulla scialuppa, e rischiò quasi di rovesciare la barca con il suo peso massiccio.

La donna si portò le mani alla bocca, ed il futuro marito le appoggiò le mani sulle spalle per calmarla. Gli occhi del pescatore si dilatarono per la sorpresa, e il locandiere si accostò all’uomo smisurato. Solo i due marinai furono abbastanza indifferenti da correre a sciogliere le cime e cominciare ad affondare i remi nell’acqua.

Antonio sentì un nodo amaro stringergli la gola. Era passato così tanto tempo dall’ultima volta in cui aveva assistito un suo sottoposto durante gli ultimi attimi di vita, che i brividi di sconforto e tristezza tipici di quei frangenti lo avevano colto quasi senza difese, ma sollevò presto il fermo contegno che aveva imparato ad usare tanto tempo prima per non agitare ulteriormente chi stava per attraversare le porte dell’Oceano Infinito.

«Ci hai fatto da scudo» mormorò, composto. Gli occhi del cuoco si diressero verso di lui, affaticati e soddisfatti. Giaceva prono sul fondo della barca, scoprendo le inequivocabili macchie vermiglie, che si allargavano a partire da un piccolo punto più scuro laddove il proiettile era infitto.

«Sapevo che questa sarebbe stata la mia ultima battaglia, capitano» sospirò l’energumeno. Lo aveva deciso nel momento in cui erano stati scelti come squadra di recupero: si sarebbe sacrificato per i suoi compagni, se le cose fossero andate male. Diego aveva Consuelo, Antonio doveva ricongiungersi con il suo Lovino: tutti loro potevano ancora vedere quanto fosse meraviglioso il reame del mare. Lui no. Aveva perso la chiave, ormai.

«Ho solo un favore da chiedervi» mormorò contro il fondo legnoso. Antonio annuì, serio, ed il cuoco terminò: «Abbandonatemi sugli scogli, per favore. Voglio morire là.»

«A bordo ci sono dei medici. Potrebbero…»

«No, Consuelo» la interruppe con rude dolcezza l’energumeno. «Queste ferite vanno oltre la medicina.»

«Perché l’hai fatto?»

Il tono tremulo del pescatore fece rialzare lo sguardo opaco dell’omone. Gli occhi del cuoco si strizzarono, cercando di mettere a fuoco quello che poteva essere l’ultimo scherzo della sua mente stanca.

«Stai… piangendo per me?» domandò, incerto delle sue percezioni.

Vide il braccio sfocato di Lovino correre sotto il cappuccio e fregare la manica contro gli occhi e, da quel gesto irascibile, il cuoco comprese. Probabilmente era un pianto dovuto alla pressione di quel periodo, all’adrenalina degli ultimi due giorni e alla stanchezza per la fuga, ma non importava: almeno una lacrima era per lui, ed era sufficiente. Era convinto che nessuno avrebbe mai pianto per la sua sorte, che sua figlia fosse l’unica capace di emozionarsi per quel colosso che faceva paura a tutti.

Lovino non si allontanò quando una mano grande quanto una vanga si appoggiò sulla sua guancia per sentire se fosse effettivamente bagnata: le lacrime si schiacciarono contro quel palmo spropositato, ancora tiepide.

Il cuoco serrò la mano, e le gocce salate si spansero nelle pieghe del palmo. Qualcuno aveva pianto per lui: quelle lacrime erano la sua chiave.

«Grazie, Lovino» sussurrò il cuoco, fissandolo quasi con devozione. Il pescatore non gli fece notare che non aveva risposto alla sua domanda, e nascose il viso nell’ombra del cappuccio.

«Gli scogli…» uno dei due marinai si intromise con garbo nei loro discorsi. «Li stiamo raggiungendo. Dobbiamo…»

«Sì» ordinò pacato Antonio, senza staccare gli occhi da quel gigante che l’aveva seguito così a lungo. Conosceva due cose di quell’uomo: non era pentito del suo crimine, e tutto ciò che desiderava era un luogo al riparo dalla denigrazione degli altri. Per questo era scappato in mare, e per questo stesso motivo gli era rimasto fedele tanto a lungo: Antonio sapeva quali fossero le conseguenze dei giudizi totalitari, e per questo lasciava gli altri liberi di vivere nel bene e nel male, limitandosi a regolarla se andava contro i suoi interessi.

Aveva combattuto bene contro la vita e le sue asperità: che trovasse la pace che anelava nel luogo in cui desiderava giacere.

La scialuppa si accostò allo scoglio, e Antonio aiutò l’omone a rialzarsi in piedi. Anche Consuelo si accostò per soccorrerlo, le guance inondate da un fiume di lacrime.

Il cuoco la guardò, quasi perplesso.

«Anche tu piangi per me?»

«Non è ovvio?» protestò Diego, la voce strozzata dalla tristezza.

Il colosso li guardò tutti, uno per uno, con i suoi occhi ottenebrati. Ognuno di loro aveva sprecato almeno una lacrima per lui. Il capitano non aveva pianto, ma lo stava aiutando a scendere come avrebbe fatto con un caro amico.

Avendo sempre tenuto lo sguardo rivolto al reame del mare, non si era reso conto del piccolo regno affettuoso che si era stretto intorno a lui. Era triste accorgersi di una simile fortuna solo pochi minuti prima di perderla definitivamente.

Consuelo gli si avvicinò, e gli mise a forza un ninnolo tra le mani, rovesciandogli un torrente di lacrime sul palmo. Il cuoco dischiuse appena le dita, ed intravide la croce di acquamarina che la donna portava sempre con sé. Stava per rifiutare, ma lo sguardo della cameriera lo fece desistere sul nascere: non avrebbe accettato proteste di alcun tipo. Consuelo era una donna dolce, ma sapeva essere estremamente testarda.  In fondo, lei non aveva più bisogno di una pietra per garantire la propria felicità. Aveva Diego, e lui si sarebbe battuto per amor suo mille volte meglio di un semplice sasso. Lui, invece, necessitava un oggetto che gli ricordasse i suoi compagni e il loro affetto imperituro, durante le sue lunghe peregrinazioni nell’aldilà. L’omone accettò il dono, portandolo alle labbra per baciarlo.

La schiena bruciava e le forze lo abbandonavano; dovette appoggiarsi allo scoglio frastagliato per rimanere in piedi mentre si accomiatava:

«Grazie.»

Loro non avrebbero capito il motivo di quel ringraziamento, né quanto fosse profondo, ma non aveva importanza. Avrebbe portato con sé quel sentimento oltre la tomba, dove nessun uomo, nessun pregiudizio avrebbe potuto guastarlo. Si issò sugli scogli, sentendo Consuelo singhiozzare, Diego trattenere le lacrime e Lovino nasconderle, mentre il capitano si limitava a fissarlo immobile, come il cielo osserva il suo riflesso nel mare.

L’omone si adagiò su una conca naturale tra due creste di roccia, il mare che gli lambiva le gambe e la schiena insanguinata poggiata su un tappeto di alghe. Fece un cenno ai due marinai, e quelli ripartirono veloci per raggiungere il vascello maggiore, che galleggiava sulle acque più profonde.

Schioccò le labbra per godersi l’odore pungente della salsedine e delle alghe, e strinse le dita attorno alla croce di acquamarina, conficcandosi le braccia del monile nel palmo. Erano le sue ultime sensazioni in quel mondo, e voleva assaporarle fino alla fine.

«Arrivo a bussare alla porta del reame del mare» cantilenò, senza fiato. «C’è qualcuno ad aprirmi?»

Gli parve di sentire una risata argentina, appena sotto il pelo dell’acqua.

Al velo dell’agonia si sovrappose quello delle lacrime quando vide il volto dell’amata figlia sorridergli in mezzo ai flutti.

«Ti ho aspettato per tutto questo tempo, papà» lo salutò lei. «Ho tenuto la porta del reame aperta per te.»

La vide inclinare il capo in quel modo così grazioso, che la faceva assomigliare ad un gattino desideroso di coccole.

«Che storia mi racconterai questa sera, papà?»

Il respiro dell’omone uscì dalla sua bocca in rantoli strozzati, ostacolato dalla morte sempre più vicina e dall’emozione travolgente di aver ritrovato la figlia tanto amata. Riuscì a stabilizzarlo a sufficienza per rispondere:

«È una storia di avventura, tesoro. Parla di un capitano coraggioso e del suo innamorato. E della sua ciurma. E del suo amico inglese. E di come abbiano lottato contro uno spettro potentissimo.»

«Sembra interessante» gioì lei, sotto le onde.

Un accesso di tosse gli sconquassò il petto, e uno spruzzo di sangue colorò l’aria. L’entrata del reame era sempre più vicina…

«Per me, lui sarà sempre il miglior capitano… e loro la migliore ciurma.»

La mano del cuoco ricadde inerte sullo scoglio, e il monile di Consuelo affondò nel mare, rilasciato dalle dita socchiuse.

«Eccomi, tesoro. Sto venendo a raccontarti la loro storia…»

Il corpo dell’uomo sprofondò nelle onde, placido, quasi cullato dalla fredda corrente notturna.

Il reame del mare gli aveva aperto di nuovo le porte. E tutto era bello, lì.

 

***

 

«Così sono andate le cose.»

Arthur appoggiò il lume sul parapetto, meditabondo.

I suoi uomini erano corsi a cambiarsi non appena messo piede sulla nave: si erano ripuliti la tintura dal viso e avevano lanciato le cappe scure per riappropriarsi dei propri abiti, dopodiché avevano ripreso la vita di navigazione come se nulla fosse mai accaduto. Il mare non si limitava ad erodere spiagge e scogli: per vivere secondo le sue regole mutevoli, un uomo doveva adattare il suo cuore ai dettami delle maree, e permettere alle onde di ripulire il suo animo. Non vi era tempo per i compianti, perché l’oceano non permetteva a nessuno di essere più importante di lui, nemmeno ad un compagno caduto.

Antonio era stato il primo ad essere visitato dal medico di bordo, ed era stato sorprendentemente veloce: la cicatrice avrebbe continuato a fargli male per qualche giorno ancora, finché non si fosse totalmente assuefatto al dolore. Il dottore aveva poi controllato Diego, rimproverandolo per aver fatto saltare alcuni punti. Dopo averli ricuciti, si era occupato di Lovino, che si trovava ancora sotto l’occhio clinico del dottore.

Arthur appuntò lo sguardo sulla tomba del cuoco: gli scogli lo fissarono con i loro occhi di roccia, facendo spumeggiare le onde tutto intorno come una maestosa corona biancastra.

«Nicolas… non ti ha detto nulla?»

«Non ha avuto modo. Abbiamo combattuto, quando ci siamo incontrati.»

I due uomini restarono in silenzio qualche secondo, solo il rumore del mare tra di loro.

«Credo che sia stata la conclusione più giusta. Anche se avessimo parlato, non saremmo comunque riusciti a comunicare. È meglio che sia finita in silenzio» sentenziò Antonio.

«Ne sei certo?»

«Sì. Ne sono certo.»

Antonio si girò, in modo da appoggiare i gomiti al parapetto e dare la schiena all’oceano.

«Grazie per il tuo aiuto. Non ce l’avremmo mai fatta, senza di te.»

Arthur si strinse nelle spalle, girando la pipa tra le dita con noncuranza.

«Avevo un debito da estinguere. E credo di esserci riuscito, finalmente.»

I due capitani si fissarono, memori del medesimo episodio ed entrambi soddisfatti della conclusione degli eventi.

«È un onore averti a bordo» annunciò Arthur, battendogli una pacca sulla spalla. «Navigatore» gli ricordò, giusto perché Antonio non dimenticasse che su quel veliero avrebbe dovuto obbedire e non essere obbedito.

L’ex-corsaro sorrise per l’acida amicizia dimostrata dal capitano inglese, e non lo trattenne quando questo si avviò verso la propria cabina. Avevano tutti bisogno di riposare: c’erano rotte commerciali da stabilire, scambi da trattare, merci da sistemare. E, soprattutto, un periodo infernale da dimenticare.

La tasca venne alleggerita del suo piccolo tesoro. Gli anni passati come mozzo sulle navi e ladruncolo nei mercati avevano rivelato di nuovo la loro utilità: era riuscito a sfilare l’anello dal dito dell’Inquisitore senza che nessuno se ne accorgesse.

Scrutò il topazio, immerso nei suoi pensieri.

Aveva capito cosa intendesse Nicolas, quando aveva proteso la mano verso di lui. Era colpa sua, solo sua se l’Inquisitore sarebbe finito all’Inferno, non delle barbarie perpetrate dal cacciatore.

Il locandiere poggiò l’anello sul palmo. Si chiese in quale punto della sua vita, esattamente, avesse perso per sempre il suo amico. Era stato l’episodio del fienile? Se non lo avesse mai invitato a saltare, quel giorno, nulla di tutto ciò sarebbe mai accaduto?

Sospirò, chiudendo il gioiello nello scrigno delle sue mani. Aveva capito il motivo dell’ultimo gesto dell’Inquisitore, così come aveva intuito la vera ragione del suo odio. Aveva compreso, ma non aveva avuto pietà: per la cecità di quell’uomo di fronte ai suoi stessi sentimenti aveva perso i suoi genitori, e aveva rischiato di perdere anche Lovino. Se si fosse dimostrato pentito, o se avesse avuto il coraggio si ammettere che anche lui era un peccatore come tutti loro, forse si sarebbe mostrato più clemente nei suoi confronti, e gli avrebbe rivolto una parola di conforto al momento del suo ultimo respiro. Ma così non era stato, perciò aveva permesso che la sua morte trascorresse come l’Inquisitore aveva deciso di passare la sua vita: solo, arroccato nella torre costruita da lui stesso con le sue folli convinzioni, che certamente non avrebbero riscosso l’approvazione di nessun dio.

Riaprì le mani, e il topazio catturò la luce di una stella.

Aveva odiato l’Inquisitore, e aveva permesso che morisse senza alcuna assistenza. Ma per Nicolas, per il suo amico con cui da bambini avevano condiviso i racconti dei viaggi dei suoi genitori, per il ragazzo il cui sorriso non era ancora stato spento dal peso soffocante di una tonaca, aveva ritenuto giusto quell’ultimo rituale.

Portò il monile davanti alla fronte, e dichiarò agli astri notturni:

«In memoria del mio amico Nicolas de Torquemada, morto diciotto anni fa all’età di venti anni.»

La luna regalò un riflesso argenteo all’anello quando questo venne lasciato libero di tuffarsi nelle onde. I flutti si appropriarono del gioiello, ingoiandolo nelle loro profondità buie.

Gli occhi verdi dell’uomo seguirono il monile nel suo inabissamento e si risollevarono poi ad osservare il mausoleo di scogli in cui riposava il suo fedele cuoco.

I suoi occhi erano un deserto di malinconia, asciutti ma roventi di dolore. Batté le ciglia, per scacciare le lacrime che aveva disimparato a versare.

Salutò i defunti con un inchino e mormorò, prima di dileguarsi nella sua cabina:

«Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola.»

Erano anni che le sue labbra pagane non pronunciavano un inno. Ma quello era uno dei momenti in cui perfino un miscredente come lui aveva voglia di pregare, anche solo per rendere omaggio ai morti.

«Che il prossimo mondo sia più indulgente.»

 

***

 

La porta della camera cigolò, e Antonio non ebbe nemmeno bisogno di accendere la candela per capire chi fosse entrato.

Tese una mano nel buio, ed una più piccola si appoggiò sul suo palmo, lasciandosi guidare fino al letto.

Antonio rimase fermo mentre il giovane si issava malamente sul giaciglio e su di lui: la stretta fasciatura ed il dolore sordo della ferita sottostante impedivano al ragazzo di muoversi con scioltezza. Furono quelle bende ad essere lambite dal palmo dell’uomo, con delicatezza per non risvegliare la lesione ancora fresca.

«Ti fa male?»

«No» mentì spudoratamente Lovino, afferrandogli il polso per spostargli la mano. Non voleva che Antonio toccasse troppo la fasciatura, oppure si sarebbe accorto dei punti che il medico gli aveva imposto per tenere ferma la ferita. E non voleva che il suo compagno si preoccupasse di nuovo per lui.

Antonio non polemizzò affatto, anzi, spostò rapidamente la mano sul fianco dell’amante, il punto che sfiorava così spesso quando erano in intimità.

«Non avresti dovuto correre un simile rischio» lo rimproverò senza cattiveria.

«Nemmeno tu» reagì Lovino. Batté una potente testata sul petto dell’uomo e brontolò sul suo sterno: «Idiota.»

Il viso del ragazzo si rialzò per scrutarlo in volto, e le iridi ramate assunsero quella loro aria indagatrice e perentoria nel chiedere:

«Ti hanno torturato?»

Antonio fu tentato di mentire, ma una bugia simile non sarebbe mai stata creduta: conoscevano tutti fin troppo bene le procedure dell’Inquisizione.

«Sì» replicò sterilmente.

Il pagliericcio scricchiolò vistosamente a causa delle goffe manovre del ragazzo nel fare leva sulle mani per toccargli con barbara gentilezza la crosta sullo zigomo.

«Tipo questo?» insistette il pescatore.

«No. Questo è… ho fatto arrabbiare l’Inquisitore» capitolò Antonio.

«Sei imprigionato e fai arrabbiare il tuo carnefice? Ma allora sei un cretino integrale!» per vendetta, Lovino picchiettò con la nocca la crosta, ottenendo un mugugno sofferente dal suo amante.

Il peso dell’italiano si scaricò di nuovo contro il suo petto, e Antonio carezzò con affetto la testa imbronciata sprofondata nella sua spalla.

Poi il pescatore formulò la domanda che aleggiava tra di loro da quando si erano separati.

«Perché hai fatto una cosa così stupida?»

L’ex-corsaro non rispose subito. Gli occorse del tempo per abbracciare il suo Lovino, per tranquillizzarlo con il calore del suo corpo e della sua presenza; erano lontani dalla terra dei cacciatori: il mare gli avrebbe protetti e, se non ci fosse riuscito, avrebbero provveduto da soli alla propria sicurezza, come avevano fatto in quella notte. Lo strinse finché non fu sicuro che il fantasma dell’Inquisizione non fosse stato esorcizzato, e finalmente rispose:

«Era la cosa giusta da fare.»

«Era la cosa più stupida da fare! Ti sei consegnato! E ti avevano già catturato una volta!» si alterò Lovino, battendo un pugno irato sulla clavicola del compagno.

«Tu sei più importante.»

«Non dirlo!» il pescatore quasi saltò sul letto, e si sarebbe probabilmente rialzato come un gatto se l’abbraccio dell’amante non gli avesse reso impossibile spostarsi. «Vuoi preoccuparti un po’ più di te stesso? Sto in ansia dalla mattina alla sera, per colpa tua! Devo sempre preoccuparmi che tu non faccia qualcosa di stupido per un presunto pericolo che potrei correre!»

«L’Inquisizione era un pericolo reale…»

«Stai zitto!»

Per quanto Lovino fosse collerico, non era mai arrivato a tanto, pur di essere ascoltato: imbavagliò la bocca dell’uomo con la propria mano, costringendolo al silenzio durante la sua invettiva.

«Hai mai pensato a come mi sarei sentito io, se mi fossi salvato a scapito della tua vita?» lo investì schiaffeggiandolo con tutta l’ansia, tutta la paura che gli avevano straziato le viscere in quei giorni di preparativi. «Credi che sarei stato capace di vivere felice e contento, sapendo che eri morto per proteggermi? È questa la tua idea di amore? Beh, allora fa schifo! Costringere l’altro ad una vita segnata dal senso di colpa… c’è qualcosa che non va nel tuo cervello!»

La voce suonò attutita dalle dita del ragazzo, ma la frase stupida di Antonio fu ugualmente comprensibile:

«Hai detto “amore”?»

«Non capire solo quello che ti fa comodo! E poi ti ho detto di stare zitto!» sberciò il giovane, sull’orlo di una crisi di nervi.

Una pioggia calda cadde sul volto dell’ex-corsaro quando le lacrime che il suo amante stava tanto faticosamente trattenendo eruppero.

«Smettila di trattarmi… come se fossi un oggetto da custodire. Posso difendermi da solo» brontolò, la voce appesantita dal pianto.

Gli occhi del capitano lo fissarono dal basso, ammorbiditi da una tristezza profonda. Non avrebbe mai voluto che il pescatore diventasse un assassino: lo aveva tutelato in tutti i modi perché le sue mani fossero monde da qualsiasi colpa di sangue. Ma non era stato abbastanza attento nel difenderlo. O meglio, aveva sottovalutato la determinazione del ragazzo. Rimpiangeva amaramente di averlo spinto su quella china, e quel rammarico avrebbe strisciato nei suoi polmoni ad ogni respiro, ma capiva con chiarezza che non avrebbe mai potuto fermare il giovane. Uccidere l’Inquisitore era stata una scelta cui Lovino si era votato, ed aveva dimostrato più volte quanto la sua tenacia fosse ferrea: nemmeno la Queen of Pirates era riuscito a trattenerlo, quando aveva deciso di condividere il destino con l’ex-capitano. Lovino si sarebbe comunque vendicato, in nome suo e del suo innamorato, e avrebbe scavalcato anche Antonio, se lo avesse ostacolato.

Si addolorava per quella scelta del giovane, ma comprendeva la sua fermezza. Antonio si era dimostrato ugualmente saldo nelle sue convinzioni quando si era consegnato all’Inquisizione.

«Non fare mai più… una cosa così azzardata» borbogliò Lovino.

Le braccia dell’uomo lo condussero gentilmente ad adagiarsi di nuovo contro di lui, dove venne cullato e vezzeggiato dalle carezze gentili del compagno.

«Mi dispiace» si scusò Antonio.

Sentì il ragazzo agitarsi appena nella sua stretta, per portare la propria mano davanti al viso e fissarla come se la vedesse per la prima volta.

«L’ho ucciso» soffiò, quasi non credesse alle sue stesse parole. L’Inquisitore che li aveva terrorizzati era morto. Per mano sua. Era stato lui a pugnalarlo al fianco, anche se aveva mirato allo stomaco. Era quasi surreale la facilità con cui un uomo poteva essere eliminato, e forse era proprio quello a dare all’Inquisizione il suo enorme potere: al carnefice bastava poco per uccidere la sua vittima, ma il dolore dei suoi cari non si sarebbe mai spento, e sarebbe diventato un deterrente contro futuri attacchi.

Era la memoria il vero potere del terrore.

Antonio trasse un respiro più profondo del solito, che Lovino individuò subito come il fiato che il compagno prendeva sempre prima di cominciare un discorso serio, per cui lo prevenne sul tempo:

«Ha detto che finirò all’Inferno, per questo. Ma non ci credo.»

O meglio, non credeva che sarebbe stato scagliato nel regno di Lucifero per l’uccisione dell’Inquisitore. Ci sarebbe finito perché era un sodomita, come i preti amavano additare le persone che, come lui, preferivano amare un uomo che fecondare una donna. Trasgredivano a ben due ordini celestiali, quello di non commettere atti impuri e quello di moltiplicarsi.

Aveva chiesto l’aiuto degli dei e dei santi quando si era ritrovato senza famiglia, lo aveva invocato quando suo fratello era stato trovato sulla nave, lo aveva supplicato quando il suo primo padrone lo percuoteva. Ma era stato un uomo a rispondere al suo appello, non una creatura alata e angelica. Quello stesso uomo che non aveva esitato a buttarsi nelle braccia del suo peggior nemico per proteggerlo. Se doveva finire all’Inferno per lui, lo avrebbe accettato. Quando si era unito al suo capitano dopo essersi gettato dalla Queen of Pirates, aveva giurato a se stesso che lo avrebbe amato fino all’ultima fibra della sua anima. Non avrebbe rinnegato quel giuramento solo perché persone che non avrebbero mai mosso un dito per aiutarlo pensavano che fosse un legame sconveniente.

Antonio gli circondò il volto con una mano, attirandolo vicino alle sue labbra.

«Se dovessi finire all’Inferno, almeno avresti una buona compagnia» bisbigliò, prima di baciarlo come avrebbe voluto fare nel Palazzo, quando lo aveva visto arrivare travestito da donna.

Lovino non aveva voglia di ribellarsi, quella sera: era stato diviso dal suo compagno, e aveva temuto che fosse una separazione definitiva, l’ennesima della sua vita. Aveva lottato, corso, perfino ucciso: le sue forze erano evaporate, e non ne aveva più disponibili per opporsi.

Le sue gambe scivolarono ad intrecciarsi a quelle dell’amante, mentre con le braccia gli circondava il viso; Antonio lo abbracciò con vigore, facendo scorrere una mano su tutto il profilo del giovane, dalla nuca alla natica, riscoprendo il corpo del suo innamorato.

Si baciarono a lungo, trasmettendo direttamente alle labbra del compagno le loro sensazioni: la prigionia e la lontananza, la preoccupazione e lo spavento, il sollievo di ritrovarsi e la gioia di essere insieme. Era tutto nelle labbra che cercavano quelle del compagno, nelle lingue che si incontravano.

«Resta qui» la voce arrochita dell’amante gli sfiorò le guance, e Lovino bofonchiò:

«Non ho altro posto in cui dormire.»

Si accasciarono esausti sul materasso, ma con ancora la forza di tenersi abbracciati nel sonno e la voglia di restare insieme per tutto il tempo possibile.

Lovino restò sveglio più a lungo del capitano: Antonio era più avvezzo di lui a simili spettacoli, per cui faticò di meno a trovare il sonno.

Il ragazzo si strinse a lui, poggiando la fasciatura sulla cicatrice del compagno.

Quando aveva scelto Antonio al posto del mare, gli aveva chiesto di non lasciarlo mai andare. Lo aveva fatto mentre il compagno dormiva troppo profondamente, e non aveva potuto né udirlo né rispondergli.

Anche in quell’occasione aveva qualcosa da dirgli, qualcosa che avrebbe potuto rivelare solo alla notte silenziosa e al segreto del sonno. Incuneò il viso nel collo dell’amante e vi soffiò sopra due parole. Poi sollevò il volto su quello dormiente dell’amante, lambì appena la sua bocca con la propria e mormorò:

«Questa è la pronuncia corretta. Hai capito?»

Ovviamente, Antonio non gli rispose, e Lovino si accoccolò contro di lui per poter finalmente riposare.

C’erano tante cose da fare, e tante da dimenticare. Ma avrebbero aspettato almeno una nottata, prima di essere affrontate.

In quel momento, voleva concentrarsi solo sulla persona che lo stava abbracciando nel sonno.

Con lui c’era Antonio.

Non aveva bisogno di altro.

   
 
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