Nunc
Dimittis
L’umidità
della notte offuscò
il lume, che fluttuò spettrale sul ponte di prua.
Il
chiarore della lampada spalmò
un colorito cereo sulla pelle del suo interlocutore, impallidito per
gli
avvenimenti della serata.
Arthur
lanciò un’occhiata alla
sagoma crudele degli scogli dietro di loro, punteggiata dalla spuma
delle onde
turbolente. Non era un fervido fedele, anzi, provava quasi compassione
per
quelle persone che non sapevano respirare senza una manciata di salmi
in bocca;
tuttavia, provò un forte desiderio di credere in
un’entità superiore per
potervi così rivolgere una preghiera.
Fece
ondeggiare il lume,
spostando lo sguardo acquamarina sulla persona di fianco a lui.
«Raccontami
cosa è successo»
esigette.
Le
labbra del suo interlocutore
si incresparono per un attimo, prima di schiudersi nel racconto.
***
Antonio
aveva sentito il cuore
fermarsi quando Lovino si era avvicinato a Nicolas e alle spade
sguainate
contro di lui: ogni passo gli aveva fatto perdere un battito e un anno
di vita.
Poi
Lovino aveva parlato.
«Forse
i capelli lunghi vi
hanno tratto in inganno, e vi siete dimenticato una cosa. Io non sono
una
donzella indifesa.»
Poi,
il mondo impazzì. Si trovò
catapultato in una baraonda simile agli arrembaggi più
incontrollati dei suoi
primi periodi in mare: non c’era tempo per pensare, non
c’era tempo per
respirare. Bisognava seguire il ritmo asfittico di un ballo con la
morte, in
cui ogni passo poteva essere l’ultimo.
L’Inquisitore
urlò quando il
pugnale dell’italiano, veloce come una serpe, si
conficcò nel suo fianco. La
ferita vomitò un getto copioso di sangue sulla mano guantata
che era accorsa a
premere i lembi della lesione, cercando inutilmente di sigillarli.
Le
dita e i nerbi di Lovino
vacillarono nel sentire le vene squarciarsi contro la lama del pugnale
e
l’odore dolciastro del sangue fare irruzione nelle sue
narici; la facilità con
cui lo stiletto aveva aperto le carni del cacciatore era quasi
sconvolgente, e
divenne improvvisamente consapevole delle gocce di sangue che
scivolavano sul
suo viso come vermi cremisi. Uno scatto nervoso involontario gli
serrò la
mascella e gli occluse lo stomaco, scatenando un’improvvisa
urgenza di
vomitare.
Le
guardie sollevarono le
spade, pronte ad affondarle nel fisico esile del giovane.
La
gamba di Antonio decise di
elargirgli un’ultima grazia, assistendolo nello scatto per
recuperare la
propria spada. Troppo concentrate sul ragazzo italiano, le sentinelle
non
colsero immediatamente il guizzo dell’ex-capitano: tutto il
corpo del
locandiere si allungò in avanti, finché le dita
protese non sfiorarono l’elsa
della spada.
Consuelo
approfittò della
confusione per estrarre la pistola sulla schiena: la sua fu una mossa
dettata
meramente dall’istinto di sopravvivenza, ma si
incastrò egregiamente nell’improvvisato
piano d’azione. La paura le inondò i palmi di
sudore, ma la disperazione
rafforzò la sua presa come mai prima di allora. La donna
puntò la pistola verso
i vigilanti più distanti da Lovino e Antonio, per paura di
coinvolgere anche
loro nel suo primo sparo.
Il
tuono del colpo si propagò
con una violenza tirannica, frantumando lo spazio circostante, e
Consuelo
dovette lottare per reggersi in piedi a causa del rinculo
dell’arma. Non vi fu
silenzio, dopo lo sparo: una guardia urlò come
un’ossessa, fissando l’osso che
sporgeva dalla sua spalla esplosa, macabro e sanguinolento. La durezza
di quello
spettacolo orrendo distolse la concentrazione delle guardie, e Antonio
sfruttò
quell’istante: facendo forza sulla schiena, poiché
la gamba aveva ormai
esaurito tutte le energie residue, ruotò su se stesso
tenendo il gladio con le
braccia stese. Un anello di sangue si aprì
nell’aria, formato dai fiotti delle
ferite aperte sull’addome delle sentinelle: tre di loro
caddero a terra,
lasciando andare le armi per portare le mani sulle ferite sanguinanti.
Nella
calca, nessuno notò un
guanto scivolare a terra. La sentinella di fianco a Diego avrebbe avuto
una
vita molto più lunga, se avesse prestato attenzione a quel
piccolo dettaglio.
Ma non vi badò e un’arma sconosciuta, saldata alle
dita macilente dell’uomo,
affondò nel suo collo. Il vigilante non seppe mai che quella
puntura fu causata
da una serie di piccoli aghi, aggrappati alle dita del cameriere
mediante
un’anima di stecche e anelli di metallo, che tenevano stese
le ossa frantumate.
Non seppe nemmeno che il veleno di cui erano intrise era curaro, lo
stesso
intruglio in cui alcuni popoli dell’America Latina
intingevano le loro frecce
mortali. L’unica cosa di cui fu consapevole fu la sensazione
che le vene del
suo corpo stessero inspiegabilmente lievitando, bloccando il passaggio
dell’ossigeno con la loro mole; i polmoni parvero seccarsi e
sfaldarsi come
fogli di pergamena vecchia. Conficcò le dita nel polso del
suo collega, fino ad
escoriargli la pelle, tentando inutilmente di articolare una richiesta
di aiuto
con la sua gola troppo gonfia; trascorsero solo alcuni secondi prima
che l’uomo
si accasciasse al suolo, gli occhi sbarrati e le dita congelate in una
strenua
lotta per la vita. I suoi due colleghi non ebbero tempo di inorridire
per
quella morte, talmente improvvisa e insensata da apparire una punizione
divina,
che la fatale puntura si infisse anche sui loro colli: il pavimento
sopportò i
loro arti scalpitanti nella lotta per la sopravvivenza, feroce quanto
inutile,
e ospitò le loro membra immobili, abbandonate nel freddo
sonno della morte.
Il
palmo di Antonio si poggiò
pesantemente sul pavimento, con l’ingrato compito di
sorreggere il busto mentre
la battaglia infuriava: incapace di rialzarsi in piedi,
l’ex-corsaro fu
costretto a combattere con una gamba inerte stesa a lato e
l’altra ripiegata
come per spiccare un balzo.
Lovino
era stato istruito da
Arthur, ma comprendere la teoria ed eccellere nella pratica erano
concetti
distanziati da un oceano; strinse le dita attorno al pugnale per
sferrare un
secondo colpo, ma lo sparo inaspettato e le grida delle guardie colpite
lo
fecero tentennare un secondo di troppo. Accecato dal dolore ed aizzato
dall’acre sapore della sconfitta, Nicolas aveva mosso la sua
ultima pedina: lo
stiletto era emerso dal suo stivale, e si era diretto con precisione
alla
coscia del giovane.
La
spada di Antonio affondò con
particolare impeto nelle viscere della guardia di fronte a lui quando
udì il
rantolo di dolore del compagno. Il gladio saettò forsennato
per aprirsi un
varco tra i vigilanti, la lama che riemergeva più rossa e
bagnata ad ogni
colpo.
Consuelo
tenne la pistola
dritta davanti a sé, pronta a premere il grilletto in
qualunque momento, ed i
suoi occhi in fibrillazione colsero anche il più truculento
dettaglio dello
spettacolo innanzi a lei. Le sentinelle giacevano a terra, chi ancora
gemente
nell’agonia e chi paralizzato dalla morte, chi con la faccia
immersa nella
pozza del proprio sangue e chi con il viso orribilmente sfigurato dal
veleno.
Il puzzo ferrigno e malsano della morte era così acuto in
quella stanza da non
essere più immateriale; era percepibile come un liquido
viscoso che scendeva
lungo l’esofago e si depositava disgustoso sullo stomaco,
provocando lancinanti
conati di vomito. Ma ciò che calamitava il suo sguardo era
il gruppo di fronte
a sé: Antonio, circondato dalla truce corolla delle
sentinelle uccise, che
cercava inutilmente di rialzarsi in piedi per raggiungere il suo
amante;
Lovino, che si appoggiava al muro con il palmo libero dal pugnale,
l’equilibrio
irrimediabilmente compromesso dal taglio poco sopra il ginocchio;
infine
Nicolas, una mano premuta sulla ferita al fianco e l’altra
stretta attorno ad
uno stiletto, entrambe intrise di sangue.
«Finirai
all’Inferno, pagano
blasfemo» sibilò Nicolas. Il pugnale
rintoccò argentino contro il suolo quando
le dita dell’Inquisitore persero la forza necessaria a
sostenerlo. Le palpebre
dell’uomo si chiusero più volte, mentre le labbra
si affaticavano a comporre
quella che sarebbe stata la loro ultima frase. Nicolas non si illuse a
riguardo; aveva visto mille volte il terribile angelo della morte
troncare con
un solo colpo di falce una vita umana: sapeva che quella lama ricurva
si stava
avvicinando sempre di più a lui, la avvertiva con maggiore
chiarezza ad ogni
goccia di sangue che la sua ferita sputava, sempre più
sottili e sporadiche.
Quel demonio italiano non aveva mai toccato un pugnale in vita sua, ma
era
stato tremendamente accurato nel colpirlo a morte: aveva
l’assassinio nel
sangue e chissà quali altri peccati, come tutti gli abietti
diavoli della sua
razza perversa.
«Il
Quinto Comandamento recita:
“Non uccidere”» esalò.
«Ed è un peccato mortale contravvenire alle
Tavole.»
«E
i vostri roghi?» ringhiò Lovino,
inalberando il capo; la parrucca scivolò al suolo, lasciando
scoperta la sua
malvagia chioma rossiccia. «Quante volte avete offeso il
Comandamento, con
quelli? State pur certo che, se esiste un Inferno, finirete in un
girone molto
più basso del mio.»
Il
mondo diventò troppo buio,
troppo indistinto, e le forze troppo scarse per rispondere.
“Lo spirito è
forte, ma la carne è debole”, stava scritto;
sperava che, in virtù delle parole
del Figlio, il Padre lo avrebbe perdonato se non fosse riuscito a
salmodiare la
sua ultima preghiera.
Un’improvvisa
ondata di freddo
lo avvolse, facendolo tremare da capo a piedi. Era il gelo della
ghiacciaia del
Cocito, quello che avvertiva? No, il diavolo orfano non poteva aver
ragione su
quel punto: la sua santa missione gli era stata affidata da Dio. Era
solo un
umile servo dell’Altissimo, del tutto indegno di sedere ai
piedi del Suo trono,
ma confidava che, nella Sua infinita bontà, Egli avrebbe
riservato un piccolo
spazio per il Suo indegno servitore.
Lo
sguardo annebbiato deragliò
su Antonio: non riuscì a distinguere la sua espressione a
causa della fitta
caligine che gli stava adombrando la vista, ma comprese comunque.
Quello che
aveva avvertito non era il gelo del ghiaccio, ma la sferzata artica del
vento
che infuriava nel girone della Lussuria: non sarebbe finito
all’Inferno per la
sua opera di pulizia, come profetizzato dall’eretico
pescatore, ma a causa dei
suoi vecchi sentimenti impuri, che non era riuscito ad estirpare
nemmeno con
un’esistenza votata alla rettitudine.
Sentì
le pietre del pavimento
battere contro le sue costole, ma le percepì come filtrate
attraverso un corpo
non suo. Ed era così: la sua anima stava lentamente
abbandonando il suo
involucro di carne, per dirigersi nel luogo del giudizio.
Stese
un braccio, puntando un
dito malfermo contro l’ex-capitano. Avrebbe voluto dirgli che
era colpa sua se
sarebbe stato dannato, perché non gli aveva permesso di
purificarlo, tanti anni
prima. Pur nella nebbia dell’agonia, avvertì il
peso dell’anello al suo dito. Se
era davvero solo colpa del capitano, perché non era mai
riuscito a disfarsi di
quell’inutile monile? Lo aveva conservato come ricordo della
sua passata
debolezza, ma la sua memoria era forte abbastanza da non dimenticarsene
anche
senza l’ausilio di quell’orpello. Lo aveva tenuto
perché era l’unico ricordo
del suo amico, della sola persona che avesse fatto vacillare la sua
ineffabile
vocazione.
La
mano si abbatté al suolo, e
il cerchio d’oro tintinnò contro la dura pietra.
Non
lo aveva mai toccato, e si
era maledetto ogni giorno per quei sentimenti indecenti, si era punito
con il
cilicio e con il digiuno. Pregò che il Signore fosse
indulgente con il Suo
servo peccatore, e che gli permettesse di scontare le sue colpe nella
pace del
Purgatorio.
«Oh
Signore» l’ultimo,
sottilissimo filo di voce volò instabile dalle sue labbra.
«Perché hai fatto
l’uomo così debole, di fronte al
diavolo…»
Il
fiato si condensò contro le
pietre. Poi l’alone svanì. E non se ne
formò un altro.
«È…
morto?» balbettò Consuelo,
che ancora non osava calare la pistola.
Antonio
annuì, deglutendo
nell’ugola inaridita.
«Dobbiamo
andarcene, prima che
arrivino altre guardie» li sollecitò con la voce
scricchiolante.
Diego
si mosse per aiutare
Antonio a camminare, ma una voce stentorea lo bloccò.
«Hai
la schiena cucita e le
mani frantumate. Non esagerare con il fare l’eroe.»
L’enorme
figura del cuoco
occupava tutto il corridoio, e Consuelo quasi pianse per la gioia di
vederlo lì
in quel momento.
«Aiuta
il ragazzo» le impartì
l’energumeno, che, senza alcuna esitazione, aveva rialzato
Antonio da terra e
lo stava aiutando a camminare. In realtà, il cuoco lo stava
portando in giro
come un cesto di verdura, poiché i piedi
dell’ex-capitano a malapena sfioravano
il suolo.
Lovino
rimase addossato al muro
mentre la donna si inginocchiava per fasciargli la ferita con un lembo
di
tessuto, strappato dalla camicia troppo larga, per poi rialzarsi e
offrirgli le
spalle come appoggio. Il pescatore soffocò tra i denti
digrignati una sonora
imprecazione per il dolore al muscolo ferito, e si addossò a
Consuelo per procedere.
Diego
avanzava in mezzo ai due
gruppi, zoppicante, aiutato a tratti dalla futura moglie e a tratti dal
collega
gigantesco.
La
bestemmia ruvida di Thomas
li accolse all’uscita di quel luogo infernale, e lo
scalcagnato lupo di mare si
affrettò ad aiutare il traballante Diego.
«Siete
riuscito ad uscire!»
sputacchiò il bucaniere, infervorato. «Per le
balle di Nettuno, siete davvero
il capitano leggendario!»
«È
merito della mia ciurma» il
sorriso si trascinò a fatica sulle labbra esauste di
Antonio, e gli costò uno
scrollone imbarazzato da parte del cuoco.
«Non
essere modesto, capitano»
ruggì quello, trasportandolo a viva forza.
La
relativa tranquillità finì
con la velocità di una fucilata: dalle guglie alle loro
spalle, uno stuolo di
guardie, accorse allo sparo di Consuelo e trovato
l’Inquisitore privo di vita,
cercava di purificare quel luogo dissacrato mediante la polvere da
sparo. Tre
colpi esplosero nella loro direzione, prima che le sentinelle si
fermassero per
ricaricare.
Antonio
si sentì avvolgere da
qualcosa di nerboruto, e la stessa sensazione fu avvertita dal resto
del
personale della locanda. Quando l’eco degli scoppi si
allontanò nel cielo, si
accorsero di essere schiacciati contro il petto mastodontico del cuoco,
il cui
viso era contorto in una smorfia sofferente. Ma non fu loro concessa
nemmeno
una domanda.
«Sbrighiamoci
prima che
ricarichino!» mugghiò l’uomo, sollevando
di nuovo il capitano come se fosse
senza peso. Consuelo si affrettò dietro di lui, e lo stesso
fece Thomas.
Nella
loro precipitosa corsa
per guadagnare la spiaggia, Antonio fu l’unico ad avere
un’idea precisa del
progressivo aggravarsi delle condizioni del cuoco. Il punto rosso che
gli aveva
solleticato il palmo si espanse mentre percorrevano il primo vicoletto,
fino a
coprirgli tutta la mano. Il buio notturno in cui era sprofondata la
città aveva
ammantato anche le ferite del gigante, ma Antonio riuscì
comunque a percepite
la chiazza arrivare a sporcargli il polso.
Le
guardie spararono una
seconda raffica di colpi, prima che il gruppo riuscisse a sparire nel
dedalo
delle stradine laterali, e anche quella scarica fu schermata dal cuoco.
Lovino
arrancava e incespicava,
e, ad ogni passo, aveva la sensazione che un ferro arroventato gli
martoriasse la
ferita aperta. Si morse l’interno delle guance con forza,
deciso a non
lamentarsi: quello stupido di Antonio aveva sopportato quel patimento
per anni
interi, lui avrebbe potuto resistere per qualche ora.
I
segni dello scompiglio portato
da Arthur e dai suoi uomini erano ancora visibili nelle ceste
rovesciate, negli
oggetti sparsi per tutta la piazza e nei lumi irrequieti che si
muovevano
dietro le finestre della cattedrale e del Palazzo di Giustizia.
Nonostante le ombre
che sfumavano ogni cosa, era possibile respirare ancora il panico di
quel
pomeriggio.
Tutti
loro accelerarono il
passo quando le campane della chiesa e del Palazzo suonarono in
sincrono: il
corpo dell’Inquisitore era stato trovato, e quello era il
modo per allertare le
sentinelle alle porte della città.
Percorsero
le stradine meno
conosciute, evitando ogni possibile vicolo sorvegliato, tutti
ammutoliti nel
raccoglimento della fuga.
Thomas
non si lasciò sfuggire
l’occasione di inveire coloritamente contro il cielo quando
il profumo e il
rumore del mare furono distinguibili in quella notte di sangue e lotte,
ed
imprecò ulteriormente quando fu loro visibile il regno della
Dea. Una piccola
scialuppa li attendeva, attraccata al molo, e i due marinai su di essa
si
sbracciarono nella loro direzione non appena li videro sbucare
dall’ultimo
calle.
Raggiunsero
la barca, e Thomas
fu il primo a saltarvi dentro, aiutando poi gli altri a caricare i
feriti.
Lovino ringhiò nella sua direzione, quando il bucaniere tese
le mani verso di
lui, e salì con le sue sole forze. Consuelo lo
seguì, ed assistette Diego ed
Antonio durante la salita. Il cuoco si abbatté sulla
scialuppa, e rischiò quasi
di rovesciare la barca con il suo peso massiccio.
La
donna si portò le mani alla
bocca, ed il futuro marito le appoggiò le mani sulle spalle
per calmarla. Gli
occhi del pescatore si dilatarono per la sorpresa, e il locandiere si
accostò
all’uomo smisurato. Solo i due marinai furono abbastanza
indifferenti da
correre a sciogliere le cime e cominciare ad affondare i remi
nell’acqua.
Antonio
sentì un nodo amaro
stringergli la gola. Era passato così tanto tempo
dall’ultima volta in cui
aveva assistito un suo sottoposto durante gli ultimi attimi di vita,
che i
brividi di sconforto e tristezza tipici di quei frangenti lo avevano
colto quasi
senza difese, ma sollevò presto il fermo contegno che aveva
imparato ad usare
tanto tempo prima per non agitare ulteriormente chi stava per
attraversare le
porte dell’Oceano Infinito.
«Ci
hai fatto da scudo»
mormorò, composto. Gli occhi del cuoco si diressero verso di
lui, affaticati e
soddisfatti. Giaceva prono sul fondo della barca, scoprendo le
inequivocabili macchie
vermiglie, che si allargavano a partire da un piccolo punto
più scuro laddove
il proiettile era infitto.
«Sapevo
che questa sarebbe
stata la mia ultima battaglia, capitano» sospirò
l’energumeno. Lo aveva deciso
nel momento in cui erano stati scelti come squadra di recupero: si
sarebbe
sacrificato per i suoi compagni, se le cose fossero andate male. Diego
aveva
Consuelo, Antonio doveva ricongiungersi con il suo Lovino: tutti loro
potevano
ancora vedere quanto fosse meraviglioso il reame del mare. Lui no.
Aveva perso
la chiave, ormai.
«Ho
solo un favore da
chiedervi» mormorò contro il fondo legnoso.
Antonio annuì, serio, ed il cuoco
terminò: «Abbandonatemi sugli scogli, per favore.
Voglio morire là.»
«A
bordo ci sono dei medici.
Potrebbero…»
«No,
Consuelo» la interruppe
con rude dolcezza l’energumeno. «Queste ferite
vanno oltre la medicina.»
«Perché
l’hai fatto?»
Il
tono tremulo del pescatore
fece rialzare lo sguardo opaco dell’omone. Gli occhi del
cuoco si strizzarono,
cercando di mettere a fuoco quello che poteva essere l’ultimo
scherzo della sua
mente stanca.
«Stai…
piangendo per me?»
domandò, incerto delle sue percezioni.
Vide
il braccio sfocato di
Lovino correre sotto il cappuccio e fregare la manica contro gli occhi
e, da
quel gesto irascibile, il cuoco comprese. Probabilmente era un pianto
dovuto
alla pressione di quel periodo, all’adrenalina degli ultimi
due giorni e alla
stanchezza per la fuga, ma non importava: almeno una lacrima era per
lui, ed
era sufficiente. Era convinto che nessuno avrebbe mai pianto per la sua
sorte,
che sua figlia fosse l’unica capace di emozionarsi per quel
colosso che faceva
paura a tutti.
Lovino
non si allontanò quando
una mano grande quanto una vanga si appoggiò sulla sua
guancia per sentire se
fosse effettivamente bagnata: le lacrime si schiacciarono contro quel
palmo
spropositato, ancora tiepide.
Il
cuoco serrò la mano, e le gocce
salate si spansero nelle pieghe del palmo. Qualcuno aveva pianto per
lui:
quelle lacrime erano la sua chiave.
«Grazie,
Lovino» sussurrò il
cuoco, fissandolo quasi con devozione. Il pescatore non gli fece notare
che non
aveva risposto alla sua domanda, e nascose il viso nell’ombra
del cappuccio.
«Gli
scogli…» uno dei due
marinai si intromise con garbo nei loro discorsi. «Li stiamo
raggiungendo.
Dobbiamo…»
«Sì»
ordinò pacato Antonio,
senza staccare gli occhi da quel gigante che l’aveva seguito
così a lungo. Conosceva
due cose di quell’uomo: non era pentito del suo crimine, e
tutto ciò che
desiderava era un luogo al riparo dalla denigrazione degli altri. Per
questo
era scappato in mare, e per questo stesso motivo gli era rimasto fedele
tanto a
lungo: Antonio sapeva quali fossero le conseguenze dei giudizi
totalitari, e
per questo lasciava gli altri liberi di vivere nel bene e nel male,
limitandosi
a regolarla se andava contro i suoi interessi.
Aveva
combattuto bene contro la
vita e le sue asperità: che trovasse la pace che anelava nel
luogo in cui
desiderava giacere.
La
scialuppa si accostò allo
scoglio, e Antonio aiutò l’omone a rialzarsi in
piedi. Anche Consuelo si
accostò per soccorrerlo, le guance inondate da un fiume di
lacrime.
Il
cuoco la guardò, quasi
perplesso.
«Anche
tu piangi per me?»
«Non
è ovvio?» protestò Diego,
la voce strozzata dalla tristezza.
Il
colosso li guardò tutti, uno
per uno, con i suoi occhi ottenebrati. Ognuno di loro aveva sprecato
almeno una
lacrima per lui. Il capitano non aveva pianto, ma lo stava aiutando a
scendere
come avrebbe fatto con un caro amico.
Avendo
sempre tenuto lo sguardo
rivolto al reame del mare, non si era reso conto del piccolo regno
affettuoso
che si era stretto intorno a lui. Era triste accorgersi di una simile
fortuna
solo pochi minuti prima di perderla definitivamente.
Consuelo
gli si avvicinò, e gli
mise a forza un ninnolo tra le mani, rovesciandogli un torrente di
lacrime sul
palmo. Il cuoco dischiuse appena le dita, ed intravide la croce di
acquamarina
che la donna portava sempre con sé. Stava per rifiutare, ma
lo sguardo della
cameriera lo fece desistere sul nascere: non avrebbe accettato proteste
di
alcun tipo. Consuelo era una donna dolce, ma sapeva essere estremamente
testarda. In fondo,
lei non aveva più bisogno
di una pietra per garantire la propria felicità. Aveva
Diego, e lui si sarebbe
battuto per amor suo mille volte meglio di un semplice sasso. Lui,
invece,
necessitava un oggetto che gli ricordasse i suoi compagni e il loro
affetto
imperituro, durante le sue lunghe peregrinazioni
nell’aldilà. L’omone accettò
il dono, portandolo alle labbra per baciarlo.
La
schiena bruciava e le forze
lo abbandonavano; dovette appoggiarsi allo scoglio frastagliato per
rimanere in
piedi mentre si accomiatava:
«Grazie.»
Loro
non avrebbero capito il
motivo di quel ringraziamento, né quanto fosse profondo, ma
non aveva
importanza. Avrebbe portato con sé quel sentimento oltre la
tomba, dove nessun
uomo, nessun pregiudizio avrebbe potuto guastarlo. Si issò
sugli scogli, sentendo
Consuelo singhiozzare, Diego trattenere le lacrime e Lovino
nasconderle, mentre
il capitano si limitava a fissarlo immobile, come il cielo osserva il
suo
riflesso nel mare.
L’omone
si adagiò su una conca
naturale tra due creste di roccia, il mare che gli lambiva le gambe e
la
schiena insanguinata poggiata su un tappeto di alghe. Fece un cenno ai
due
marinai, e quelli ripartirono veloci per raggiungere il vascello
maggiore, che
galleggiava sulle acque più profonde.
Schioccò
le labbra per godersi
l’odore pungente della salsedine e delle alghe, e strinse le
dita attorno alla
croce di acquamarina, conficcandosi le braccia del monile nel palmo.
Erano le
sue ultime sensazioni in quel mondo, e voleva assaporarle fino alla
fine.
«Arrivo
a bussare alla porta
del reame del mare» cantilenò, senza fiato.
«C’è qualcuno ad aprirmi?»
Gli
parve di sentire una risata
argentina, appena sotto il pelo dell’acqua.
Al
velo dell’agonia si
sovrappose quello delle lacrime quando vide il volto
dell’amata figlia
sorridergli in mezzo ai flutti.
«Ti
ho aspettato per tutto
questo tempo, papà» lo salutò lei.
«Ho tenuto la porta del reame aperta per
te.»
La
vide inclinare il capo in
quel modo così grazioso, che la faceva assomigliare ad un
gattino desideroso di
coccole.
«Che
storia mi racconterai
questa sera, papà?»
Il
respiro dell’omone uscì
dalla sua bocca in rantoli strozzati, ostacolato dalla morte sempre
più vicina
e dall’emozione travolgente di aver ritrovato la figlia tanto
amata. Riuscì a
stabilizzarlo a sufficienza per rispondere:
«È
una storia di avventura,
tesoro. Parla di un capitano coraggioso e del suo innamorato. E della
sua
ciurma. E del suo amico inglese. E di come abbiano lottato contro uno
spettro
potentissimo.»
«Sembra
interessante» gioì lei,
sotto le onde.
Un
accesso di tosse gli
sconquassò il petto, e uno spruzzo di sangue
colorò l’aria. L’entrata del reame
era sempre più vicina…
«Per
me, lui sarà sempre il
miglior capitano… e loro la migliore ciurma.»
La
mano del cuoco ricadde
inerte sullo scoglio, e il monile di Consuelo affondò nel
mare, rilasciato
dalle dita socchiuse.
«Eccomi,
tesoro. Sto venendo a
raccontarti la loro storia…»
Il
corpo dell’uomo sprofondò
nelle onde, placido, quasi cullato dalla fredda corrente notturna.
Il
reame del mare gli aveva
aperto di nuovo le porte. E tutto era bello, lì.
***
«Così
sono andate le cose.»
Arthur
appoggiò il lume sul
parapetto, meditabondo.
I
suoi uomini erano corsi a
cambiarsi non appena messo piede sulla nave: si erano ripuliti la
tintura dal
viso e avevano lanciato le cappe scure per riappropriarsi dei propri
abiti,
dopodiché avevano ripreso la vita di navigazione come se
nulla fosse mai
accaduto. Il mare non si limitava ad erodere spiagge e scogli: per
vivere
secondo le sue regole mutevoli, un uomo doveva adattare il suo cuore ai
dettami
delle maree, e permettere alle onde di ripulire il suo animo. Non vi
era tempo
per i compianti, perché l’oceano non permetteva a
nessuno di essere più
importante di lui, nemmeno ad un compagno caduto.
Antonio
era stato il primo ad
essere visitato dal medico di bordo, ed era stato sorprendentemente
veloce: la
cicatrice avrebbe continuato a fargli male per qualche giorno ancora,
finché
non si fosse totalmente assuefatto al dolore. Il dottore aveva poi
controllato
Diego, rimproverandolo per aver fatto saltare alcuni punti. Dopo averli
ricuciti, si era occupato di Lovino, che si trovava ancora sotto
l’occhio
clinico del dottore.
Arthur
appuntò lo sguardo sulla
tomba del cuoco: gli scogli lo fissarono con i loro occhi di roccia,
facendo
spumeggiare le onde tutto intorno come una maestosa corona biancastra.
«Nicolas…
non ti ha detto
nulla?»
«Non
ha avuto modo. Abbiamo
combattuto, quando ci siamo incontrati.»
I
due uomini restarono in
silenzio qualche secondo, solo il rumore del mare tra di loro.
«Credo
che sia stata la
conclusione più giusta. Anche se avessimo parlato, non
saremmo comunque
riusciti a comunicare. È meglio che sia finita in
silenzio» sentenziò Antonio.
«Ne
sei certo?»
«Sì.
Ne sono certo.»
Antonio
si girò, in modo da
appoggiare i gomiti al parapetto e dare la schiena all’oceano.
«Grazie
per il tuo aiuto. Non
ce l’avremmo mai fatta, senza di te.»
Arthur
si strinse nelle spalle,
girando la pipa tra le dita con noncuranza.
«Avevo
un debito da estinguere.
E credo di esserci riuscito, finalmente.»
I
due capitani si fissarono,
memori del medesimo episodio ed entrambi soddisfatti della conclusione
degli
eventi.
«È
un onore averti a bordo»
annunciò Arthur, battendogli una pacca sulla spalla.
«Navigatore» gli
ricordò, giusto perché Antonio non dimenticasse
che
su quel veliero avrebbe dovuto obbedire e non essere obbedito.
L’ex-corsaro
sorrise per
l’acida amicizia dimostrata dal capitano inglese, e non lo
trattenne quando
questo si avviò verso la propria cabina. Avevano tutti
bisogno di riposare: c’erano
rotte commerciali da stabilire, scambi da trattare, merci da sistemare.
E,
soprattutto, un periodo infernale da dimenticare.
La
tasca venne alleggerita del
suo piccolo tesoro. Gli anni passati come mozzo sulle navi e ladruncolo
nei
mercati avevano rivelato di nuovo la loro utilità: era
riuscito a sfilare
l’anello dal dito dell’Inquisitore senza che
nessuno se ne accorgesse.
Scrutò
il topazio, immerso nei
suoi pensieri.
Aveva
capito cosa intendesse
Nicolas, quando aveva proteso la mano verso di lui. Era colpa sua, solo
sua se
l’Inquisitore sarebbe finito all’Inferno, non delle
barbarie perpetrate dal
cacciatore.
Il
locandiere poggiò l’anello
sul palmo. Si chiese in quale punto della sua vita, esattamente, avesse
perso
per sempre il suo amico. Era stato l’episodio del fienile? Se
non lo avesse mai
invitato a saltare, quel giorno, nulla di tutto ciò sarebbe
mai accaduto?
Sospirò,
chiudendo il gioiello
nello scrigno delle sue mani. Aveva capito il motivo
dell’ultimo gesto
dell’Inquisitore, così come aveva intuito la vera
ragione del suo odio. Aveva
compreso, ma non aveva avuto pietà: per la cecità
di quell’uomo di fronte ai
suoi stessi sentimenti aveva perso i suoi genitori, e aveva rischiato
di
perdere anche Lovino. Se si fosse dimostrato pentito, o se avesse avuto
il
coraggio si ammettere che anche lui era un peccatore come tutti loro,
forse si
sarebbe mostrato più clemente nei suoi confronti, e gli
avrebbe rivolto una
parola di conforto al momento del suo ultimo respiro. Ma
così non era stato,
perciò aveva permesso che la sua morte trascorresse come
l’Inquisitore aveva
deciso di passare la sua vita: solo, arroccato nella torre costruita da
lui
stesso con le sue folli convinzioni, che certamente non avrebbero
riscosso
l’approvazione di nessun dio.
Riaprì
le mani, e il topazio
catturò la luce di una stella.
Aveva
odiato l’Inquisitore, e
aveva permesso che morisse senza alcuna assistenza. Ma per Nicolas, per
il suo
amico con cui da bambini avevano condiviso i racconti dei viaggi dei
suoi
genitori, per il ragazzo il cui sorriso non era ancora stato spento dal
peso
soffocante di una tonaca, aveva ritenuto giusto quell’ultimo
rituale.
Portò
il monile davanti alla
fronte, e dichiarò agli astri notturni:
«In
memoria del mio amico
Nicolas de Torquemada, morto diciotto anni fa
all’età di venti anni.»
La
luna regalò un riflesso
argenteo all’anello quando questo venne lasciato libero di
tuffarsi nelle onde.
I flutti si appropriarono del gioiello, ingoiandolo nelle loro
profondità buie.
Gli
occhi verdi dell’uomo
seguirono il monile nel suo inabissamento e si risollevarono poi ad
osservare
il mausoleo di scogli in cui riposava il suo fedele cuoco.
I
suoi occhi erano un deserto
di malinconia, asciutti ma roventi di dolore. Batté le
ciglia, per scacciare le
lacrime che aveva disimparato a versare.
Salutò
i defunti con un inchino
e mormorò, prima di dileguarsi nella sua cabina:
«Ora
lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo
la tua parola.»
Erano
anni che le sue labbra pagane non
pronunciavano un inno. Ma quello era uno dei momenti in cui perfino un
miscredente come lui aveva voglia di pregare, anche solo per rendere
omaggio ai
morti.
«Che
il prossimo mondo sia più indulgente.»
***
La
porta della camera cigolò, e Antonio non
ebbe nemmeno bisogno di accendere la candela per capire chi fosse
entrato.
Tese
una mano nel buio, ed una più piccola
si appoggiò sul suo palmo, lasciandosi guidare fino al letto.
Antonio
rimase fermo mentre il giovane si
issava malamente sul giaciglio e su di lui: la stretta fasciatura ed il
dolore
sordo della ferita sottostante impedivano al ragazzo di muoversi con
scioltezza. Furono quelle bende ad essere lambite dal palmo
dell’uomo, con
delicatezza per non risvegliare la lesione ancora fresca.
«Ti
fa male?»
«No»
mentì spudoratamente Lovino, afferrandogli
il polso per spostargli la mano. Non voleva che Antonio toccasse troppo
la fasciatura,
oppure si sarebbe accorto dei punti che il medico gli aveva imposto per
tenere
ferma la ferita. E non voleva che il suo compagno si preoccupasse di
nuovo per
lui.
Antonio
non polemizzò affatto, anzi, spostò
rapidamente la mano sul fianco dell’amante, il punto che
sfiorava così spesso
quando erano in intimità.
«Non
avresti dovuto correre un simile
rischio» lo rimproverò senza cattiveria.
«Nemmeno
tu» reagì Lovino. Batté una
potente testata sul petto dell’uomo e brontolò sul
suo sterno: «Idiota.»
Il
viso del ragazzo si rialzò per scrutarlo
in volto, e le iridi ramate assunsero quella loro aria indagatrice e
perentoria
nel chiedere:
«Ti
hanno torturato?»
Antonio
fu tentato di mentire, ma una bugia
simile non sarebbe mai stata creduta: conoscevano tutti fin troppo bene
le
procedure dell’Inquisizione.
«Sì»
replicò sterilmente.
Il
pagliericcio scricchiolò vistosamente a
causa delle goffe manovre del ragazzo nel fare leva sulle mani per
toccargli
con barbara gentilezza la crosta sullo zigomo.
«Tipo
questo?» insistette il pescatore.
«No.
Questo è… ho fatto arrabbiare
l’Inquisitore» capitolò Antonio.
«Sei
imprigionato e fai arrabbiare il tuo
carnefice? Ma allora sei un cretino integrale!» per vendetta,
Lovino picchiettò
con la nocca la crosta, ottenendo un mugugno sofferente dal suo amante.
Il
peso dell’italiano si scaricò di nuovo
contro il suo petto, e Antonio carezzò con affetto la testa
imbronciata
sprofondata nella sua spalla.
Poi
il pescatore formulò la domanda che
aleggiava tra di loro da quando si erano separati.
«Perché
hai fatto una cosa così stupida?»
L’ex-corsaro
non rispose subito. Gli
occorse del tempo per abbracciare il suo Lovino, per tranquillizzarlo
con il
calore del suo corpo e della sua presenza; erano lontani dalla terra
dei
cacciatori: il mare gli avrebbe protetti e, se non ci fosse riuscito,
avrebbero
provveduto da soli alla propria sicurezza, come avevano fatto in quella
notte.
Lo strinse finché non fu sicuro che il fantasma
dell’Inquisizione non fosse
stato esorcizzato, e finalmente rispose:
«Era
la cosa giusta da fare.»
«Era
la cosa più stupida da fare! Ti sei
consegnato! E ti avevano già catturato una volta!»
si alterò Lovino, battendo
un pugno irato sulla clavicola del compagno.
«Tu
sei più importante.»
«Non
dirlo!» il pescatore quasi saltò sul
letto, e si sarebbe probabilmente rialzato come un gatto se
l’abbraccio
dell’amante non gli avesse reso impossibile spostarsi.
«Vuoi preoccuparti un
po’ più di te stesso? Sto in ansia dalla mattina
alla sera, per colpa tua! Devo
sempre preoccuparmi che tu non faccia qualcosa di stupido per un
presunto
pericolo che potrei correre!»
«L’Inquisizione
era un pericolo reale…»
«Stai
zitto!»
Per
quanto Lovino fosse collerico, non era
mai arrivato a tanto, pur di essere ascoltato: imbavagliò la
bocca dell’uomo
con la propria mano, costringendolo al silenzio durante la sua
invettiva.
«Hai
mai pensato a come mi sarei sentito
io, se mi fossi salvato a scapito della tua vita?» lo
investì schiaffeggiandolo
con tutta l’ansia, tutta la paura che gli avevano straziato
le viscere in quei
giorni di preparativi. «Credi che sarei stato capace di
vivere felice e
contento, sapendo che eri morto per proteggermi? È questa la
tua idea di amore?
Beh, allora fa schifo! Costringere l’altro ad una vita
segnata dal senso di
colpa… c’è qualcosa che non va nel tuo
cervello!»
La
voce suonò attutita dalle dita del
ragazzo, ma la frase stupida di Antonio fu ugualmente comprensibile:
«Hai
detto “amore”?»
«Non
capire solo quello che ti fa comodo! E
poi ti ho detto di stare zitto!» sberciò il
giovane, sull’orlo di una crisi di
nervi.
Una
pioggia calda cadde sul volto
dell’ex-corsaro quando le lacrime che il suo amante stava
tanto faticosamente
trattenendo eruppero.
«Smettila
di trattarmi… come se fossi un
oggetto da custodire. Posso difendermi da solo»
brontolò, la voce appesantita
dal pianto.
Gli
occhi del capitano lo fissarono dal
basso, ammorbiditi da una tristezza profonda. Non avrebbe mai voluto
che il
pescatore diventasse un assassino: lo aveva tutelato in tutti i modi
perché le
sue mani fossero monde da qualsiasi colpa di sangue. Ma non era stato
abbastanza attento nel difenderlo. O meglio, aveva sottovalutato la
determinazione del ragazzo. Rimpiangeva amaramente di averlo spinto su
quella
china, e quel rammarico avrebbe strisciato nei suoi polmoni ad ogni
respiro, ma
capiva con chiarezza che non avrebbe mai potuto fermare il giovane.
Uccidere
l’Inquisitore era stata una scelta cui Lovino si era votato,
ed aveva
dimostrato più volte quanto la sua tenacia fosse ferrea:
nemmeno la Queen of Pirates era
riuscito a
trattenerlo, quando aveva deciso di condividere il destino con
l’ex-capitano.
Lovino si sarebbe comunque vendicato, in nome suo e del suo innamorato,
e
avrebbe scavalcato anche Antonio, se lo avesse ostacolato.
Si
addolorava per quella scelta del
giovane, ma comprendeva la sua fermezza. Antonio si era dimostrato
ugualmente
saldo nelle sue convinzioni quando si era consegnato
all’Inquisizione.
«Non
fare mai più… una cosa così
azzardata»
borbogliò Lovino.
Le
braccia dell’uomo lo condussero
gentilmente ad adagiarsi di nuovo contro di lui, dove venne cullato e
vezzeggiato dalle carezze gentili del compagno.
«Mi
dispiace» si scusò Antonio.
Sentì
il ragazzo agitarsi appena nella sua
stretta, per portare la propria mano davanti al viso e fissarla come se
la
vedesse per la prima volta.
«L’ho
ucciso» soffiò, quasi non credesse
alle sue stesse parole. L’Inquisitore che li aveva
terrorizzati era morto. Per
mano sua. Era stato lui a pugnalarlo al fianco, anche se aveva mirato
allo
stomaco. Era quasi surreale la facilità con cui un uomo
poteva essere
eliminato, e forse era proprio quello a dare all’Inquisizione
il suo enorme
potere: al carnefice bastava poco per uccidere la sua vittima, ma il
dolore dei
suoi cari non si sarebbe mai spento, e sarebbe diventato un deterrente
contro
futuri attacchi.
Era
la memoria il vero potere del terrore.
Antonio
trasse un respiro più profondo del
solito, che Lovino individuò subito come il fiato che il
compagno prendeva
sempre prima di cominciare un discorso serio, per cui lo prevenne sul
tempo:
«Ha
detto che finirò all’Inferno, per
questo. Ma non ci credo.»
O
meglio, non credeva che sarebbe stato
scagliato nel regno di Lucifero per l’uccisione
dell’Inquisitore. Ci sarebbe
finito perché era un sodomita, come i preti amavano additare
le persone che,
come lui, preferivano amare un uomo che fecondare una donna.
Trasgredivano a
ben due ordini celestiali, quello di non commettere atti impuri e
quello di
moltiplicarsi.
Aveva
chiesto l’aiuto degli dei e dei santi
quando si era ritrovato senza famiglia, lo aveva invocato quando suo
fratello
era stato trovato sulla nave, lo aveva supplicato quando il suo primo
padrone
lo percuoteva. Ma era stato un uomo a rispondere al suo appello, non
una
creatura alata e angelica. Quello stesso uomo che non aveva esitato a
buttarsi
nelle braccia del suo peggior nemico per proteggerlo. Se doveva finire
all’Inferno per lui, lo avrebbe accettato. Quando si era
unito al suo capitano
dopo essersi gettato dalla Queen of
Pirates, aveva giurato a se stesso che lo avrebbe amato fino
all’ultima
fibra della sua anima. Non avrebbe rinnegato quel giuramento solo
perché
persone che non avrebbero mai mosso un dito per aiutarlo pensavano che
fosse un
legame sconveniente.
Antonio
gli circondò il volto con una mano,
attirandolo vicino alle sue labbra.
«Se
dovessi finire all’Inferno, almeno
avresti una buona compagnia» bisbigliò, prima di
baciarlo come avrebbe voluto
fare nel Palazzo, quando lo aveva visto arrivare travestito da donna.
Lovino
non aveva voglia di ribellarsi,
quella sera: era stato diviso dal suo compagno, e aveva temuto che
fosse una
separazione definitiva, l’ennesima della sua vita. Aveva
lottato, corso, perfino
ucciso: le sue forze erano evaporate, e non ne aveva più
disponibili per
opporsi.
Le
sue gambe scivolarono ad intrecciarsi a
quelle dell’amante, mentre con le braccia gli circondava il
viso; Antonio lo
abbracciò con vigore, facendo scorrere una mano su tutto il
profilo del
giovane, dalla nuca alla natica, riscoprendo il corpo del suo
innamorato.
Si
baciarono a lungo, trasmettendo
direttamente alle labbra del compagno le loro sensazioni: la prigionia
e la
lontananza, la preoccupazione e lo spavento, il sollievo di ritrovarsi
e la
gioia di essere insieme. Era tutto nelle labbra che cercavano quelle
del
compagno, nelle lingue che si incontravano.
«Resta
qui» la voce arrochita dell’amante
gli sfiorò le guance, e Lovino bofonchiò:
«Non
ho altro posto in cui dormire.»
Si
accasciarono esausti sul materasso, ma
con ancora la forza di tenersi abbracciati nel sonno e la voglia di
restare
insieme per tutto il tempo possibile.
Lovino
restò sveglio più a lungo del
capitano: Antonio era più avvezzo di lui a simili
spettacoli, per cui faticò di
meno a trovare il sonno.
Il
ragazzo si strinse a lui, poggiando la
fasciatura sulla cicatrice del compagno.
Quando
aveva scelto Antonio al posto del
mare, gli aveva chiesto di non lasciarlo mai andare. Lo aveva fatto
mentre il compagno
dormiva troppo profondamente, e non aveva potuto né udirlo
né rispondergli.
Anche
in quell’occasione aveva qualcosa da
dirgli, qualcosa che avrebbe potuto rivelare solo alla notte silenziosa
e al
segreto del sonno. Incuneò il viso nel collo
dell’amante e vi soffiò sopra due
parole. Poi sollevò il volto su quello dormiente
dell’amante, lambì appena la
sua bocca con la propria e mormorò:
«Questa
è la pronuncia corretta. Hai
capito?»
Ovviamente,
Antonio non gli rispose, e
Lovino si accoccolò contro di lui per poter finalmente
riposare.
C’erano
tante cose da fare, e tante da
dimenticare. Ma avrebbero aspettato almeno una nottata, prima di essere
affrontate.
In
quel momento, voleva concentrarsi solo
sulla persona che lo stava abbracciando nel sonno.
Con
lui c’era Antonio.
Non
aveva bisogno di altro.