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Autore: DarkSide_of_Gemini    27/12/2013    2 recensioni
"-Io posso venire quando voglio qui. Domani torni?-
-No-
Aveva usato un tono perentorio, non adatto ad un bambino della sua età.
Sembrava abituato a farsi obbedire ad un minimo cenno, aveva assunto una vaga espressione di minaccia.
Kendeas ci rimase male, ma non si perse d’animo.
-E dopodomani?-
-No. Mai più. Mai più fino a quando non avrò terminato il mio addestramento-"
Due bambini, un lungo periodo di attesa, una promessa da mantenere.
E' così che inizia la storia di Saga e Kendeas, il primo Gold Saint dei Gemelli, l'altro un ragazzo comune, come tanti.
La storia di un amore nato per caso e capace di durare tutta la vita e oltre la morte, attraverso difficoltà, tradimenti, bugie.
Attraverso gli anni.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Gemini Saga, Nuovo Personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Anàmesa Étoi – Across the Years

 

4- Ombre

 

Erano in spiaggia, in una minuscola insenatura circondata da pareti di roccia.

Una parte della montagna era franata in mare ed aveva lasciato esposte le stratificazioni dell’arenaria, mentre i massi rotolati in acqua erano stati erosi dalle onde e dal vento ed erano tornati ad essere quello che erano stati migliaia di anni prima: sabbia.

Saga e Kendeas stavano seduti a terra, spalla contro spalla, ad aspettare che il sole tramontasse dietro le montagne con lo sguardo fisso in alto sulla volta blu ed indaco del cielo.

 

-Ecco Giove! Ho vinto io!-

 

Esclamò Kendeas.

Un puntino luminoso si alzava lentamente sopra la linea dell’orizzonte.

 

-No che non hai vinto! Giove non vale perché non è una stella!-

 

Protestò Saga.

Era un gioco che avevano cominciato a fare da un po’ di tempo: scrutare il cielo al tramonto e fare a gara a chi vedeva per primo una stella.

Kendeas mise il broncio e tornò a concentrarsi.

 

-Ho vinto io! Ho visto Denheb, la stella alfa del cigno!- stavolta era stato Saga -Allora? Ho vinto io, no? Dov’è il mio premio?-

 

Ah, certo, il premio per il vincitore!

In verità era quasi sempre Saga a vincere, perché lui sapeva esattamente dove guardare per trovare le stelle più brillanti, quelle che comparivano per prime, ma Kendeas non se la prendeva più di tanto perché alla fine il risultato era sempre quello: un bacio, dato o ricevuto che fosse, era sempre un bacio!

 

-E va bene- Sospirò Kendeas -Chiudi gli occhi-

 

Saga obbedì, aspettandosi di sentire le labbra del suo compagno sulle sue, invece quello che sentì fu un colpo sullo sterno, che lo fece cadere di schiena sulla sabbia ancora calda.

 

-Kendeas! Sei stato sleale!-

 

Non ebbe però il tempo di protestare oltre, perché Kendeas aveva iniziato a baciarlo.

Quel bacio aveva un vago sapore di salsedine e di polvere, e degli steli aspri dei sugameli che entrambi avevano masticato fino a poco prima.

 

-Allora, mi perdoni per la slealtà?- gli chiese Kendeas.

 

-Hum… no!- Saga fece uno scatto e lo ribaltò sotto di sé -Adesso devi pagare pegno-

 

E cominciò a fargli il solletico.

Kendeas soffriva maledettamente il solletico, specie sui fianchi, e poiché Saga aveva imparato ormai da tempo quali erano i punti più sensibili, dopo pochi secondi Kendeas si contorceva strillando, senza fiato e con le lacrime agli occhi.

 

-Ok… basta, hai vint-… hai vinto… pace… ahi!-

 

A quello strillo di dolore Saga lo lasciò subito andare.

 

-Che succede? Ti ho fatto male?- gli chiese preoccupato.

 

-No, non tu, è che c’è qualcosa qui sotto la sabbia. Mi si è conficcato nella schiena- Kendeas si mise in ginocchio a setacciare la sabbia con le mani, alla ricerca dell’oggetto misterioso -Ah-ah! Ecco cos’era! Guarda qui, Saga!-

 

Lui si avvicinò incuriosito, e nella luce scarsa del tramonto vide che Kendeas teneva in mano una conchiglia.

Era di quelle a ventaglio, con delle belle sfumature di rosa sulle righe esterne e all’interno liscia e lucida come porcellana.

 

-Che bella! Deve essere stata portata sulla spiaggia dalla mareggiata di stanotte-

 

-Hai ragione. Oh, guarda, è ancora intera, è raro trovarle così-

 

Intera non era proprio il termine esatto, quello che Kendeas intendeva era che le due metà del pettinide erano ancora insieme, attaccate con un sottile filamento fibroso, segno che il suo precedente occupante non l’aveva lasciata da troppo tempo.

 

-È come noi, non è vero? Due metà fatte per stare insieme-

 

Mormorò Saga.

Kendeas studiava la conchiglia con attenzione, con la testa piegata di lato.

 

-Due metà fatte per stare insieme- ripeté piano, perso in qualche pensiero -ognuno di noi è dunque la metà di un unico essere dimezzato. Due pezzi da uno solo, e però sempre in cerca della propria metà (nda: Platone Simposio 181b)-

 

Saga lo fissò con un sopracciglio alzato.

Aveva imparato che non era necessario chiedere spiegazioni, prima o poi Kendeas sarebbe uscito dal suo stato di trance e lo avrebbe messo a parte dei suoi processi mentali.

 

-Non fare quella faccia, è una cosa che conosci anche tu. È il mito degli androgini secondo Platone-

 

-Ah, è vero! Gli esseri perfetti che però erano diventati troppo arroganti, tanto da voler dare la scalata al cielo, che furono puniti da Zeus ad essere separati in modo che fossero troppo impegnati a cercare ognuno la propria metà per poter fare progetti di conquista-

 

-Esatto. Lo sai come continua? Dagli esseri formati da una parte maschile ed una femminile derivano uomini e donne che eccedono nella lussuria, dagli esseri formati da due metà femminili derivano le donne che amano altre donne, e da esseri formati da due metà maschili derivano uomini che amano altri uomini, e questi uomini sono i migliori perché amano quello che è virile, giusto e virtuoso, e simile alla loro natura-

 

-Allora noi siamo i migliori?- chiese Saga con un mezzo sorriso.

 

-Almeno illudiamoci di esserlo. Cosa sarebbe la vita senza un po’ di sana presunzione?-

 

Saga rise a quella trovata -Non so se sei il più matto o il più saggio che conosco! Allora, visto che questa conchiglia ci somiglia tanto, perché non ce la teniamo?-

 

Bastò tirare un poco, uno da un lato e uno dall’altro, perché le due valve si staccassero e restassero nelle loro mani.

Kendeas guardò la sua metà sorridendo felice.

 

-Sai cosa manca? Potremmo inciderci le nostre iniziali-

 

Detto fatto, Saga raccolse un ciottolo, lo spezzò con la sola forza delle dita e con le due metà ognuno incise la propria iniziale all’interno di una metà della conchiglia.

Quando si separarono sulla metà di Saga c’era una kappa maiuscola, mentre su quella di Kendeas c’era un sigma.

***

Era quasi l’alba.

Saga e Kendeas avevano passato la notte insieme, con la porta della camera del giovane artigiano chiusa a chiave e la finestra chiusa dall’interno.

Le lenzuola scomposte erano la prova del loro entusiasmo e della passione con cui si erano dedicati uno all’altro, ed il fatto che si fossero coperti dimostrava anche la loro ingenuità nonostante l’aria da adulti che ostentavano.

Non che fossero pentiti, ma erano ancora ingenuamente sorpresi di certe reazioni del loro corpo da adolescenti, e istintivamente cercavano rassicurazioni uno nell’altro.

Di solito all’alba, se Saga si svegliava prima, aspettava che anche Kendeas si svegliasse per salutarlo con un ultimo bacio, poi si rivestiva, scavalcava il davanzale della finestra come tutti i giovani amanti che non vogliono farsi scoprire dai parenti (perché Saga era un Gold Saint, ma non per questo sarebbe stato al sicuro dal bastone di nonna Ifighéneia se fosse stato scoperto), e scappava via alla velocità della luce, letteralmente.

Quella mattina invece Saga fissava il soffitto, e fu così che Kendeas lo vide non appena aprì gli occhi.

 

-Kalimèra ghlikà- Sbadigliò ancora assonnato -stai pensando a qualcosa di importante?-

 

Saga si voltò verso di lui.

Sembrava che avesse atteso il suo risveglio come se non vedesse l’ora di potergli parlare, e questo lusingava molto Kendeas.

Lui, il ragazzo di campagna, umile artigiano della creta, scelto come compagno di vita, phìltatos, da un Saint della casta più alta.

 

-Kendeas, tu che ne pensi?-

 

-Di cosa?-

 

-Di questa storia, che mi chiamano la reincarnazione di un Dio. Dovrei esserne orgoglioso, no? E invece a volte mi sembra un peso enorme. Secondo te è ingratitudine la mia?-

 

Kendeas si prese un po’ di tempo per riflettere, con il suo solito atteggiamento che gli faceva inclinare la testa di lato -Secondo me è normale che tu la senta una responsabilità, non sei ingrato verso quelli che ti rispettano. E poi non credo che mi piacerebbe se tu fossi davvero un Dio-

 

-Non ti piacerebbe? Perché?-

 

Kendeas rimase per un po’ a guardare il soffitto, come se stesse scegliendo con cura le parole -Gli Dèi sono troppo diversi dagli uomini. Sono immortali e per questo non danno valore alla vita se la tolgono, non conoscono il dolore e per questo non si curano se ne infliggono. Noi siamo mortali ed abbiamo un tempo limitato per goderci certe cose. Il tramonto, l’aurora dalle dita di rosa, la luna nella notte, l’amore che abbiamo fatto poco fa, i mortali possono vedere un numero limitato di cose prima di morire, ma un Dio che può vederne infinite perché non ha limiti di tempo, perché dovrebbe dare valore ad un istante particolare? No, per questo non mi piacerebbe che tu fossi davvero un Dio. Non potrei amare qualcuno che non vede la bellezza di questo mondo come la vedo io-

 

-Allora tu credi che gli Dèi siano crudeli? O insensibili?-

 

-Né l’uno né l’altro. Credo solo che abbiano un metro molto diverso da quello degli umani per giudicare le cose. Ma d’altra parte è proprio per questo che esistono i Gold Saint, non è vero? Vi chiamano gli Dèi dal cuore umano. Voi avete poteri immensi come quelli delle Divinità, ma il vostro cuore è il cuore di un uomo ed è giusto che rimanga tale. Voi potete comprendere la sofferenza con il vostro cuore umano e potete alleviarla con i vostri poteri divini. Questo è un miracolo, Saga-

 

Kendeas aveva sperato di allontanare le ombre che si addensavano nello sguardo di Saga, invece lui sembrò accigliarsi ancora di più.

 

-Da come ne parli tu sembra che avere un cuore umano sia una buona cosa, ma è davvero così, Kendeas? Il cuore umano non è facilmente corruttibile? Non è spesso avvelenato dall’ira o dall’ambizione?-

 

Kendeas lo guardò a lungo, ma Saga fece di tutto per non incrociare il suo sguardo.

Strano, non lo aveva mai fatto prima.

Con un sospiro Kendeas cerco la sua mano sotto le lenzuola e fece intrecciare le loro dita, cercando di ristabilire quel contatto che sembrava vacillare.

 

-Saga. Ghlikà. Sembra che tu ti stia rimproverando qualcosa. Perché? Perché dubiti tanto di te stesso, amore mio?-

 

Saga si voltò verso di lui con un’espressione sconcertata.

Per la prima volta sembrava che avesse paura della capacità di Kendeas di vedere nel suo animo, come se volesse nascondergli qualcosa.

“No, non è vero. Non deve essere vero. Saga mi ama ed io amo lui, non può avere paura di me. Non può volermi nascondere qualcosa. Se fossero problemi del Santuario me lo direbbe che non può parlarne ad un non iniziato, come ha fatto altre volte”.

                                                              

-Kendeas, io sono onorato di vestire l’armatura d’oro dei Gemelli, ma a volte mi chiedo, ne sono veramente degno? Io sono il più forte tra i Saint perché Aioros non usa i poteri della mente e gli altri Gold Saint sono poco più che bambini. Il mio potere è il più grande-

 

A Kendeas sembrò di avvertire una nota strana nella voce di Saga, qualcosa che somigliava ad un brivido di autocompiacimento.

Non era mai successo, Saga era sempre stato umile, quasi imbarazzato dai suoi grandi poteri.

 

-Sì, il mio potere è più grande e allora mi chiedo, se io facessi qualcosa di sbagliato, chi potrebbe contrastarmi? Aioros? E anche se fosse, chi darebbe ad Aioros la certezza di essere nel giusto?-

 

Kendeas scosse la testa, come per scacciare brandelli di un pensiero che non voleva lasciar formare e strinse più forte la mano di Saga -Non comprendo tutti questi tuoi dubbi, Saga. Tu, tutti i Gold Saint, avete consacrato la vostra vita ad Athena, ed è la Dea che guida le azioni dei Saint. Come puoi temere di fare qualcosa di sbagliato se lei vi guida?-

 

-Athena- ripeté Saga in un sussurro -Athena non si è più reincarnata dall’ultima guerra Sacra duecentocinquanta anni fa. Solo da poco il Santuario ha ripreso vita con una nuova generazione di Saint. Siamo un esercito, è vero, ma non abbiamo nessuno che ci comandi-

 

C’era una specie di delusione nella sua voce, o forse una sorda rabbia.

 

-Il Gran Sacredote…- cominciò a dire Kendeas.

 

-Sion, sì. È molto stanco, sta cercando un successore. Io o Aioros, capisci? Uno di noi due avrà l’enorme responsabilità di gestire il potere di tutti i Saint… in nome di una Dea che forse neanche vedremo mai-

 

Ancora una volta Kendeas sentì quella nota stonata, ed ancora una volta non seppe dire se era delusione o rabbia.

***

I giorni passavano e le visite di Saga erano sempre più irregolari e distanti una dall’altra.

Sempre più spesso Kendeas lo sentiva distante, anche mentre passeggiavano mano nella mano sulla spiaggia.

“Lui è un Gold Saint, è normale che abbia pensieri e preoccupazioni che io non posso neanche immaginare. Ma sono davvero tanto importanti da fargli dimenticare che io lo amo?”.

Poi però Saga lo abbracciava senza dire niente ma come se lo volesse proteggere da qualcosa, e allora Kendeas si rimproverava per aver pensato di non essere più importante per lui, e si dava dello sciocco geloso.

Una mattina Kendeas stava lavorando fuori in cortile per mettere ad asciugare al sole alcuni lavori quando vide una figura che avanzava lungo la strada.

La sua casa era proprio sulla strada e non era certo una novità che ci fossero dei viandanti, ma quello che incuriosì Kendeas era il pesante mantello da viaggiatore indossato dall’uomo, per di più con il cappuccio alzato a coprire la testa e parte del viso.

Faceva troppo caldo per indossare un indumento del genere, per questo Kendeas non aveva ancora distolto lo sguardo quando lo straniero passò davanti a lui, poi fu un attimo: un soffio di vento fece alzare un lembo del cappuccio e Kendeas si trovò a guardare un viso che conosceva troppo bene.

 

-Saga?-

 

Mormorò piano.

Ma no, non poteva essere!

Saga non aveva mai avuto quell’espressione: le labbra strette in una linea, ed uno sguardo che sembrava infuriato con il mondo intero.

Eppure i lineamenti erano quelli del Gold Saint dei Gemelli.

In quel momento lo straniero, forse sentendosi osservato, si voltò verso di lui ed i loro occhi si incontrarono, e allora Kendeas ne ebbe la certezza: quell’uomo non era Saga.

 

-Che hai da guardare, tu?- lo apostrofò quello brusco.

 

-Io… perdonatemi, signore, è che voi somigliate tanto a S-…- si bloccò subito perché nessuno si riferiva ad un Gold Saint con il nome proprio e corresse -a wanax  Saga-

 

Immediatamente Kendeas capì di aver detto la cosa sbagliata.

Nell’ombra del cappuccio gli occhi dello straniero si ridussero a due fessure e Kendeas ebbe la netta sensazione che l’uomo avrebbe voluto fargli del male.

 

-Wanax  Saga, eh?-

 

Un attimo dopo lo straniero era davanti a lui, senza che Kendeas lo avesse visto muoversi.

“Impossibile! Gli unici che possono spostarsi a questa velocità sono i Saint d’Argento o d’Oro! Ma lui non l’ho mai visto. Chi è quest’uomo?”

Prima ancora che Kendeas potesse riprendersi dalla sorpresa l’uomo gli aveva serrato una mano sulla gola.

 

-Hai appena fatto l’errore di confondermi. Io non sono Saga. Io sono Kanon. Ricordatelo, ragazzo, perché un giorno chiameranno anche me wanax, e per un motivo migliore-

 

Kendeas era convinto che lo avrebbe strangolato, invece quell’uomo che sembrava un demone con l’aspetto di Saga lo spinse via, mandandolo a sbattere con la schiena nella polvere del cortile.

Tempo di rialzarsi ed era di nuovo solo, non c’era traccia dello sconosciuto con il viso di Saga ed il nome di un’isola vulcanica.

A parte i lividi che gli erano rimasti sul collo dove l’uomo aveva stretto più forte.

Pochi giorni dopo erano nel frutteto, tra gli alberi di agrumi e gli olivi sacri ad Athena, e Kendeas voleva raccontare a Saga quello che era successo.

Già quando disse che aveva visto uno straniero quasi identico a lui, Saga sembrò molto preoccupato.

 

-Kendeas, come si chiamava? Ti ha detto il suo nome?-

 

-Sì, mi ha detto di chiamarsi Kanon… Saga?!-

 

Saga lo aveva appena afferrato per le spalle -Kanon?! Sei sicuro che il nome fosse Kanon? Ed era così simile a me da poter trarre in inganno anche te che mi conosci bene?-

 

La prima volta.

Era la prima volta che Kendeas vedeva Saga spaventato.

I Gold Saint non dovrebbero avere paura di niente, invece Saga in quel momento aveva gli occhi sgranati dalla paura ed il respiro affannato.

 

-Sì, sono sicuro che abbia detto Kanon. Ed ha detto anche che un giorno avrebbero chiamato anche lui con il titolo di wanax, e per un motivo migliore di quello per cui ora lo attribuiscono a te-

 

A quelle parole Saga trasalì -Adesso ascoltami bene, Kendeas. Se vedrai di nuovo quell’uomo promettimi che gli starai lontano. Non parlargli, non incrociare neanche il suo sguardo, non lasciargli capire in nessun modo che tra me e te c’è un legame, hai capito? Non devi avere niente a che fare con lui-

 

Kendeas annuì.

Quello straniero doveva essere davvero pericoloso se persino Saga lo temeva.

 

-Va bene. Va bene, ho capito. Ti prometto che gli starò lontano-

 

Finalmente Saga allentò la presa sulle sue spalle con un sospiro di sollievo.

 

-Bene. Perdonami se ti ho spaventato, Kendeas, ma non voglio esporti ad un pericolo, ed io so quello che dico-

 

Kendeas lo scrutò -Saga? Quello straniero ti somigliava così tanto che… insomma, siete due gocce d’acqua, solo i gemelli si somigliano in quel modo. Saga?-

                                                    

Tu hai un fratello gemello? Perché non me lo hai mai detto?”.

Non ebbe il coraggio di fare la domanda a voce alta, ma Saga lo intuì lo stesso.

Non lo guardò negli occhi.

 

-Guardati da lui, Kendeas. È pericoloso-

 

Gli disse soltanto, poi, come faceva spesso troppo spesso negli ultimi tempi, semplicemente scomparve.

Kendeas sapeva che si era mosso alla velocità della luce, che non era veramente scomparso, eppure il pensiero che Saga potesse avergli nascosto una cosa così importante ed in generale il suo comportamento scostante delle ultime settimane lo facevano sentire proprio come se lo fosse.

***

Kendeas si svegliò perché qualcosa lo stava scuotendo con insistenza.

Qualcosa o qualcuno che di solito subito prima dell’alba era solito andarsene, non entrare in camera sua.

 

-Va bene, Saga, sono sveglio-

 

Si mise a sedere strofinandosi gli occhi.

“Che ci fa qui a quest’ora? Deve essere successo qualcosa di importante”.

 

-È tornata! La Dea Athena è tornata al Santuario!-

 

Sembrava che Saga si trattenesse a stento dal gridarlo.

Kendeas spalancò gli occhi, all’improvviso completamente sveglio e lucido.

“È tornata? La vergine guerriera è tornata su questa terra?”.

 

-Quando?-

 

-Stanotte! È una neonata non partorita da donna come dice la leggenda, è stata trovata ai piedi della statua di Athena nel naos.  È lei, Kendeas! È la nostra Dea che è tornata per guidarci-

 

Per la prima volta dopo settimane Saga sembrava di nuovo felice.

I suoi occhi blu o forse verdi brillavano come la prima volta in cui Kendeas lo aveva conosciuto.

***

Stavano camminando lungo la riva del mare, in quella che ormai era diventata la loro spiaggia.

Erano in silenzio, ma un silenzio pesante, carico di cose non dette, e Saga sembrava inquieto come il mare d’autunno vicino a loro.

 

-Kendeas-

 

“Ah, finalmente ti sei deciso. È da mezz’ora che aspetto”.

Si girò a guardarlo, aspettando che continuasse da solo.

 

-Devo dirti una cosa-

 

“Una cosa importante, che hai paura di dirmi ma che hai anche paura di tenermi nascosta”.

Tornò indietro e si sedette sulla sabbia, poi fece cenno a Saga di sedersi accanto a lui.

 

-Dai, parla, giuro che non ti mangio-

 

Per un attimo sperò che Saga gli avrebbe sorriso, invece no, si sedette accanto a lui con le ginocchia strette al petto e senza guardarlo -Kendeas, l’uomo che hai incontrato l’altro giorno, Kanon. Lui è davvero mio fratello gemello-

 

“Perché non me lo hai detto prima?”.

Ma non lo chiese.

Sarebbe servito solo a rendere tutto ancora più difficile.

 

-Tu lo temi, non è vero?-

 

Gli chiese invece.

Saga non rispose subito.

 

-Siamo gemelli omozigoti e siamo nati sotto il segno di Gemini. Noi in principio eravamo davvero un unico essere. Sì, io lo temo, temo l’oscurità che è in lui perché è la stessa oscurità che potrebbe esserci in me-

 

Kendeas si sporse leggermente verso di lui e posò la mano sulle sue, nel gesto che aveva cominciato a farli innamorare pochi anni prima -Saga, non dimenticare che in ogni uomo coesistono luce ed oscurità. Invece di temere la tua oscurità perché la vedi riflessa in Kanon, perché non provi a far emergere la luce che c’è in lui?-

 

-Io ci provo, ma lui dice delle cose… cose che non posso più ignorare-

 

Kendeas non sapeva bene come interpretare l’ultima frase, così aspettò un po’ prima di arrischiarsi a chiedere -Hai paura di qualcosa che potrebbe fare?-

 

-Anche. Ma soprattutto ho paura di quello che dovrò fare io-

***

Era ormai la fine di novembre.

Per tutto il pomeriggio grosse nuvole nere si erano addensate contro il fianco della montagna, e verso sera il temporale che era rimasto in agguato scoppiò all’improvviso, prima con forti raffiche di vento, poi con scrosci di pioggia isolati ed alla fine con un vero e proprio diluvio.

Kendeas era rintanato sotto le coperte pesanti e leggeva nella penombra con l’aiuto di una piccola torcia.

“In una notte come questa sarebbe perfetto avere Saga qui con me”.

Pensò.

Non passarono neanche pochi minuti che un bussare insistente alla sua finestra, diverso dal rumore della persiana scossa dal vento, lo fece scattare a sedere.

“Saga?!”.

Si precipitò ad aprire per farlo entrare, e già si preparava a fargli una bella lavata di capo su quanto fosse stato imprudente per lui mettersi per strada con quella bufera, ma appena aprì la finestra capì subito che quella non era una semplice visita.

Saga era pallido, tremava e sembrava terrorizzato.

“Mio Dio! Che gli è successo?”.

Per la prima volta da che si conoscevano Kendeas dovette aiutarlo a scavalcare il davanzale.

Chiuse in fretta la finestra.

 

-Saga, sei tutto bagnato, e sei congelato. Vado a prenderti un asciugamano-

 

Ma non appena fece un passo per uscire dalla stanza Saga lo afferrò per il braccio -No! Per favore, non mi lasciare solo!-

 

Per la prima volta gli occhi belli di Saga blu o forse verdi erano dilatati dal terrore.

 

-Va bene. Va bene, ghlikà, non ti lascio-

 

Visto che non poteva lasciare la stanza strappò via il lenzuolo dal suo letto.

 

-Saga, adesso devi toglierti queste cose bagnate, va bene? Dai, ti aiuto io-

 

Era come aiutare un bambino di tre anni, Saga sembrava assolutamente incapace di coordinare i movimenti e toccò a Kendeas, tra tirare e spostarlo, di togliergli i vestiti.

Lo avvolse nel lenzuolo per asciugarlo, lo fece sedere sul letto e cominciò a strofinargli la schiena e le spalle per riscaldarlo.

In tutto questo Saga lo lasciava fare.

“Cosa ti è successo per ridurti così, ghlikà?”.

Quando gli sembrò che fosse abbastanza asciutto gli tolse di dosso il lenzuolo e lo avvolse nella coperta di lana, mentre usava l’altro lenzuolo per tamponargli i lunghi capelli azzurri.

Non disse una parola, solo gli fece posare la testa sulle sue gambe e rimase ad accarezzarlo nel tentativo di scioglierlo un po’.

Niente da fare, Saga rimaneva rannicchiato, con gli occhi serrati.

Kendeas sperava quasi che si addormentasse, ma dopo un po’ lo sentì muoversi e mormorare qualcosa.

 

-Come hai detto?-

 

-Mio fratello- Ripeté Saga a voce bassissima -ho condannato a morte mio fratello-

 

Non appena comprese appieno il significato di quelle parole Kendeas sussultò.

“Ecco cosa intendeva quel giorno! Ha detto che aveva paura di quello che avrebbe dovuto fare lui. Condannare a morte il proprio fratello…”.

Solo il pensiero gli dava i brividi.

Ripensò a Kanon, l’unica volta che lo aveva visto.

D’accordo, anche a lui era sembrato pericoloso e per di più lo aveva quasi strangolato, ma condannarlo a morte…

 

-Ho dovuto farlo, lui era una minaccia per Athena e per il Santuario. Ho provato a convincerlo, lo giuro, ci ho provato! Ma lui è sempre stato così testardo e orgoglioso, e per di più ha quasi gli stessi poteri di un Gold Saint. Non so come abbia fatto, davvero non lo so, ma è forte quasi quanto me… non potevo lasciarlo libero di agire!-:

 

Sembrava che Saga stesse cercando di giustificarsi, come se non fosse per niente sicuro di aver fatto la cosa giusta ma stesse disperatamente cercando di convincersene.

Per la prima volta Kendeas si rese conto dell’enorme responsabilità che comportava essere un Saint di Athena.

Saga aveva dovuto scegliere non tra una cosa giusta ed una sbagliata, aveva dovuto scegliere  tra due delitti quale commettere.

Da un lato il fratricidio, dall’altro il tradimento.

Da un lato il suo giuramento di lealtà e dall’altro la voce del suo sangue. 

Nessuna via di mezzo, nessuna scappatoia, qualunque scelta avesse fatto si sarebbe dannato.

 

-Lo hai ucciso?- chiese pianissimo.

 

-No, non io. Il mare. La prigione di roccia al promontorio Sounion. Stanotte, quando salirà la marea-

 

Kendeas non disse più nulla, rimase ad accarezzarlo e ad ascoltare i suoi respiri spezzati nel buio.

L’unica cosa a cui riusciva a pensare erano dei versi.

Parole antiche, che parlavano di due fratelli che si erano uccisi a vicenda.

 

-O degno tu di ogni pianto

-O anche tu sventurato

-Tu perito per mano fraterna

-Un fratello uccidesti

-Duplice strazio a narrare

-Duplice a contemplare

 

I re fratelli di Tebe dalle sette porte, Eteocle e Polinice.

Così passò la notte, senza che Kendeas si rendesse conto se era sveglio, se dormiva, se sognava o se condivideva gli incubi di Saga.

All’alba il sola fece capolino pallido e spettrale, come il viso del Saint di Gemini.

Kendeas lo guardò alzarsi e cercare i suoi vestiti.

Si muoveva lentamente e non tremava più, sembrava svuotato di ogni sentimento e di ogni emozione.

 

-Ormai è tutto finito-

 

Disse a mezza voce.

Kendeas capì che si riferiva alla condanna di suo fratello.

 

-Saga, non dovresti…?-

 

-Cosa? Andare a vederlo? No-

 

-Per seppellirlo-

 

In quel momento Saga rabbrividì -Non ci sarà una sepoltura per lui, è la punizione per i traditori. Il mare sarà la sua tomba. L’acqua disgregherà la sua carne, il sale brucerà le sue ossa e le onde ne disperderanno la polvere nella corrente-

 

Kendeas avrebbe voluto dire qualcosa, ma prima che potesse farlo Saga si era rivolto di nuovo a lui.

 

-E adesso a noi, Kendeas. Noi non ci rivedremo più-

 

-Cosa?! No, Saga, non puoi!-

 

Lui lo zittì con un gesto della mano -Non è che non posso, non voglio. Io sono un assassino, Kendeas. Da oggi in poi ogni mio respiro sarà maledetto, non posso coinvolgere anche te. Noi ci separiamo qui e adesso-

 

Kendeas saltò giù dal letto, deciso a fare qualunque cosa pur di fargli cambiare idea, ma non appena gli si trovò vicino Saga alzò una mano e lui si trovò bloccato da una forza invisibile.

Quando provò a gridargli “lasciami andare” scoprì che non poteva neanche parlare.

 

-Kendeas… ghlikà… mi dispiace tanto- Saga non lo aveva mai chiamato “dolcezza” prima -so che mi ami e so che ti sto dando un grande dolore, ma devi capire che non è più possibile. Io devo percorrere un cammino di sangue e sofferenza, tu invece hai tutta una vita davanti. Kendeas, io ti ringrazio per tutto l’amore che mi hai dato e ti ringrazio per l’amore che mi hai permesso di vivere. Ti ho amato come non avevo mai amato niente in questo mondo e come non amerò mai più niente, ma proprio per questo adesso devo lasciarti libero. Ricordami, se vuoi, ma non cercarmi mai più. Addio-

 

Scavalcò il davanzale come faceva sempre, ma quella volta era diverso perché non sarebbe più tornato.

Kendeas provò a gridare e a divincolarsi ma era tutto inutile.

Saga lo guardò con una tristezza infinita negli occhi blu o forse verdi, poi lo liberò dalla stretta invisibile.

 

-Ghlikà…-

 

Corse verso la finestra, ma nello stesso attimo in cui lui stava per scavalcare a sua volta Saga scomparve.

 

-Sagapò ghlikà…-

 

Ti amo, dolcezza.

***

Dopo quella mattina Kendeas passò parecchi giorni abbattuto.

Lavorava a stento, non si curava di quello che succedeva intorno a lui e se sua nonna o suo zio gli chiedevano cosa avesse lui scrollava le spalle e guardava da un’altra parte.

Saga era stato chiarissimo: non si sarebbero visti mai più.

Eppure Kendeas non voleva crederci, e spesso nel cuore della notte si svegliava credendo di aver sentito bussare alla finestra, allora si alzava di scatto e correva ad aprire, solo per scoprire che era stato solo il vento o la sua immaginazione.

Dopo poco più di un mese però arrivò una notizia sconvolgente dal Santuario.

Erano state le guardie che scendevano a bere alla taverna del villaggio a raccontare come erano andate le cose.

Aioros aveva tradito il Santuario, aveva tentato di rapire la Dea neonata e di fuggire con l’armatura d’oro del Sagittario.

Fortunatamente un altro Gold Saint, Shura del Capricorno, lo aveva fermato ed aveva riportato al Santuario sia Athena che l’armatura.

 

-Wanax Shura? Perché il Saint del Capricorno? Non avrebbe dovuto affrontarlo wanax  Saga che era più forte?- aveva chiesto Kendeas ad uno di loro.

 

-Ragazzo mio, questo è un altro bel mistero! Wanax Saga, il Saint di Gemini, è scomparso. Nessuno sa più niente di lui da settimane-

 

Kendeas non aveva detto nulla, ma quella risposta era stata il colpo di grazia per lui.

Aveva sperato che Saga fosse al sicuro al Santuario, che il Sacerdote lo avesse aiutato a smorzare il senso di colpa per quello che aveva fatto a suo fratello Kanon e che in qualche modo sarebbe riuscito ad andare avanti, invece no.

Scomparso.

Proprio come era scomparso sotto i suoi occhi l’ultima volta che lo aveva visto.

Per Kendeas era peggio che sentirsi dire che era morto, e quella sera, rannicchiato sotto le coperte, strinse forte la conchiglia con la sigma incisa all’interno.

E per la prima volta da quando Saga gli aveva detto che dovevano separarsi, pianse.

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Ce l’ho fatta! Ce l’ho fatta! Ho finito il capitolo! *Mako canticchia e saltella come una deficiente*

Ci ho messo 835 minuti ma sono riuscita a finirlo!

Coooomunque! Vi sembra abbastanza kurumadiano? A me sì! Voglio dire, è esagerato e deprimente, esattamente come alcuni (molti) momenti del fumetto originale.

Qua la storia comincia ad andare parallela con gli avvenimenti del manga, solo visti dal punto di vista di Kendeas.

 

Bene, brava, adesso sciò! *Rory spinge Mako giù dalla sedia*

Oh oh oh! (Lo so, non è molto serio ma in periodo di feste la risata di Babbo natale ci sta, no?)

Come al solito Ka-non è sinonimo di Ka-sino, quando mai quel ragazzo non produce danno, quando mai?

Bè, come ha già detto la mia sorcia da adesso in poi sapete un po’ tutti cosa succede, ma la narrazione seguirà il punto di vista del nostro carrro Kendeas, e poi…

Dovrà pure finire in qualche modo, no?

 

Creamy Lisa: Ccciao! :3

Povero Kendeas sì, l’ansia è una brutta bestia, ma chi può controllarsi con un tenero puccio-Saga che vuole sbaciucchiarti?

Fortunato, lui! xD

Succederà qualcosa di brutto? Hmmm, naah, cosa te lo fa credere? xD

Continua a sperare, magari le cose si risistemeranno ;)

Bacioni!

 

Calhin: Benvenuta!

Abbiamo deciso di presentare Kendeas un po’ alla volta nel corso della storia per non dare appunto l’idea del personaggio super perfetto e rendere le sue idee e la sua personalità poco alla volta… magari non è la scelta più azzeccata, vedremo di fare di meglio la prossima volta ^^

Va bene, arruoliamo questi qui per la versione cinematografica del Manfredi xD ci starebbero benissimo, hai ragione *-*

He-hem… pazzo… schizofrenico… stiamo parlando di Saga? Ma nuooo xD

P,S: Grazie epr i complimenti per i disegni J

Speriamo continuerai a seguirci ^^

 

Bene, abbiamo detto tutto, quindi vi salutiamo dandovi appuntamento al prossimo capitolo!

Un abbraccio,

Rory e Mako

 

  
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