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Autore: Euphemia    28/12/2013    2 recensioni
"Una folata di vento funse da pausa, attraversando le foglie dell’albero e facendone scuotere la chioma, passando attraverso il poco spazio rimasto tra i loro visi, scompigliando loro i capelli. Quel rumore era rilassante, tranquillo, come lo era d'altronde l’espressione sul volto di Marco. E solo allora, Jean riuscì a rilassarsi completamente: perché lì nessuno avrebbe fatto loro male, nessun titano li avrebbe divorati e nessun pericolo sarebbe apparso all'improvviso. Erano solo lui, Marco e il vento. E, finalmente, si sentiva al sicuro."
[MarcoJean]
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Jean Kirshtein, Marco Bodt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Noi due, da soli. E il vento.
 
 
 
Il fruscio del vento tra le foglie verdi degli alberi era l’unico rumore udibile, nella valle; il resto era completo silenzio.
I luminosi raggi del sole facevano brillare i fili d’erba, infiniti, nei prati di quel luogo dalla grandezza smisurata, come se fossero milioni e milioni di piccoli smeraldi. Non c’erano abitazioni, lì intorno, se non un piccolo villaggio di contadini un po’ più lontano; il resto, era completa natura.
Jean e Marco erano seduti all’ombra di uno degli alberi su una piccola altura nei pressi della valle, ad ammirare la meravigliosa vista che quel paesaggio offriva; poco lontano da lì, riuscivano addirittura a scorgere le acque limpide di un lago, a est del Wall Rose.
Erano solo loro due, nessun altro: in completo silenzio, si godevano il clima mite – cosa rara, per un territorio generalmente freddo come quel distretto del Wall Rose – che quella giornata offriva, rilassandosi al suono gradevole del venticello fresco che scompigliava loro i capelli e al tepore del sole che riscaldava la loro pelle.
Jean era seduto appoggiato di spalle al tronco della giovane quercia sotto la quale si trovavano, con le gambe distese e le mani giunte sulla pancia; respirava piano, tranquillo, osservando ad occhi socchiusi a volte il paesaggio e a volte, di soppiatto, la figura dell’altro ragazzo seduto poco lontano da lui, un po’ più avanti. Marco era seduto a gambe incrociate con la schiena poco incurvata verso il basso, con i gomiti poggiati sulle ginocchia e con le mani che reggevano il viso sorridente e spruzzato di lentiggini: e anche lui, incantato, ammirava la vista di quella valle verde, meravigliosa, e di quel lago che si scorgeva poco più lontano.
“Non è meraviglioso questo paesaggio, Jean?”
Sembrava che il vento avesse smesso di fare rumore frusciando tra le foglie proprio in quel momento per rendere più udibile la voce gentile, pacata e ridente di Marco, il quale continuava ad osservare con occhi brillanti il prato verde che si stagliava davanti a lui. Un panorama del genere, in quei giorni di guerra, era raro a vedersi.
Jean sbuffò, volgendo lo sguardo da un’altra parte e lasciando che la brezza fresca gli accarezzasse le guance e gli scompigliasse i capelli castani chiari. Si chiedeva come potesse Marco essere così tranquillo, anche dopo quella loro prima battaglia che aveva visto come vittime tantissimi dei loro amici.
Anche dopo aver capito che, prima o poi, quella sorte sarebbe toccata anche a loro.
Erano solo dei ragazzi, dell’acerba età di quindici – Jean – e sedici – Marco – anni; eppure, già gli era toccato vedere la morte in faccia, che quella volta aveva deciso di risparmiarli e di portare altri loro compagni giù nell’Inferno.
Tuttavia, queste cose, all’epoca, erano più che normali: giovani o vecchi che si fosse, bisognava essere pronti ad affrontare la famigerata morte in qualsiasi momento, a viso scoperto, con coraggio e con onore. Tutto, pur di difendere il diritto di vivere che gli uomini avevano, e che i titani stavano loro togliendo con la forza.
Forse, Marco faceva bene ad essere tranquillo: in quel clima di continua morte e distruzione, sarebbe stato meglio mettere, ogni tanto, da parte le proprie paure e angosce e dare spazio al bisogno primario di rilassarsi. E quella era un’occasione perfetta per farlo.
“Jean!”
Distolto dai suoi pensieri, il giovane soldato spostò lo sguardo verso il luogo da dove proveniva la voce. Per poco non urlò di sorpresa, quando si ritrovò il viso lentigginoso di Marco ad un palmo dal suo naso, che con curiosità lo guardava con quei suoi dolci occhi nocciola, leggermente preoccupato.
Jean sussultò e istintivamente cercò di indietreggiare, non riuscendoci in quanto la sua schiena poggiava sul tronco della quercia. Digrignò i denti e arrossì, leggermente innervosito ed imbarazzato dall’eccessiva vicinanza di Marco, il quale, non accortosi dell’agitazione improvvisa di Jean, continuava a fissarlo, come in cerca di qualcosa.
“M-Marco!” balbettò, arrossendo ancor di più, vedendo che il castano non ne voleva sapere di diminuire la distanza tra loro due.
“È tutto a posto, Jean?” domandò Marco, non curandosi dell’esclamazione dell’amico.
Il ragazzo abbassò lo sguardo, cercando in un qualche modo di attenuare il rossore alle guance.
“Sì...” rispose, portandosi una mano sulla testa e grattandosi il capo, imbarazzato dal momento.
Il viso di Marco si trasformò da preoccupato in rilassato, mentre un sorriso pacifico e sornione si faceva spazio sulle sue labbra e gli occhi si addolcivano pian piano, socchiudendosi un po’ di più. Non voleva che Jean si sentisse stressato. Non anche lì.
“Dovresti cercare di riposarti, Jean.” Disse, dopo un po’, mantenendo sempre la stessa distanza tra i loro visi, senza distogliere lo sguardo dal suo viso arrossato e imbarazzato, dalla sua espressione impacciata ma tremendamente adorabile.
 Il giovane soldato, alle parole dell’amico, sbuffò e fece cadere mollemente il braccio lungo il fianco, prendendo un altro profondo respiro.
“Lo so.” disse poi, spostando a tratti lo sguardo sugli occhi color nocciola di Marco, così vicini che Jean poteva vederci dentro il proprio riflesso.
Con estrema delicatezza – e con grande sorpresa dell’amico – Marco fece scivolare la sua mano verso quella di Jean e gliel’afferro dolcemente, facendo intrecciare le loro dita in una stretta forte ma soave, piacevole. Il ragazzo dagli occhi ambrati sussultò e guardò fisso negli occhi dell’altro, il quale ancora sorrideva pacatamente, e un po’ anche tratteneva le risate, alla faccia sbalordita – e completamente rossa – dell’amico.
“Cos’è quella faccia?” domandò, ridacchiando.
“Piuttosto, che diavolo stai facendo tu!” esclamò l’altro, ancor più imbarazzato per aver mostrato la propria agitazione.
Una folata di vento funse da pausa, attraversando le foglie dell’albero e facendone scuotere la chioma, passando attraverso il poco spazio rimasto tra i loro visi, scompigliando loro i capelli. Quel rumore era rilassante, tranquillo, come lo era d’altronde l’espressione sul volto di Marco. E solo allora, Jean riuscì a rilassarsi completamente: perché lì nessuno avrebbe fatto loro male, nessun titano li avrebbe divorati e nessun pericolo sarebbe apparso all’improvviso. Erano solo lui, Marco e il vento. E, finalmente, si sentiva al sicuro.
Involontariamente, strinse la mano di Marco, come per essere certo che non era da solo e che, insieme a lui, c’era quel mister perfettino, come lo chiamava quando erano poco più che novellini, nei tre anni precedenti che li avevano visti compagni di un duro addestramento militare.
Non appena la folata di vento cessò, il sorriso sulla bocca di Marco si ampliò, mentre la distanza tra i loro visi si allargò: si era tirato indietro e si era alzato in piedi, mantenendo sempre la mano di Jean. Adesso, lo incitava ad alzarsi anche lui, strattonandogli un po’ il braccio attraverso quell’eterna stretta di mano.
“Che...?” domandò Jean, perplesso.
“Non fare il pigro, suvvia! Vieni, voglio farti vedere una cosa.”
Con un sonoro sospiro, Jean si alzò, spolverandosi poi i pantaloni e seguendo l’amico, il quale si era diretto un po’ più lontano dall’albero di quercia sotto il quale, prima, si stavano riposando. Si fermò poco più distante, al sole, in mezzo all’infinita distesa verde, e si sedette sul prato, battendo poi una mano sul terreno accanto a sé, per far segno a Jean di sedersi lì accanto a lui.
Il ragazzo dagli occhi ambrati lo fece ed insieme, senza una parola, si distesero sull’erba, osservando il cielo azzurro, cristallino, decorato da nuvole bianche e soffici sparse qua e là.
Si tenevano ancora per mano.
“Guarda quella nuvola, Jean.” Fece Marco, con voce morbida e ovattata, alzando il braccio destro per indicare la nuvola a cui si stava riferendo. “Assomiglia a un coniglio, non trovi?”
Jean fissò la nuvola per qualche istante, prima di esprimere la sua opinione.
“Mah, secondo me assomiglia più a un cane.”
“Tu dici? Oh, oh, Jean, guarda quella!”
“Quella assomiglia ad un cavallo.”
“Ah, quindi assomiglia a te!”
Marco scoppiò a ridere di gusto, mentre Jean strattonò la sua spalla digrignando i denti, ma con un ghigno sorridente: in fondo, si stava divertendo. E pensava che era davvero bello stare in compagnia di Marco, ad ammirare le nuvole. Loro due, da soli. E il vento.
“Grazie, Jean.” Fece all’improvviso, tra una risata e l’altra.
Il ragazzo dagli occhi ambrati rimase alquanto perplesso, da quel ringraziamento non giustificato. Tra l’altro, detto pure ridendo. Inizialmente pensò che lo stesse ancora prendendo in giro, ed era quindi già pronto a sbraitargli contro, ma prima che potesse dire qualcosa, Marco ricominciò a parlare.
“Grazie per essere qui con me. Grazie per farmi ridere, anche in questo casino.”
Un inspiegabile senso di vuoto attraversò lo stomaco di Jean, il quale, ancora più confuso, guardò con la coda dell’occhio quel suo viso spruzzato di lentiggini. Sentì la mano di Marco stringere la sua, in mezzo ad una nuova folata di vento, leggermente più forte, che scompigliò loro i capelli, che fece muovere armoniosamente i fili d’erba.
All’improvviso, dopo che ebbe girato la testa verso l’amico, vide di nuovo a poca distanza da sé quegli occhi profondi e tranquilli, un po’ lucidi stavolta, che lo stavano guardando con immane dolcezza.
Colto alla sprovvista, non poté fare a meno di evitare di far incontrare le sue labbra con quelle di Marco, che le aveva avvicinate ancor di più. Fu un bacio dolce, anche quello, delicato, mentre il rumore del vento continuava a riempire quei silenzi.
“Tu mi piaci, Jean. Mi piaci davvero tanto.” Disse Marco, dopo essersi staccato per un attimo.
Quelle parole penetrarono profondamente nel cuore di Jean, facendolo contorcere in una piacevole stretta.
“Anche tu mi piaci, Marco.” Fu solo in grado di rispondere.
Avrebbe voluto dire ancora tante, tantissime cose. Tuttavia, c’era un nodo da qualche parte che glielo impediva, un nodo che non riusciva a sciogliere.
“Moltissimo.”            
Il vento frusciò nuovamente e, dopo, il silenziò calò.
 
 
 
~ ° ~
 
 
La pioggia non smetteva di cadere, imperterrita. Bagnava ogni cosa: i tronchi degli alberi, le foglie ormai secche, il terreno oramai inumidito. Nessuno si trovava lì fuori, sotto quel diluvio: solo un pazzo sarebbe potuto rimanere all'aperto, a prendersi il freddo dell’aria e a inzupparsi da capo a piedi d’acqua piovana.
Ma a lui non importava di ciò che pensava la gente.
Lui era lì, seduto per terra, sul terreno fradicio e fangoso. La sua unica protezione dalla pioggia era uno di quei mantelli impermeabili verdi che spesso indossava, per le sue missioni.
La pioggia, crudele, non accennava a risparmiarlo, continuando a cadere fitta dal cielo. Anche la pietra tombale vicino a lui, oramai, era fradicia.
“Ehi, Marco.” Sussurrò, con un debole e amorevole sorriso. “Finalmente sono riuscito a dirtelo, che mi piaci, eh?”
Il rumore della pioggia riempì il silenzio di quegli attimi durante i quali Jean preferì stare in silenzio, ad ascoltare se per caso, assieme all’insopportabile fracasso di quel diluvio, fosse udibile anche la dolce melodia del vento. Accarezzò la ruvida superficie in pietra, seguendo le incisioni del nome lì sopra scritto: Marco Bodt.
“Incontriamoci ancora una volta nei sogni, stanotte. Ok?”
E fu allora che, in risposta, gli parve di sentire il fruscio degli alberi, quell’ambito e soave canto che era il dolce suono del vento. Sorrise, dando qualche amorevole pacca alla pietra tombale.
“Mi raccomando. Noi due, da soli. E il vento.” 








Angolo dell’Autrice
 
Ok, mi sento una persona orribile. Scusatemi, davvero. Chiedo scusa se vi ho rovinato la giornata.
Però questa idea mi frullava in testa da un sacco di tempo e solo adesso ho avuto l’occasione di completare il tutto. Date la colpa a Tumblr e alle sue fanart. Ho avuto questa malsana idea solo guardandole.
Comunque. Sono nuova in questo fandom. Cioè, oddio, leggiucchio sempre da qui qualcosa, ma è la prima volta che pubblico. Mi piacerebbe essere più attiva come autrice, qui, ma purtroppo il tempo non è mai abbastanza, e ne approfitto quindi durante le feste natalizie. *^*
Vorrei scrivere specialmente di più sulla mia OTP, ovvero la MarcoJean. È da un bel po’ di tempo, oramai, che seguo SnK, e questa coppia mi ha letteralmente conquistata. <3 E poi le FanFiction che trovo qui, su questa coppia, sono semplicemente meravigliose! *^*
Spero che anche questa mia OneShot sia all’altezza delle altre! Oh, e spero di non essere andata OOC. Ho sempre il terrore di queste cose... E chiedo ancora scusa per il depression-time di questa OS. Scrivendola, il mio cuore piangeva. Penso di essere masochista. (?)
Che dire... Ringrazio tutti coloro che hanno utilizzato il loro prezioso tempo per leggere questa mia OneShot!
Se doveste trovare degli errori, o vorreste darmi consigli, non esitate a contattarmi! ;)
Grazie ancora e alla prossima! <3
Euphemia 
  
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