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Autore: Ofelia di Danimarca    28/12/2013    4 recensioni
Aveva ancora addosso il puzzo insopportabile del ragno.
I rimasugli appiccicosi di ragnatela gli pendevano dai capelli e dalle spalle, e le mani erano ricoperte di lunghi graffi. Ma che importanza aveva? Era vivo.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kili, Tauriel
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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“ From the first day I saw her I knew she was the one
As she stared in my eyes and smiled
For her lips were the colour of the roses
                          That grew down the river, all bloody and wild”


                      Where the wild roses grow, Nick Cave & Kylie Minogue
 
 


Ormai doveva essere notte fonda.
 
Nell’aria aleggiavano voci lontane, rumore di stoviglie, un soffuso suono di arpe e altri strumenti musicali gentili.
 
Kili non riusciva a rilassare la mente. Era seduto su quel gelido pavimento elfico, le sbarre della porta a pochi centimetri da lui.
Fuori non c’era nessuno. Niente guardie.
I suoi compagni? Probabilmente addormentati.

Alcuni di loro avevano tentato a lungo di sfondare a spallate l’entrata delle proprie celle, ma ogni tentativo era stato ovviamente vano.

Balin lo diceva sempre: non si esce dalle prigioni di Reame Boscoso, a meno che non lo voglia re Thranduil.

Dunque era inutile disperarsi. Così stando le cose, non c’era nulla che potessero fare. Eppure…

Chiuse gli occhi per qualche secondo. Una a una gli tornarono alla mente tutte le tappe del viaggio – i pericoli e i momenti disperati che avevano dovuto affrontare. Gli orchi, Azog il Profanatore, i giganti di pietra, i ragni di Bosco Atro… ne avevano avute per tutti i gusti.

E ora?

Avrebbero dovuto arrendersi all’umiliante evidenza di dover abbandonare l’impresa? Avrebbero dovuto rassegnarsi a marcire nelle celle degli elfi?

Si ritrovò, senza accorgersene, a scuotere la testa.

- No – disse, usando la lingua dei nani, la sua lingua – non può essere finita. 

Era vivo. Era stanco, certo, e affamato come un nano che non mangiava da quasi due giorni… ma non si sarebbe dato per vinto.
 
Erebor… Erebor era la patria che non aveva mai conosciuto. La terra natia su cui né lui né suo fratello avevano mai potuto gettare lo sguardo.

I racconti sulla magnificenza della Montagna Solitaria e dei suoi sterminati ori e pietre preziose avevano accompagnato tutta la sua infanzia – anzi, tutta la sua vita.
Non passava giorno che suo zio Thorin non gli decantasse le innumerevoli meraviglie di quel luogo, del luogo dove la stirpe di Durin – la sua stessa stirpe – aveva regnato e prosperato, accumulando una delle ricchezze più splendenti di tutta la Terra di Mezzo.

A questi pensieri, sentì il sangue ribollirgli nelle vene e strinse forte nella mano destra il suo tesoro - la pietra runica che sua madre gli aveva affidato il giorno prima della partenza per la loro impresa.
Se la rigirò a lungo nella mano lurida: era scura, completamente liscia da un lato e con un’incisione runica dall’altro.

Guardarla era come guardare casa, e casa era sua madre.
 
Iniziò a passarsela da una mano all’altra, come incantato dai giochi che la luce delle torce elfiche creava lungo tutta l’incisione.

Si chiese che cosa avrebbe fatto se gliel’avessero tolta durante la perquisizione.
Sarebbe improvvisamente impazzito di rabbia.
Avrebbe reagito d’istinto, come suo solito, e avrebbe finito per combinare qualche sciocchezza.
 
Staccherei il braccio senza indugi a qualunque elfo venisse in mente di sottrarmi questa pietra.
 
Ma nulla di ciò era successo. Non c’era stato bisogno di staccare nessun braccio.
 
Grazie a lei.
 
 


---------------------
 
 
 

D’un tratto a Kili parve di udire dei passi. Un suono lieve, quasi impercettibile. Non poteva essere un nano.

Doveva trattarsi di una guardia che si avvicinava.

Si irrigidì. Gettò uno sguardo furtivo verso l’esterno della sua cella e la vide.

L’elfo femmina. Proprio lei.

Aveva la stessa veste verde bosco. Era senza il suo arco, e da quello che potè vedere nella sua occhiata veloce, non sembrava avere fretta nè ansia di portare a termine un ordine.

Strano, pensò Kili. Che sia venuta qui per farsi una semplice passeggiata?

No, era assurdo. Una guardia non passeggia tra i suoi prigionieri per piacere.
In più ai piani alti sembrava esserci una festa, o qualcosa di simile. Se era venuta laggiù, un motivo ci doveva essere.

Deglutì, pensando alla perquisizione che lei gli aveva risparmiato. Forse che…
 
- Quella pietra che hai in mano… che cos’è? 

La domanda interruppe i suoi pensieri e lo lasciò interdetto – per la seconda volta in poche ore.
Perché avrebbe dovuto importarle della pietra?
 
Alzò gli occhi su di lei senza sollevare la testa.
L’espressione che aveva sul viso era diversa da quella che le aveva visto a Bosco Atro, dopo l’uccisione del ragno. L’altezzosità aveva ceduto il passo a una curiosità che sembrava sincera.

Ma Kili non era convinto.
 
- E’ un talismano – le parole gli uscirono d’istinto – Un potente incantesimo lo avvolge. Se qualcuno diverso da un nano leggesse queste parole – la fissò socchiudendo gli occhi – sarebbe eternamente dannato!

Di scatto allungò la mano con la pietra verso le sbarre, il più vicino possibile al viso di lei.

Si pentì immediatamente.

- O no! – si affrettò ad aggiungere, non appena la vide ritrarsi diffidente e fare un passo per allontanarsi dalla sua cella. – Dipende se uno crede in quel tipo di cose. E’ solo un ricordo, una pietra runica – e dicendolo sorrise. Un sorriso pieno, luminoso, uno di quelli che di solito riservava solo a suo fratello o ai suoi fedeli compagni di viaggio. Qualcosa nella reazione spaventata di lei gliel'aveva provocato.

Possibile che quell’elfo, così abile in battaglia e orgoglioso, fosse anche così ingenuo?
Pareva quasi come Gimli, il piccolino di Gloin, che Kili e Fili si divertivano sempre a spaventare raccontandogli le storie più improbabili e assurde e spacciandogliele per vere.

- Me l’ha data mia madre, perché ricordassi la mia promessa.

Kili abbassò di nuovo lo sguardo sulla pietra.

- Quale promessa? - l’elfo ora gli stava sorridendo.

- Che sarei tornato da lei.

Non sapeva bene cosa l’avesse spinto a parlare della promessa che Dis, sua madre, gli aveva fatto fare. Eppure non si fermò.

- Si preoccupa. Pensa che io sia spericolato.

-E lo sei? – dicendolo, l’elfo avvicinò il viso alle sbarre e abbassò lo sguardo in un modo così delicato che Kili non potè fare a meno di fissarla senza parole per qualche secondo.

I suoi lineamenti erano perfetti.

Kili si stupì perché la cosa era assurda: gli elfi non potevano essere attraenti! Gli elfi erano inespressivi. Erano freddi. Le donne dei nani avevano caratteristiche così diverse da quelle di lei che era quasi folle quello che stava pensando.

Lei però stava ancora aspettando una risposta sul suo essere spericolato o meno, così Kili scosse forte la testa, sorridendo e lanciando in aria la sua pietra.
Ma il nervosismo che gli ultimi pensieri gli avevano messo lo tradì, e invece che lanciare la pietra sopra di lui la lanciò obliqua. Invece di ricadergli in mano, si depositò ai piedi dell’elfo.

Lei fu velocissima. La bloccò con uno stivale, impedendole di cadere nello strapiombo che si apriva poco più sotto.
Kili la vide raccoglierla ed esaminarla con lo stesso sguardo curioso di poco prima.

Ecco fatto. Complimenti, Kili. Ora non te la ridarrà di certo.

In quel momento dall’alto risuonò un fragore di canti in elfico, e Kili si ricordò improvvisamente di dov’era e perché.

- Sembra che vi stiate divertendo lassù…

- E’ Meleth en Gilith – rispose lei, sorridendo – la Festa della Luce stellare. Tutta la luce è sacra agli Eldar, ma ciò che gli Elfi Silvani amano di più è la luce delle stelle.

Gli aveva voltato le spalle e aveva iniziato a camminare piano, come a voler sottolineare l’importanza di ciò che stava dicendo.

Kili riflettè un poco prima di rispondere. Era colpito e non riusciva a staccarle gli occhi di dosso.

- Ho sempre pensato che quella delle stelle fosse una luce fredda… remota e distante.

La vide voltarsi di scatto e fissarlo con un’intensità nuova, che quasi lo mise a disagio.

- Essa è memoria! Preziosa e pura – la mano di lei si allungò verso una delle fessure tra le sbarre - Come la tua promessa.

Kili fissò incredulo il candido palmo su cui ora era adagiata la sua pietra runica. Impossibile.

Gliela stava restituendo!

Lentamente, la raccolse. Notò che la mano dell’elfo era completamente senza peli, liscia e bianca come poco altro gli era capitato di toccare nella vita.
Quel breve contatto gli fece venire un brivido difficile da identificare.
 
- Sono andata lì qualche volta. Oltre la foresta, sulle montagne, di notte. Ho visto il mondo cadere via e la luce bianca dell’eternità riempire l’aria. 

Kili continuava a fissarla, stringendo di nuovo in mano il suo tesoro.
 
Era spiazzato. Dunque un elfo poteva essere così appassionato? Così incuriosito dal mondo esterno, quasi come lo era lui?
Ogni nano era cresciuto sapendo che gli elfi disdegnavano qualsiasi cosa fosse diversa da loro, o lontana dai loro regni.

In quegli occhi verdi, invece, riusciva a cogliere un’intensità, una fame di mondo e di bellezza che gli sembrava di conoscere. Che gli sembrava di possedere.

- Ho visto una luna di fuoco una volta. Si era levata sul passo vicino a Dunland, era enorme! Rossa e dorata. Riempiva il cielo! Scortavamo alcuni mercanti da Ered Luin, loro… scambiavano lavori in argento con pellicce. Prendemmo il verde cammino a sud, tenendo la montagna a sinistra. E poi… è apparsa. Un’enorme luna di fuoco! Illuminava il sentiero. 

Kili era quasi senza fiato. Immerso nel racconto, aveva perso la cognizione del reale. Le mani gli tremavano, e gli sembrava di essere di nuovo là davanti a quella meravigliosa luna, a bocca aperta senza sapere con quali parole commentare lo spettacolo.

Allora, si era tenuto l’emozione per sé.
Ora invece la stava condividendo. Con un elfo.
 
Notò che era completamente rapita dal suo racconto, e non riuscì a non compiacersene. Si era persino seduta su uno dei gradini che affiancavano la cella.

Ora il suo viso era alla sua stessa altezza, e Kili sentì una strana sensazione invaderlo. Avrebbe voluto uscire da quel buco di pietra e parlarle più da vicino, osservare i suoi occhi più da vicino, cogliere l’energia del suo entusiasmo.
 
Ma questo non era possibile.

Lui era dietro le sbarre. Era suo prigioniero.
 

Kili si rese conto con amarezza che non sapeva nemmeno come lei si chiamasse.
 
 
 
NOTE: questo secondo capitolo è stato difficile da scrivere, perchè l'emozione con cui personalmente ho vissuto la scena è stata tanta e difficile da rendere a parole. Soprattutto riuscire a catturare le sensazioni di Kili di fronte a Tauriel è stata una bella sfida!
Spero possa piacervi!!!
 

 
 
                                                                 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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