»Chapter 15
The night of the wishes - As Ink On Paper
Beth
Smith non è mai stata un di quelle ragazze per le quali
l’unica cosa che conta
è l'apparenza; una di quelle ‘Sono senza trucco,
non posso uscire!’; o quelle
che sembrano tornate da una giornata in un centro estetico, impeccabili.
No. Beth Smith è così come la si vede: Beth.
Solo che, dietro quel semplice Beth, nasconde molto più di
quanto si immagini.
Solo che, dietro quel viso mai truccato, nasconde fiumi di lacrime mai
condivisi con altri.
Solo che, dietro quelle felpe enormi, nasconde un insicurezza mai
accettata;
dietro quei capelli così lunghi un bellissimo viso e degli
occhi dove,
purtroppo, non può nascondere nulla.
E Beth non lo accetta, perchè avvolte, vorrebbe essere come
tutte le altre
ragazze; vorrebbe divertirsi, fare amicizia, risultare simpatica, e
anche
stupida; ma no, non lo è.
Beth è timida, e quando incontra nuove persone dice a stento
il suo nome, per
poi starsene lì, ferma ad ascoltare: spettatrice della sua
vita.
Perchè Beth si sente sempre, e con chiunque, a disagio;
prova la sensazione di
essere nel luogo sbagliato, di non essere giusta, di essere di troppo.
E lo
odia, odia quella sensazione che le attanaglia lo stomaco, le offusca
la mente
e gli cuce la bocca.
Beth Smith non sopporta l’essere giudicata da persone che non
compiono neanche
il minimo sforzo per conoscerla, e sa, che la colpa è sua,
perchè è lei a non
lasciarsi andare, mai, e nonostante tutto l'impegno, non ci riesce.
Dannazione, molte volte ha esclamato.
Dannazione per tutte le volte che ha tentato, con pessimi risultati, di
cambiare, di provare ad essere qualcun'altro, per poi capire che non ci
sarebbe
riuscita.
Dannazione per tutte la volte che ha rinchiuso le parole nella lingua
nascondendole nello stomaco; per tutte le volte che ha preferito
rimanere in
silenzio piuttosto che difendere se stessa; per tutte quelle
dannatissime
volte, in cui, per non piangere, per non urlare il dolore che provava,
semplicemente sorrideva e ci scherzava su; per tutte le volte che da
sola si è
data pugni nello stomaco, per fingere, per fingere che non le
importasse.
Ma davvero non le importava?
No, a Beth importava e come; ma ha sempre cercato di essere una di
quelle
persone a cui non importa ciò che gli altri pensano di lei;
una di quelle
persone che vive la propria vita senza farsi condizionare dal pensiero
altrui;
una di quelle persone forti, che non piange al primo ostacolo; una di
quelle
persone che semplicemente, e dannatamente, non è.
Ma nonostante le cadute, le lacrime, gli addii, le parole non dette, i
pugni, i
sorrisi finti, Beth si è sempre rialzata, da sola, e a testa
alta ha affrontato
un altro ostacolo.
Perchè Beth non lo sa, ma è forte. Lo
è davvero.
Lo è stata quando ha deciso di chiudere un capitolo della
sua vita, di andare
avanti; di non dimenticare, ma di superare.
E Beth, forse troppo presto per la sua età, ha capito e
imparato a proprie
spese che un legame, per quanto forte, non è
indistruttibile, e in qualsiasi
momento si può perderlo… in un attimo.
E, allora, si è resa conto che la vita, nel bene o nel male,
non sarebbe stata
più la stessa, e per quanto si sarebbe sforzata di fingere
che tutto andasse
bene, dentro di lei sapeva che il meglio era passato, e che il tempo a
venire
lo avrebbe impegnato a far credere agli altri che stesse bene, per non
farli
preoccupare troppo e rischiare che si sarebbero sentiti in obbligo di
aiutarla,
inutilmente.
Perchè l'unica cosa che avrebbe voluto era tornare indietro
e far sì che tutto
rimanesse come prima, perchè sapeva che la parola scusa,
questa volta,
non sarebbe bastata.
E allora dovette tentare di rimettere insieme i pezzi di una parte di
lei che
si era rotta, e cercare in tutti i modi di proseguire, andare avanti;
lasciarsi
quella parte di passato alle spalle, senza illudersi, perchè
nonostante le
ferite si rimarginano, restano le cicatrici. E se con il tempo il
dolore
diminuisce, questo, non significa che i ricordi vengano dimenticati, o
che
scompaiano. Anche se le cicatrici non si vedono, ci sono, non sono
scomparse e
in futuro possono tornare a sanguinare. Una ferita anche se guarita
è pur
sempre una ferita, un segno sulla propria anima del dolore che si
è provato,
del dolore che si è superato, e che è diventato
una parte di se stessi.
Perchè, infondo, Beth lo sapeva; sapeva che il dolore
è ciò che costituisce il
nostro corpo, ciò che lo spinge a dare il massimo e poi lo
fa crollare, ciò di
cui l'uomo ha bisogno per crescere.
Perchè provare dolore significa aprire quelle finestre che
si cerca di chiudere
sul mondo; un mondo che non è così come sembra,
ma pieno di trappole, e
anch'esso di cicatrici.
E allora, entrambi, non saranno altro che guerrieri di una vita che si
diverte
a giocare sporco; non saranno altro che fantocci nelle abili mani di un
burattinaio; costretti ad essere spettatori della propria vita, ad
attutire i
colpi, a chiudere le ferite, e a superare… per andare avanti.
Ma ciò che Beth non ha mai imparato, o semplicemente capito,
è come andare
avanti… come poter continuare la propria vita senza che, di
notte, quando le
barriere cadono e l’aria si nasconde nel buio, il passato
torni, sotto forma di
incubi, di vuoti nello stomaco, o ombre sulle pareti…
come…
E a quella domanda, senza punto interrogativo, non
c’è risposta… Beth non lo
sa, e non ha nessuno che possa dirglielo.
Perché, infondo, chi la conosce veramente… chi?
… se neanche lei si conosce…
Ci sono momenti, in cui, nel guardare la sua immagine riflessa nello
specchio,
Beth, non si riconosce… vede solo dei capelli neri, troppo
lunghi; degli occhi
blu, troppo scuri; una pelle chiara, troppo; … vede solo
troppo, un troppo che
le sembra nulla… perché lei si sente come il
vuoto, invisibile e inutile; ma
poi, quando, come il quel momento, il vento l’attraversa e le
scorreva nelle
vene, era viva; e si sentiva sostanza ...
esisteva … era aria,
terra, fuoco, acqua… era tutto ciò che voleva
essere, era … c’era.
***
Era lì, a Londra… era Capodanno, o almeno, tra
poco, lo sarebbe stato…
Era lì, sul Tower Bridge… il vento
l’attraversava e le scorreva nelle vene,
i pensieri si mescolavano nella testa, le mani erano fredde, e il
vestino rosso
galleggiava nell’aria.
Il cielo era nero, e Beth non poteva non pensarci, non poteva non
pensare di
non sopportare più quella situazione, di essere tormentata,
di non vedere altro
che lui…
Cosa diamine mi sta succedendo? –
sussurrò, ma in realtà era un urlo,
solo che dalle sue labbra ne uscì un eco lontano.
Tutto il mondo, introno a lei, correva, troppo veloce,
affinché potesse
raggiungerlo… affinché potesse
fermarlo… e non le sembrava altro che un brusio
di sottofondo, lontano … quasi silenzioso.
<< Beth… su muoviti! >> le
urlò Jessy, e Beth corse verso l’amica,
con i capelli che fendevano l’aria, il vestitino che
svolazzava, e il naso
divenuto d’un tratto rosso.
Beth era senza parole… l’aria londinese era
impregnata di magia; il cielo era
spento e le stelle a pochi metri dalla sua testa; non si poteva
camminare,
c’erano troppe persone, ma non importava, perché
era lì…
Jessy aveva insistito affinché partissero da casa prima;
Londra era affollata,
ed erano solo le 8.00 p.m dell’ultima sera di
quell’anno.
Erano tutti in coppia, e Beth: sola, ma non le importava, non quella
sera…
voleva, almeno per una notte, fregarsene del mondo; fregarsene di
ciò che
pensano gli altri, voleva essere libera, o
perlomeno avere la mente
vuota.
Tutti quei corpi aspettavano con ansia che l’atteso momento
arrivasse;
aspettavano il momento adatto, quell’attimo fuggente, per
giurare e promettere
amore alla persona che stringeva la propria mano.
Beth, invece, sperava solo che quell’anno che stava arrivando
sarebbe stato
migliore di quelli trascorsi, ma poi si disse che ciò che
sperava, in realtà,
lo sperava ogni anno, e che puntualmente sfumava nel lontano desiderio
di quel
sogno; quindi animata da uno spirito di rinnovamento e rivoluzione, si
promise
che quella sera ogni pensiero, o desiderio, che le avrebbe, anche solo
fugacemente, attraversato la mente lo avrebbe realizzato…
quella era la sua
notte, la notte dei desideri.
Cercando di farsi largo tra la folla, Beth Smith,
s’incammino, e si lanciò,
alla ricerca dei pensieri che, sperava, ben presto
l’avrebbero investita, ma
tra tutti quei corpi intrisi di felicità e speranza, Beth,
non trovava altro
che, se proprio doveva ammetterlo, invidia…
Giunta, dopo un estrema lotta per la sopravvivenza, in una stradina
meno
affollata, Beth Smith, poté finalmente respirare un
po’ di libertà; camminando
si accorse che quell’ odore ancora un po’ natalizio
galleggiava nell’aria e
che, dalle case che affiancavano la strada, un aroma di cenone di fine
anno si
espandeva danzando, e nascondendosi, nel freddo clima.
Beth pensò che Londra, era sì una
città fredda, e forse per chi non riesce a
comprenderla, ostile, ma nascondeva dietro quell’ apparenza
un calore, che
nessun’altra città poteva offrire.
Le vie pullulanti di cuori caldi, di avventura, e giovinezza; i
sorrisi; i baci
scambiati in segno di promesse di un’amore, che se anche non
duraturo, ricco di
speranze e sogni; le etnie più svariate; l’arte,
la musica, il cinema, la
danza, espressioni dell’io interiore; ma soprattutto, Londra,
era ricca dei più
nobili e sinceri sentimenti, esistenti in qualsiasi città
del mondo, ma che lì trovavano
la libertà e il coraggio di essere espressi.
Il vento soffiava freddo e Beth, nel solito parka verde,
rabbrividì, e si pentì
e dannò per non aver preso la sciarpa prima di uscire di
casa.
<< Perfetto! Ci manca solo il raffreddore!
>> pensò ad alta voce.
Prese un fazzoletto dalla tasca destra del parka, prima che potesse
starnutire.
Beth
non sapeva dove fosse, e un lieve brivido, di freddo o paura, in quel
momento
non ne era sicura, l’attraversò.
Poi
presa da una strana sensazione s’incamminò in
quella strada alla ricerca, o
scoperta, non sapeva neanche di cosa.
In
sottofondo, ad accompagnare i suoi passi, destro
sinistro, destro sinistro,
c’era
una dolce e lenta melodia. Beth ne fu catturata e incuriosita,
così decise di
seguire quelle note di una sconosciuta chitarra.
Dopo
un po’, Beth Smith, si fermò e a pochi passi, o
metri, non era sicura in quel
momento, c’era un ragazzo che con la testa piegata indietro
alla ricerca di una
stella, che quella sera non ne voleva sapere di venire fuori,
perché oscurata
dalla moltitudine di luci artificiali, suonava.
Un
movimento strano comparve nello stomaco di Beth, quando il ragazzo
abbassò la
testa, la guardò negli occhi e con un << hei!
>> urlato, ma che a
lei arrivò sussurrato, la salutò.
Cosa
ci faceva qui?
<< ciao >> sussurrò Beth.
Alec, non sentendo alcun suono uscire da quelle
labbra, prese il plettro e lo bloccò tra le corde, poi si
mise la chitarra in
spalla, e a passo lento e terribilmente attraente, a detta di Beth, la
raggiunse.
<< hei! >> ripetè a pochi
centimetri
dalla ragazza.
<< ciao >> ridisse, nuovamente, ma con
voce più alta.
Alec sorrise, non con malizia o altro, lo fece
gettando la testa indietro e sferzando l’aria fredda che li
avvolgeva
trasformandola in uno
spartito ricco di note allegre.
Beth ne rimase incantata, ma una rughetta le si
formò sulla fronte al suono di quella, inaspettata, risata.
<< Cosa c’è da ridere?
>> si fece
coraggio e chiese
<< Beh nulla… ma… >>
si fermò e
guardandola diritto negli occhi le si avvicinò, ma Beth,
troppo sconvolta,
parve non accorgersene << in tutto questo tempo ho
desiderato così tanto
incontrarti, ma non ti trovavo mai… >> il
cuore di Beth, senza che lei ne
comprendesse il vero motivo, cominciò a battere
più veloce << ed ora
invece, sembra, che il destino non voglia altro. >> le
sussurrò così
vicino, che Beth potè sentire, questa volta, la causa del
brivido che
l’attraversò.
<< I-io non credo nel d-destino…
>>
sussurrò lei tremolante.
Ed una altra sonora risata lo attraversò, spezzando
quel contatto seppur invisibile ad altri, chiaro ad entrambi.
<< Cosa ci fai qui? >> le chiese Alec.
<<
I-io… quello che fai tu… >> rispose
poco sicura
Alec
la guardò, nuovamente, e poi con un << suoni
la chitarra? >> le
sorrise, prendendola un po’ in giro.
Beth
capì lo scherzo, e sorrise.
<<
Cosa ci fai qui? >> ripetè, ma con un tono di
voce più basso e profondo.
<<
S-sto facendo un giro >> uscì quasi come un
lamento dalle sue labbra.
<< Sola? >> chiese Alec con una nota di
speranza, scappatagli dalle
labbra.
<<
sola… >> rispose Beth in un sussurro, ed
entrambi, in qualche assurdo
modo, ne furono sollevati.
Rimasero ancora lì, uno di fronte all’altro, con
gli sguardi fissi, ma senza
mai osare guardarsi.
Alec
con le mani strette a pugno e affondate nelle tasche dei jeans, per
nascondere
e reprimere la voglia di toccarla.
Beth
con le labbra tra i denti, per trattenere la voglia, che aveva, di
baciarlo.
Poi,
quel silenzio, per nulla imbarazzante, venne interrotto, e rotto, dalla
suoneria del telefonino di Beth.
<<
pronto? >>
Dall’altro lato era ben udibile una voce un po’
alterata, e sul viso di Alec si
dipinse un sorriso vittorioso.
<< scusa, era la mia amica >> disse Beth
dopo aver chiuso la
chiamata con Jessy.
<< di nulla >> rispose semplicemente.
I
due ragazzi si incamminarono nelle vie di una Londra viva, pronta per
una fine
dell’anno in grande stile, nessuno dei due aveva chiesto
l’altro di
allontanarsi, ma non c’era bisogno, lo avevano fatto gli
occhi, che muti sì
dissero molte più parole di quante avrebbero potuto dirsi
parlando.
Un'altra folata di vento fece rabbrividire Beth, e Alec, toltosi la sua
sciarpa
nera, l’avvolse intorno al collo della ragazza; Beth sorrise:
odorava di lui.
Era
già passata una mezz’ora da quando avevano
lasciato il centro pullulante della
città, intorno a loro regnava il silenzio, spezzato solo dai
loro respiri.
Alec non poteva crederci, che ora, in quella sera, si trovasse, in
chissà quale
parte di Londra (non che la cosa gli importasse) con lei…
era bellissima: i
lunghi capelli neri svolazzavano nell’aria, il naso era
arrossato, e la sua
sciarpa le avvolgeva il collo, e sperò, con tutto se stesso,
che ne sarebbe
rimasto intrappolato il profumo.
Beth
non aveva mai creduto nel destino, o cose simili, ma si disse che era
impossibile, che ora, lì accanto a lei ci fosse Alec; si
disse che era
impossibile che la sciarpa di lui le avvolgesse il collo; si disse che
quel
profumo che l’abbracciava non era il suo; e che probabilmente
stava sognando.
Ma degli occhi, in un sogno, non avrebbero potuto brillare
così tanto; e allora
capì che ciò che desiderava era trascorre, quella
sera, con lui… Beth Smith
strinse la mano di Alec, e scacciando via il brivido che gli percorse
la
schiena, iniziò a correre.
Alec
non si sarebbe mai aspettato un gesto così dalla ragazza che
ora lo trascinava
per Londra, sorrise, e le strinse più forte la mano.
I
due ragazzi iniziarono a correre senza una meta, senza sapere dove e
quando
sarebbero arrivati; sui loro visi si imprigionarono i sorrisi di chi ha
la
propria vita nelle mani, e strette una nell’altra divenne
unica e condivisa;
dalle loro labbra sgorgarono sonore risate che riempirono
l’aria.
Erano lì, uno nella mano dell’altro; respiravano
la stessa aria; correvano con
lo stesso passo; provano le stesse sensazioni…
Erano lì, e non avrebbero voluto essere in nessun altro
posto al mondo.
Quando si fermarono, tutto in torno a loro tacque… le strade
erano vuote,
l’aria pungente, il cielo stellato faceva da sfondo, e in
sottofondo un lieve
brusio proveniente dai preparativi per il grande momento; Beth e Alec,
non
avevano la minima idea di dove fossero, sapevano soltanto che quella
era la
loro sera, e che per nulla al mondo l’avrebbero sprecata.
Lasciarono uno la mano dell’altra, poi per un secondo, che
parve loro
un’eternità, si guardarono negli occhi, e troppo
imbarazzati abbassarono la
testa: Beth per nascondere il rossore che aveva rivestito la sua pelle,
e Alec
perché non riusciva a reggere quegli occhi.
E allora, entrambi, si chiesero perché
quell’imbarazzo non c’era stato nel
momento in cui, strette una nell’’altra, le loro
mani li avevano portati lì.
Alec alzò lo sguardo, si avvicinò a Beth, e in un
modo così dolce, ma che a lei
parve tremendamente sexy, le appoggiò le labbra
all’orecchio e le disse
<< seguimi >>.
Beth Smith fu pervasa da una scossa di brividi, e non riusciva a capire
perché,
lui, uno sconosciuto, la facesse sentire così…
così, neanche lei sapeva come; e
lo seguì.
Alec
non sapeva perché le aveva chiesto di seguirla, Dove
poi?, ma sapeva,
solo, di voler stare con lei più a lungo possibile.
Alec Cooper voleva solo scoprire cosa c’era in quella
ragazza, che adesso lo
seguiva, di così diverso dalle altre.
Alec Cooper voleva capire perché quella sera, quella del
ballo, semplicemente
non aveva accontentato quella matta voglia che aveva di baciarla, che
ancora
l’assaliva, invece di ballarci solamente.
Voleva capire perché quella ragazzina lo interessasse
così tanto, perché non
smetteva di pensarla, e tutti i perché ai quali non aveva
risposta.
Voleva capire, solo questo, e poi, forse, tutte quelle cose strane che
alloggiavano nello stomaco, nella testa e nel cuore, sarebbero andare
vie.
Beth
e Alec, quella sera, fecero tutto ciò di cui avevano voglia:
mangiarono un
kebab all’angolo di una strada; si abbuffarono con una
scorpacciata di cupcake;
urlarono a squarciagola una canzone che non conoscevano; corsero;
risero; si
tennero per mano, qualche volta; si guardarono negli occhi, quando ne
erano
abbastanza coraggiosi.
Visitarono Londra, non come i comuni turisti, no: la visitarono
cogliendo ogni
attimo, e vivendolo; la visitarono, e vissero, nel buio della notte,
quando
tutto tace, ma vive; la vissero negli occhi uno dell’altro;
e, si dissero, che
non avrebbero potuto vederla meglio.
Mancava
ormai mezz’ora alla mezzanotte, e Beth convinse Alec a
tornare indietro, voleva
vedere i fuochi d’artificio, e glielo chiese con quel fare
tipico da bambina,
che Alec non potè non accettare.
Quando arrivarono nei pressi del Tower Bridge trovarono così
tante persone che,
anche volendo, non le avrebbero mai viste tutte, Alec si
girò e vide sul volto
della ragazza dai capelli neri un sorriso di delusione, e si disse che
non
avrebbe permesso a tutte quelle persone di rovinare quella sera, la
loro
sera.
Prese il polso di Beth e, ignorando le sue lamentele, la
trascinò con se;
sgomitando a destra e sinistra riuscirono ad uscire dalla folla, Beth
era
spaesata - << Dove stiamo andando? >>
chiese – ma Alec continuò ad
ignorarla e la portò in un vicoletto; poi quando si
girò vide sul volto della
ragazza uno sguardo confuso, fece finta di nulla, si rigirò
ed abbassò una
scala - << Sali >> le disse – e
Beth, senza sapere il perché, salì.
Una volta finita la rampa di scale, si ritrovò sul tetto di
un palazzo, era
sorpresa, poi l’appoggiarsi di delle labbra sul suo orecchio
catturò la sua
attenzione - << Da qui, i fuochi, si vedono molto meglio
>> - Beth
sorrise, e Alec, seppur non lo vide, ricambiò.
I due ragazzi si
avvicinarono al cornicione e
rimasero a bocca aperta, sotto di loro un tappeto di anime si estendeva
rendendo Londra coloratissima - << wow! >>
disse Beth - <<
già, bellissimo! >> rispose Alec –
poi dal basso si alzarono grida di
entusiasmo, mancavano pochi minuti.
I due ragazzi si girarono, e uno difronte all’altro, si
guardarono, finalmente,
negli occhi.
Dieci,
nove, otto…
Non
sapevano perché, ma tutta la paura che avevano provato fino
a quel momento
sparì, lasciando spazio al desiderio di sprofondare nero
nel blu, blu
nel nero; di guardarsi, e basta; perché, anche se
non lo sapevano ancora,
il loro posto, era lì, negli occhi dell’altro: blu
nel nero, nero nel blu.
Sette,
sei, cinque…
Beth,
non se ne accorse, e forse neanche Alec, ma erano sempre più
vicini, come due
calamite che si attraggono.
Quattro…
Sempre
di più.
Tre…
Respiravano
l’aria dell’altro.
Due…
Chiusero
gli occhi.
Uno…
Li
aprirono.
<<
Buon anno… Beth! >> le sussurrò
Alec a pochi millimetri dalle labbra, per
poi girarsi e andarsene, con ancora lì la matta voglia di
baciarla, il prurito
nello stomaco, il suo profumo nelle narici, e la sciarpa al collo di
lei.
Alec
Cooper andò via.
<< c-cos… >> uscì
tremolante dalle labbra di Beth.
Non
riusciva a capire.
Come
fa a sapere il mio nome?
Perché
è andato via?
Era
andato via, lasciandola lì, sola, con una matta voglia di
baciarlo, il prurito
nello stomaco, il suo profumo nelle narici, e la sua sciarpa al collo.
Beth
Smith rimase lì.
Poi,
d’un tratto, sulle loro labbra apparve un sorriso.
Beth
e Alec, non sapevano perché, ma erano felici. Liberi.
<<
Buon anno.. Alec! >> sussurò,
nell’aria gelida, e quel lieve suonò si nascose
nell’incendiarsi del cielo, e
nella melodia di voci felici.
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Ink
Droplets
Care
lettrici,
ecco qui un nuovo capitolo.
Mi sono impegnata molto per donarvi un capitolo bello lungo,
è il più lungo
della storia, e spero vi piaccia.
In questo capitolo, ambientato la notte tra la fine dell’anno
e Capodanno,
scopriamo molte cose su Beth, ma c’è comunque un
alone di mistero che la
circonda.
Quale
legame avrà
perso? E perché l’ha segnata così
profondamente?
Cosa
sarà successo?
Inoltre,
questa prima
parte di capitolo, è un po’ come un diario, nel
quale Beth ci racconta un po’
com’è veramente; devo, perciò,
confessarvi che questo è uno dei capitoli a cui
sono più legata, poiché è abbastanza
personale, ma tengo a precisare che Beth
non sono io, ma, come già detto (mi sembra), un
po’ in tutta la storia c’è
qualcosa di me.
Spero, inoltre, di avervi accontentato aggiungendo un po’ di
dialoghi in più,
ma devo fare più pratica (quindi scusatemi xD), e per chi
sperava in un loro
bacio, anche la situazione si era ricreata nuovamente, non uccidetemi.
Devo dire che la mia intenzione era di far finire questo capitolo con
un bacio,
ma mentre scrivevo la fine, non cosa mi sia presa ma non l’ho
scritto, non so
mi sembrava troppo scontato, e come sapete, le cose scontate non fanno
per me.
Quindi perdonatemi.
Comunque se vi va ditemi come avreste voluto il finale, e
chissà, forse, mi
darete uno spunto…
Non voglio dilungarmi troppo, quindi concludo.
Come sempre sarei felice di ricevere vostre recensioni, quindi non
deludetemi.
Ci tengo davvero molto a questo chapter.
Ringrazio:
per
le bellissime
recensioni, e per recensire, sempre in modo fantastico, la mia storia.
Poi un
ringraziamento a chi segue, a chi ha messo questa storia tra le
preferite e
ricordate.
E come sempre un appello a chi, invece, sta nell’anonimato:
fatevi avanti! E
comunque grazie anche a voi! ^_^
P.s. Grazie per gli auguri! <3 Come avete passato
questi giorni di festa?
Se vi va raccontatemi.
Un enorme bacio
P.p.s.s.
Allora,
avviso, per chi è la prima volta che legge questo capitolo,
e chi invece no,
che ho apportato delle modifiche. Il capitolo non mi convinceva, ora
così lo
trovo, decisamente, meglio. Spero, in entrambi i casi vi piaccia, e
magari
ditemi cosa ne pensate della modifica apportata.
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