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Autore: Latis Lensherr    29/12/2013    8 recensioni
La notte in cui Lord Voldemort venne sconfitto dal piccolo Harry, Albus Silente si recò nella casa devastata dei Potter a Godric's Hollow. Lì, fra le macerie e la morte, s'imbatté nel corpo senza vita di una donna di cui l'intero Mondo Magico non conosceva né nome né storia. Si tratta di Phoebe Hool: la persona - l'unica persona - che rimase al fianco dell'Oscuro Signore praticamente per tutta la sua vita. E sarà proprio attraverso i suoi numerosi ricordi che, sedici anni dopo, lo stesso Silente e il Bambino Sopravvissuto intraprenderanno un viaggio che li condurrà negli angoli più bui e mai esplorati della vita del più grande e temuto Mago Oscuro di tutti i tempi.
[Versione revisionata e migliorata di una pubblicazione precedente.]
Genere: Azione, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Silente, Harry Potter, Nuovo personaggio, Tom O. Riddle
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '"All that's done is forgiven"'
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Capitolo dieci: Little Hangleton.
 
 
Dopo un’ora e mezza di attesa i gomiti di Phoebe Hool, immersi in un leggero strato di fanghiglia melmosa, avevano cominciato a dolerle in modo insopportabile. Ogni tentativo di muoversi o cambiare posizione era inutile: scomoda era e scomoda rimaneva. E quando per l’ennesima volta si era mossa sperando finalmente di trovare un po’ di sollievo, Tom, sdraiato di fianco a lei nel fango, le aveva mormorato con stizza, continuando a scrutare in mezzo alle foglie piccole e verdi del cespuglio dietro il quale si erano nascosti:
< Se volevi farci scoprire, bastava dirlo!>
La ragazzina sospirò rassegnata e, incrociando le braccia davanti a sé e appoggiandovi sopra il mento, si rimise a fissare la piccola casetta.
Aveva continuato a guardarla per così tanto tempo che oramai le stava uscendo dagli occhi!
Se qualcuno fosse passato distrattamente da quelle parti avrebbe fatto molta fatica a individuarla, perché si nascondeva con facilità in mezzo a un fitto e ampio groviglio di tronchi d’albero. Era tanto malridotta e poco curata, con le finestre rotte e incrostate di sporco e ragnatele; con erbacce e ortiche che la costeggiavano su tutti i lati e il muschio che si era oramai impadronito della quasi totalità dei muri, il tetto spiovente e dissestato e tegole rotte o asportate, da infonderle una pesante tristezza. Per non parlare, poi, di quel povero serpente che era stato inchiodato alla porta d’ingresso, con un grosso chiodo arrugginito che gli trapassava la testa da parte a parte. Doveva essere lì da parecchio tempo, perché era in evidente e avanzato stato di decomposizione e aveva già perso parecchie parti anatomiche. Appena erano riusciti a individuarla, Tom si era avvicinato con circospezione a una delle piccole finestre – che mostrava la stessa sporcizia e lo stesso squallore del resto della casa: una buona metà del vetro era rotta e l’altra metà era ricoperta da un vecchio strato di polvere e crepata in più punti. Senza toccare nulla, il ragazzo aveva sbirciato all’interno e rimase a scrutare l’unica stanza della catapecchia per diversi minuti. Una volta soddisfatto, era tornato verso il punto dove aveva lasciato Phoebe e aveva detto, semplicemente:
< La casa è vuota. Aspettiamo.>
Così, si erano rannicchiati per terra in mezzo al fitto fogliame poco lontano, in attesa. La ragazzina cercava di stare attenta a individuare qualsiasi cosa che si muovesse, anche di poco, visto che non sapeva assolutamente nulla riguardo alla casetta in mezzo al bosco o su chi l’abitasse. Il ragazzo non le aveva voluto rivelare niente e lei non riusciva nemmeno a immaginare cosa aspettarsi.
Una volta usciti dalla loro Sala Comune, si erano mossi silenziosi e veloci per i corridoi immersi nel buio della scuola, con lui davanti che la guidava a passo spedito e lei che lo seguiva facendo fatica a tenere il passo. Senza dire nulla e senza fare una piega, Tom l’aveva afferrata per un polso, portandola vicino a sé il più possibile: Phoebe Hool era da sempre un’incorreggibile imbranata, ci mancava solo che si perdesse in mezzo ai corridoi e li facesse scoprire da qualche Caposcuola o Prefetto che facevano il giro di controllo notturno. La ragazzina aveva trattenuto il fiato quando la mano calda e ferma le si era avvolta intorno al polso. In quel momento il sangue aveva cominciato a scorrerle più velocemente all’interno delle vene, facendola sentire come se del suo intero corpo non esistesse più niente, a parte quei centimetri di pelle e carne circondati dalla sua mano.
Per fortuna è troppo buio perché mi veda, aveva pensato, sentendo la faccia scaldarsi e immaginando di essere diventata terribilmente rossa.
Il suo migliore amico nel frattempo, con abilità e un pizzico di fortuna, riuscì a evitare ogni tipo di contro e ad arrivare a destinazione senza nessun inconveniente. Ciò che stavano cercando era un piccola e poco appariscente statua, che raffigurava una bambina con indosso un elegante vestitino da cerimonia e i capelli raccolti in due abbondanti trecce. Era stata posizionata in fondo a un corridoio senza uscita al piano terra che, almeno a quanto i due ragazzi sapessero, non aveva alcun tipo di utilità o di funzione. La statua era stata scolpita per omaggiare una strega, molto famosa durante gli anni del Medioevo, che aveva avuto il merito di padroneggiare in modo impeccabile incantesimi e magie molto complesse nonostante la sua giovanissima età.
Tom aveva scoperto il meccanismo di attivazione del passaggio segreto al primo anno, quando spinto dall’insaziabile curiosità e dall’irrefrenabile desiderio di aumentare e moltiplicare le sue conoscenze – già ad allora piuttosto ampie – passava la maggior parte del suo tempo in giro per il castello, fermandosi a leggere ogni targhetta dorata che dava informazioni sulla storia e sugli autori di tutti i quadri e le statue di Hogwarts. Avevano utilizzato quel passaggio diverse volte in passato e, anche quella volta, il ragazzo si avvicinò alla bambina di pietra ad altezza naturale e la circondò con le braccia in una specie di abbraccio, mentre le dita lunghe e sensibili percorrevano avanti e indietro la schiena fredda alla ricerca del praticamente invisibile meccanismo. Senza il minimo rumore, a un certo punto la scultura cominciò a sollevarsi, rivelando sotto di essa uno stretto e oscuro passaggio. La ragazzina cercò di ricordasi la struttura del passaggio segreto: il buco subito sotto la statua permetteva a chiunque vi entrasse di poter accedere a un percorso costruito all’interno delle pareti del castello. Si doveva camminare per un po’ in mezzo alle tubature, lo sporco, le ragnatele e qualche cadavere di ratto, fino a quando la pietra centenaria di Hogwarts non lasciava il campo a un tratto di strada scavato sotto l’enorme parco della scuola, dove grosse travi di legno e vecchissime radici avevano fatto in modo che non scomparisse col passare del tempo. Infine il tragitto terminava in prossimità di un grosso e stomachevole fiumiciattolo di liquami, che faceva parte dell’intricato impianto fognario di Hogsmeade. Ci si doveva arrampicare su una scaletta poco lontana, si sollevava e rimuoveva il coperchio di metallo pesante del tombino e si faceva capolino in una stradina secondaria del villaggio magico.
Quando Phoebe riuscì a uscire con un verso di sforzo, la stradina era avvolta in una sonnolenta e pacifica semioscurità. Non c’era anima viva in giro, solo un leggero ma tagliente vento d’autunno inoltrato spazzava le foglie ingiallite, sia quelle precipitate a terra che quelle ancora ancorate agli alberi.
< Mettiti il cappuccio > ordinò Tom alle sue spalle, senza preoccuparsi di abbassare la voce.
Le si voltò a guardarlo. Il ragazzo era indaffarato a cercare qualcosa in una tracolla di pelle che, fino a quel momento, era rimasta nascosta sotto il mantello nero. Quando riuscì a estrarre dalla piccola borsa una vecchia scopa volante, che doveva avere decisamente visto giorni migliori e di almeno cinque volte più grande del suo contenitore, la ragazzina rimase con gli occhi sgranati.
Notando quello sguardo strano, Tom Riddle domandò sulla difensiva:
< Beh? Che c’è? Mai visto un incantesimo di Estensione Irriconoscibile?!>
Senza permetterle di aggiungere altro, la obbligò ad accomodarsi sulla scopa davanti a sé e presero rapidamente il volo. Non c’era nemmeno bisogno di precisare che quel contatto sfrusciante tra i loro mantelli, le sue braccia che la circondavano in un abbraccio protettivo per impedirle di schiantarsi al suolo e la pressione confortante del suo mento che si appoggiava delicatamente sul suo capo la facevano palpitare e fremere. Si vergognò pensando che avrebbe desiderato moltissimo che si fosse avvicinato un po’ di più! L’aria fredda della sera che le schiaffeggiava con violenza il viso, nonostante il cappuccio del mantello, la fecero lacrimare copiosamente impedendole così di tenere gli occhi aperti e di osservare il paesaggio sottostante.
Per un secondo le vennero in mente le lezioni di Volo e i commenti del professor Nuvolaris riguardo al talento di Tom sulla scopa. Il mago diceva di essere rimasto sbalordito di fronte alla straordinaria capacità del Serpeverde di manovrare la scopa: aveva sviluppato una tecnica del tutto personale, un modo di virare, di accelerare e di frenare che gli permetteva di essere sempre in vantaggio sugli avversari, anche se utilizzava un modello di scopa più vecchio e obsoleto. Più volte l’insegnante aveva cercato di convincerlo a entrare nella squadra di Quidditch dei verde-argento: avrebbe potuto benissimo occupare ed eccellere in qualsiasi posizione, ma il ragazzo aveva sempre educatamente reclinato ogni offerta affermando che lo sport non era fra i suoi principali interessi. Per questo motivo non si sorprese troppo quando, meno di un’ora dopo, il suo migliore amico indirizzò la scopa in un punto molto più in basso di dove si trovavano prima e, cominciando ad atterrare con movimenti circolari sempre più piccoli, la informò:
< Siamo arrivati. Questa è Little Hangleton.>
Da dove si trovavano, Phoebe riusciva soltanto a vedere una piccola valle formicolante di modeste casette, con quasi tutte le luci spente e solo qualche caminetto ancora fumante. Era chiaramente un villaggio Babbano, con i lampioni a gas che illuminavano le piccole stradine di terra battuta dove non circolava anima viva – a parte per un edificio davanti al quale sostava un piccolo gruppetto di persone, grandi come chicchi di riso. Ipotizzò che si trattasse di una specie di taverna o di birreria. Solo dopo qualche minuto, con la testa ancora sporta oltre le braccia di Tom, la ragazzina notò una piccola ma incombente altura che sovrastava tutto il villaggio con la sua ombra. Sulla cima c’era un enorme e imponente maniero: doveva avere almeno due piani, un grande e spazioso balcone sul davanti dal quale si poteva contemplare il panorama al di sotto e un altrettanto enorme giardino perfettamente curato e sontuosamente allestito. A differenza delle altre abitazioni la maggior parte delle finestre erano illuminate da un’allegra luce arancione, come se i padroni di casa si fossero attardati davanti al camino a conversare. Rimase a fissarla per parecchi minuti, anche dopo che il ragazzo effettuò una brusca virata dirigendosi con sicurezza verso un folto tratto boschivo, pensando che era una casa bellissima!
E ci stava ancora pensando anche in quel momento, mentre se ne stava sdraiata sul terriccio appiccicoso sotto il cespuglio: la ragazzina, come l’amico, amava moltissimo Hogwarts, dopotutto era stato il primo e unico posto dove entrambi non erano stati etichettati come orfani e disadatti – cosa che invece, alla Wool’s, succedeva sistematicamente. Nella scuola di magia erano ragazzi normali come tutti gli altri, senza nulla da invidiare ai loro compagni di classe. Ma rimaneva sempre e comunque una scuola, un luogo che non sarebbe appartenuto a loro per sempre; un posto che abbandonavano durante l’estate e che, conclusi i sette anni di studi, avrebbero dovuto abbandonare per sempre. Definitivamente.
Invece quella sterminata ed elegante villa era una casa. E, per un solo momento, Phoebe Hool desiderò di avere una così un giorno. Ma anche se non fosse stata così bella, anche se fosse stata come la baracca che aveva di fronte, sarebbe stata comunque bellissima. Sarebbe stato il suo angolino di paradiso, un posto dove si sarebbe sentita protetta e sempre a suo agio. Un posto dove avrebbe potuto rifugiarsi quando il mondo la confondeva e la impauriva. Un posto dove avrebbe potuto trovare un po’ di affetto e di conforto quando si sentiva triste e stava male. Il suo cuore diede un colpo duro e netto quando un pensiero le attraversò la mente, con una lucidità e una sicurezza che la spaventarono un poco.
In un posto così vorrei che ci fosse Tom.
Lanciò un’occhiata veloce verso il ragazzo per assicurarsi che non avesse notato la lieve agitazione che l’aveva scossa. Ma lui fissava ancora l’edificio fatiscente davanti a loro, perso nei suoi inscrutabili pensieri. Riappoggiò il mento sulle braccia e cercò di esaminare meglio quel pensiero, che le era venuto con tanta, completa naturalezza. Era probabile che fosse innamorata di lui, oramai lo aveva capito, per quanto tentasse di negarlo perfino a se stessa o cercasse una qualche risposta alternativa al suo comportamento e alle sensazioni che provava. E teneva ancora moltissimo a lui nonostante tutto il dolore che aveva provato, in quell’ultimo periodo in cui lui l’aveva trattata come uno straccio da pavimenti vecchio e logoro che nemmeno l’inserviente di Hogwarts, Argus Gazza senior, avrebbe utilizzato per pulire le ragnatele dei sotterranei. Nel bene o nel male, era Tom il suo angolino di paradiso. Non importava dove fossero, a Hogwarts o all’orfanotrofio; sotto quella siepe verde, sotto un ponte o dentro a un vulcano pronto a eruttare: quando lui le era accanto non c’erano paure, non c’era preoccupazione né freddo. Non solo era fuori dal proprio Dormitorio, era addirittura fuori dalla scuola in un paesino sperduto nella pianura inglese a un orario a dir poco indicibile. Eppure il pensiero che il preside e i professori avessero potuto scoprirli e punirli più severamente del solito – forse, addirittura espellerli! – non l’aveva sfiorata nemmeno per un secondo. Perché Tom era lì e i problemi non esistevano. E se esistevano diventavano bazzecole. Lui le infondeva sicurezza, la incoraggiava e la faceva sentire accettata. Desiderò ancora, desiderò di poter essere sempre dove c’era lui, qualunque posto fosse – bello o brutto che fosse. Perché qualunque posto in cui lui si trovasse, per lei era lì la sua casa.
Dove c’era lui, ecco, quella era casa sua.
Sospirò rassegnata.
Un tuono sommesso interruppe il suo rimuginare. Pochi secondi dopo, una pioggerellina lieve le solleticò il naso e il viso convertendosi poi, con una velocità davvero sbalorditiva, in un acquazzone fitto e violento.
< Maledizione > imprecò Tom, sollevandosi sulle ginocchia. < Ci mancava solo il temporale!>
Phoebe si voltò a fissarlo incuriosita, mentre oramai la pioggia l’aveva completamente infradiciata e la fanghiglia sotto di lei diventava vero e proprio fango. Il ragazzo aveva di nuovo infilato quasi tutto il braccio all’interno della piccola tracolla bofonchiando sommessamente, i capelli bagnati che cominciavano ad appiccicarsi sulla sua fronte. Dopo una breve ricerca estrasse un quadrato ripiegato di lana che Phoebe identificò come una coperta, ma soltanto quando lui gliela gettò addosso coprendola completamente. Aveva dei disegni a quadrettini e dei colori così sbiaditi che avrebbero potuto mimetizzarsi alla perfezione in mezzo alla boscaglia. Subito dopo il ragazzo sollevò un lato della trapunta e ci si ficcò sotto, accomodandosi di fianco a lei. Le loro spalle si toccavano e la coperta non li teneva all’asciutto, ma almeno attutiva un poco i colpi secchi dell’acqua sulla testa. La ragazzina cominciò a sentire un caldo innaturale: si sentiva quasi mancare l’aria. Fino a quando lui era rimasto a qualche centimetro di distanza, non si era resa conto di quanto fossero stati vicini. Di quanto fossero soli – solamente loro due! Quel silenzio che fino a pochi minuti prima non le aveva dato alcun tipo di problema, ora la opprimeva come un peso insopportabile. Deglutì un paio di volte e alla fine, facendosi forza, osò bisbigliare:
< Secondo te…dovremmo aspettare ancora molto?>
< Non lo so > rispose pensieroso Tom, senza degnarla di uno sguardo e senza aggiungere nient’altro.
< Sei ancora intenzionato a non dirmi nulla, riguardo a quello che stiamo facendo?> insistette Phoebe, fissandolo. < Non pensi che ti sarei molto più utile se fossi messa a conoscenza di questa cosa?>
Lui non rispose e continuò ostinatamente a non guardarla. Sembrava quasi che temesse di perdere di vista la baracca, se avesse distolto lo sguardo da essa anche solo per un istante. La ragazzina attese per un po’, poi, intuendo che non le avrebbe risposto e non le avrebbe rivelato niente, riportò le braccia davanti a sé e vi riappoggiò il mento, sbuffando.
Quando faceva così, era davvero insopportabile…
< Non riesco a capire perché hai voluto che ti accompagnassi proprio io > buttò li lei, con la voce piena di fastidio. < Tanto valeva che ti portassi dietro qualcun altro, visto che non mi ritieni degna della benché minima fiducia!>
Rimase di stucco quando, con una smorfia, Tom si mosse piano e finalmente si mise a guardarla dritto negli occhi. Da vicino il suo sguardo era ancora più penetrante e seducente di quanto già non fosse: con quei due occhi avrebbe potuto convincere anche il diavolo a fare quello che più desiderasse e volesse. Poi sentenziò, con ostilità:
< Non ti è mai passato per la testa che, forse, non mi fido di te perché tu non mi hai dato il benché minimo motivo per farlo?!>
< COSA?! Ma come puoi…> sbottò Phoebe, alzando inavvertitamente il tono di voce.
La mano del ragazzo le tappò prontamente la bocca e si allontanò soltanto dopo che ebbe ascoltato i rumori tutt’intorno, accertandosi che quello strillo non avesse richiamato l’attenzione di nessuno nei dintorni. E soltanto dopo averle lanciato un’occhiataccia!
< Vuoi proprio sapere come posso?> sibilò lui, alzando di un poco un lembo della coperta e scrutando attentamente fra la vegetazione fitta. < Te lo spiego con due sole parole: Gordon McDougall.>
La ragazzina scosse la testa, mordicchiandosi le labbra per non permettere a un sospiro deluso e irritato di fuggire. Ma non riuscì a trattenersi dal borbottare:
< Di nuovo con questa storia…>
< Ti conviene chiudere quella bocca, Phoebe > l’avvisò minacciosamente l’altro.
< Per quanto ancora dovrò ripetertelo?! Non ho mai avuto niente a che fare con McDougall o…o le sue spie: a momenti nemmeno lo conosco!>
< Oh, certo > la beffeggiò Tom, crudelmente sarcastico. < Lui invece sembra conoscerti fin troppo bene.>
< Oh, Tom, ti prego…>
< “Oh, Tom, ti prego” cosa? Chiudi quella bocca, ho detto!>
Phoebe Hool tacque per qualche minuto. L’audacia e l’ostinazione che l’avevano miracolosamente sorretta fino a quel punto erano rapidamente scemate, abbandonandola poi sull’orlo dell’esasperazione e della tristezza. Respirò profondamente e piano, così da impedire ai grossi lacrimoni che le bruciavano gli angoli degli occhi di andarsene in giro liberamente per la sua faccia - il suo migliore amico aveva sempre detestato i bambini che piangevano e lei, nel corso degli anni, aveva imparato a sviluppare una propria, discreta tecnica che le permettesse di ricacciare indietro tutto quanto il suo sconforto, per poi riprenderlo in esame, eventualmente, in un secondo momento.
Lei sapeva di non aver mai tradito Tom e sapeva che non avrebbe mai potuto farlo. E conosceva alla perfezione anche il motivo. Forse se glielo avesse fatto sapere, se glielo avesse confidato…forse lui avrebbe potuto rivedere i suoi sospetti e le sue convinzioni e liberarla finalmente da tutte quelle infondate accuse. Ma come avrebbe potuto dirgli una cosa del genere?! Dove trovare le parole per confessargli una cosa che perfino lei ancora non era riuscita ad accettare? E, soprattutto, dove trovare il coraggio per affrontare tutte le conseguenze – più o meno catastrofiche – che quella rivelazione avrebbe comportato? Il suo amico d’infanzia non avrebbe preso affatto bene una situazione di quel tipo: era praticamente certa che, messo di fronte alla realtà accecante e sconveniente dei suoi sentimenti, avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per allontanarla, per farla sparire e cancellarla, come se nella sua vita la ragazzina non ci fosse mai nemmeno inciampata. E questa paura continuava a stringerle il cuore con più forza e prepotenza di quanto potesse fare qualsiasi tipo di passione che stesse lentamente coltivando nei suoi confronti: se per non perderlo avesse dovuto sopportare il suo disprezzo e la sua ostilità per tutto il resto della vita, lo avrebbe fatto in un silenzioso e accondiscendente sollievo.
< Io non potrei mai farti una cosa tanto orribile…>
Il ragazzo non si voltò e si limitò a commentare:
< Questo lo hai già detto.>
< Perché è vero! Dammi un solo motivo per cui avrei dovuto farlo > insistette Phoebe, serrando le mani in due pugni.
< Se lo conoscessi, te lo rinfaccerei senz’altro > soffiò Tom, minacciosamente. Le aveva dedicato un veloce sguardo con gli occhi strizzati in due fessure, per poi tornare a fissare la catapecchia dispersa nel bosco con espressione meditabondo. E si rinchiuse in quel silenzio riflessivo per molto tempo, tanto che, quando riprese a parlare, il suo tono di voce aveva perso ogni sfumatura di rabbia e astio che aveva precedentemente avuto, facendo pensare alla ragazzina che stesse esponendo un pensiero ad alta voce senza rendersene conto. < Con tutti gli altri non ho mai avuto problemi a capire quali fossero le loro fantasie e le loro ambizioni. E’ sempre stato così assurdamente facile – per me – indovinare su quali leve fare pressione, quali tasselli spostare per ottenere la loro collaborazione e la loro completa devozione. Non ho mai avuto problemi a capire chi sarebbe stato disposto a seguirmi fino alla morte e chi no. E come persuaderli a farlo.
< Ma tutti gli altri sono uomini, giusto? E gli uomini hanno desideri semplici. Sono facili da decifrare e da manovrare. Per voi donne il discorso è diverso: le vostre aspirazioni sono tutt’altro che materiali. Alimentate sottili sogni ad occhi aperti che fate crescere illimitatamente o distruggete fino alla radice, con la stessa velocità di un battito di ciglia. Cercate e bramate cose che nemmeno voi sapete comprendere appieno. Quindi, come posso essere assolutamente certo che Gordon McDougall non abbia da offrirti qualcosa che io non possiedo e non possiederò mai?>
La ragazzina non comprese esattamente quel discorso strano né quelle ultime parole, perché il ragazzo le pronunciò con un tono tanto sommesso che annegarono nel sottofondo picchiettante della pioggia che continuava a cadere attorno a loro. Ma non fece in tempo a chiedergli di ripetere ciò che aveva appena detto che l’altro aggiunse subito, con voce un poco più alta:
< Ad ogni modo…non credo che sia tu la spia di McDougall.>
Phoebe Hool non poté fare a meno di rimanere a bocca aperta.
Lo aveva detto davvero o una goccia di pioggia le era finita nell’orecchio, mandandole in corto circuito tutto il suo apparato uditivo?!
< Da – davvero?> mormorò, incespicando in un illogico sorrisetto gioioso. Sapeva di risultare probabilmente stupida, ma si sentiva come se il regalo che più aveva desiderato per tutta la vita fosse caduto dal cielo, direttamente fra le sue braccia. < Grazie, Tom.>
Lui le lanciò un’ultima occhiataccia imbarazzata e ritornò a guardare davanti a sé. Ma nemmeno mezzo minuto dopo, Phoebe riuscì a vedere chiaramente il corpo dell’altro che si irrigidiva e lo sguardo che diventava tempestivamente più attento, mentre scrutava i dintorni. La ragazzina stava per chiedergli che cosa stesse succedendo, quando lo sentì: rumore di passi pesanti e barcollanti che calpestavano con forza le pozzanghere e il fango, emettendo così un rumore gocciolante. Una voce, impastata di alcool e stanchezza, bestemmiò verso il cielo piovoso e intonò malamente quelle che sembrarono le strofe di una canzonaccia da osteria di quart’ordine. Per un momento ebbe il dubbio di conoscere le parole di quel motivetto, ma poi un brivido le salì saettando lungo la schiena quando si rese conto che quelle parole, che lei comprendeva fin troppo bene, non erano un linguaggio umano, ma bensì soffi e sibili animaleschi. Da rettile!
L’individuo che si stava avvicinando stava parlando il Serpentese!
Alla fine una figura entrò nel suo campo visivo, incespicando. Quando si ritrovò vicino alla casetta allungò un braccio per sostenersi contro la parete e i muri corrosi dal tempo, senza smettere di cantare e mischiando ora parole inglesi e il momento dopo la lingua dei serpenti. Aveva i capelli e la barba così folti da nascondergli praticamente tutto il viso ed era orrendamente sporco, come se da anni avesse scordato cosa fosse l’igiene personale. Nella mano libera teneva stretto il collo di una bottiglia di vetro, contenente un liquido ramato che sciabordava sulle pareti lisce ogni volta che l’uomo l’agitava. Ruttò in modo disgustoso mentre si lasciava letteralmente cadere sulla porta logora ed entrava in casa.
Phoebe aveva la bocca spalancata per lo stupore: chi diavolo era quello strano individuo?
Si voltò nuovamente verso Tom cercando spiegazioni e vide che era ancora rigidamente sconvolto dall’apparizione di quell’ubriacone. Le sue mani, però, tremavano leggermente. La ragazzina non avrebbe mai potuto capirlo, ma quel tremolio era provocato dall’eccitazione. C’era riuscito. A pochi passi da dove si trovava, c’era una delle poche persone che avrebbe finalmente potuto dare una risposta alle sue infinite domande. Quell’uomo poteva rivelargli chi era!
Aspettò ancora qualche minuto, immobile, poi scostò la coperta da entrambi con un solo gesto e la fece sparire velocemente all’interno della tracolla. Afferrò la bacchetta con decisione e, facendo un cenno a Phoebe con la testa, si avvicinò silenzioso e cauto verso l’ingresso della baracca. Mentre lo seguiva da vicino, assicurandosi di mettere i piedi nel punto esatto in cui li aveva messi precedentemente l’altro, la ragazzina poteva vedere come la sua bacchetta sussultasse convulsamente fra le sue mani, scivolose e sudate. Cercava di respirare il meno possibile perché le sembrava che il suo respiro facesse un rumore assordante, nonostante il tamburellare della pioggia. Quando furono a un passo e mezzo dalla porta – talmente vicini che al padrone di casa sarebbe bastato semplicemente buttare un occhio fuori dalla finestra per scovarli – Tom si fermò e rimase in ascolto, per cercare di capire se ci fossero dei movimenti all’interno. Il silenzio assoluto che gli rispose lo insospettì un po’. Ma incapace di attendere oltre e con la bacchetta puntata, si decise ad aprire la porta con decisione e a entrare con calma, per non tradire l’agitazione che gli stava scuotendo tutto il corpo. Phoebe nel frattempo, praticamente appiccicata al mantello nero dell’amico, lanciò uno sguardo tutt’intorno alla stanza: la tristezza che l’esterno della casetta le aveva dato era impossibile da paragonare alla sensazione di pena e nausea che le provocò quella vista. Più che in un salotto, le sembrò di essere entrata all’interno di una discarica! C’erano mobili e cianfrusaglie sparsi per tutto il pavimento e ognuno di essi era distrutto o ricoperto di sporco e ragnatele. L’odore dolciastro e acre del cibo avariato e dei cadaveri di piccoli animaletti in putrefazione le colpì il naso, rendendole difficile respirare anche con la bocca. Bottiglie di liquori e vini scadenti erano state ammucchiate in un angolo, alcune integre e altre rotte in mille schegge che avevano formato una grossa pozza scura e appiccicosa, dove gli ultimi insetti della stagione gironzolavano indifferenti. La miseria governava incontrastata all’interno della baracca. Soltanto dopo un po’ riuscì a distinguere faticosamente una figura ingobbita, con il mento rivolto verso il proprio petto, che sedeva immobile su una poltrona veccia e sfondata e con il rivestimento mangiucchiato dalle tarme.
La sua orribile condizione era in perfetta sintonia con lo stato decadente e trascurato della casa. I vestiti che indossava erano poco più che stracci: erano talmente consumati e ingrigiti che sarebbe stato impossibile indovinarne il colore originale. Teneva ancora pigramente la bottiglia di vetro nella mano, facendola ciondolare piano avanti e indietro. La ragazzina cominciò a sospettare che fosse così poco lucido da non essersi nemmeno accorto della loro presenza nella stanza, quando con un sibilo freddo e ironico l’uomo parlò, strascicando le parole:
< Mi stavo giusto chiedendo quanto ci avreste messo a entrare.>
Lei sussultò visibilmente, più per il suono raschiante di quella voce che per il fatto che l’individuo li avesse notati già da prima, nascosti in mezzo alla vegetazione. Tom, invece, rimase impassibile con la punta della bacchetta puntata verso la poltrona; l’agitazione e l’eccitazione di alcuni minuti prima che sembravano non essere mai esistite. Tutto il suo essere era concentrato verso quell’individuo tanto singolare.
Non ottenendo risposta dall’altra parte, l’uomo sollevò vacillando la gran massa di capelli e barba – grigi e spettinati e sporchi – e fissò addosso a loro i piccoli occhietti strabici. Sebbene fossero parecchio annebbiati e appannati dall’alcool, il loro colore scuro lampeggiò di una fiammeggiante luce di ostilità. Di odio
< Perché sei tornato?> ringhiò, mostrando i denti rotti e mancanti. < Sei venuto per rigirare il coltello nella piaga? Per farti beffe di me? Rispondi! Cosa vuoi?!>
< Credo che lei mi stia confondendo con qualcun…> cominciò il ragazzo con tono serio e…abbassando impercettibilmente e senza accorgersene la bacchetta.
Successe tutto talmente in fretta che Phoebe non riuscì nemmeno a capire come fosse finita con la schiena sbattuta contro la porta! Tutto ciò che era riuscita a registrare era il suono fragoroso della bottiglia che si spezzava contro il pavimento, frantumandosi. Poi, con un’agilità insospettabile per un corpo tanto esile e malridotto, l’uomo sulla poltrona balzò in piedi e si gettò contro Tom, costringendolo alla parete opposta e sollevandolo lievemente da terra. Aveva estratto velocemente un pugnale corto ma affilato e gli aveva puntato la punta luccicante appena sotto il pomo d’Adamo, pizzicandolo, mentre con l’altra mano gli stringeva prepotentemente il mantello, immobilizzandolo così contro il muro. Doveva avere una forza incredibile.
Nell’impeto della corsa aveva allontanato la ragazzina da sé con un forte spintone e in quel momento, distesa scompostamente per terra, lei li fissava pietrificata e sbigottita. L’uomo rise sguaiatamente, inondando il ragazzo con il suo alito fetido e guardandolo con gli occhi neri brucianti di sadica e folle crudeltà.
< Lasciami andare > protestò vivamente Tom, scalpitando con i piedi penzoloni e cercando di lottare contro il senso di soffocamento che gli provocavano le mani del suo aggressore intorno al collo. Avrebbe dovuto lanciare un incantesimo, difendersi, ma la mancanza d’ossigeno non gli permetteva di ragionare con lucidità. Continuò ad agitarsi, cercando di svincolarsi dalla presa robusta.
< Da dove potrei cominciare?> domandò a se stesso l’altro, continuando a ridacchiare sinistramente. < Potrei cavarti i tuoi bei occhioni…oppure, oppure farti a pezzetti la boccuccia, sì…sì, così non potrai mai più sfoggiare il tuo meraviglioso sorriso tronfio…>
Aveva alzato la punta del pugnale, facendola scorrere lentamente sulla pelle bianca del giovane e lasciando l’ombra vermiglia di un graffio superficiale, la condusse fino a uno degli angoli bocca e lì lo derise nuovamente sollevandogli leggermente il labbro superiore. Tom cercò di voltare il viso dall’altra parte ma la mano del suo aggressore, sporca e con le unghie rotte, lo bloccò tenendolo saldamente fermo. L’uomo aveva allontanato la lama di pochi millimetri e si accingeva a cominciare il suo macabro lavoro, quando…
< Flipendo > urlò la voce tremante di Phoebe alle sue spalle. L’incantesimo schizzò incerto dalla sua bacchetta andando a finire sul muro, molti centimetri sopra le teste dei due. Le mani le tremavano enormemente e i suoi occhi si spalancarono per il panico, quando l’uomo posò il suo sguardo feroce per la prima volta direttamente su di lei. La guardava con sospetto e confusione, come se prima non ci fosse stata e avesse fatto il suo ingresso in casa solo in quell’istante. Poi abbassò la testa verso la bacchetta ancora malamente puntata verso di lui e, con un gesto elegante e deciso, fece comparire da chissà dove la propria bacchetta, mentre pronunciava con tono fermo e beffardo:
< Expelliarmus!>
Il sottile pezzo di legno di tasso le schizzò via dalle mani con uno schiocco, roteando veloce in qualche angolo nascosto della stanza. Phoebe lanciò uno sguardo dietro di sé cercandola disperatamente con lo sguardo, poi, quando tornò a riportare la propria attenzione sull’avversario, cominciò a indietreggiare, terrorizzata. Lui aveva liberato Tom dalla sua morsa, lasciandolo cadere rovinosamente a terra dove, con le mani al collo, aveva cominciato a tossire violentemente. Ed ora si dirigeva con passi lenti e pesanti verso di lei, studiandola con uno sguardo di folle e maniacale divertimento.
< Hai voglia di giocare, eh, bambina?> aveva mormorato, sempre continuando ad avanzare e ridacchiando orrendamente. Il suo volto sembrava quello di un animale affamato.
La ragazzina riusciva soltanto a continuare a indietreggiare. Le labbra e le gambe vacillavano senza nessun tipo di controllo. Andò a sbattere contro il tavolo di legno in mezzo alla sala, sul quale erano state impilate e gettate a casaccio pentole sporche e incrostate che, urtate, caddero a terra provocando uno schiamazzo fastidioso. L’altro approfittò del diversivo creato dal crollo delle stoviglie per avvicinarsi ulteriormente di altri due passi. Quel movimento repentino mozzò il fiato di Phoebe Hool che, presa alla sprovvista, cercò di fuggire dal contatto indietreggiando ancora di più, ma in quel modo finì solo per incespicare contro il bracciolo consunto della poltrona, cadendoci sopra distesa. Non fece in tempo a rendersene conto che il ginocchio dell’uomo le si impiantò sullo stomaco, bloccandola. Sentì la lama tagliente del pugnale infilarsi sotto il nodo che aveva fatto per chiudere il mantello, tagliandolo di netto in due. Il mantello si aprì rivelando il suo maglione blu, sul quale lui fece ballare le punte del coltello e della bacchetta.
< Te ne sei trovato un’altra, eh?> aveva domandato ironico a Tom, ma sempre fissando la ragazza sotto di lui. < Le scegli sempre molto carine…>
Sembrava indeciso, come se dovesse decidere accuratamente quale parte del suo corpo iniziare a dilaniare. Phoebe, istintivamente, cominciò a dimenarsi per liberarsi e cercare di allontanarlo da sé, ma l’uomo, infastidito, l’afferrò per i capelli e li strattonò con prepotenza e rabbia. La ragazzina sentì la testa diventarle umida nel punto in cui la ciocca, che lui stringeva nella mano come un trofeo, si era staccata con un leggero strappo dal cuoio cappelluto. Si sarebbe messa a urlare, se non fosse stata tanto spaventata da non accorgersi nemmeno del dolore.
Alla fine il suo aggressore optò per la lama e, mentre le teneva indietro il viso con l’altra mano che impugnava la bacchetta, la sollevò all’altezza della testa pronto ad abbassarla.
La voce alle sue spalle lo sorprese – o meglio, ciò che la voce disse lo lasciò sbigottito – al punto che si immobilizzò, con gli occhi sgranati per la sorpresa e il coltello ancora per aria.
< Stupeficium!> urlò Tom, scaricando nell’incantesimo tutta la rabbia che aveva in corpo e rendendolo così ancora più violento e potente.
La luce abbagliante dell’incanto colpì l’uomo in pieno, inondando per pochi secondi la baracca di una fredda e pura luce bianca. Phoebe, che alla vista del pugnale sollevato aveva chiuso con forza le palpebre, sentì un peso caderle direttamente addosso e coprirla. L’odore intenso e irritante del sudore e dello sporco dell’ubriacone le inondò le narici e, dopo aver aperto e chiuso gli occhi un paio di volte, cominciò a dimenarsi di nuovo trattenendo a stento un urlo colmo di orrore e panico. Si trascinò via da lui, facendolo ricadere inerme sulla poltrona. Non dava alcun segno di vita. Continuò ad allontanarsi, seduta e aiutandosi con le mani e i piedi ad arretrare, gli occhi spalancati e impauriti che non mollavano la barba e i capelli scompigliati.
Sentì appena la voce di Tom che, mettendole una mano fra i capelli insanguinati e l’altra sulla spalla, le domandava visibilmente preoccupato:
< Phoebe. Stai bene?>
< Chi…chi diavolo é…lui?> balbettò lei, ignorando completamente la sua domanda e continuando a fissare il corpo esanime di fronte a loro. Il ragazzo poteva percepire perfettamente i suoi sussulti nervosi, sotto le mani. Sospirò piano e, alzando anche lui lo sguardo verso la poltrona, rispose con un tono a metà tra la tristezza e il disprezzo:
< Io credo che…credo che lui sia mio zio.>

 
 
Note dell’autore.
 
*Latis e Phoebe stappano champagne e offrono panettone e pandoro a tutte quelle buone anime che hanno avuto il coraggio di arrivare fino alla fine del capitolo*
 
Non credevo che ce l’avrei mai fatta…e invece sono riuscita a raggiungere la quota di ben DIECI CAPITOLI prima della fine di questo anno! Mi merito davvero una pacca sulla spalla!
*Latis costringe Tom a darle una pacca sulla spalla*
 
Avevo pensato di pubblicarlo il giorno di Capodanno, per commemorare il compleanno del nostro Mago Oscuro preferito *Tom vuole il suo regalo di compleanno!* ma visto che sono un po’ in ritardo con la pubblicazione, ho deciso di pubblicarlo oggi – anche per farmi perdonare di non essere riuscita a realizzare il miracolo di Natale ç__________ç
 
Allora, che dire di questo capitolo? E’ decisamente più movimentato degli ultimi! Rispetto alla versione precedente non ho cambiato praticamente nulla, a parte una scenetta e qualche correzione qua e là: ho sempre considerato questo capitolo uno dei migliori che io abbia scritto, quindi ho deciso di lasciarlo – quasi – intatto.
 
Voglio solo spendere due altre parole per parlare di una cosetta: la chiacchierata tra Tom e Phoebe. Spero che quello che ha detto Tom, quando ha fatto la distinzione tra i suoi seguaci uomini e tra Phoebe che è una femminuccia, non sia stato interpretato come un discorso sessista. L’obiettivo non era assolutamente quello…soprattutto perché il nostro caro Riddle è un grande e appassionato sostenitore della parità fra i sessi! *Tom: Non è vero. Latis: Sssssh!*
E anche se lo fosse stato, tanto era un’opinione a favore di noi femminucchie…yeah!
Quello che volevo dire era, semplicemente, che lui fa fatica a capire quello che passa per la testa di Phoebe per il fatto che lei è una ragazza…e che probabilmente desidera cose diverse da quello che potrebbero desiderare i ragazzi – non lo ha proprio espresso apertamente, ma in pratica ha il sospetto che la sua amica potrebbe trovare Gordon McDougall attraente ed essersi presa una cotta per lui! Ma non ne è completamente sicuro…
 
Ecco. Mi sembra di aver detto tutto. Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Voglio proprio sapere cosa ne pensate del nostro caro zio Orfin XD
Ah, un’altra cosa: sono parecchio indietro con le risposte alle recensioni. Farò in modo di rispondere a tutto quanto il prima possibile, ma non so entro quando perché vorrei anche leggere e recensire qualche storia – parecchie storie! – che ho in arretrato.
Per ora, vorrei augurare a tutte voi un buonissimo nuovo anno.
E ringraziare tutti coloro che continuano a seguirmi con tanto affetto. In special modo ELVASS, RURUE, ERODIADE e KURAPIKA95, che hanno anche commentato il capitolo scorso.
Spero di riuscire a pubblicare prestissimo. E vi ringrazio ancora con tutto il cuore!
 
Un bacio.
Latis.
 
 
 
Tom: E adesso…dov’è il mio regalo?
Phoebe: E va bene, testone, eccolo.
Latis: E’ anche da parte mia!
*Tom scarta il pacco e ci trova un gigantesco peluche di Nagini. E va in delirio!*
 
   
 
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