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Autore: dreamlikeview    29/12/2013    7 recensioni
Cosa accadrebbe se un po’ di polvere di stelle finisse negli occhi di un odioso ragazzino viziato?
Cosa accadrebbe se qualcuno ponesse un raggio di sole nella sua vita buia e spenta?
E se questa persona portasse anche la speranza in essa, cosa accadrebbe?
E se fossero aiutati dalla magia del Natale, si vedrebbero ancora?
[Larry, Christmas.]
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'All about them.'
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Desclaimer: Nessuna delle azioni dei protagonisti è scritta al fine di offenderli, non sono di mia proprietà e non è mia intenzione rappresentare in maniera veritiera il loro carattere. Non ci guadagno nulla da tutto ciò.

Avviso: Totalmente irreale, e romantica, fuori dalla mia normalità di angst, un buon Natale (in ritardo) e buone feste.
Lu ha scioperato con il banner stavolta çç (no, non le ho detto nulla fino a pochi giorni fa.)

ENJOY! 



Avviso, la direzione (me) consiglia di ascoltare questa canzone per accompagnare la lettura della canzone. 






Per Louis Tomlinson, il Natale non era altro che abbuffarsi come un  matto e aprire i regali. Cadeva persino il giorno prima del suo compleanno e i regali per lui, che viveva in una famiglia agiata, erano sempre il doppio di quelli che potevano essere i regali di un ragazzo vivente in una famiglia umile.
Louis era viziato, odioso e spocchioso, credeva di essere superiore a tutti, e non aiutava mai nessuno.
Era una versione di Mr Scrooge molto moderna e molto più giovane.
Non conosceva la dolcezza, né la comprensione. Era cresciuto in un contesto in cui tutto gli era dovuto, e niente era guadagnato. Chiarendoci, a lui non sarebbero bastati i tre fantasmi a fargli visita di notte, per farlo redimere.
Ma Louis non era un ragazzo felice, no, per niente.
Viveva tutta la sua vita senza valori, senza emozioni forti.
Era apatico.
Aveva persino provato delle droghe, per poter provare una sorta di emozione, tuttavia dopo, si era chiuso nuovamente nella sua apatia. Niente avrebbe mai potuto cambiarlo.
A ventidue anni quasi compiuti a stento aveva preso il diploma, ma non lavorava. Dipendeva totalmente dai suoi genitori, gli concedevano una paghetta di mille sterline al mese, e lui non bastavano.
Tra droghe, canne e sigarette finivano in un lampo.
I genitori non si interessavano di lui, troppo impegnati a pensare gli affari. La cosa importante per loro era non lasciarlo mai senza soldi, dovevano fare solo quello, mettergli del denaro tra le mani, e Louis non avrebbe dato fastidio, avevano sempre fatto così, fin da quando era stato un bambino.
“Comprati un giocattolo e smettila di frignare” – gli diceva sua madre, lasciandogli un gruzzolo di soldi tra le mani e Louis accettava il denaro, facendosi poi accompagnare dalla tata che lo cresceva al posto dei genitori in giro per negozi. Nemmeno lei contribuiva poi tanto, era pagata per badare al bambino, perché educarlo ai valori?
Aveva solo sei anni quando aveva imparato a fare compere da solo.
L’unico valore che conosceva erano i soldi concessigli dai suoi genitori, per lui non importava altro.
Non era un cattivo ragazzo, solo un ragazzo viziato che non conosceva la vita reale, cresciuto nell’agiatezza e nello sperperare il denaro  a destra e a manca – “tanto mamma e papà me lo concedono” – si diceva.
Ma, ahimè, non era un ragazzo felice.
Era sempre triste, magro e i suoi occhi erano scavati, spenti, scuri.
Era un bel ragazzo, certo, occhi azzurri, capelli castani, bassino, e mingherlino, ma di bell’aspetto e portata. Tuttavia era triste, spento, apatico. Non si riconosceva più.
Louis non poteva cambiare.
Non senza che qualcosa sconvolgesse totalmente la sua vita.
Per lui nulla era chiaro, tutto era oscuro, il denaro era l’unica via d’uscita.
Si drogava e fumava solo per poter uscire da quella apatia da cui era circondato, voleva solo che qualcuno si accorgesse del suo bisogno, delle sue necessità.
Era un ragazzo solo.
Nessun amico a supportarlo, perché aveva allontanato tutti, troppo plebei per poter competere con lui, troppo stolti e troppo poco aggiornati. Del resto, nessuno della sua vecchia cerchia di amici, poteva permettersi l’ultimo modello di cellulare o l’ultimo capo firmato di qualche marca troppo famosa per essere alla portata di tutti.
Gli bastava aprire la bocca, comunicare necessità e piovevano soldi.
Aveva imparato quel trucco da bambino, e continuava ad usarlo.
Non aveva bisogno di nessuno.
Solo dei suoi soldi.
Era cresciuto con quell’ideale, che i soldi facessero la felicità di una persona, e così aveva vissuto.
Mancavano pochi giorni al suo compleanno, e sperava di avere qualche regalo materiale, insieme ai soldi. I genitori ovviamente gli avrebbero caricato il conto in banca, aperto a suo nome quando aveva compiuto diciotto anni, mentre i suoi nonni, zii e altri parenti avrebbero fatto qualche altro costosissimo regalo.
Del resto, tutta la sua vita era stata regali costosi e denaro.
Denaro e regali.
Per tutta la vita non aveva avuto altro pensiero, altro valore.
Come avrebbe potuto, un tipo del genere, mostrare altruismo o simpatia verso qualcun altro? O anche dolcezza? Non avrebbe mai potuto, non con quella famiglia alle spalle. Mai una responsabilità o un dovere.
Quando camminava per strada, se gli capitava di vedere un senza tetto che chiedeva l’elemosina scoppiava a ridere e lo derideva come se non ci fosse stato un domani. Era troppo immaturo e irresponsabile.
Era un ragazzino nel corpo di un quasi ventiduenne.
Qualcuno avrebbe dovuto insegnargli le buone maniere. Qualcosa di catastrofico doveva abbattersi su di lui, e fargli capire che quella non fosse vita. Era solo apparenza, per celare i difetti.
E forse Louis, un giorno si sarebbe accorto di non essere un decimo forte di quanto ostentava. Dentro di sé, in una parte recondita della sua coscienza, sapeva di essere un ragazzo fragile, dolce e adorabile.
Si fingeva forte, per non apparire debole.
L’apparenza era tutto per lui, ma quando quest’effimera convinzione che aveva fosse svanita, cosa avrebbe fatto? Come si sarebbe comportato? Non lo sapeva, ma la cosa non lo toccava minimamente.
Ma se i soldi fossero mancati?
 
Era successo il giorno prima del suo compleanno.
Il suo conto era vuoto da molti giorni, e lui aveva necessità di comprare la sua roba prima che gli venisse qualche crisi di astinenza, nessuno della sua famiglia sarebbe stato presente il ventiquattro né il venticinque, sarebbe rimasto da solo a casa. Sperava in qualche migliaio di sterline lasciatagli dai suoi genitori, ma trovò solo lo stretto necessario per sopravvivere, troppo poche per lui, ma non gli importava niente, né di mangiare né di altro.
Aveva bisogno della sua roba e di tanto, ma tanto alcol. Il suo corpo ne aveva bisogno, non riusciva a reggersi in piedi, tanto fosse in astinenza. Per questo, appena i genitori la notte del ventitre dicembre partirono, lui uscì e si recò dal suo pusher di fiducia, e immediatamente dopo nel primo locale malfamato della zona.
Passò lì la notte, a scolare drink dopo drink, a fumare canne e a iniettarsi nelle vene sostanze nocive alla sua salute.
Erano le sette di mattina, quando uscì dal pub, e traballante si diresse verso la sua auto. Tant’era sbronzo e fatto, che non riusciva ad infilare la chiave nella serratura dell’auto.
“Fanculo” – borbottò rivolto alla superficie liscia e nera dell’automobile, come se quest’ultima potesse rispondergli. Si lasciò scivolare contro il paraurti dell’auto, con gli occhi chiusi e stanchi.
Nessuna delle cose assunte, gli aveva fatto provare qualche emozione diversa dall’apatia che provava di solito.
Si sentì improvvisamente strattonato all’indietro da qualcuno che incombeva su di lui. Fu tirato lontano, e sbattuto contro il muro. Parole incomprensibili gli furono dette, e qualcuno lo colpì con dei pugni. Non distingueva le forme, non distingueva le voci, ma sentiva dolore. La vista gli si offuscava più di quanto non lo fosse già, e tutto girava, fino a che non svenne lì per strada, mentre chi l’aveva aggredito, correva via con la sua auto nuova di zecca.
Rimase lì svenuto per minuti, forse ore.
 
Un ragazzo che si dirigeva al lavoro, si trovò a passare di lì.
Era un ragazzo alto e muscoloso, dalla folta capigliatura riccia e scura, gli occhi chiari e smeraldini, il cui carattere era tutto da scoprire. Era forte, sicuro e dolce al tempo stesso, ma sapeva quando e come tirar fuori la sua forza.
Harry Styles era il suo nome.
Non appena si accorse del corpo riverso per terra del giovane Louis, accorse subito.
Lo scosse energicamente, ma quello non rinvenne. Harry lo scosse ancora e ancora, ma Louis non dava segni di vita. Il riccio si accertò che respirasse, e poi lo prese in braccio, portandolo con sé alla panetteria in cui lavorava ogni giorno.
Lo depositò su una branda nel retro, dove di solito riposava lui durante gli spacchi, lo medicò e lo curò, attendendo con ansia il suo risveglio. Non lo conosceva, ma nel puro spirito natalizio in lui insito, il ragazzo non sopportava lasciare persone bisognose al loro destino. Era successo spesso che aiutasse i senzatetto e regalasse loro pochi spiccioli, o quando poteva comprava loro delle coperte e cibo, specialmente nelle giornate più fredde d’inverno.
Non chiedeva niente in cambio, era un ragazzo generoso, ed anche volontario verso quelle organizzazioni per bisognosi. Era giovane, ma molto altruista.
E quando aveva visto Louis riverso per terra, pieno di lividi ed ematomi, non aveva resistito e lo aveva soccorso, portandolo con sé. Perdere sua madre a tredici anni, e aver vissuto sempre con una zia anziana, la quale era la prima ad essere generosa ed altruista, avevano insegnato al ragazzo che nella vita bisognasse sempre aiutare gli altri, senza chiedere nulla in cambio, a parte la salute di chi veniva aiutato da lui.
Forse fu proprio la premura che mise in quei gesti, a risvegliare il ragazzo.
Mentre Harry era al bancone a servire delle pagnotte calde ad una donna, il suo sorriso splendente, dotato di fossette e la sua dolcezza, il ragazzo nel retro del negozio aprì gli occhi.
Louis vide lo spazio sconosciuto intorno a sé, e credette di essere stato rapito. Si sentiva strano.
Non ricordava niente, solo i suoi genitori che gli dicevano vagamente che sarebbe rimasto da solo, il giorno del suo compleanno, ma… Che giorno è oggi?
Provò ad alzarsi, e sentì tutti i muscoli intorpiditi. Qualcosa non andava, perché si sentiva così male? Perché gli girava la testa? E perché provava dolore in ogni parte del suo corpo?
Aveva sentito delle mani dolci sul suo corpo, e una voce roca che sussurrava qualcosa, ma credeva di sognare. Insomma, lui doveva essere in un pub a quell’ora, o a casa sua, non in un luogo spoglio su una branda scomoda e dura.
Sentì un odore forte di pane appena sfornato, e quella voce roca parlare con qualcuno.
Dov’era? In paradiso? O all’inferno?
Si spostò appena su quella branda e finalmente riuscì ad alzarsi. Certo che colui che l’aveva rapito doveva essere davvero incompetente per aver lasciato la porta aperta e non averlo legato. E lui era senza denaro, consapevole che i suoi genitori non avrebbero pagato per lui. E forse, fu per quello che ne fu spaventato. Sperava che chiunque fosse stato, fosse almeno un po’ gentile e non lo picchiasse. Anche se i lividi che aveva addosso dicevano il contrario.
Fece qualche passo verso la porta, e crollò sulle sue stesse gambe.
Un urlo di terrore e dolore uscì dalle sue labbra e si rannicchiò per terra, sperando di non essere stato sentito. Perché si sentiva così indifeso? Non si era mai sentito in quel modo. Aveva sempre affrontato ogni cosa ostentando sicurezza, ma la realtà dei fatti stava dimostrando che fosse totalmente l’opposto.
Per la prima volta in vita sua, Louis Tomlinson si sentiva solo, maledettamente solo. Ed era la sensazione più brutta che avesse mai sentito in vita sua.
“Che succede?” – urlò una voce da fuori la porta, e qualcuno accorse. Sentì i passi avvicinarsi, sentì qualcuno farsi sempre più vicino alla piccola stanza in cui si trovava, e divenne ancora più piccolo, raggomitolandosi su se stesso.
“Ehi, sei sveglio!” – esclamò la stessa voce roca che aveva sentito in sogno.
Qualcosa non andava. O aveva preso qualcosa di troppo forte, o era davvero morto, perché quando timoroso alzò il viso verso colui che l’aveva interpellato, si sorprese di ciò che avesse davanti. Era davvero un angelo. Quello era il ragazzo più bello che avesse mai visto in tutta la sua vita, e sembrava anche molto forte, a giudicare dai muscoli.
“N-non farmi male…” – riuscì a sussurrare. Non si riconosceva più. Perché aveva così tanta paura di uno sconosciuto? Perché non si alzava e lo affrontava con coraggio? Perché?  Perché in tutta la sua vita agiata non aveva mai provato qualcosa di simile?
Harry si avvicinò a lui, e passò un braccio sotto le sue gambe, mentre l’altro lo pose dietro la sua schiena, e senza il minimo sforzo lo alzò da terra, prendendolo in braccio.
“Non voglio farti del male.” – sorrise il riccio, riappoggiandolo sul letto – “ti ho trovato per la strada in uno stato pietoso, pieno di lividi e ferite varie. Così ti ho portato qui, sei al sicuro, non preoccuparti.”
Louis, appena si ritrovò tra le braccia di Harry, per una volta, si sentì al sicuro. Non provava paura, né timore, si sentiva in pace con se stesso e con il  mondo. Quel ragazzo era davvero un angelo.
E lui era sicuramente morto.
“Sono finito in paradiso?” – borbottò.
Harry scoppiò a ridere, portandolo nella bottega in cui lavorava, facendolo sedere sul bancone.
“Beh, non lo so, dipende.” – rispose, prendendo una brioches calda – “se in paradiso esistono le mie brioches, allora pensa tranquillamente di esserci.” – ridacchiò porgendogliela.
Louis ne annusò il profumo e la prese tra le mani, gioendo. Nessuno era mai gentile con lui, nessuno, se non riceveva un compenso per quello.
“N-non ho soldi.” – sussurrò, prima di addentarla.
“Sì, immaginavo. E’ gratis, tranquillo.” – sorrise, appoggiando un gomito sul bancone e la testa sul palmo aperto della mano, fissando il ragazzo che aveva davanti. Era incredibilmente bello, ma terribilmente triste. – “ti hanno derubato?” – chiese.
Louis addentò la brioches, annuendo, le sue papille gustative esultarono. Non aveva mai mangiato qualcosa di più buono, era veramente paradisiaca. La divorò in pochi morsi e arrossì appena, notando di essersi totalmente imbiancato con lo zucchero.
“Credo di sì, dovevo essere ubriaco…” – mormorò – “e molto fatto.”
“Ti droghi?”
“Mi chiamo Louis” – disse, cambiando argomento – “Louis Tomlinson.”
“E io sono Harry Styles” – gli strinse la mano, sorridendo – “buona Vigilia di Natale, Louis.”
Forse era la sbronza appena passata a farlo sentire così vulnerabile, fatto stava che per la prima volta in vita sua, Louis stava intrattenendo una conversazione normale con una persona, uno sconosciuto incredibilmente bello, che lo aveva salvato.
Non immaginava quante altre volte quel riccio in futuro lo avrebbe salvato.
Come un fulmine a ciel sereno, un pensiero sfiorò la sua mente.
Harry aveva detto che fosse la vigilia di Natale, quindi…
“Oh, è il mio compleanno, oggi…” – mormorò tra sé e sé, dando voce ai suoi pensieri. Harry lo percepì appena e sorrise, e dopo aver preso dalla vetrina un’altra brioches, si avvicinò a lui. Gli stampò un bacio sulla guancia, e gli porse il dolce, con il sorriso sulle labbra.
“Quand’è così, auguri, Louis!” – esclamò porgendogli la brioches.
Louis lo guardò e guardò la brioches, e come se nulla di tutto ciò che era accaduto prima fosse successo davvero, fece un solo salto dal bancone e lo guardò malissimo. La sbronza era passata, e non si poteva mostrare debole e pezzente davanti a un plebeo come quel riccio.
“Non ho bisogno della tua carità” – sputò acidamente, aggirando il bancone e avvicinandosi all’uscita. – “ti farò recapitare il tuo compenso qui, grazie per avermi aiutato.”
Harry rimase sbigottito. Non era mai successa una cosa del genere.
Non gli importava della riconoscenza in quei casi, ma solo della salute dell’altro, ma quel ragazzo voleva pagarlo per averlo aiutato? Non aveva per niente bisogno dei suoi soldi, lui non aiutava per essere pagato.
Doveva mantenere la calma, e non dare di matto. Aveva imparato a controllarla, e non si sarebbe lasciato andare per un ragazzino che non accettava aiuto.
“Risparmiati la fatica, e con quei soldi pagati la riabilitazione. Io non ho bisogno di compensi.” – spuntò irritato – “io aiuto le persone perché mi fa piacere, non per ricevere soldi.”
Louis si sentì punto sul vivo, nessuno gli aveva mai risposto in quel modo.
Nessuno gli aveva mai mancato di rispetto.
Nessuno.
Quell’Harry non era nessuno per parlargli in quel modo.
E lui non aveva affatto bisogno della riabilitazione. Chi credeva di essere per dirgli certe cose?
“Nessuno ti ha chiesto di salvarmi.”
Harry strinse i pugni e borbottò qualcosa, senza rispondere. Quel tizio era davvero maleducato, e lui che aveva creduto che fosse un cucciolo smarrito. Avrebbe risparmiato tempo se non l’avesse soccorso.
“Forse ti ho scambiato per un senzatetto.”
“Io non sono un senzatetto, riccio!” – strillò inacidito – “vedi che i miei abiti sono firmati? Li vedi?!”
“Tutta apparenza. Potrai essere ricco, ma non sei nessuno.” – lo guardò malissimo – “e hai ragione, i senzatetto hanno una coscienza e sono educati. Non sei degno nemmeno di essere chiamato così, maleducato.”
Louis si infuriò e si avvicinò di nuovo al bancone afferrando il riccio per il maglione, rosso con la renna.
“Sei solo uno sfigato, pezzente”
“Forza, gnomo, colpiscimi.” – lo sfidò il più alto. Louis si rese conto solo in quel momento della notevole altezza dell’avversario, e spalancò gli occhi. Era altissimo, rispetto a lui che era bassino, deglutì. – “cosa c’è? Hai paura? Dov’è finita la tua sicurezza?” – chiese liberandosi con una scrollata di spalle della presa di quel ragazzo – “ingrato.”  -  si ritrovò a sputare acidamente Harry, lui solitamente non si comportava in quel modo, ma quel ragazzo lo aveva fatto davvero infuriare. E poi cosa pretendeva di fare nella sua bassezza contro di lui?
Louis provò a sferrare un pugno verso il riccio, che però lo bloccò con una mano. Louis era infuriato, nessuno si era mai permesso di chiamarlo gnomo o di offenderlo in quel modo. Si sentiva punto sul vivo.
Quel ragazzo non era nessuno per parlargli in quel modo.
Forse per la prima volta, Louis stava provando una vera emozione.
La rabbia.
Solo una delle tante cose che Harry avrebbe fatto per lui da quel momento in poi.
Lasciò la presa su di lui, e con una scrollata di spalle e una sculettata, se ne andò, sbattendo la porta della bottega.
 
Tutto è cambiato improvvisamente, ma l’emozione provata è ancora nascosta nel cuore.
 
Alle sei del pomeriggio la panetteria chiuse, ed Harry uscì con degli enormi sacchi pieni di brioches, pagnotte, biscotti e altre cose simili, che aveva preparato durante la giornata da portare all’anziana zia, che non ce l’avrebbe fatta a cucinare tutto per tante persone. Era tradizione che tutti i suoi figli e nipoti andassero a casa per aspettare insieme la mezzanotte e festeggiare il Natale. Erano diversi anni che Harry si occupava lui della cucina, degli addobbi, e di tutto, da quando la zia aveva iniziato a dare segni di vecchiaia, e da quando iniziava a dimenticare le cose.
Ma non gli pesava occuparsi della casa, né di occuparsi di lei o di cucinare.
Andava bene così.
Caricò i sacchi sulla moto, e indossò il casco, prima di salirvi e mettere in moto. Aveva molto da fare quel giorno, e non poteva di certo pensare ancora a quello stupido riccone che aveva soccorso quella mattina. Si era dimostrato odioso e ingrato. Iniziò a guidare per le strade della città e guardandosi intorno, poteva vedere tutte le decorazioni sparse per la città, le osservava e nella sua mente immaginava dove queste potessero essere state fatte, chi fosse l’artefice. Era un ragazzo semplice e la sua immaginazione compensava tutto il resto, in fondo, la sua ricchezza era questa: amore verso i familiari e la fantasia che possedeva.
Le persone camminavano per strada, ed Harry le osservava.
La mamma con la bambina, una nanerottola con due codini e un giubbino piccino rosa, che gli ricordava quello della sua cuginetta, e la donna con un cappotto lungo e il cagnolino al suo seguito che fissava le vetrine.
Poteva sentire la bambina chiedere alla mamma le decorazioni per l’albero, e i giochi che avrebbe chiesto a Babbo Natale, poteva sentire la donna parlare al telefono e il cane abbaiare.
Man mano che avanzava gli scenari cambiavano, e trovava il ragazzo temerario che faceva skate per le strade, nonostante il freddo di dicembre, l’uomo d’affari con la valigetta ricolma di fogli che volavano a destra e a sinistra; i Babbi Natale con le campane agli angoli della strada, ogni sorta di persona per lui diventava oggetto di fantasia, oggetto di racconti straordinari che prendevano forma nella sua mente.
Poi si fermò ad un semaforo rosso, mentre la vita continuava a scorrere vicino a lui, mentre il caos della città imperversava, e niente sembrava fermarsi, improvvisamente notò una figura aggirarsi tra loro.
Era il ragazzo di quella mattina, che se ne stava seduto su una panchina a fissare sconsolato un uomo e il suo bambino di ritorno dal parco. Il bambino stringeva la mano del padre, e sorrideva mentre saltellava con il suo palloncino blu pieno d’elio che svolazzava su di lui, e il padre lo guarda fiero del suo piccolo. Quella visione gli suscitò uno strano sentimento di dolcezza e tenerezza. A quanto pareva, la scorza che aveva mostrato quella mattina, era solo apparenza.
“Non è un mio problema.” – si disse, fissando la strada.
Poi gli parve di sentire la voce del ragazzo nella sua testa, la sua voce riecheggiare tra i suoi pensieri.
Aiutami, mi sento solo – sussurrava – aiuto, ho bisogno di essere voluto bene – un altro sussurro. Harry sbuffò a se stesso, e fermò il motorino nel primo spazio vuoto, smontando velocemente.
Al diavolo tutto. Era un idiota.
Gli si avvicinò e lo guardò, sedendosi sulla panchina accanto a lui.
“Come mai un riccone come te, è solo su una panchina il giorno del suo compleanno?” – chiese tanto per rompere il ghiaccio – “non dovresti essere con i tuoi amici a festeggiare?”
Louis sobbalzò. Era così perso nei suoi pensieri, che non si accorse che qualcuno gli si fosse avvicinato, e si spaventò, sentendo la voce di Harry.
“Non sono problemi tuoi, poveraccio.” – rispose acidamente, senza degnarlo di uno sguardo. Ne aveva riconosciuto il timbro basso e roco, ma non si era voltato verso di lui.
Al diavolo. Perché sono venuto qui?  - pensò il riccio.
“Scusa, ti vedevo solo e triste, quindi…” – Harry non finì la frase, perché venne subito interrotto dal castano, che lo guardò con superiorità e sbuffò.
“E’ una tua prerogativa, o tutti voi plebei siete così rompicoglioni?” – sputò acidamente Louis, senza degnare nuovamente Harry di uno sguardo.
Odiava quando qualcuno si intrometteva nella sua vita, e lo coglieva su cose vere.
Era solo.
“E’ una tua prerogativa, o tutti voi coglioni ricconi siete così acidi?” – replicò il riccio, guardandolo. Di certo, non gliel’avrebbe data vinta stavolta. Lui non si sarebbe fatto mettere i piedi in testa da quel nanerottolo, non di nuovo.
“Non sono acido.” – disse Louis. Harry notò che non staccasse gli occhi dalla nuova famiglia che usciva dal parco.
“Ti va un giro nel parco? Mi hanno detto che c’è un albero di Natale pazzesco.” – sorrise il riccio, alzandosi e porgendogli le mani. Perché dannazione prendeva a  cuore le persone che stavano male? Perché il suo altruismo non lo spingeva a comportarsi male come tutti gli altri?
Louis alzò lo sguardo su di lui, e per un attimo il suo cuore duro come un diamante, si sciolse alla vista degli occhi splendenti e verdi del ragazzo che gli stava di fronte.
Afferrò le sue mani annuendo.
“Non dirlo a nessuno, adoro gli alberi di Natale.” – l’ombra di un sorriso comparve sul suo viso, e si alzò affiancando il riccio, che gli prese la mano e lo condusse dentro al parco, portandolo fin davanti all’albero di Natale.
Altissimo ed imponente, con i rami decorati da infinite palline colorate, angioletti, stelle e cappellini rossi, insieme a delle lettere di bambini sognatori che scrivevano a Babbo Natale.
“Sai, quando ero piccolo, mia zia mi portava qui, e io esprimevo un desiderio.” – sorrise il riccio, avvicinandosi all’albero, prendendo una colomba dalle decorazioni – “voglio farti un regalo.” – continuò avvicinandosi a lui – “metti la colomba sull’albero, e desidera una cosa che non puoi comprare con i soldi.” – sorrise porgendogli la colomba impropriamente rubata dall’albero.
“N-no. Ho tutto.” – disse Louis sicuro di sé, rifiutando – “che assurdità.”
“Voglio regalarti il tuo desiderio non materiale.” – scosse la testa insistendo – “i regali non si rifiutano.”
Il castano sbuffò, e stufo afferrò la colomba dalle mani di Harry e la depose sull’albero.
Si concentrò a fondo, prima di esprimere il suo desiderio.
Voglio… provare emozioni vere.
 
Dopo tre incanti, il desiderio sarà reale.
 
Era sceso il buio, quando i due ragazzi uscirono dal parco. Le strade erano illuminate da tante luci colorate, e ognuna di esse aveva una forma particolare. Era spettacolare come scenario, in più se si osservava bene il cielo, si potevano notare le stelle in cielo, che contribuivano  a rendere l’atmosfera romantica e dolce.
“Vuoi un passaggio a casa?” – chiese Harry, mentre Louis camminava accanto a lui. Cercava di mostrarsi duro e freddo, odioso e antipatico come suo solito, ma davanti all’ostinazione e al sorriso dolce di Harry, il suo intento veniva meno.
Non era difficile essere antipatico nelle risposte, perché gli veniva facile, ma subito dopo sentiva una morsa allo stomaco, come se fosse il senso di colpa che si radicava in lui, e lo faceva stare male.
Non si era mai sentito così.
Come poteva un ragazzo così… non come lui, farlo sentire diverso? Come non si era mai sentito? C’era da dire che era un completo sconosciuto, ma aveva qualcosa – forse negli occhi – che spingeva Louis a mostrare un minimo di umanità, non era se stesso, lo sapeva. Magari era ancora drogato? No, aveva smaltito tutto in quelle ore, non sapeva cosa diavolo fosse.
“No.” – disse semplicemente, mentre la voce gli si inclinava. Forse in realtà voleva, ma non voleva ammetterlo.
Fece un cenno sgarbato con la mano, e si diresse avanti per la sua strada, quando la voce di Harry lo fermò.
“Potresti venire da me, per la vigilia, è triste passare il proprio compleanno da soli!” – esclamò, Louis fremette e un brivido di freddo gli attraversò la schiena.
Passare il compleanno con un completo sconosciuto, o passare il compleanno da solo in casa?
“Cosa ci guadagno?” – chiese acidamente, ma le sue difese iniziavano ad abbassarci, e lui si inclinava sempre di più all’essere quasi sopportabile agli altri.
“Una serata in compagnia, e le mie brioches paradisiache.” – ammiccò il riccio verso di lui, mentre un sorriso involontario scappò sulle labbra di Louis, che tornò indietro, avvicinandosi ad Harry, il quale sorrise soddisfatto.
“Accetto solo per le brioches.” – rispose – “e se mi accompagni un attimo a casa mia, per cambiarmi questi sudici abiti.” – il riccio non si fece problemi ad accettare e si fece spiegare dove fosse la casa del ragazzo, accompagnandolo, non distava molto e la strada era poco illuminata. Louis aveva spiegato che fossero stati i suoi genitori a vietare – pagando cospicuamente – di mettere luci natalizie in quell’area della città.
Rimase incantato dalla bellezza della casa del castano, ma non proferì parola. Doveva essere triste vivere da soli in una casa così grande. Una volta che Louis si fu lavato e cambiato, i due uscirono dalla casa, ritornando alla moto.
Harry gli porse il suo casco, e si rimise alla guida del mezzo, mentre Louis lo indossava, e saliva dietro di lui, allacciando saldamente le braccia attorno ai suoi fianchi. Harry sorrise intenerito.
Aveva scalfito una minima parte della scorza di Louis, non poteva essere più fiero di se stesso.
Harry Styles, ragazzo solito a fare opere di bene e carità, si ritrovava a fare la cosa più difficile e inspiegabile che gli sarebbe mai potuta capitare: stava facendo da sole personale ad un cubetto di ghiaccio, come il sole scioglieva la neve in inverno, Harry stava sciogliendo il cuore di Louis, lentamente, senza fretta, facendo godere al piccolo cubetto tutto il calore e il benessere che esso potesse rappresentare.
Il riccio fece subito ripartire la moto, e Louis ancorò maggiormente la presa attorno al suo bacino, reggendosi come se egli fosse la sua unica ancora di salvezza.
In realtà, Harry lo era davvero, ma era ancora presto, affinché il castano se ne rendesse conto.
La corsa in moto fu breve, ma affascinante. Louis non si era mai soffermato a guardare le luci, e per distrarsi dal guardare le invitanti spalle larghe di Harry, si era ritrovato a percorrere tutto il tragitto con la testa alzata al cielo. Era spettacolare.
Le luci che prendevano vita come fuoco incandescente, le decorazioni natalizie, gli addobbi, le canzoni di Natale che si udivano lungo le strade… tutto era pazzesco per lui, che fino a quel momento era rimasto chiuso nel suo lusso, nella sua agiatezza, e nel suo mondo. Era tutto così perfetto da risultare irreale. Per Louis era pura magia.
Quando il veicolo di Harry si fermò, Louis – senza rendersene conto – aveva un sorriso dolcissimo impresso sul volto, e questo non sfuggì all’attento riccio, che gli sorrise con allegria. Il riccio appoggiò la moto contro il cancelletto, e lo apri con le chiavi, trascinandolo poi dentro. Louis perse un attimo ad osservare la casa. Era una semplice villetta inglese, non diversa da quelle che aveva accanto, ma la facciata principale era ricoperta di luci azzurre poste su un filo verticalmente. Sembravano pioggia, o neve.
“Cos’è quello?” – chiese il ragazzo, indicando.
“Quella? E’ polvere di stelle.” – rispose Harry con ovvietà.
Polvere di stelle. Era davvero meravigliosa, ma non aveva senso, le stelle non erano stelle e basta?
“E che vuol dire?” – lo guardò con curiosità, cercando di capire di più di ciò che il riccio stesse dicendo.
“Beh, mia zia dice, che la nonna diceva, che quando una stella cade sulla terra, sprigiona una polvere magica che rende possibili i desideri di tutti, e quelle luci sono poste in quel modo, perché è così che la polvere di stelle giunge sulla terra.” – spiegò tranquillamente il riccio iniziando a scaricare la moto.
“Polvere di stelle.” – ripeté Louis, incredulo. Com’era possibile una cosa simile? Era del tutto impossibile, eppure Harry gliel’aveva spiegato con una tale semplicità da non essere possibile che fosse inventata. Era incantato, gli piaceva come storia, e gli piaceva quell’effetto che quelle luci davano alla casa. Era tutto così magico e fuori dal comune, che per Louis era come vivere in uno di quei film natalizi, in cui tutto era possibile.
Magari stava accadendo a lui, magari davvero la polvere di stelle avrebbe avuto effetto su di lui.
Harry si abbassò e con le mani raccolse della neve, avvicinandola agli occhi del più basso.
“Anche la neve è polvere di stelle, anzi forse è la prova più tangibile che essa esista davvero.”
“A che serve?” – chiese curioso, guardandolo con impazienza. Non gli era mai capitata un’occasione come quella.
Harry soffiò la neve verso gli occhi di Louis, sorridendo. Il castano sobbalzò per il contatto con il freddo, e indietreggiò appena, stupito. Perché Harry l’aveva fatto? Che senso aveva? Nessuno, ma perché lo stava facendo? Perché lui?
“E’ una magia, Louis, la magia del Natale.” – sorrise – “dopo la polvere di stelle, nei tuoi occhi, arriverà un raggio di sole, e quando anche la speranza sarà di nuovo con te, tu sarai una persona migliore.” – spiegò terminando di scaricare di tutte le confezioni di dolci e pane che aveva caricato sulla moto, invitando il castano ad entrare in casa con lui.
Polvere di stelle, raggi di sole, speranza. Magia del Natale! Assurdità gratuite, ma dove sono finito?
                                                                  
La cena a casa degli Styles non fu tanto traumatica per Louis, anzi, rispetto alle cene solite cui doveva prendere parte con la sua famiglia, era stata più piacevole e divertente. Harry lo aveva presentato come un suo caro amico, e aveva detto a tutti che si sarebbe unito a loro per la cena, perché non voleva lasciarlo solo la notte della Vigilia di Natale, nonché giorno del suo compleanno. Louis aveva provato una sorta di strana felicità, alla quale non sapeva far fronte.
Era una sensazione strana, che non aveva mai provato. Era qualcosa di magico, e di irreale.
E no, non poteva essere opera di Harry e quella neve soffiata nei suoi occhi. Era un’assurdità, la magia non esisteva, non erano in un film, in un libro o in una serie tv. Era la vita reale, dove la magia non era che una leggenda, un’assurda leggenda creata per i bambini e spingerli a credere al Natale e a Babbo Natale, solo per spingere i genitori a regalare loro dei giocattoli costosi, che loro avrebbero di sicuro comprato, per non deludere i più piccini.
Louis non aveva  mai creduto a Babbo Natale, i suoi non avevano mai rispettato questa tradizione, perché non avevano mai tempo da dedicare al figlio, nemmeno la sua tata, odiosa vecchia, non gli aveva mai raccontato una storia. Né una favola, né una leggenda strana. Niente di niente, la sua vita era piatta.
“Sei stranamente silenzioso.” – disse Harry, sedendosi accanto a lui sul divano ricoperto di stoffa rossa – “a tavola avevi una bella parlantina, sai?”
Louis alzò le spalle, senza fiatare. I suoi occhi erano rivolti al misero albero di Natale, con le decorazioni e i pacchetti sotto di esso, le luci ad intermittenza erano fastidiose e, contemporaneamente, meravigliose, incantatrici. Rapivano il suo sguardo, portandolo a fissarle con insistenza, senza riuscire a staccare da esse lo sguardo.
“Sarà meglio che prepari il piatto con i biscotti e il bicchiere con il latte.”- continuò Harry, quando non ricevette risposta, alzandosi dal divano.
“Perché? A cosa serve?”
“Beh, Babbo Natale non può restare digiuno, ti pare?”
“Babbo…” – lo guardo esterrefatto – “non esiste Babbo Natale.”
“Sta’ zitto un po’” – lo rimproverò duramente Harry, fissandolo torvo – “ci sono quattro bambini di sei, otto, cinque e sette anni, di sopra.” – Louis si rammaricò di aver detto una cosa del genere, e abbassò lo sguardo.
Il fatto era che con lui nessuno era stato dolce, né premuroso, e vedere Harry così premuroso con i suoi cuginetti, durante quella cena, gli aveva fatto tornare alla mente la sua infanzia solitaria, e cupa. Si stava rendendo conto di non aver nulla nella sua vita, di essere un corpo vuoto, senz’anima, che vagava alla ricerca di essa.
Come Peter Pan perdeva la sua ombra, e la ritrovava a casa di Wendy, così Louis aveva perso la sua anima e la stava ritrovando a casa di Harry. Era una sensazione strana, ma piacevole.
“S-scusa.” – balbettò – eh? Perché balbetto? Io non balbetto mai! – “posso aiutarti?”
“Certo!” – esclamò Harry porgendogli le mani e rilassando di nuovo i muscoli facciali in un sorriso dolce e tenero, che fece sorridere anche Louis, il quale gli afferrò le mani tirandosi su, e dopo lo seguì in cucina. Prepararono il piattino con i biscotti e il bicchiere pieno di latte, e lo posero fuori al balconcino del salotto sopra un tavolo basso e rotto.
Louis tremò leggermente dal freddo, per questo il riccio lo riportò subito dentro, e lo fece appoggiare sul divano, coprendolo con un plaid. Louis lo guardò senza capire: perché era gentile con lui? Perché lo stava accudendo? Nessuno si era mai preso cura di lui, non con tanta dolcezza almeno. Ricordava la sua governante che si era presa cura di lui fin da quando era appena nato, ma l’aveva sempre fatto per soldi, non con affetto. Ricordava bene, come anche lei lo avesse viziato, cercando di educarlo, dandogli le botte sulle mani, ma lui era furbo, lui parlava con mamma e papà, che la convincevano a trattarlo bene, fino a che anche lei iniziò a trattarlo come un principino.
“Perché sei così affettuoso con me?” – chiese con uno sbadiglio.
“Beh, credo tu sia la mia sfida natalizia.” – il castano lo guardò senza capire – “ogni anno ho una specie di missione di Natale da portare a termine, di solito sono persone bisognose che hanno bisogno di un posto caldo dove abitare o di cibo o vestiti.” – sorrise accarezzandogli la fronte – “quest’anno mi è capitato uno spocchioso, odioso e infelice riccone.” – ridacchiò dirigendosi in cucina – “per la cronaca, non lo faccio per dovere o carità, solo perché mi va di farlo, è una cosa che ho deciso da solo, non è stato nessuno ad impormelo.” – concluse sparendo oltre la porta scorrevole che separava il salotto dalla cucina della casa. Louis si guardò intorno, sospirando.
Non aveva mai affrontato una situazione del genere. Niente era mai andato bene per lui, a meno che non avesse cacciato fior di sterline, per compensare le persone che gli stavano intorno.
Il riccio invece faceva di tutto per gli altri, e non chiedeva niente in cambio.
Era strano. Perché mai doveva aiutare la gente senza ricevere nulla in cambio? Cosa c’era sotto?
Ma in quel momento era troppo stanco per pensarci, ci avrebbe pensato il giorno dopo, il divano era comodo e la coperta calda e profumata, si sentiva protetto e coccolato in quel momento.
Era stranissimo.
Era a casa di un perfetto sconosciuto, che lo stava aiutando, e non gli stava chiedendo niente, non era strano, ma di più. Inoltre era assonnato ed era su un divano comodo e vecchio, ricoperto da una coperta calda.
Avrebbero potuto fargli di tutto e no, non poteva permetterlo.
Combatté contro il sonno per infiniti minuti, per secondi interi, ma poi il sonno prevalse.
Si addormentò profondamente, senza più pensieri nella testa, e con la mente libera, per la prima volta si sentiva davvero rilassato, quasi felice.
Sentiva una profonda felicità dentro di sé, sentiva di essere ad un punto di non ritorno.
E se le premunizioni e gli ‘incantesimi’ di Harry avessero funzionato?
Se fosse stato davvero una persona diversa?
Se la magia del Natale lo avesse investito?
Era troppo stanco per pensarci, decise di staccare la spina e dormire.
Ci avrebbe pensato il giorno dopo, poco ma sicuro.
 
La tenda del balcone della stanza in cui si trovava Louis, della casa di Harry era aperta. Louis non ricordava che essa fosse rimasta aperta, ricordava bene Harry che la tirava e la chiudeva. Perché sentiva qualcosa di fastidioso sul viso?
Era qualcosa come una luce, che colpiva i suoi occhi, disturbando il suo sonno. Sbuffò infastidito, aprendo gli occhi, e guardò la tenda aperta, da cui i raggi del sole colpivano i suoi occhi. Si accorse di avere addosso un’altra coperta, e di avere la testa appoggiata su un cuscino. Si alzò di scatto, rendendosi conto di non essere più sul divano, ma su un letto. Era comodo e profumato. Doveva essersi addormentato sul divano, ed Harry probabilmente lo aveva preso in braccio e portato in camera sua, rimboccandogli le coperte. Non gli era mai accaduto qualcosa del genere. Nessuno era mai stato così premuroso con lui, prima di Harry, se da piccolo si addormentava sul divano, lì si svegliava il giorno dopo. E si ritrovò ad arrossire come un ragazzino al pensiero che Harry lo avesse preso in braccio, che si fosse trovato tra le sue forti braccia, e… si schiaffeggiò in faccia per eliminare certi pensieri dalla mente.
Come gli venivano certe idee assurde?
Si guardò intorno, osservando le foto incorniciate disposte lungo la parete di fronte al letto, ritraevano Harry da bambino, Harry insieme ai suoi amici, Harry con i suoi familiari, e in una c’era Harry appena nato con una donna di incredibile bellezza, aveva gli stessi lineamenti di Harry, tranne per i capelli, lei li aveva liscissimi, e gli occhi della donna erano scuri, a differenza di quelli di Harry che erano chiari e verdi. Louis rimase incantato da quella foto, così come da tutta la stanza: le pareti erano di un tenue azzurro, l’armadio del medesimo colore che sembrava sparire in tutto quell’azzurro, si confondeva, così come lui lo era in quel momento, perché in quel momento si sentiva strano?
Non si sentiva un estraneo in una casa sconosciuta, anzi era il contrario, eppure in quel momento non sapeva ben dire come si sentisse, ma sicuramente era rilassato e tranquillo.
Stava ancora ammirando la stanza, quando la porta silenziosamente si aprì, e la figura statuaria di Harry fece la sua comparsa nella stanza con un vassoio argentato da cui sporgeva un tovagliolo rosso, e vari dolcetti posti sopra di esso, e si avvicinò al letto dov’era deposto Louis, con un sorriso allegro e dolcissimo sul viso.
“Buongiorno, Louis, e buon Natale!” – esclamò felice e pimpante, ricevendo in risposta un sorriso intimidito e dolce da parte di Louis, che si sistemò meglio sul letto, accettando il vassoio che il riccio gli porse.
“Anche a te, buon Natale” – mormorò a bassa voce. Si sentiva a disagio con Harry, ma non perché lui fosse uno sconosciuto in compagnia del padrone di casa, ma perché si sentiva inferiore al riccio in quel momento.
Lui non avrebbe mai accolto uno sconosciuto in casa, senza pretendere niente in cambio, lui avrebbe direttamente snobbato uno sconosciuto, lasciandolo al freddo e al gelo, senza aiutarlo per nessun motivo, a meno che questo sconosciuto non gli avesse pagato una cospicua somma.
“C-Colazione a letto?” – mormorò il ragazzo, guardando il vassoio. Non sapeva se accettare, ringraziare o altro. Era totalmente indeciso, e non si era mai sentito in quel modo. Stentava a riconoscere se stesso, non gli era mai successo di provare imbarazzo in certe situazioni. Era abituato ad essere trattato come un lord, ma in quella circostanza no.
“Certo, ho pensato che ti fossi sentito a disagio con tutti di là.” – sorrise il riccio, appoggiandogli la colazione sul letto – “tranquillo, puoi mangiare tutto, non ci sono veleni o droghe.”
Sentendo la parola ‘droghe’, Louis si rese conto che fossero più di ventiquattrore che era senza assumere sostanze stupefacenti, e ne aveva bisogno, in quel momento qualsiasi cosa, anche un sonnifero avrebbe sortito l’effetto desiderato, ne aveva bisogno.
Eppure, aveva la sensazione che se non avesse sentito la parola, ne avrebbe fatto a meno.
“Oh, in questo momento, qualsiasi droga sarebbe gradita.” – sputò acidamente. Eccolo, era tornato di nuovo lo spocchioso ragazzino viziato che era sempre stato, il ragazzino troppo cresciuto che cercava di uscire dall’apatia.
“Amico, sei proprio un caso senza speranza” – commentò Harry sarcasticamente sedendosi accanto a lui e rubandogli una brioches dal vassoio, addentandola – “scommettiamo che passando la giornata con me, la voglia di drogarti, passerà?” – chiese masticando il dolce morbido e gustoso.
“La posta in gioco?”
“Scegli tu, tanto vincerò io.” – deglutì il pezzo di brioches, e lasciò il rimanente sul vassoio di Louis, alzandosi in piedi – “preparati, ti aspetto di sotto.” – ridacchiò aprendo l’armadio e prendendo un jeans e una felpa da esso – “cerca qualcosa di… minuscolo nel mio armadio, e cambiati.” – gli fece un cenno, andando via dalla stanza, facendo subito dopo un passo indietro – “mi raccomando, vestiti pesante!”
“Dove…?” – non finì la domanda perché Harry aveva già chiuso la porta, e fischiettando si era diretto in un’altra area della casa. Louis guardò la porta chiusa, e guardò la brioches morsa nel vassoio.
Che incivile, e per di più ha parlato con la bocca piena!
Inorridito, ne prese una vicina, e la divorò in un paio di bocconi, bevendo poi quasi scottandosi il tè che Harry gli aveva preparato, dirigendosi poi all’armadio scrutandone il contenuto. Harry era un tipo che vestiva in modo molto semplice e molto sportivo. Nell’armadio prevalevano jeans, tute da ginnastica e felpe. Tutta roba che ad occhio e croce gli sarebbe andata enorme, a giudicare dalla differenza di altezza e muscolatura.
Louis era piccolino, mingherlino e bassino, Harry era l’opposto: alto, muscoloso ed enorme.
Alla fine, il ragazzo optò per tenere i propri pantaloni ed indossare una felpa del riccio, che gli stava enorme, ma non importava, Harry non l’aveva giudicato per il caratteraccio, perché avrebbe dovuto farlo per questo?
Si fece spiegare dalla cuginetta di Harry – che appena lo vide, gli saltò sulle spalle, gioendo che fosse il giorno di Natale fosse arrivato, e insieme al Natale anche Babbo Natale avesse portato loro i giochi – dove fosse il bagno, e lì si fece una sciacquata veloce. Non era un tipo che si sporcava facilmente, ma ci teneva alla sua igiene personale.
Quando ebbe sistemato anche i capelli, si recò da Harry, che lo aspettava, bello come un dio, seduto sul divano, intento a giocare con la stessa bambina che gli aveva spiegato dove si trovasse il bagno.
“Ehi, eccolo il nostro principino!” – esclamò Harry. Louis non colse cattiveria nella sua frase, solo un dato di fatto. Il riccio non mandava mai frecciatine agli altri, era tipico suo essere sempre sincero e altruista.
“Ciao” – disse semplicemente, intimidito da ciò che c’era intorno a sé.
Harry lo guardò e gli sorrise, accarezzò i capelli della cuginetta, e si alzò, afferrando uno zaino decisamente molto grande, le sue movenze erano così sensuali e spontanee da far rimanere Louis senza fiato, gli occhi spalancati e il battito accelerato.
Ma perché? Non provava mai nessuna emozione e ora le provava tutte insieme nello stesso giorno? Com’era possibile? No. Non era una cosa normale, non era una cosa naturale.
Lo conosceva da ventiquattro ore.
Esisteva una cosa… a prima vista? Com’era?
No, amore no. Forse… sintonia, o attrazione. Sì, era attrazione, ne era sicuro.
“Sei pronto?” – sorrise Harry rivolto al castano, che annuì titubante, senza emettere fiato – “zia, io esco con Louis, non aspettarci per pranzo, a stasera!” – urlò, ricevendo in risposta un’affermazione. Trascinò il ragazzo fuori con sé, e lo fece montare nuovamente sulla vespa, munendosi di due caschi e sempre con velocità, sfrecciò verso i luoghi da lui puntati come mete:
-La pista di pattinaggio sul ghiaccio, dove avrebbero passato la maggior parte della mattinata;
-Pranzo veloce ad un fastfood;
-Luna Park, dove avrebbero passato tutto il pomeriggio;
-Cena romantica in un ristorante;
-Planetario, dove avrebbero concluso la serata.
E infine lo avrebbe accompagnato a casa, sperando che quella giornata per il castano fosse stata indimenticabile, come lo sarebbe stata per lui. E soprattutto di farlo allontanare almeno per un giorno dalle sostanze tossiche di cui si faceva quel ragazzo. Era troppo giovane per morire.
“Mi vuoi dire dove andiamo?” – urlò Louis nell’orecchio di Harry, mentre guidava la moto.
“No, fidati di me, adorerai questa giornata!”
Louis appoggiò la guancia contro il giubbotto nero di Harry, e lasciò che egli lo guidasse, aveva detto che per un giorno si sarebbe fidato, e l’avrebbe fatto. Harry aveva detto che l’avrebbe fatto allontanare dalle sostanze stupefacenti, ma era vero? Era affidabile quel riccio? Beh, non gli aveva fatto del male.
Doveva solo lasciare libera la mente, smettere di pensare, come era solito fare quando usciva per drogarsi, e lasciare che Harry fosse la sua unica droga per quel giorno. Sì, poteva. Doveva, per un giorno.
Voleva vivere.
 
Louis non sapeva pattinare. Era caduto almeno quattro volte, ma tutte e quattro le volte, Harry lo aveva afferrato al volo, e ora gli teneva le mani delicatamente come se Louis fosse stato un bambino piccolo, e lo conduceva lungo la pista, mentre il castano rideva e scivolava, finendo sempre contro il petto di Harry, che dolcemente sorrideva e lo abbracciava con dolcezza. Era meraviglioso, Harry era meraviglioso, e Louis non sapeva spiegarsi quale fortuna avesse avuto per averlo con sé.
“Okay, ne ho abbastanza!” – disse ad un certo punto Louis, reggendosi alla sbarra di ferro – “e muoio di fame.”
Il riccio si fermò anche lui, e annuì, in effetti erano lì da parecchio, Harry era stato soddisfatto dell’espressione che aveva Louis sul viso, era sereno, rilassato, le sue guance arrossate dal freddo e dalle risate, risaltavano sul suo pallido viso, e lo rendevano semplicemente adorabile. Doveva necessariamente immortalarlo con il suo sorriso rilassato e adorabile, quelle schiocche rosse e i capelli arruffati coperti da un cappello del riccio.
A tradimento, gli scattò una foto, e ripose il cellulare nella tasca, afferrandogli la mano.
“Hai ragione, anche io.” – sorrise abbassandogli e aiutandolo a togliere i pattini, facendo lo stesso con i suoi – “conosco un posto qui vicino perfetto.”
Louis annuì contento e seguì Harry, che lo condusse in un fastfood lì vicino. Pranzarono velocemente, sorridendosi complici. Qualcosa stava nascendo, ma era sconosciuto ad entrambi, nessuno dei due, da solo, sarebbe riuscito a creare ciò che stavano creando insieme.
Sintonia, alchimia.
C’era qualcosa tra di loro, qualcosa che andava oltre l’impossibile, ma non se ne rendevano conto. Non ancora, era troppo presto, l’amore a prima vista poteva essere un’arma a doppio taglio, dovevano essere cauti.
“Pronto per il Luna Park?” – chiese Harry, accartocciando la carta del proprio panino, mentre Louis terminava di bere una coca cola, annuendo. Sarebbe davvero andato al Luna Park? Non ci era mai stato, se non per prendere in giro i pezzenti che passavano, davanti a lui. Ci era andato qualche volta con la tata, ma non si era mai divertito davvero. E con Harry, tutto prendeva forma, tutto diventava vero.
Anche le sue emozioni.
Si stava divertendo davvero. Era felice per la prima volta nella sua vita, era davvero felice.
Il riccio pagò il conto, e poi lo portò al parco divertimenti.
Louis sembrava un bambino a cui era stato regalato un giocattolo nuovo, guardava tutto con adorazione, e andava su tutte le giostre che gli capitavano a tiro, ridendo, scherzando, sotto gli occhi vigili ed adoratori di Harry, che lo fissavano dolcemente e lo incoraggiavano a continuare ad essere se stesso.
Harry gli vinse addirittura un peluche ad una bancarella, e Louis esultò felice.
Velocemente il tramonto arrivò, ed Harry portò Louis sul London Eye, dove si scattarono delle foto insieme, e dove si guardarono per davvero negli occhi, scoprendo la profondità ognuno degli occhi dell’altro, innamorandosi per davvero.
Successivamente, Harry portò Louis nel ristorante di un amico di famiglia, che diede loro il tavolo migliore, quello vicino alla strada, da dove si poteva osservare la città in movimento. Louis guardava Harry con occhi diversi rispetto al giorno prima, era pieno d’amore, dolcezza e qualcos’altro che non riusciva a capire bene, ma qualcosa di forte.
Cenarono insieme, al lume di candela.
Si sorridevano, si studiavano, si innamoravano.
Tutto questo nel giorno di Natale.
Segno del destino, o pura coincidenza?
Quando arrivarono al dessert le candele si erano consumate, e la luce era bassissima, per non dire inesistente. Louis ed Harry erano a vicinanza di bacio, bevevano dalla stessa lattina con delle cannucce perché quella ordinata in precedenza era finita, e le loro labbra si sfioravano, erano lì, invitanti, il cuore di Louis batteva alla velocità della luce, e niente sembrava distoglierlo dalle labbra di Harry.
Sarebbe bastato un piccolo movimento per baciarlo…
Solo un piccolo movimento… ma le luci si acceso improvvisamente, le loro labbra si cozzarono per sbaglio, nella sorpresa e spavento del momento, e si allontanarono come scottati l’uno dall’altro.
Dannazione…
Chiacchierarono del più e del meno, si raccontarono le loro vite, e Harry man mano che sentiva la storia di Louis, rimaneva sorpreso, la sua famiglia era una famiglia di mostri, nessuno aveva rispetto per l’altro, e avevano fatto crescere quel ragazzo così adorabile in un modo totalmente sbagliato, invece, Louis più ascoltava la vita di Harry, più credeva che la sua fosse stata fortunata. Insomma, lui nella situazione di Harry non sarebbe sopravvissuto un solo giorno, e invece Harry era ancora vivo. No, di certo la sua vita agiata era migliore, di gran lunga.
E poi dopo il dessert, il riccio pagò di nuovo il conto, e finalmente, sempre sulla sua moto, lo portò al planetario, dove una volta entrati, iniziarono ad osservare il cielo sopra di loro.
“Polvere di stelle” – sussurrò Harry, indicandole. Louis sussultò e annuì. Era vero, tutto quello che aveva detto Harry, era tutto vero, la polvere lo aveva aiutato e ora lui era una persona migliore, lui vedeva le stelle, e sentiva dentro di sé qualcosa di nuovo, qualcosa di più bello.
Speranza.
Speranza di una vita migliore, di un futuro degno di lui, di… speranza d’amore. D’amore vero, d’amore puro, d’amore vissuto, di amore ricambiato. L’amore di Harry. La speranza di Harry nella sua vita, e dell’amore di questi.
Sentiva amore, sentiva speranza.
Provava emozioni vere.
Il mio desiderio si è avverato…
 
Harry riportò Louis a casa, soddisfatto di come fosse il ragazzo. Sembrava migliore e sembrava più in pace con se stesso, niente droghe o alcol, semplice divertimento, più una cena in famiglia, un po’ di romanticismo, e un pizzico di polvere di stelle, unita alla magia del Natale.
“Beh, quindi…”
“Grazie per la giornata, hai vinto tu.” – sorrise il castano intimidito guardandolo – “cosa ti devo?”
“Nulla, sto bene così.” – gli baciò la guancia delicatamente – “cerca di disintossicarti, il mondo ha bisogno di un ragazzo come te.” – gli disse all’orecchio a bassa voce, facendogli provare brividi mai provati prima in vita sua, senza permettergli di rispondere, se non con un cenno affermativo - “abbi cura di te, Louis, sono stato bene con te, davvero.” – era sincero, certo, ma Louis lo guardava come se volesse dirgli qualcosa, molto di più di quello.
“S-sì, lo farò, ci pro-proverò.” – balbettò a bassa voce, mentre guardava il riccio indossare di nuovo il casco.
“Tu stai bene?” – chiese premuroso.
“Mai stato meglio.” – d’impeto, senza pensare, si avvicinò al riccio, e gli diede un bacio leggero sulle labbra, un bacio a stampo, un bacio dolce come il miele e leggero come una piuma, saggiandole per un momento, rendendosi conto di quanto avesse desiderato in vita sua un contatto così dolce, le labbra di Harry erano morbide e sapevano di stelle, e di affetto. Durò poco, Louis si staccò subito dopo scottato.
“Mi hai salvato…” – mormorò arrossendo – “grazie…”
Harry gli fece un cenno, afferrando il manubrio della sua moto e mettendola in moto. Si sistemò il casco sulla testa, e sistemò gli specchietti retrovisori, il tutto mentre Louis, rapito dai suoi movimenti lo fissava.
“Harry!” – esclamò improvvisamente, facendo sobbalzare e fermare il riccio, che sorrise subito.
“Sì?”
“Ci rivedremo?”
Harry sorrise e scrollò le spalle. Non lo sapeva, lui non faceva mai promesse a lungo termine. Ma vederlo ancora gli avrebbe fatto sicuramente bene, forse… quel bacio…
“Spera di sì, o non assaggerai mai più le mie brioches paradisiache!”
Sgommò via a tutta velocità, lasciandosi dietro un Louis sorridente e nuovo, forse ci era riuscito, forse aveva davvero scaldato il suo cuore di ghiaccio, rendendolo di nuovo caldo e pulsante.
 
Buffo, è passato troppo tempo, e non si sono rincontrati.
Non è destino.
Ma in tutto quello che fanno, ci sono l’uno per l’altro.
Cosa significa?
E’ normale?
 
Era passato un anno, né Harry né Louis avevano notizie l’uno dell’altro, nessuno aveva ancora rinunciato alla possibilità di rivedersi, ma il castano per mera vergogna non era mai tornato dal riccio, né nella panetteria si era presentato, e ora era lì fuori.
Louis era appena uscito dalla riabilitazione, alla fine aveva ascoltato Harry, e grazie a lui si era disintossicato, rendendosi fiero di se stesso. Non aveva chiesto nulla ai genitori, a parte il denaro per la clinica, né aveva detto loro dove sarebbe andato, semplicemente aveva chiesto del denaro e il giorno dopo era svanito.
E in tutto quel tempo, non aveva fatto altro che pensare ad Harry, a come in un solo giorno lo avesse cambiato.
Ora le sue necessità erano diverse, sentiva il bisogno di lui, il bisogno di Harry nella sua vita, per vivere per tutta la vita il giorno che lo aveva cambiato radicalmente.
Era di fronte l’entrata, e fissava la gente entrare ed uscire.
Non doveva pensare a tutto ciò che gli passava nella mente: Harry mi ha dimenticato? E se non ricorda chi sono? In fondo, ci siamo visti una sola volta, e se mi manda via? Se non prova lo stesso per me? Cosa farò? Ci ricadrò?
Prese un profondo respiro, cercando di mantenere la calma, di controllare il battito del suo cuore, poi aprì la porta, udendo il campanellino della panetteria trillare forte. Entrò rapidamente guardandosi intorno, e quando il suo sguardo si posò su Harry, un sorriso vero e spontaneo nacque sulle sue labbra. Harry era sempre incredibilmente bello, non era cambiato di una virgola da quando si erano lasciati un anno prima: il viso di un bambino, il sorriso dolce decorato dalle sue adorabili fossette, i capelli riccissimi e gli occhi smeraldini. Bellissimo, come sempre.
“Ciao, riccio” – mormorò avvicinandosi – “vorrei una delle tue brioches paradisiache.”
Harry lo riconobbe a stento. Era totalmente diverso dall’ultima volta che si erano visti, era totalmente cambiato: i suoi occhi brillavano, era più in forma, il suo sorriso era vero e la sua espressione rilassata.
Senza fiatare, il panettiere gli passò una brioches, facendolo sorridere ancora.
“E cosa dovrebbe fare un umile panettiere, per avere un appuntamento con te, Louis Tomlinson?” – chiese con tono sensuale, sorridendo dolcemente al castano, che stette al gioco.
“Non provarci con me, Styles.” – ridacchiò, addentando la brioches – “mi hai conquistato un anno fa, dovevo solo capirlo.”
“Polvere di stelle?” – chiese Harry, curioso.
“Polvere di stelle.”
 
Questa è la storia di come Harry abbia salvato Louis, e di come gli abbia insegnato a vivere umilmente. Di come Harry abbia preso il cuore di Louis, e lo abbia accudito tra le sue mani, cuore che era stato gettato via dalle persone che avrebbero dovuto amarlo più di tutte: i suoi genitori.
Questa è la storia di come anche chi non crede nella magia, può credere.
Sì, alla fine si sono rincontrati, e la magia ha contribuito.
Una persona può credere o non credere, ma alla fine, sì, si sono innamorati.
Era destino.
Questa è la storia di come Harry abbia insegnato a Louis cos’è l’amore.
E di come alla fine, ne siano diventanti entrambi dipendenti, quasi drogati.
 
 
 
I could put a little stardust in your eyes
Put a little sunshine in your life
Give me a little hope you'll feel the same
And I wanna know, will I see you again?
Will I see you again?

(Stardust – Mika)




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Salve a tutti, mi siete mancati è quasi un mese che non pubblico nulla.
Mi dispiace essere mancata, ma sappiate che vi adoro tutti, e che tutti siete sempre nel mio cuore.
Questa piccola storia, è per augurarvi Buone Feste, Buon Natale e Felice Anno Nuovo.
Ci vediamo 'l'anno prossimo'! 

Grazie di tutto, a tutti coloro che mi seguono e mi vogliono bene.
I love you all, thank you <3 
   
 
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