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Autore: emss    29/12/2013    8 recensioni
Il piccolo pub infilato quasi per caso in un vicolo di Soho Square è sempre lo stesso, con il muro di mattoni anneriti dal tempo e dallo smog e l’insegna sbilenca. Dall’interno si sente una musica leggera che fa più o meno “and your eyes turn from green to grey / in the winter I'll hold you in a cold place” e Louis sta provando a non pensare al fatto che siano passati duemiladuecentoquarantatre giorni da quando lui e Harry si sono conosciuti, duemilasette da quando ha chiesto ad Harry di essere il suo ragazzo sotto la statua di Peter Pan, a Kensington Gardens, ottantadue da quando Harry ha cominciato a dormire sul divano, cinquantuno da quando ha deciso che era meglio “restare amici”. Louis non è mai stato meno pronto a rivederlo in vita sua.
(In cui Louis recita e nota tante cose, Harry scrive, Zayn ama troppo, a Niall piacciono le coccole e Liam è Liam.)
[harryandlouis; zaynandniall]
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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14 agosto 2013. La data in cui ho cominciato a scrivere questo mostro. E’ la storia più lunga e complessa che io abbia mai realizzato. E’ la mia bambina :((((
Salve! Sono Ems, che dopo taaaaaaaanto tempo torna per rompervi le scatole con una nuova one shot che, lasciatemelo dire, è stato un parto. C’è da ringraziare un po’ di gente. Grazie alla mia Precina, che mi ha dato il prompt da cui è nata questa storia; grazie ad Aurora, che l’ha letta in due parti, molto distanti tra loro in termini di tempo; grazie a Laura e Davide che hanno sopportato i miei scleri assurdi e le mie pazzie delle due di notte (♥); grazie a Google Maps, perché sì. Grazie a Florence, perché esiste.
Avrei tantissime cose da dire, ma adesso come adesso non mi viene in mente nulla. Il titolo della storia prende il nome da questo quadro, e leggendo magari ne capirete anche il senso. (Questa non è una pipa) A Soho Square non esiste nessuno vicolo e nessun pub. (spoiler necessario)
Chiedo scusa ad Aiden Grimshaw. Ti amo, baby. 
Questa, in breve, è ciò che si definisce una breakup!fic. Che sono pure le mie preferite, voglio dire: angst, fluff, dolore, lacrime, disTRUZIONE!!!1!!!!11!! La smetto. Andate a leggere.
Spero vi piaccia, perché ci ho messo l’anima. Also, non so nulla sulle malattie psicologiche/mentali, quindi potrei aver fatto un gran disastro. Sono trentamila parole, quindi mettetevi comodi, fatevi un caffè, prendete una coperta e, beh, buona lettura. ♥
 
 


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Ceci n’est pas une pipe
 
 
 
When the sky turns gray 
And everything is screaming 
I will reach inside 
Just to find my heart is beating

(Bleeding Out, Imagine Dragons)
 

Louis nota le piccole cose. Osserva chi, camminando, evita di passare sulle linee o attraversa la strada solcando solo le strisce di vernice bianca sull’asfalto. In Irlanda, vede le persone che non escono dal passaggio pedonale nemmeno per sbaglio e seguono davvero i consigli “guarda a destra” o “guarda a sinistra” in corrispondenza dei semafori. Le nota, ma non le imita. Conta i giorni che intercorrono tra eventi importanti, non generalizza in mesi e anni. Quando legge un libro, fa caso al numero di virgole stampate sulla pagina. Sua madre lo ha sempre definito un bambino attento ai dettagli; Wikipedia lo chiama “Disturbo ossessivo compulsivo” o DOC.
Quando Louis ascolta una canzone alla radio, la melodia per lui è superflua: si perde nelle parole, le analizza, le capisce. Cerca il senso della canzone, non il ritmo. Questa è, tutto sommato, una cosa che fanno tutti; Louis, però, non è sicuro che dopo averla ascoltata tutti sappiano quante parole ci sono e, approssimativamente, anche quanti versi. Ha provato a non farci caso; ha cercato di non notare tutte le sfumature che una canzone può avere. Si è reso conto, alla fine, che è meglio assecondare che combattere. Louis lo dice sempre, è il motto della sua vita.
Una volta ha sentito una canzone, mentre guidava verso il Tesco più vicino, che gli è rimasta particolarmente impressa. Si ricorda ancora che, ad un certo punto, dice “I know I could have saved a love that night / If I'd known what to say” e Louis adesso sa qual è il significato dietro quelle poche (diciassette) parole.
La canzone, essenzialmente, parlava di un amore finito e di come, nonostante fosse passato del tempo, il cantante provasse ancora dei sentimenti per la persona a cui la aveva dedicata; Louis ricorda di aver pensato che, in fondo, la canzone mostrasse anche quanto il cantante aveva perso e quanto amore ancora provasse.
 
 
Louis sta bene, bene e basta, perché non scrive canzoni. Non sa descrivere in qualche strofa come si sente, quanto ha perso e come è stato stupido a lasciarselo scappare tra le mani. Potrebbe incidere venti dischi pieni di urla e pianti, pieni di domande e di perché. Quello che ha perso adesso è in un appartamento non lontano dal suo, a Londra, e Louis non può permettersi di scrivere una canzone sulla sua situazione quando già altri lo fanno, perché sarebbe oggettivamente troppo. Quindi Louis vive da solo, conta i passi che fa per salire le scale, sta bene e basta.
 
 
*
 
 
La prima volta che succede è il 15 giugno. Sono passati esattamente cinquantuno giorni da quando Louis è rimasto solo nel loro – suo – appartamento di Londra, troppo grande e troppo silenzioso per una persona sola. E’ solo un foglio scarabocchiato, vecchio probabilmente di qualche anno e non sembra avere niente di offensivo, ma. C’è la sua scrittura, su quel pezzo di carta e, dio, è solo una lista della spesa, non dovrebbe fargli tremare le mani in questo modo. Ma è come un pezzo di lui, dimenticato in quella dimora vuota insieme ad altri centomila, nascosti dietro l’atmosfera domestica, di casa, che aleggia nell’aria e di cui Louis vorrebbe, dovrebbe disfarsi. Uno, due, tre, sette punti sono tracciati sulla carta abbandonata. Anche Louis si sente abbandonato, e sa di non averne nessun diritto.




cerealy curiously cinnamon – louis mangia solo quelli
dopo barba
peperoni – solo quelli gialli (allergia di louis!!)
panna montata (da nascondere, louis la troverà subito)
preservativi e lubrificante (solo pacco doppio, a louis piacciono i numeri pari?????)
skittles :)
latte in polvere  



Louis trema così tanto che deve sedersi, perché ci sta provando, ma lui è ovunque, in ogni cosa, ogni granello di polvere di quella casa lo conosce e ogni fibra del suo corpo lo rivuole indietro. Louis collassa su una vecchia poltrona che ha tenuto perché— beh, non sa esattamente perché la abbia tenuta, ma lui ci teneva. Quando ancora abitavano in un piccolo appartamento a Manchester, una sera era tornato a casa annunciando di aver trovato la poltrona perfetta, in un cassonetto. C’erano voluti tre tazze di tè, Niall Horan e un pompino per convincere Louis a tenere quella montagna di germi e malattie sessualmente trasmissibili in casa loro. “Ma, Louis, non si può fare sesso con una poltrona!” era stata la sua protesta, accompagnata da quel broncio terribile a cui Louis, semplicemente, non sapeva resistere.
Adesso potrebbe farlo. Potrebbe prendere quel vecchio mobile appartenuto a dio sa chi e buttarlo nel cassonetto in cui l’hanno trovato, ma la verità è che sarebbe come buttare via un altro pezzo di lui, di loro. Louis, francamente, ha già perso abbastanza.
 
 
Sta bene e basta, conta le lettere della lista della spesa, la poltrona gli fa compagnia, l’appartamento è ancora vuoto.
 
 
 
 
 
*
 
 
 
Quando Louis risponde al cellulare – ritrovato dopo sedici giorni di letargo solo perché tra poco deve tornare sul set del suo nuovo film, finora girato in Scozia – la voce che lo sommerge di parole e parole è calda, famigliare e irlandese.
“Louis, amico, ma è mai possibile? Ho dovuto chiamare la tua agente per sapere se fossi vivo! Da quando ho bisogno di telefonare ad Eleanor per parlare con te?”
Louis, con voce sottile, “Niall…” tenta, stringendo leggermente il cellulare nella mano sudata. “Sono stato molto impegnato.”
C’è una pausa dall’altro capo della linea, come se Niall stesse ragionando su quello che gli ha detto.
“Certo” riprende l’irlandese, in tono allegro e, per qualche ragione, incurante. “Non siamo tutti degli attori di fama mondiale, dico bene?”
Louis non risponde, chiude gli occhi e aspetta. Sa cosa sta per chiedere Niall, sa di non poter inventare scuse ancora per molto, sono passati cinquantuno giorni, deve riprendersi.
“Ho chiamato Zayn. Dice che dovremmo uscire, stasera. Dice anche che lo dirà a Liam. Facciamo alle sei, Soho Square?”
Louis sospira e “Niall” dice, e non è più che un sussurro, ma sembra tanto una preghiera. Non farmi fare questo, non farlo, ti prego.
Sono un uomo impegnato. Devo programmarle, queste cose.”
“No, Louis, no. Sono passati quasi due mesi, è ora che questa situazione cambi. Dove è finito il Louis Tomlinson di una volta? Magari non te lo ricordi, ma una volta era uno spasso parlare con lui.”
“Sì” dice Louis, tormentando l’angolo di un cuscino di seta, “l’ho sentito nominare.”
“Louis. Non voglio sentire scuse, non ti vediamo da dio solo sa quanto e siamo tutti preoccupati per te. Vogliamo solo sistemare questa faccenda come possiamo, d’accordo?”
Noi chi, Niall?” chiede Louis, e non doveva suonare così disperato.
“Tutti noi. Senti, Louis, ha detto che non importa. Che potete essere amici. Non fargli questo, d’accordo? Non spezzargli il cuore di nuovo.”
Louis vuole ridere, adesso, perché davvero? Spezzargli il cuore? Niall probabilmente non sa esattamente di cosa sta parlando, ma anche se fosse così, non si dovrebbe permettere di dire certe cose. Lui non dovrebbe permettersi di dire queste cose, perché è stato lui ad andarsene. Louis, però, si sente soffocare dal vuoto che la sua assenza gli provoca. Tutto il suo corpo urla il bisogno di rivederlo, di sapere che non l’ha rotto, che quell’espressione non è più sul suo volto. E, ancora, Louis si dà la colpa di tutto.
“Ci vediamo più tardi, Niall.”
 
 
Non è sicuro di star bene, conta le ore che lo separano dal rivederlo, la stoffa del cuscino è macchiata di caffè. Louis non beve caffè.


 


*
 
 
 
 
Il piccolo pub infilato quasi per caso in un vicolo di Soho Square è sempre lo stesso, con il muro di mattoni anneriti dal tempo e dallo smog e l’insegna sbilenca. Dall’interno si sente una musica leggera che fa più o meno “and your eyes turn from green to grey / in the winter I'll hold you in a cold place” e Louis sta provando a non pensare al fatto che siano passati duemiladuecentoquarantatre giorni da quando lui e Harry si sono conosciuti, duemilasette da quando ha chiesto ad Harry di essere il suo ragazzo sotto la statua di Peter Pan, a Kensington Gardens, ottantadue da quando Harry ha cominciato a dormire sul divano, cinquantuno da quando ha deciso che era meglio “restare amici”. Louis non è mai stato meno pronto a rivederlo in vita sua.
Appena varca la soglia del locale, un tanfo di cuori infranti, alcol scadente e ricordi lo travolge, lo fa sentire quasi a casa, per una volta; frammenti di memoria che ormai sembrano quasi sogni lontani, serate passate ad attorcigliare i ricci di Harry tra le dita e parlare con Zayn di come, a suo parere, John Hurt sia stato il miglior Winston Smith di tutti gli adattamenti cinematografici realizzati. Momenti in cui Harry respirava sul suo collo e Louis riusciva a sentire il suo sorriso contro la pelle, brividi profondi che lo rendevano felice della sua sola presenza.
A Louis gira la testa mentre si sente chiamare dal solito tavolo nell’angolo della sala, quello proprio sotto una riproduzione abbastanza fedele, solo un po’ sbiadita, di La Trahison des images, con cinque sedie di legno scuro attorno, in questo momento quasi tutte occupate. Zayn sta agitando un braccio con il sorriso sulle labbra per attirare la sua attenzione, l’altra mano stringe quasi spasmodicamente un boccale di birra già mezzo vuoto. Da sotto il tavolo si vede la sua caviglia incrociata a quella di Niall, cosa che sorprenderebbe se Zayn non continuasse a ripetere che “è solo sesso occasionale, niente sentimenti, Tommo” e che, comunque, “ho una ragazza, gesù cristo!”
Dall’altra parte del tavolo ci sono Liam e un succo di frutta, accompagnati da un’espressione incerta e quasi colpevole. Louis lo sa, che non è stata colpa sua; questo, tuttavia, non gli ha impedito di urlargli contro cose di cui sua madre non andrebbe fiera, quarantasei giorni fa al telefono. Sa che Liam era l’unico con una stanza degli ospiti, perché Zayn vive con Perrie e la loro stanza degli ospiti è occupata da Niall, che sembra non avere un appartamento suo da qualche anno, ormai. Louis sta solo cercando qualcuno con cui dividere il senso di colpa.
E infine, seduto di fronte a Niall e vicino al posto evidentemente designato a Louis, c’è Harry: non è cambiato per niente, o forse è solo la sua immaginazione che fa brutti scherzi. Un osservatore poco attento non indovinerebbe mai che ha appena troncato una relazione di sei anni circa (millenovecentocinquantasei giorni). I suoi occhi sono anche più verdi, nella penombra del locale, le sue labbra sono rosse e piene e Louis non si sente le gambe perché le conosce meglio di come chiunque altro potrà mai fare. E’ preoccupato, Louis lo sente; a dire il vero, il suo cuore lo sta pregando di avvicinarsi e stringere Harry tra le braccia, ogni fibra del suo corpo grida il suo nome, freme alla sua vicinanza. Louis chiude gli occhi per un attimo e non sente più nulla. The show must go on.
“Buonasera miei adorati” saluta, un sorriso falso sul volto e gli occhi che non riescono a fermarsi su Harry senza bruciare. Prende posto vicino a Niall, a capotavola, e “non mi avete nemmeno aspettato, plebei che non siete altro?” chiede, fingendosi offeso. Almeno il suo lavoro gli riesce ancora, grazie al cielo.
Harry lo sta guardando, ma Louis non vuole sentire il suo sguardo che gli perfora l’anima, non se lo può permettere.
Niall ride – ovviamente – e prende un sorso della sua Guinness bionda prima di attirare l’attenzione del cameriere e “offro io, in onore della tua comparsa misericordiosa” decretare, le guance arrossate e gli occhi azzurri che brillano. Il suo fianco è incollato a quello di Zayn, al polso porta quattro braccialetti d’argento con le iniziali di ognuno di loro. Louis ha sempre creduto che, nonostante tutto, Niall sia quello che tiene alta la sanità mentale del loro gruppo mal assortito. Almeno finché non ci sono alcolici di mezzo.
“Un Cosmopolitan con poco ghiaccio” gli dice Louis, appoggiando il mento sul palmo della mano. “Non succede tante volte di bere allo stesso tavolo di Dio, in effetti” commenta poi, lanciando un’occhiata a Zayn, che ridacchia. Update: Louis Tomlinson sa ancora cosa sia l’umorismo spontaneo.
“Allora, Louis” comincia Zayn, “raccontaci delle tue mirabolanti avventure di questi due mesi di silenzio.” Louis sta per correggerlo – perché non sono passati due mesi – ma si trattiene e “cosa volete sapere?” chiede, indifferente.
“Oh, fammi pensare” sbuffa Niall, “che fine hai fatto? Cosa, nella tua vita da uomo impegnato, ti ha impedito di chiamare i tuoi migliori amici? O, invece, perché ho dovuto chiedere ad Eleanor il permesso di parlare con te?”
Louis sospira prima di rispondere: “Ho finito le riprese in Scozia, tra nove giorni cominciamo gli interni, qui a Londra. E non è colpa mia se Eleanor prende tutte le mie chiamate!”
Niall sta per ribattere, ma Liam lo interrompe e “hai ricevuto qualche nuova offerta di lavoro?” chiede timidamente, accennando un sorriso nella sua direzione. Louis lo sa che non è colpa sua, deve solo ricordarselo di tanto in tanto.
“Sì, a dire il vero” lo informa, “gireremo tra un anno, probabilmente, ma mi hanno offerto la parte di un certo Alec Lightwood in una saga fantasy per adolescenti e, accidenti alla sorte, interpreterò il personaggio gay.” Liam gli sorride ancora e “sono contento per te, Lou” gli dice, sinceramente.
“Grazie, Li.”
Harry lo sta ancora guardando. Louis sta provando ad ignorarlo, sta ancora tentando di non tener conto della sua presenza, ma lui è lì, il suo profumo di Blue Chanel è ovunque, Harry è ovunque. Azzarda un’occhiata nella sua direzione mentre qualcuno appoggia il suo drink sul tavolo e Louis smette di respirare. Harry gli sta sorridendo con gli occhi tristi di chi ha la consapevolezza di aver perso qualcosa di importante. Incurva le labbra, ma il suo sorriso non raggiunge lo sguardo.
Louis, una volta, ha provato a contare le sfumature negli occhi di Harry; erano nudi sul letto del loro vecchio appartamento a Chelsea, quello in cui le finestre si spalancavano da sole con il vento. Harry gli accarezzava i capelli senza parlare mentre lui, concentrato, contava quanto verde c’era nelle iridi che tanto amava. Louis ricorda bene di non aver raggiunto un risultato.
Forse, ma probabilmente neanche, una delle cose che lo hanno fatto innamorare di Harry era il suo essere infinito, o quantomeno indefinito. Poteva contare i suoi tatuaggi, ma non i significati; conosceva ogni centimetro del suo corpo, ma Louis trovava qualcosa di nuovo ogni giorno.
Forse è per questo che, quando Harry ha chiuso la porta del loro appartamento per l’ultima volta, Louis ha cominciato a contare anche i respiri, per la paura che svanissero anche loro, indefiniti, nell’aria di una sera di aprile.
Louis distoglie lo sguardo, allora, e beve un sorso del suo drink mentre osserva Zayn, intento ad imboccare Niall con un’oliva verde.
“Indovina chi ho visto qualche settimana fa, Lou” gli dice, senza distogliere lo sguardo dal biondo. Louis alza gli occhi al cielo e “Johnny Depp?” gli domanda, ironico.
Zayn non lo degna di uno sguardo mentre “Michael Clifford” sibila, un sorrisetto divertito che accompagna la sua rivelazione. “A quanto pare è a Londra con il suo gruppetto da quattro soldi in tour. Come si chiamavano, a proposito?”
“5 Seconds of Summer” risponde Harry, ed è la prima cosa  che ha detto in tutta la serata. Louis fa fatica a fare finta di non notare la sua presenza, ora. La sua voce è ancora profonda, forse ancora più lenta e c’è una nota malinconica che deve essere comparsa negli ultimi tempi.
“E non lo chiamerei ‘gruppetto da quattro soldi’, Zayn, hanno fatto sold out all’arena di Wembley il mese scorso” continua, e Louis non lo sta guardando ma sente il sorriso senza emozione che ha dipinto sulle labbra rosse.
Whatever” lo liquida Zayn, gli occhi scuri ancora fissi sulle labbra di Niall che, spalancando le iridi azzurre, “devo ricordarmi di invitarli a giocare a Fifa da noi, un giorno” dice e guarda Zayn, speranzoso. Solo sesso.
Louis azzarda un’occhiata in direzione di Harry e scopre che, ovviamente, lo sta ancora guardando e, orrore e raccapriccio, sta aprendo la bocca per dire qualcosa.
“Sono felice di vederti, Lou.”
Immediatamente il silenzio cala sul tavolo, Zayn distoglie lo sguardo da Niall per posarlo, sorpreso, su Harry; Liam è, se possibile, ancora più preoccupato di prima e Louis non sta respirando.
Passano uno, due, tre minuti in cui nessuno dice niente, ci si scambia sguardi pieni d’intesa e la tensione si potrebbe tagliare con un coltello. Zayn tossisce leggermente e chiama la cameriera per ordinare qualcosa di forte mentre Niall deglutisce rumorosamente. Harry, però, non demorde e continua a sostenere lo sguardo di Louis, come a sfidarlo ad abbassarlo per primo, o a scoppiare a ridere come fanno i bambini.
“Anche io” dice Louis, allora, con voce sottilissima e trangugia il resto del suo drink in fretta e furia. Gli occhi gli bruciano per l’alcol e le lacrime quando, senza respirare, si alza e “torno subito” mormora prima di dirigersi fuori dal locale ed espirare, lentamente. 
Louis sfila una sigaretta dal pacchetto mezzo vuoto – ne sono rimaste cinque -  e la accende, sedendosi sul marciapiede cosparso di vetri rotti. Mentre espira la prima boccata, sente dei passi che si avvicinano, ma Louis non si volta, non vuole farlo. Sente anche il suo respiro lento, mentre si siede accanto a lui e gli sfila la sigaretta dalle labbra, facendo un tiro per poi ridargliela.
“Non sapevo che fumassi” gli dice, e lo sta ancora guardando con gli occhi pieni di nostalgia, gli stessi occhi che sono sempre stati il rifugio di Louis, gli stessi che ora lo scrutano in cerca di qualcosa che Louis non può dare.
“Non fumo” gli risponde, gettando quello che resta della sigaretta sull’asfalto grigio. “E neanche tu.”
Harry ridacchia e “hai ragione” dice, “era per solidarietà.”
Louis sospira e osserva le persone che passeggiano per Soho Square, chiedendosi quale sia la loro meta, cosa abbiano fatto per ritrovarsi lì e se sono mai stati come sta male lui adesso.
“Quando me ne sono andato, ho chiesto a Liam se il suo divano era ancora tutto intero e mi sono fatto un tatuaggio”  racconta Harry, distogliendo lo sguardo dal profilo di Louis per alzare la manica della tshirt sgualcita che indossa. “Niente di che, ero solo arrabbiato” dice poi, e Louis vorrebbe tanto non ascoltarlo, ma sta già sforzando il suo autocontrollo per non mandare al diavolo tutto e baciare Harry lì, sul marciapiede più sporco di Londra, quindi rimane in silenzio. Lentamente, volta il viso per osservare il tatuaggio. Sul bicipite di Harry, normalmente nascosta dalle maniche della maglietta, c’è una chiave non terminata. Non deve essere lunga più di tre centimetri ed è esattamente sotto la nave che, in un giorno di pioggia, hanno deciso di fare insieme, a Manchester.
“Non è finito” dice solo Louis, allungando una mano per passare le dita su quel dettaglio di Harry del tutto nuovo. Harry lo guarda con occhi tristi e “volevo scrivere il tuo nome, alla fine di quella chiave, ma mi sono reso conto che era tardi” gli confessa. “E’ stato in quel momento che ho capito di aver davvero chiuso la porta.”
Louis lo guarda, quasi spaventato e “non è stata colpa tua” gli dice, scuotendo la testa. “Non è stata colpa tua” ripete, alzandosi e sfregando le mani sui pantaloni beige di Tommy Hilfiger che indossa.
Louis” lo chiama Harry, rimettendosi in piedi a sua volta. Ma Louis non lo guarda mentre “devo proprio andare adesso” mormora, indietreggiando di qualche passo.
“Chiedi scusa ai ragazzi da parte mia” lo prega e si sta già voltando mentre Harry “Louis, per favore” dice, nervoso e, per qualche ragione, stanco.
Louis cammina, cammina, corre e non si ferma fino a quando non si accorge di essere a corto di fiato, nel bel mezzo di Londra, senza una meta e con le lacrime che scorrono calde sul suo viso.
 
 
 
 
Louis non sta bene, conta di nuovo i respiri e si rende conto che, senza Harry, non ha una destinazione.
 
 
 
 
***
 
 


Eleanor lo ha lasciato il 15 ottobre 2013, al telefono, con un “credo sia meglio impostare Facebook su single, love” soffocato dalla musica rumorosa di un qualche party a Manchester. Louis non aveva sofferto in alcun modo, e non pensava nemmeno di averne diritto; in fondo, la loro non era mai stata una relazione passionale, o qualcosa che ci assomigliasse. Louis ed Eleanor si erano conosciuti all’ultimo anno di liceo, erano stati insieme durante l’università, avevano instaurato una tacita routine da cui non riuscivano ad evadere: facevano sesso, qualche volta, ma solo perché Eleanor aveva vent’anni e bisogni femminili. Non era mai stato un segreto, comunque, che Louis preferisse i ragazzi. Così, quando lei lo aveva lasciato, lui “okay” le aveva risposto. “Conosci una ragazza con una laurea in marketing e comunicazione che può farmi da agente?” le aveva chiesto poi, ottenendo in risposta una risata e un “posso cercare, Lou” carico di quello che a Louis, per un fugace momento, era sembrato affetto. Louis, all’epoca, contava le ore che Eleanor passava al telefono con altre persone, piuttosto che parlare con lui.
Centonovantadue giorni dopo, Louis aveva conosciuto Harry. Era successo per caso, ovviamente, come ogni cliché che si rispetti: Harry, all’epoca, era ancora all’università e seguiva dei corsi di giornalismo. Quando ne parlava, gli si illuminavano gli occhi ed era stata una delle prime cose che Louis aveva notato di lui. Il fatto era che a Harry serviva un soggetto, a Louis qualcosa o qualcuno per cominciare a farsi conoscere e fondamentalmente l’uno era ciò che serviva all’altro e viceversa.
Brillante e carismatico, così Harry aveva definito Louis che, sdraiato sul letto del suo dormitorio, aveva riso, per poi mordergli piano la clavicola, sussurrandogli quanto gli piacesse ogni parola dell’articolo. Duecentotrentasei giorni dopo, Louis si inginocchiava (“Louis, hai poggiato il ginocchio su una gomma da masticare, darling”) e chiedeva ad Harry di essere il suo ragazzo, proprio di fronte alla piccola statua di Peter Pan che, da bambino, aveva sempre voluto vedere. Lo aveva raccontato solo quella mattina ad Harry e lui, infilandogli il cappotto di persona, lo aveva preso per mano e trascinato per mezza Londra fino a Kensington Gardens. Erano in città per le vacanze di Natale, un viaggio offerto dal nonno di Harry che, in seguito, si sarebbe rivelato l’ultimo regalo mai offerto ai due da entrambe le loro famiglie. Avevano cenato da Burger King quella sera, perché, a detta di Louis, “non mi serve un ristorante lussuoso per farti sentire un re, Harry Styles.” Harry aveva riso, infilandosi una patatina in bocca e “pensavo di essere la tua principessa” gli aveva sussurrato, come se fosse stato il più grande dei segreti. Dopo cena, Louis aveva preso dai fiori che aveva regalato ad Harry sette margherite bianche e aveva posato una coroncina di fiori sui suoi ricci già ornati dai fiocchi di neve di dicembre inoltrato e, semplicemente, aveva poggiato le labbra sulle sue, indugiando leggermente senza approfondire il bacio. Harry, comunque, non aveva mai sorriso così dolcemente come in quell’occasione.
 
Avevano cambiato casa otto volte; tre a Manchester, cinque a Londra. I primi quattro appartamenti erano quelli che Harry chiamava “rifugi di fortuna”: un attore in erba e un ragazzo fresco di università non potevano permettersi qualcosa in più di un monolocale già arredato, in affitto. Louis faceva audizioni e lavorava da Starbucks, a Manchester, mentre Harry spediva il suo curriculum a qualsiasi redazione e nel frattempo lavorava in una panetteria. Al loro terzo appartamento, avevano deciso di fare un tatuaggio; “una nave e una bussola”, aveva suggerito Harry mentre Louis cucinava il suo primo pasto in quella casa, “perché non troverei la strada senza di te, sei la mia guida.” Louis, la pentola della pasta dimenticata sul fornello, si era voltato con le lacrime agli occhi mentre Harry “e perché mi indichi sempre la giusta direzione” gli aveva sussurrato. “Una direzione” aveva poi aggiunto, baciandogli entrambe le palpebre.
 
Si erano trasferiti a Londra quando Eleanor aveva trovato delle buone opportunità di lavoro per Louis. Harry, senza lamentarsi, aveva accettato di seguirlo e spedito altri curricola al Times, a Vogue, perfino alla BBC Radio 1, casomai cercassero un giornalista che si occupasse di attualità e tendenze. Per Louis e Harry, a Londra, era stato tutto in discesa: Harry era stato assunto da un certo Nick Grimshaw, un giornalista radiofonico della BBC che aveva trovato inusuali le sue scelte linguistiche (“Chi, al giorno d’oggi, usa la parola difforme?”); Louis, invece, interpretava un ruolo dopo l’altro, prima nei teatri, poi in piccole produzioni cinematografiche, fino ad arrivare ai veri film.
Era stato il cinema a far cominciare i litigi. Louis doveva girare tutto il giorno, spesso non tornava a casa la notte, se lo faceva passava tutta la sera a ripetere le battute. Era così concentrato nel suo lavoro che, spesso, dimenticava anche che Harry fosse in casa.
Il fatto era (e con molta probabilmente è ancora) che Harry non si arrabbiava. Poteva rimanere con lo sguardo fisso e malinconico per ore, seduto sul divano a penisola che Gemma gli aveva regalato al loro terzo appartamento londinese (e che avevano portato con loro negli altri due) e senza dire una parola. A volte alzava lo sguardo verso Louis, seduto al tavolo in salotto con la testa immersa nel copione, sperando che ricambiasse.
Louis si sentiva osservato, anche allora, e sapeva che qualcosa stava per esplodere, tra di loro. Sapeva che Harry era stanco di vederlo partire con il trolley e tornare due mesi dopo, esausto. Sapeva che stava tirando la corda un po’ troppo forte e che, prima o poi, si sarebbe spezzata. Sapeva anche di aver cominciato a recitare fuori dal lavoro, in un certo senso. Sapeva che quella, alla fine, era la cosa che spaventava Harry più di tutte.
 
 
Louis, segretamente, contava i giorni che mancavano alla rottura, senza sapere come poterla fermare.
 
 
 
 
 
 
***
 
 
It's the here and the now 
and the love for the sound 
of the moments that keep us moving

(Soldier on, The Temper Trap)


 
 
 
 
 
La seconda volta che succede è luglio, a Londra fa stranamente caldo e alla tv trasmettono una canzone che dice “But you fit me better than my favourite sweater/ and I know / That love is mean, and love hurts/ But I still remember/ That day we met in December” e Louis comincia a pensare che ci sia una sorta di cospirazione segreta che lo induce ad ascoltare tutte le canzoni che gli fanno male, che gli ricordano sempre che Harry non c’è. Sono passati settantuno giorni da quando Harry se n’è andato, ma nell’appartamento di Louis ci sono tracce di lui ovunque. Niall lo ha chiamato sei volte solo ieri, ad ogni squillo una scusa diversa (“Tommo, hai ancora quella specie di aspirapolvere in miniatura che pulisce le briciole?”). Louis lo capisce, davvero: al posto suo, sarebbe preoccupato se uno dei suoi migliori amici non si facesse sentire da quasi un mese (venti giorni non sono tanti, per Louis) dopo essere praticamente scappato dal suo ex fuori da un pub. Si sente soffocare: c’è troppo silenzio, stanno girando scene in cui la sua presenza non è richiesta sul set e, fondamentalmente, si annoia. Gli manca Harry, ma sta provando a bloccare quella sensazione di vuoto assoluto che ha nel petto. Non ha nemmeno cambiato le lenzuola, Louis, e sa di doverlo fare, prima o poi. Ma anche i piccoli gesti ormai fanno cadere a pezzi quel poco che è rimasto di Harry nella sua vita.
Sta frugando tra i maglioni in cerca di qualcosa che ha già dimenticato, quando lo trova: è un pullover bianco che Harry deve aver dimenticato quando ha fatto le valigie alla rinfusa, con le lacrime agli occhi, prima che Louis tornasse a casa. Se lo sono scambiati tante volte durante le loro uscite con gli amici, Zayn giura di aver visto quel maglione passare da Harry a Louis e viceversa almeno venti volte. Quando toccava ad Harry indossarlo, teneva sempre le maniche abbassate, tormentandone l’orlo con le dita affusolate quando qualcuno faceva una battuta divertente. Quando era il turno di Louis, lui preferiva arrotolare le maniche e rimborsare il maglione, decisamente grande per lui. “Gay white sweater” lo aveva chiamato Niall una sera in cui era particolarmente ubriaco e Zayn era con Perrie. “Non potevate sceglierne uno più gay.
Harry si era limitato a stringere il fianco di Louis, che quella sera aveva l’oggetto d’abbigliamento in questione, e “non importunare chi può affermare di avere una relazione, Niall Horan” gli aveva detto con voce lenta e strascicata a causa dell’alcol. Louis, dal canto suo, si era limitato ad annuire, stringere inconsciamente la tshirt scura di Harry tra le mani e “mean” sussurrare.
Non vuole averlo in casa. Non vorrebbe avere in casa nulla che gli ricorda Harry, non vorrebbe nemmeno avere quella casa. Quindi, naturalmente, Louis indossa il maglione. Arrotola le maniche, perché sono troppo lunghe e gli orli sono sformati per via dell’abitudine di Harry di tirarli e giocarci nervosamente. Sa ancora di loro, anche se condividevano quasi tutti i vestiti, quello ha un profumo che fa girare la testa a Louis. Tuttavia, lo tiene tutto il giorno, a luglio inoltrato, convivendo con lo strano caldo di Londra.
 
 
 
 
 
Louis comincia a contare tutti i dettagli che ricorda di Harry, tiene il maglione, la canzone dice “I was like - no please, /stay here, / we don’t need no money / we could make it all work” e Louis comincia a capire perché Harry se ne è andato.
 
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
Zayn lo chiama verso le sei e mezza, quella sera. Mentalmente, Louis si appunta di dire ad Eleanor di bloccare tutte le chiamate dei suoi migliori amici per un po’. Poi si sente in colpa, e forse ci ripensa.
“Tu, io, i ragazzi, casa mia, stasera. Non accetto un no come risposta, non me ne frega un cazzo di quanto sei impegnato, anche perché Eleanor mi ha detto che non sei mai sul set ultimamente. Quindi vestiti, esci dal tuo buco e, Louis, per carità, smettila di contare tutte le parole che sto dicendo.”
Zayn lo sa. Si conoscono da anni (cinquemilatrecentoventun giorni) e non c’è niente che non sappiano l’uno dell’altro. Beh, ultimamente quasi niente, ma sono dettagli irrilevanti agli occhi di Louis. Non lo ha detto nemmeno ad Harry; per un periodo ha creduto che lo avesse intuito, ma quando, in una giornata particolarmente negativa e stressante, “Louis, stai contando sottovoce i passi che fai?” gli ha chiesto, ha avuto la certezza di non aver intaccato anche l’ultima cosa innocente che è rimasta in Harry: la fiducia cieca negli altri, quel suo non fare mai domande, ma aspettare di ricevere risposte.
Zayn dice di avere una teoria, a proposito del suo disturbo. Dice che quando Louis sta bene, smette di contare. Quando gliel’ha spiegato, Louis si è limitato a scuotere la testa e “adesso sto bene” dirgli, “ma sto contando comunque tutti i giri che quel tipo fa con il cucchiaino.”
Ma Zayn, un sopracciglio alzato e lo sguardo perplesso, “credo che l’ultima volta che tu sia stato veramente bene, Louis, sia stato quando hai detto a tua madre di essere omosessuale e lei ti ha regalato lo scooter che abbiamo rotto contro il muro della Hall Cross” ha replicato. Louis, in effetti, non ha contato una singola parola del discorso eccitatissimo di sua madre, in quell’occasione.
Una sera, quando erano tutti nel primo appartamento di Harry e Louis a Londra (East End, ovviamente, erano ancora relativamente al verde) Zayn gli si era avvicinato e “ho la mia teoria definitiva” gli aveva sussurrato, osservando il modo in cui Niall tentava di fare una capriola all’indietro sulla moquette sporca di chissà cosa.
“Stai bene quando chi ami di più al mondo sta bene” aveva detto. “Harry sta bene, tu stai bene. Non credo dipenda tutto dagli altri, ma questo è il succo: senza Harry, conti tutto quello che ti accade. Stai contando, Louis?”
Louis, lo sguardo fisso su Harry che rideva e tentava di aiutare Niall a ribaltarsi, senza successo, aveva scosso piano la testa e “è una cosa brutta, vero?” aveva chiesto. Zayn allora gli aveva passato un braccio e “mettiamola così” aveva risposto, “tu lo ami e lui ti ama, e se con lui smetti di farlo, usa la matematica e arriva ad una soluzione. I numeri sono sempre stati il tuo forte, giusto?” Zayn Malik, comico per passione.
Ora Louis, controvoglia, “a che ora?” gli sta chiedendo con un sospiro. Sa di non poterli evitare per sempre, e sa che settantun giorni sono troppi e che, comunque, Harry vuole essergli amico. Il fatto è che Harry e Louis non sono mai stati amici, mai. Louis non sa nemmeno come ci si comporta da amico con l’amore della sua vita. Così, mentre ascolta le indicazioni di Zayn, prova a pensare anche solo da dove si cominci un’amicizia con qualcuno con cui hai già condiviso tutto.
“Stasera non scappi, Tommo. Dovessi chiudere la porta a chiave, avremo una tranquilla serata tra amici. Chiaro?”
Louis non gli risponde.
 
 
 
 
Può mentire quanto vuole a se stesso, la realtà è che non sta bene da tanto tempo, ha perso la persona più importante della sua vita e la colpa è sempre e comunque dei numeri.
 
 
 
 
 
*
 
 
 
Il divano di Zayn è rotto. Niall dice che dormirebbe volentieri lì se non ci si ritrovasse in una posizione “da invertebrati” ogni volta che ci si sdraia. Niall dorme nella camera degli ospiti, che è separata da quella di Zayn e Perrie dallo sgabuzzino – che, complessivamente, è più grande della prima camera da letto di Louis e Harry a Londra – in cui non entra mai nessuno. A volte Niall dorme con Zayn e Perrie. A volte solo con Zayn. A volte tutti e tre si addormentano sul pavimento del salotto, la cenere attaccata ai vestiti e l’aria impregnata di tabacco ed erba.
In questo momento Niall occupa il tavolino davanti alla televisione, se ne sta a gambe e braccia spalancate, supino, con una Heineken mezza vuota nella mano sinistra e fissa il soffitto. Zayn è seduto con la schiena contro il divano e il resto del corpo sotto il mobiletto; ha gli occhi chiusi. Liam sta seduto a gambe incrociate sulla poltrona di pelle reclinabile e sta parlando con Harry, appoggiato al bracciolo del divano, di come Pretty Little Liars sia liberamente ispirato a Gossip Girl con l’aggiunta di qualche omicidio e musica da colpo di scena. Louis è seduto di fianco ad Harry e guarda la partita in televisione (sa che sta giocando il Liverpool, ma non ha la più pallida idea di chi sia la squadra avversaria. Comunque sia, il Liverpool fa schifo). Perrie è seduta al tavolo, dietro al divano, e sta mettendo lo smalto a Cher, che si è unita per puro caso alla compagnia. Parlano di ragazzi, il Royal Baby e tappeti. Louis non è sicuro di voler sapere altro.
Harry ha il mento appoggiato ad un ginocchio, mentre l’altra gamba è piegata verso sinistra e sfiora la coscia di Louis. Tutto questo è così familiare, così naturalmente piacevole che Louis si scorda per un momento che le cose sono cambiate. Stava contando le volte in cui la telecamera inquadra il numero 17 della squadra sconosciuta, ma ora, accortosi della vicinanza di Harry, ha già smesso di osservare.
Ha tenuto il maglione. Niall ha riso, quando lo ha visto, e “oh god” ha sussurrato, passandosi una mano sugli occhi. Zayn e Liam non hanno commentato, ovviamente. Harry non gli ha tolto gli occhi di dosso per tutta la sera, ma quello sembra essere diventato un hobby.
Louis non è sicuro di come funzioni questa storia del contare: sa solo che adesso sente solo il profumo di Harry e non gli interessa di nient’altro.
“Credo” dice Zayn, “che nessuno sappia organizzare serate come so farlo io.” Niall sbuffa, dalla sua posizione insolita, e mormora qualcosa che Louis non coglie.
“Credo anche” continua Zayn, ignorando palesemente il ragazzo di fronte a sé, “che sebbene ci siano teste di cazzo in questa stanza, amici che spariscono per mesi, altri che ti assillano per sapere dove sono quelli smarriti, e altri ancora che semplicemente si aggregano al gioco di tanto in tanto – sì, ciao Chez, parlo a te -, alla fine ci ritroviamo sempre. Penso che l’importante sia non dimenticarsi l’uno dell’altro. Avere qualcuno su cui contare, sapete.”
Louis alza gli occhi al cielo al pessimo gioco di parole di Zayn e “sei sempre stato un sentimentalista, Jawaad” lo stuzzica, dandogli una piccola spinta con il piede.
“Zayn ha ragione” dice allora Harry, voltandosi un poco per guardare meglio Louis. “Siamo sempre qui e siamo sempre amici, giusto? Qualsiasi cosa succeda. E’ bello.”
Louis non lo sta ascoltando quando allunga una mano per scostare il solito ricciolo ribelle che gli cade sulla fronte. Quasi non si accorge che Harry sta trattenendo il fiato.
Si scosta solo quando Niall sbuffa di nuovo e “sarebbe anche più bello se la gente qui dentro chiarisse i suoi sentimenti, non credete?” dice ad alta voce. Perrie lo sta osservando, leggermente accigliata, mentre Zayn “Niall” sbotta, aprendo finalmente gli occhi e raddrizzando la schiena. “Non stasera.”
Niall si siete a sua volta di scatto, e la birra cade in terra, versandosi sul parquet chiaro. “Non è mai tempo di parlarne, ovvio. Mai.” Si alza, spintona Louis un po’ più in là, sedendosi vicino a Harry, e passa un braccio sulle spalle di Louis prima di dire “ora starò qui, ad evitare l’Apocalisse tra questi due. Buonanotte, Zayn” e appoggiare la testa sul fianco di Harry, chiudendo gli occhi.
Zayn sospira e “rimanete tutti, vero?” chiede, lanciando un’occhiata obliqua a Louis, che si affretta ad annuire. Non è il caso di mettersi contro Zayn quando è già di cattivo umore. Non è mai il caso, in realtà.
 
 
Louis non rimane. O meglio, se ne va quando nessuno può impedirglielo. E’ ancora incastrato nella presa mortale di Niall che, addormentato, lo stringe come se fosse un orsacchiotto. Nessuno ha asciugato la birra versata sul pavimento. Zayn ha il capo appoggiato al suo ginocchio e un braccio attorno alla sua caviglia, come a dirgli che no, non è possibile scappare da loro. Lentamente, però, riesce a sfilarsi da Niall e raddrizzarsi sul divano. La cosa bella di Zayn è che anche con un attacco nucleare in corso, lui sarebbe ancora in grado di dormire come un bambino. Louis gli solleva piano il braccio e lo appoggia sul ventre del ragazzo, poi si alza. Dall’alto vede tutta la stanza e una piccola risata gli scappa dalle labbra: Harry e Niall stanno dormendo praticamente abbracciati, uno sopra l’altro, Zayn sembra occupare tutto il pavimento, Liam e Cher sono rannicchiati sulla poltrona e Perrie ha la testa appoggiata alla superficie del tavolo, tra le braccia. Queste persone sono tutto quello che Louis ha, anche se a volte ha difficoltà ad ammetterlo. Poi si accorge del maglione. Improvvisamente fa caldo, troppo caldo nell’appartamento con l’aria condizionata di Zayn e sente la necessità di toglierselo. Lo piega quasi malamente mentre tenta di sistemarsi la tshirt alla meglio, poi si volta verso Harry. Le sue labbra sono socchiuse e sembra avere ancora diciotto anni, con l’espressione tranquilla che non è mai cambiata da quando lo conosce. Gli appoggia l’indumento sulle gambe e, ovviamente, Louis fa l’unica cosa stupida che ci sia da fare in questo momento: allunga una mano e accarezza la guancia di Harry nel punto esatto in cui sa che, quando sorride, compare una fossetta. E’ solo un momento, ma Harry è già sveglio e i suoi occhi sono lucidi mentre “Louis?” sussurra, la voce ancora più roca del solito per via del sonno.
“Torna a dormire, Haz” gli risponde triste Louis, e si sta già raddrizzando quando Harry, cautamente, gli afferra il polso. “Non resti?” chiede, mordendosi il labbro inferiore mentre lo guarda, una tacita domanda nello sguardo. Stai scappando da me?
Louis scuote la testa e fa scivolare la sua mano in quella di Harry solo per un istante, accarezzandone il dorso. Harry guarda il maglione e Louis alternativamente per un attimo prima di “puoi tenerlo tu” sussurrargli, il tono ancora triste e stanco. Louis lo capisce, davvero, perché è esausto esattamente come lui. Fa di nuovo no con il capo mentre “è tuo” gli dice, tentando un sorriso che non raggiunge gli occhi.
Rimangono in silenzio per parecchi minuti e Louis sa che è probabilmente il momento giusto per andarsene, per voltarsi e scappare un’altra volta. Harry, però, quasi accorgendosene, “mi manchi così tanto” singhiozza e lo guarda come a sottintendere altre cento, mille cose che vuole dirgli. Mi manchi, ti amo, mi dispiace.
E’ con un singulto trattenuto che “mi manchi anche tu” sussurra, e si sta già voltando per non crollare davanti agli occhi di Harry. Forse lui lo sta ancora chiamando, o forse è tutta immaginazione di Louis mentre si chiude la porta alle spalle e, finalmente, singhiozza senza preoccuparsi di essere sentito. Scende le scale del palazzo di fretta, e prende una profonda boccata d’aria mentre Londra è riempita dai rumori del traffico, la musica dei pub e il sordo suono del cuore di Louis che si spezza un’altra volta.
 
 
 
 
 
Conta le lacrime, mentre torna all’appartamento, e pensa che, senza Harry, non si può permettere di chiamare casa nessun luogo.
 
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
Passano novantuno giorni prima che Louis si rompa definitivamente. Zayn lo ha trascinato dagli altri per sei volte nelle due settimane successive a quella serata. E’ quasi abituato ad uscire, ormai, anche se questo vuol dire vedere Harry. In un certo senso, Louis non ha ancora assorbito bene il colpo; è ogni volta che incrocia quello sguardo verde e malinconico che si accorge che sta contando e che no, niente è come era prima.
E’ da solo nel suo appartamento quando succede. Si è alzato con il proposito di trovare tutto quello che Harry ha lasciato in casa e portarglielo indietro, deve ancora bere il tè, Eleanor lo sta tempestando di chiamate a cui non vuole e non risponderà e c’è la premiére del suo film, alle otto.
Lo trova sotto la copia più rovinata di Pride and Prejudice che hanno – avevano – in casa, quasi nascosto lì di proposito. E’ solo un quaderno, di quelli piccoli con la copertina monocolore. Sulla prima facciata, Harry ha scritto “Louis” e “to the future” in una grafia elegante, leggera; l’inchiostro è sbavato da una lacrima alla fine della s. Sono più che altro frasi indipendenti, non sembrano avere nessun collegamento tra di loro. C’è la strofa di una canzone, in un angolo della terza pagina.
 
No light, no light in your bright blue eyes
I never knew daylight could be so violent
A revelation in the light of day

You can choose what stays and what fades away
And I’d do anything to make you stay

 
Louis quasi non si accorge dei segni delle lacrime di Harry che solcano le pagine, mentre le scorre velocemente. C’è il suo nome, ovunque, accompagnato da frasi come “And love will not break your heart, but dismiss your fears” e quelle che adesso bagnano la carta sono gocce nuove, dell’altra metà, di colui a cui tutto questo è dedicato.
Louis è esausto. Non sa neanche chi sia, senza Harry nella sua vita. Non si ricorda nemmeno come era vivere senza di lui. Doveva essere un’esistenza triste, la sua, ma lo capisce solo adesso che l’ha perso.
Louis voleva solo dargli tutto il meglio, perché era solo quello che Harry meritava. Non erano abbastanza i piccoli appartamenti, spesso in affitto; non era giusto che non potessero comprare vestiti, o fare una vacanza, o solo andare a trovare le loro famiglie. Louis non voleva nemmeno che Harry scendesse cinque fermate prima dall’autobus, solo per pagare di meno il biglietto. Louis voleva il meglio, per Harry.
Louis ha tutto quello che desidera; tutto, tranne l’unica ragione per cui si è impegnato per ottenerlo.
 
 
 
*
 
 
 
 
Mancano tre ore alla premiére e Louis non dovrebbe essere per strada, di corsa, appena sceso dal 274 su cui è salito all’ultimo minuto, con quello stupido quaderno in mano e il cuore che batte all’impazzata. Non sa perché lo sta facendo, Harry potrebbe non essere nemmeno in casa.
Batte tre volte il pugno sulla porta dell’appartamento di Liam, cercando di riprendere fiato e stringendo il cellulare nella mano sudata. Si sta già pentendo, quando Harry apre la porta e lo fissa, sorpreso. Ha una maglia sgualcita addosso e un paio di pantaloni della tuta grigi.
“Louis” dice, e sembra sbalordito delle sue stesse parole. “Che ci fai qui?”
Louis gli tende il quaderno e “tieni” gli dice, “è tuo. L’ho trovato a cas- nell’appartamento. Pensavo lo rivolessi indietro.”
Harry fissa l’oggetto con lo sguardo triste e “potevi tenerlo” replica, i pugni stretti così tanto che ha le nocche bianche. Louis tenta di contare i respiri mentre “così come potevi tenere il maglione” continua Harry, mordendosi un labbro per trattenersi dal dire altro. Louis, però, scuote la testa e “voglio che li abbia tu” sussurra, fissando un punto imprecisato a terra.
“Louis” dice Harry, come per richiamare la sua attenzione. “Vuoi entrare? Ho appena fatto il tè.”
Louis ripete ancora il cenno con il capo e “ho una premiére tra tre ore, non dovrei nemmeno essere qui. Volevo solo. Solo riportarti quello. M-me ne vado, ora” mormora, facendo un passo indietro. Harry allora avanza, gli posa una mano sul braccio e “resta solo per un po’” lo supplica, fissandolo con i suoi occhi grandi e, per qualche ragione, perennemente lucidi. “Solo per il tè.”
Louis si ritrova ad annuire, suo malgrado, ed entra lentamente nell’appartamento di Liam. Ah. Liam.
“Liam non c’è?” chiede, e Harry si limita a fare no con la testa. “Lavoro.”
“Vieni” lo invita, tirandogli leggermente la manica e indicando il divano. “Siediti pure, ti porto subito la tazza” gli dice, sorridendo leggermente. Mentre Harry armeggia in cucina, Louis si guarda attorno: Liam ha un camino, e sopra il camino c’è una foto incorniciata. Sembra impolverata, o forse è solo un’impressione di Louis; i tempi in cui è stata scattata gli sembrano così lontani. Sono loro cinque, ovviamente, in un parco di Manchester; Liam sorride all’obbiettivo, in centro, mentre alla sua destra c’è Harry che, neanche a dirlo, sta guardando Louis, appoggiato alle sue spalle, con lo sguardo sognante. Alla sinistra di Liam c’è Zayn, che tiene Niall sulle spalle e ha quel suo sorriso quasi controllato, la lingua tra i denti e gli occhi che brillano. Niall ha la lingua di fuori, una mano appoggiata a Zayn per sostenersi e l’altra che incontra quella di Louis a mezz’aria, proprio sopra i ricci color cioccolato che Liam una volta aveva. E’ una delle loro prime foto, ora che Louis ci pensa.
La televisione è in un angolo, come se non avesse molta importanza, e sta trasmettendo l’ennesima replica di America’s Next Top Model, una puntata che Harry e Louis hanno visto in un giorno di pioggia, a Chelsea. Louis non sa il numero, ovviamente, perché c’era Harry all’epoca.
Una tazza fumante gli appare sotto il naso e, quando Louis alza lo sguardo, Harry sta sorridendo quasi cautamente. Louis lo ringrazia con un cenno del capo e soffia leggermente sulla tazza. C’è uno spruzzo di latte, nel suo tè, esattamente come lo preferisce. Louis non sa se piangere o abbracciare Harry per il fatto che sappia ancora come prende il suo tè.
“Come vanno le cose alla radio?” chiede Louis, lo sguardo fisso sulla fotografia, quasi concentrato. Harry si siede vicino a lui, sul divano, e “bene” gli dice. “Nick è sempre insopportabilmente Nick, stiamo per conquistare anche il Breakfast Show. Beh, tecnicamente lui lo conquista, io collaboro e basta.”
Segue una pausa in cui Harry beve un sorso dalla sua tazza con le giraffe e Louis si accorge che basta anche questo per impedirgli di mettersi a contare. Sotto altri aspetti, però, niente è abbastanza.
“Credi che il tuo film farà successo?” chiede Harry, spezzando il silenzio. Louis si limita ad alzare le spalle e “non mi interessa poi molto, sinceramente” ammette. “Non mi ha entusiasmato per nulla. Anche Eleanor dice che è stato una perdita di tempo. Bell’agente che mi ritrovo, eh?” Louis tenta, sorridendo, per qualche ragione, colpevole. Harry sembra rabbuiarsi ancora di più, adesso.
“Louis” gli dice, cauto. “Vuoi sapere perché non verrò alla tua premiére come tuo accompagnatore, stasera, come avevamo deciso quando hai accettato il lavoro?”
Il sorriso di Louis cade immediatamente, mentre deglutisce e guarda Harry, spaventato.
“Avevi cominciato a recitare anche con me. Non riuscivo a sopportarlo, nemmeno a capirlo. Lo stai facendo ancora. Smettila, Louis. Sono io. Sono sempre, sempre stato io. Perché hai cominciato a fingere anche con me?”
Uno, due, tre, quattro. Inspirare, espirare, inspirare, espirare. Louis scuote la testa, gli occhi spalancati e “non capisco” sussurra. Gli tremano le mani e il respiro mentre appoggia la tazza in terra, a lato del divano e torna a fissare Harry.
“Voglio sapere” ripete Harry, più lentamente, posando la tazza a sua volta, “perché hai cominciato a fare l’attore anche con me.”
Louis si alza. Uno, due, tre, quattro, cinque… cosa c’è dopo il cinque? Fa di nuovo cenno di no con il capo e non guarda Harry, mentre lui si alza e “Louis” lo supplica, “aiutami a capire.” Harry gli solleva il mento con due dita e lo costringe ad incatenare lo sguardo al suo; verde nel blu, blu nel verde, sfumature infinite, uno, due, tre, quattro.
“Ci sto provando” singhiozza allora Louis, portandosi le mani tra i capelli. “Ci sto provando così tanto, te lo giuro, Harry, te lo giuro!”
Harry si avvicina ancora e gli circonda il collo con le braccia forti, abbracciandolo. “Hey” gli sussurra dolcemente. “Tranquillo, Louis. Va tutto bene.”
Ma Louis scuote ancora la testa mentre passa le braccia attorno al busto di Harry, perché niente, niente va bene, e le cose non sono mai state peggiori di come sono adesso. Harry continua a sussurrare “mi dispiace” e “non volevo farti piangere” e Louis lo sa, lo sente, sta piangendo a sua volta.
Per questo, forse, si districa dall’abbraccio, tenendo però le mani sui fianchi di Harry. “Non è colpa tua” gli ripete, ed è un mantra ormai. “E’ solo. E’ stata una giornata lunga.” Si allontana ancora e si strofina gli occhi con le mani prima di sorridere con le guance arrossate e “devo andare a casa, ora” dire. “Grazie per il tè.”
Harry allora sospira, lo sguardo di nuovo triste e “ci vediamo presto, però?” tenta, accarezzandogli un braccio. Louis annuisce e si avvia verso la porta, con Harry che tira su col naso silenziosamente dietro di sé. Quando ha una mano sulla maniglia, Harry gli afferra l’altra. “Buona fortuna” gli dice, sinceramente. Louis annuisce e non lascia la sua mano, mentre apre la porta. Louis arretra ulteriormente e Harry sta singhiozzando quando le punte delle loro dita si sfiorano e la porta si chiude di scatto, quasi come se volesse spezzare quel leggero legame.
 
 
 
Louis è così vuoto che non riesce nemmeno a contare, ora. Si chiede perché abbia cominciato a fingere e la risposta è subito nitida nella sua mente. La première viene trasmessa in tutta la Gran Bretagna, e Louis spera tanto che Harry non noti i suoi occhi senza vita attraverso lo schermo.
 
 
 
 
***
 
 
I wanna take you somewhere so you know I care
But it’s so cold and I don’t know where
I brought you daffodils in a pretty string
But they won’t flower like they did last spring

(Another Love, Tom Odell)
 
 
 
Recitare e contare non si sono mai sovrapposti. Quando Louis interpreta un personaggio, si immerge così tanto nelle sue caratteristiche che si dimentica di tenere il conto delle cose. Quando non recita, però, è solo Louis, troppi numeri per la testa e sul contro in banca e pochi amici intimi.
Non è sempre stato così. Ci sono stati tempi – e appartamenti in affitto nella periferia di Manchester – in cui Louis recitava per gioco e per passione, bilanciava le cose e, fondamentalmente, era povero. All’inizio la cosa non gli pesava molto; Harry diceva sempre che avrebbero ottenuto entrambi ciò che volevano, e lo avrebbero fatto insieme.
Era stato alla prima cena ufficiale con Perrie che le cose avevano preso una piega diversa. Zayn li aveva invitati, tre giorni prima, con tono entusiasta e quasi sognante. “Vi piacerà quasi quanto piace a me” aveva detto,  dando una pacca sulle spalle di Harry e sorridendo tutto denti.
Quasi” aveva ripetuto Louis, più a se stesso che a Zayn. “E’ una discriminazione velata perché ci piace il cazzo, questa?”
Zayn aveva scosso la testa e “dio, Tommo” aveva sbuffato, “non tutto è una cospirazione divina contro di te.”
“Non divina” lo aveva corretto Louis. “Universale.”
La cena era stata splendida; Perrie era magnifica, Niall stava in silenzio, Liam aveva approvato all’istante e Harry e Louis erano, semplicemente, HarryeLouis. Era stato il momento del conto, a rovinarla. Quando Louis si era alzato per pagare la parte sua e di Harry, Zayn aveva scosso la testa e gli aveva afferrato un polso, trattenendolo. “La offriamo noi, la cena.”    
Louis aveva alzato le sopracciglia, allora, e “perché mai?” aveva chiesto, confuso. “Vi ho invitato io e, comunque, voglio pagare per tutti. Quindi siediti e ordina il caffè, Lou.”
Harry lo aveva immediatamente guardato, preoccupato, e gli aveva fatto un cenno come a dire “ascoltalo e basta”, e Louis aveva obbedito con l’espressione corrucciata. Sapeva che in realtà Zayn lo aveva fatto perché aveva notato i piatti non esattamente costosi che Harry e Louis avevano consumato e che, ovviamente, non lo aveva detto per umiliarlo. Ciò però non cambiava il senso di impotenza che aveva sentito nel petto, in quell’occasione.
Da quel momento, aveva chiesto ad Eleanor di cercare il doppio delle offerte di lavoro rispetto a quelle che riceveva (erano poche, allora) e di accettarne il maggior numero possibile. Da quella cena Louis aveva fatto di tutto per non dover ripetere una situazione del genere.
Le cose erano cambiate, e anche Louis: partiva per l’America e stava via due, tre mesi (ottantacinque giorni l’ultima volta) e Harry, nel frattempo, lo attendeva in Inghilterra.
Contare e recitare hanno cominciato a mischiarsi, in quel periodo; proprio quando Louis credeva di non avere più bisogno dei numeri nella vita privata, ecco che gli servivano di più, ma con Harry non è mai riuscito a contare. Louis ha cominciato a fare l’attore anche con Harry perché, senza numeri, si è sentito in pericolo. Eccolo lì, il collegamento fondamentale; Louis ha bisogno di contare, non è una cosa che semplicemente scompare da sola. Zayn si sbagliava: Louis conta anche quando sta bene, ma non se ne accorge, perché è distratto da altre cose, da altre persone. Questo, però, quando Harry era ancora con lui, non è riuscito a capirlo.
Trentasei giorni prima di andarsene, Harry ha cominciato a dormire sul divano. Louis, invece, ha passato intere nottate insonni, fingendo che andasse tutto bene. Louis, ora, lo capisce; forse nel profondo lo ha sempre saputo, ma non ha mai avuto il coraggio di ammetterlo. Harry ama Louis (o lo amava?), non la persona che è diventato.
Louis si sente uno stupido per non averlo compreso prima; forse ora avrebbe ancora Harry. Si sente stupido, perché Harry glielo ha detto, prima di andarsene.
Era appoggiato al tavolo quando Louis era entrato, una bottiglia di champagne in mano e un mazzo di rose rosse nell’altra; voleva solo passare una serata tranquilla con Harry, vedere un film, fare l’amore. Cose che, in quella casa, mancavano da troppo tempo. Invece, aveva trovato le valigie di Harry vicino alla porta e il loro proprietario, a braccia incrociate, intento a fissare il vuoto.
“Harry?” aveva chiesto, incerto, appoggiando la bottiglia di champagne sulla credenza e facendo un passo verso di lui.
“Non riesco a vivere così.”
E Louis lo aveva capito. Forse lo sapeva anche mentre comprava i fiori. O mentre chiedeva a Zayn dello champagne dalla sua cantina.
“Ti amo” gli aveva detto poi, alzando lo sguardo, gli occhi pieni di lacrime. “Ti amo così tanto che a volte ho paura di scoppiare. Ma non ce la faccio più.” Louis era rimasto in silenzio, sbattendo le palpebre, come se non stesse capendo. Harry si era scostato dal tavolo ed era avanzato un poco. “Non permettermelo, Louis.” Harry lo guardava, pieno d’aspettativa, come se volesse sentirsi dire qualcosa. “Louis, cristo, dì qualcosa! Non permetterlo, non permettere che succeda, ti prego.”
“Che cosa?” si era sentito rispondere con voce roca, ma era come se parlasse il suo corpo. La sua mente era impegnata a registrare ciò che stava avvenendo e contare i secondi. “Non permettermi di andarmene” lo aveva supplicato Harry con le braccia che tremavano violentemente. “Ti amo” aveva poi ripetuto, barcollando in avanti. “Ho bisogno. Ho bisogno che tu rimanga mio amico. Non—non so chi sono senza di te. Non mi ricordo… dio, non mi ricordo nemmeno cosa facevo quando tu non c’eri.”
Louis, gli occhi spalancati e pieni di orrore, era rimasto immobile mentre Harry appoggiava una mano sul suo collo e faceva combaciare le loro fronti. “Ti amo così tanto” aveva sibilato, stringendo appena la presa e portando l’altra mano sulla guancia di Louis. Lo aveva baciato tra le lacrime, quella volta, premendo forte le labbra contro le sue e aggrappandosi a lui come se ne valesse della sua salvezza. Il che, in un certo senso, era proprio così. Si erano separati di scatto, come scottati e Louis aveva osservato Harry fare qualche passo incerto verso la porta. Aveva ancora i fiori in mano. “Non ti dimentic—“ aveva cominciato a dire Harry, ma Louis lo aveva interrotto, “non mi dimenticherò che ti amo” dicendo, disperato. “Bene” aveva esalato Harry, alla fine. “Bene. Io—io sarò da Liam. Se. Se avrai bisogno di me. Da Liam.”
“Ho sempre bisogno di te” aveva replicato Louis, lasciando cadere le rose a terra e attraversando il salotto a grandi passi verso Harry. Lo aveva baciato di nuovo, denti contro denti, labbra che si accarezzavano e lingue che si fondevano, nessuno dei due desideroso di interrompere quel contatto che aveva il sapore amaro di un addio. Arrivederci, avrebbe detto Harry. “Ti amo” gli aveva sussurrato Louis, baciandolo un’ultima volta prima di scostarsi, le lacrime che bruciavano sulle guance, uno, due, tre, quattro.
Harry aveva annuito e “anche io” aveva risposto, prima di aprire la porta  e trascinare i pochi bagagli fuori. Era sparito così, nello spazio di un secondo, e Louis era rimasto immobile a fissare l’ingresso, nella vana speranza che tornasse. Uno, due, tre, quattro.
 
 
 
 
Louis è rimasto solo nel suo appartamento in una serata di aprile troppo fredda per la stagione, i ricordi negli occhi e il sapore delle labbra di Harry ancora impresso nella mente. Per un momento, solo un attimo fugace, ha desiderato di poter mettere la parola fine a quella sua conta infinita.
 
 
 
 
*
 
 
Aiden arriva centootto giorni dopo che Harry lo ha lasciato, in agosto. Louis non vede Harry da quando gli ha riportato il quaderno, è tornato sul set, in Italia. Stanno girando in una cittadina vicino a Milano di cui non ricorda il nome, sul lago. Louis interpreta David, il protagonista, che viaggia con il suo migliore amico, John, che è un po’ come la sua metà, dove c’è uno c’è l’altro. In greco c’è una parola per indicare una persona che è sempre pronta a coprirti le spalle – parabatés. Girando per il mondo, David scopre se stesso e capisce cosa vuole dalla vita, superando varie difficoltà in pieno stile americano.
Louis e Aiden non hanno mai girato insieme, fino ad ora. Il regista – che è una donna di nome Lou Teasdale e si porta marito e figlia sul set ogni mattina – ha voluto concentrarsi sulle scene di riflessione dei due, quelle in cui sono da soli, prima di fare gli esterni e le scene in cui David e John sono insieme.
Il primo giorno, Aiden si presenta con due tazze fumanti di quello che sembra caffè americano – in Italia? davvero? – e “tu devi essere Louis, giusto?” gli chiede, sorridendo e allungandogli una delle due tazze. Louis annuisce e “non bevo caffè” lo informa, con un sorriso di scuse. Aiden arriccia il naso e porge la tazza di Louis ad un operatore che sta passando per caso.
“Sono sempre il migliore quando si tratta di fare figure di merda” ridacchia, prendendo un sorso di caffè. “Sono Aiden Grimshaw, comunque.”
“Grimshaw?” chiede Louis, senza potersi trattenere. Si morde un labbro e sposta il peso da una gamba all’altra, pensando che no, decisamente non è bravo ad approcciare le persone ultimamente. Aiden, però, non sembra per nulla turbato e “proprio così” gli risponde con un sorriso. “Perché?”
Louis allora scuote la testa e “nulla, è solo che il capo del mio ragaz—amico, di un mio amico, si chiama Nick Grimshaw. Siete parenti?” borbotta, sbattendo lentamente le ciglia. Il sorriso di Aiden si allarga, se è possibile, ma “no, mi dispiace” risponde, “non l’ho mai sentito prima.”
“Ma comunque” continua allegro, “sono molto felice di poter lavorare con te. Sei assolutamente uno dei miei attori preferiti inglesi.” Louis allora risponde al sorriso e si rilassa un po’. Questo è facile, è molto orgoglioso del suo lavoro, anche se non ha portato cose belle alla sua vita privata. “Grazie” risponde, lusingato. “Lou mi ha detto che tu sei una giovane promessa del cinema. Confermi?” gli chiede poi, alzando un sopracciglio. Aiden è tutto un sorriso e denti brillanti mentre “può darsi” sussurra, come un segreto. “Dovrai scoprirlo da solo” continua poi, facendo l’occhiolino a Louis, che ride.
“Oh, lo farò molto presto.”
 
 
 
Louis non dovrebbe flirtare con Aiden così spudoratamente. Se ne accorge qualche giorno dopo, quando le riprese si spostano nel centro storico di una città che gli pare si chiami Brescia, piccola e molto, molto inquinata. Non sta esattamente flirtando; è solo che, ad ogni pausa tra una scena e l’altra, lui e Aiden parlano del più e del meno, riempiendo i discorsi con battute maliziose e doppi sensi che farebbero rabbrividire Liam Payne. Louis sa che è il suo colore preferito è il rosso (quello di Harry è il blu), che preferisce l’Iced Cappuccino di Costa a quello di Starbucks (Harry beve solo Starbucks, dovesse cascare il  mondo) e che la letteratura francese è la sua preferita (Harry la odia). Tutte cose che, in qualche modo, sono simili ai suoi gusti. Sa che ad entrambi piace Un’imperiale afflizione, anche se tecnicamente non l’hanno mai letto e non è nemmeno un’opera concreta; odiano i videogiochi, ascoltano entrambi i The Fray.
Parlare con Aiden è facile; passa da un argomento all’altro nello spazio di un secondo, sembra quasi che saltelli nei suoi discorsi e si diverta a unirli con qualche “a proposito” e “ma comunque” di tanto in tanto. Si ferma solo per respirare, a volte non lo fa proprio, e a Louis basta ascoltare ed intervenire di tanto in tanto. La cosa è quasi comica, perché un tempo era lui quello che non riusciva a stare zitto e che riempiva sempre i momenti di silenzio; è così che ha conosciuto Harry, alla fine. Lui, quello in teoria bravo con le parole, lasciava che Louis cianciasse del più e del meno e si limitava ad ascoltare con il sorriso sulle labbra e, qualche volta, rideva anche delle sue battute. Harry gli manca davvero troppo.
Aiden è fantastico. Louis se ne accorge, con Aiden si diverte, si sente quasi leggero. In fondo, è in un altro stato, lontano da tutti gli amici e i problemi, lontano da Harry; sta, per la prima volta da centoundici giorni, quasi bene.
Ma Louis conta ancora. Conta le volte che Aiden arriccia il naso sottile durante un discorso; conta quanti chack fanno, insieme. Louis si sta divertendo, ma sa di non essere felice. Ma finché è David non è importa, perché David non ha problemi, è uno spirito libero. Finché è David, Louis può sperare di dimenticare tutto anche solo per dieci minuti.
 
 
Dimenticare, però, è difficile quando Harry lo chiama. Sono tutti fuori a cena per festeggiare la fine delle riprese esterne in un ristorante che si chiama Al Teatro. Louis non è esperto di pizza, ma è abbastanza sicuro che quella faccia schifo. Sta parlando di tatuaggi e Nirvana con Tom, il marito di Lou, quando il suo telefono annuncia una chiamata in arrivo, I’m Yours dei The Script che riempie la stanza poco affollata. Louis si scusa con un sorriso ed esce dal ristorante, prendendo un gran sospiro prima di rispondere al cellulare.
“Pronto?”
“Louis?” chiede Harry dall’altro capo del telefono con voce sottile ed incerta. Eleanor deve avergli accordato il permesso di chiamare, e Louis non può fare a meno di chiedersi quanto gli stia costando parlare con lui.
“Harry” esala Louis, stringendo appena il telefono nel palmo sudato. “Va tutto bene?”
Sente Harry prendere un respiro tremante prima che “no, cioè sì, tutto—tutto bene. Volevo solo sapere come stai. Non—non ci vediamo da un po’” rispondere, e Louis può quasi vederlo, seduto sul divano di Liam mentre si morde il labbro e giocherella con l’orlo della maglietta. Sempre che la indossi, al momento. Si sentono delle voci, in sottofondo, e Louis si chiede se anche i ragazzi siano lì.
“Già” mormora Louis. “Sono in Italia, al momento. Abbiamo finito di girare e ora torniamo in Inghilterra per un mese o due, poi ripartiremo ancora.” Louis avrebbe tanto bisogno di una sigaretta, in questo momento. “Sei sicuro che vada tutto bene, Harry?”
“No” lo sente borbottare, seguito da un fruscio, come se stesse cambiando posizione. “Niall e Zayn stanno litigando in salotto, Liam ha tentato inutilmente di riappacificarli. Sembra che Niall sia andato a letto con un altro e Zayn, apparentemente, sia solo preoccupato perché è il suo migliore amico e non vuole che altri lo feriscano. Niall fa paura.” C’è una pausa, dopo il racconto, in cui Louis sente il respiro lento e pesante di Harry che riempie il silenzio. “E mi manchi come l’aria” continua, a bassa voce.
“Harry” comincia Louis, serrando gli occhi. “No” lo interrompe l’altro, quasi allarmato. “No, lo so. Non—non dovrei nemmeno chiamarti, ma Louis…”
Harry” lo riprende Louis, alzando la voce. “Mi ha lasciato tu” continua poi, come se non lo avesse vissuto prima anche lui. “Ti amo” gli dice Harry, disperato. “Non ho mai smesso.”
“Lo so” Louis sussurra, ora, e “ma non cambia le cose” replica, aprendo gli occhi. Aiden è sull’uscio del ristorante e lo fissa, interrogativo. Louis scuote leggermente il capo come a dire nulla, lascia stare. “Anche io” aggiunge, voltandosi per non guardare Aiden. “Lo sai. Lo hai detto anche tu, no? Io stesso non mi ricordo cosa facessi prima di incontrarti. Ma è comunque finita.”
Sente Harry piangere, di nuovo, dall’altro capo della linea. Louis è assalito dall’impulso di chiudere la comunicazione e scagliare via il telefono, ma Eleanor non ne sarebbe felice. “Non piangere” gli dice allora, abbassando la voce ancora di più. “Mi uccidi.”
“Mi dispiace” singhiozza Harry e quasi non riesce a parlare mentre troppi scusami e ti amo gli escono dalle labbra.
“Dispiace anche a me” replica Louis, e chiude la chiamata. Rimane a guardare la strada, una gelateria aperta fino a tardi e la vetrina di una profumeria davanti a sé. Il vento gli scompiglia leggermente i capelli acconciati, ma non riesce a piangere. Forse è stanco di farlo. Ama Harry, ne è certo; è solo troppo tardi per fare finta di stare bene. Che, poi, è anche la ragione per cui lui lo ha lasciato.
Sente una leggera stretta sul polso, e volta il viso per vedere Aiden, l’espressione preoccupata, che lo osserva. “Tutto bene, Lou?” gli chiede, facendo scivolare la mano piccola di Louis nella sua, curata e affusolata. Louis scuote la testa e “magari un giorno molto, molto lontano” risponde con voce rotta. Aiden annuisce e, stringendo di più la presa, “vuoi tornare in hotel?” gli chiede in tono comprensivo. Gli occhi di Aiden sono marroni, non verdi; i suoi capelli sono ritti e acconciati dal gel, non ricci; Aiden è tutto ciò che Harry non è. Tutto ciò che gli serve per dimenticare almeno per un po’. Louis annuisce e “sì, per favore” risponde.
Passeggiano sotto i portici che portano all’albergo, guardano le vetrine. Aiden indica le cose con gli occhi che brillano (“Questo è il teatro, vero?” e “Guarda, Lou, quel vecchio sta suonando una fisarmonica!”) mentre Louis si guarda intorno, curioso, e a volte fissa le loro mani ancora intrecciate. Segretamente, non può dire di essere scocciato dalla cosa. Un ragazzo che gli ricorda Zayn sta passeggiando nella direzione opposta alla loro, una vecchia felpa di Abercombie indosso e una ragazza bionda che sembra uscita direttamente da Tumblr che gli stringe la mano.
Quando arrivano davanti alla sua camera (259, quarto piano, terza porta), Aiden si avvicina e appoggia la sua fronte a quella di Louis, una mano sulla sua guancia intenta ad accarezzarla. Rimangono in silenzio, occhi negli occhi, per parecchi minuti. “Non pensare troppo, Lou” gli dice, sussurrando. “Non sarò il migliore degli attori di questo mondo, faccio un sacco di figuracce, ma posso essere la persona giusta quando voglio. Se mai avessi bisogno di qualcuno, sai dove trovarmi. D’accordo?”
Louis annuisce e “grazie” mormora, allontanandosi a malincuore dalla stretta di Aiden. “Ci vediamo domani?” gli chiede, tentando un sorriso. Aiden sorride a sua volta e “a domani” gli risponde, mandandogli un bacio volante mentre si allontana.
Louis ha ancora bisogno di Harry; non crede ci sarà un momento nella sua vita in cui non ne sentirà la necessità. Forse, ma solo forse, può togliere un po’ di peso dalle sue spalle.
 
 
 
Louis, quella notte, si addormenta con la spaventosa consapevolezza che no, quando ha passeggiato con Aiden non ha contato una singola cosa.
 
 
 
 
*
 
 
E’ settembre quando Aiden gli chiede di conoscere i ragazzi. Stanno insieme da trentasei giorni, il film è in post-produzione e Louis sa poco di quello che è accaduto tra i suoi amici. Liam gli ha mandato un sms sbrigativo che diceva più o meno “n&z non si parlano harry vegetale dove cazzo sei” a cui non ha risposto. Louis sta riordinando i suoi dvd in ordine di colore quando Aiden esce dal bagno con un asciugamano sulla testa e “pensavo” annuncia, “che non mi hai mai presentato a questi famosissimi amici di cui senso sempre parlare.” Louis alza la testa dal suo lavoro e “prego?” chiede, con sguardo perplesso. Aiden sbuffa prima di inginocchiarsi vicino a lui e “i tuoi amici” sibila, a due centimetri dalle labbra di Louis, l’accento del Lancashire ben udibile. “Voglio conoscerli.”
Louis sospira e appoggia la custodia di Angela’s Ashes sul pavimento, passando poi un dito sulle scritte in rilievo. “Perché?” gli chiede, senza guardarlo. “Non sono così interessanti come sembrano. E’ che sono un ottimo attore e dipingo bene le persone” borbotta poi, contando in mente le lettere che compongono il nome ‘Emily Watson’, una delle sue attrici preferite.
“Perché” scimmiotta Aiden, picchiettandogli il naso, “sono i tuoi amici e fanno parte della tua vita che ti piaccia o no. E anche io, adesso.” Fa una pausa, come se stesse scegliendo le parole giuste, e “ma se non vuoi” dice in tono casuale, “posso sempre chiedere l’amicizia su Facebook a Niall Horan, e poi la cosa verrà da sé.”
“No!” esclama Louis, prendendo Aiden per le spalle e facendogli quasi perdere l’equilibrio. “No, te li presenterò. Solo—non ora? Non credo sia un buon momento” continua, ancora allarmato. Nessuno dovrebbe vedere le cose che Niall ha nei suoi album da quando si sono conosciuti. Louis non è sicuro che si possa conservare la propria sanità mentale dopo aver visto quelle foto. E poi, Niall ha sempre avuto un fetish per le fotografie e, beh, per Harry e Louis. Non è davvero il caso.
“C’è un po’ di tempesta, adesso, perché Niall e Zayn hanno smesso di far finta di essere solo amici con benefici. Non tira una buona aria.” Aiden sospira profondamente e giocherella con il bracciale comprato al festival di Leeds di Louis prima di alzare lo sguardo e “ti vergogni di me?” chiedere, mordendosi il labbro inferiore dopo la domanda. E’ una delle cose di Aiden che Louis adora: è schietto. Harry rimaneva in silenzio, quando qualcosa lo preoccupava, e alla fine era scoppiato tutto insieme, ribaltando tutto quello che avevano costruito in sei anni. Aiden, invece, non si fa problemi a chiedere e, spesso, ribattere aspramente a quello che Louis gli dice.
“Non dire stronzate, Aid” dice Louis, serio. “Certo che non mi vergogno di te. E’ solo davvero un brutto momento per conoscere i ragazzi, e voglio che facciano una buona impressione su di te.” Aiden allora si acciglia e “su di me? Non dovrebbe essere il contrario?” chiede con un ghigno. Louis scuote la testa, sorridendo in silenzio e la conversazione cade. Grazie a chiunque stia lassù.
 
Se c’è una cosa di cui Louis è certo, oltre al fatto che una certa testa piena di riccioli non se ne va mai dalla sua mente, è che il karma se la prende con lui anche quando non ha fatto nulla di male. Hanno ordinato thailandese e Louis, mentre un ragazzino prendeva i loro ordini dall’altro capo della linea, “resti?” aveva mimato con le labbra, ricevendo un sorriso e un cenno di assenso da Aiden.
Sono sul divano, circondati da scatole vuote, quando il cellulare di Louis vibra. Sbuffando, si alza per raggiungere il telefono e leggere il messaggio. Aiden ridacchia e “coraggio, stai già bruciando calorie” gli dice, e, no surprise, Louis replica alzando il dito medio.
 
Niall: “u home? beviamo qualcosa al solito pub non puoi dire no xxxxxx”
 
Louis grugnisce qualcosa mentre “posso portare una persona? Jdigita, sperando tanto che Niall non veda il messaggio e possa così sfuggire alla tortura.
 
Niall: “obviously xxxxx ps manchi a tutti e sei 1 pezzo di merda ily”
 
“Tesoro?” dice Louis, raggiungendo il divano e chinandosi verso Aiden, che alza la testa, sorridente, sbattendo le ciglia.
“Hai impegni stasera?”
 
 
 
 
 
*
 
 
 
Louis se ne pente il momento esatto in cui lui e Aiden varcano la soglia del pub. Ha già individuato i ragazzi, seduti al solito tavolo, e ha visto la sedia rossa che hanno aggiunto vicino alla sua. Il locale è poco affollato, la solita cameriera con la faccia antipatica sta dietro il bancone e squadra male chiunque le chieda un drink. Louis stringe di più la mano di Aiden prima di fargli un cenno verso il tavolo. Aiden, ovviamente, è entusiasta e sorride apertamente, gli occhi curiosi che osservano tutto l’ambiente soffermandosi solo qualche secondo su ogni dettaglio. A Louis piacerebbe tanto poter fargli un complimento, in questo momento, ma la presenza di una certa persona che sperava non avessero invitato lo distrae. Niall lo chiama ad alta voce e ha le guance già rosse mentre sventola una mano in alto e regge con l’altra quello che sembra un bicchiere esagerato di Scotch invecchiato. Zayn, seduto alla sua sinistra ma ben distante da lui, sta guardando Aiden con l’espressione corrucciata che ha quando Louis fa, essenzialmente, un casino. Liam e Harry sono dall’altra parte del tavolo, ma Louis non riesce a soffermarsi sui loro volti perché Aiden “sono loro?” gli sta chiedendo, facendo un passo verso il tavolo. Louis annuisce, perché è talmente terrorizzato che non crede di poter proferire parola. Quando si avvicinano, Niall li accoglie con un sonoro “il buon vecchio Tommo ha portato ospiti!” in accento irlandese, segno che è già abbastanza ubriaco da tornare alle sue origini. Tra poco si metterà a parlare in gaelico e, uh, sarà l’inizio della fine.
“Ciao” dice Louis con voce sottile, tirando piano Aiden verso i loro posti. Quando si siede, sente Harry che trattiene il respiro e, voltandosi, lo vede giocherellare con l’oliva del suo Martini già mezzo vuoto, lo sguardo basso e l’espressione buia che ha quando tenta di dissimulare la tristezza e, forse, la delusione.
“Non ci presenti, Lou?” sibila Zayn, appoggiando i gomiti sul tavolo e guardando oltre Niall, le sopracciglia ancora alzate.
“Posso sedermi prima?” ribatte Louis, più acidamente del dovuto. “Aid, questi sono Niall” dice, indicandoli uno per uno, “Zayn, Liam e… Harry. Ragazzi, lui è Aiden, un mio collega e—“ Louis non riesce a dirlo, davanti ad Harry. Ha paura che scoppi a piangere lì, di fronte a tutti, o che se ne vada. Louis non vuole né l’una né l’altra cosa. Il problema, essenzialmente, è che in certi momenti gli sembra di tradirlo; stare con un’altra persona è ancora una novità, per Louis, non è abituato a qualcuno che non sia Harry.
“Il suo ragazzo” completa Aiden, stringendogli la mano appoggiata sul tavolo. Harry, che in questo momento “è un piacere, Aiden” sta dicendo, lo abbaglia con un sorriso tutto fossette e denti bianchi e incrocia il suo sguardo. Aiden lo guarda e, per un attimo, sembra tutto ghiacciarsi: si fissano con aria di sfida e l’espressione contenta di Harry svanisce mentre stringe gli occhi e ricambia lo sguardo quasi ostile di Aiden. Il quale, “Piacere mio, Harry!” esclama poi, ridestandosi improvvisamente e sorridendo di nuovo. Si volta verso gli altri per i convenevoli, e Louis ne approfitta per lanciare un’occhiata obliqua ad Harry, che si limita a fare spallucce e si china verso Louis, “carino” sussurrandogli ironicamente e facendolo rabbrividire dalla testa fino alla punta dei piedi. Si raddrizza, poi, e “Niall” dice, allungando una mano verso quella dell’irlandese. “Raccontaci del tuo nipotino e di come Louis si è dimenticato di chiamarti, quando hai mandato un messaggio a tutti per avvertirci della bella notizia!” continua con tono allegro, sbattendo lentamente le ciglia con un sorriso mellifluo stampato sulle belle labbra. Louis non capisce questo improvviso cambio di umore, ma è abbastanza sicuro che quella sia una sottile vendetta, abbastanza debole perché Harry è, fondamentalmente, troppo buono per chiunque. “L’ho visto, il messaggio” ribatte allora, sistemandosi le maniche della camicia azzurra sui gomiti, “ma, essendo in Italia, non ho voluto chiamarlo per non fargli spendere un capitale. Gli ho risposto su Whatsapp, nel caso ti interessasse” aggiunge per buona misura, attirando l’attenzione della cameriera per ordinare. “E Niall mi ha comunque mandato almeno venti foto di Theo, quindi è come se fossi stato qui, quando è nato.” Aiden, allora, si inserisce nella conversazione e “le ho viste anche io, le immagini. E’ davvero un bambino adorabile” si complimenta, scoccando un altro sorriso scintillante verso Niall, che, ricambiandolo, “grazie! Io lo adoro già” dice, in tono caldo e, per qualche ragione, confidenziale. “Non ha ancora due mesi e ha già una testa piena di capelli, è incredibile!” racconta, anche se nessuno lo sta ascoltando. Liam sta fissando Harry con lo sguardo carico di, neanche a dirlo, apprensione, mentre Zayn tamburella le dita sul tavolo, ignorando Niall e intrattenendo una conversazione silenziosa con Harry. Louis, improvvisamente, si sente tagliato fuori; li ha lasciati in Inghilterra senza di lui per troppo tempo e ora, con Aiden praticamente estraneo, è come se anni di amicizia fossero scomparsi all’improvviso. Louis è geloso, ma non saprebbe dire di cosa, o di chi.
La serata trascorre tra silenzi imbarazzanti, racconti di latte in polvere e Louis passa una buona mezzora ad ignorare il discorso e osservare Niall, che flirta con il ragazzo dai capelli rossi che suona lì ogni sera e applaude a tutte le sue canzoni. “Quel tipo è un genio” gli dice ad un certo punto, proprio mentre Zayn sbuffa, la guancia appoggiata ad una mano e un bicchiere di gin stretto nell’altra. “Vado a parlargli” annuncia poi, alzandosi con un gran trambusto e dirigendosi a grandi passi verso l’angolo opposto della sala.
“Zayn” dice allora Harry, interrompendo il discorso di Aiden e Liam sulle differenze tra Android e iOS. “Non ne posso più” continua, e a Louis viene in mente (stranamente) quella fatidica sera di aprile. “Non stai facendo niente per migliorare la situazione, lui si sta stancando e quel tipo, te lo posso assicurare, è davvero un genio. Non aspetterà che ti crescano le palle per tutta la vita.” Questo è, probabilmente, uno dei discorsi più lunghi che Louis gli abbia mai sentito fare e, bisogna ammetterlo, ne è colpito.
“Ma Perrie—“ comincia Zayn con tono lamentoso. “Perrie un cazzo” lo interrompe subito Harry, “non ha dormito a casa di Cher per una settimana perché le andava di fare lo Sleepover Club, Z. Gliel’ho suggerito io, per farti parlare con Niall e farvi chiarire. Invece lui al terzo giorno si è depositato sul nostro divano e non ne voleva sapere di scollarsi, perché a casa c’eri tu. Perrie lo ha capito da un pezzo, e forse è ora che lo che anche tu ti faccia un paio di domande.” Zayn sospira profondamente e fa ruotare il ghiaccio nel suo bicchiere, pensoso. “Za” dice timidamente Liam, “credo che sia il caso di scegliere. Ti vorranno entrambi bene per sempre, in qualsiasi caso. Devi solo chiarire le cose e capire chi e cosa vuoi.” Louis e Aiden, in tutto questo, rimangono in silenzio; il primo è troppo impegnato ad ammirare le parole di Harry per accorgersi di altro e il secondo sta solo tentando di comprendere tutte le dinamiche del gruppo. “Ma Zayn sta con chi?” sussurra infatti a Louis, chinandosi e sfiorandogli il lobo con le labbra. Louis allora fa un sorriso storto e “questa, Aid” gli risponde, “è la domanda fondamentale.”
Zayn scuote piano la testa e “io la amo” mormora, insicuro delle sue stesse parole mentre il ragazzo dai capelli rossi sorride a Niall e Do I love you? / Do I hate you? / I can't make up my mind / So let's freefall / See where we land” canta – e Louis sta provando a non ridere, sul serio.
“Oh, per l’amor di Dio!” esclama Harry ad alta voce, alzandosi a sua volta. “Vuoi sapere cosa succederà, Zayn Malik? No, guardami” gli dice, in un tono che Louis non ha mai, mai sentito uscire dalle sue labbra. “Se continui così, ne perderai tre di amici, non solo due. Sto cercando di darti consigli da mesi ma no, ovviamente tu fai sempre di testa tua e ti ritrovi a sperare in silenzio che quel tipo” e si interrompe, per indicare il ragazzo con la chitarra, “non si porti a casa quell’altro tipo” e indica Niall, “che per combinazione è il ragazzo di cui sei innamorato, anche se ovviamente non ti deciderai mai ad ammetterlo. Fai quello che vuoi, a questo punto. Io, scusatemi piccioncini e Liam, vado a fumare.” Harry sposta la sedia con uno scatto e la fa cadere, allontanandosi poi senza rimetterla a posto. Louis lo vede sparire fuori dal locale, dopo averlo attraversato a grandi passi cercando di tirare fuori l’accendino dalle tasche dei pantaloni strettissimi che hanno comprato insieme, in un mercatino di Manchester. Louis, quasi improvvisamente, si rende conto che ha contato i passi che Harry ha fatto per uscire e, ovviamente, va in panico. Aiden non sembra essersene accorto, ancora intento a riprendersi dall’uscita di scena di Harry, esattamente come Liam. Zayn ha appoggiato la fronte sul tavolo, stringendo il bicchiere talmente forte da fargli sbiancare le nocche. Niall sta scrivendo il suo numero sul braccio del ragazzo dai capelli rossi e gli sorride, lodandolo ad alta voce e ricevendo un timido sorriso in risposta. “Scusatemi” dice Louis, alzandosi a sua volta. Tiene i palmi appoggiati al tavolo mentre “ho bisogno di un po’ d’aria” annuncia, sorridendo verso Aiden. “Non ci metterò molto, promesso”  mormora, chinandosi per lasciare un bacio sulla fronte del ragazzo. Il momento dopo è già fuori e volta la testa quasi freneticamente per trovare Harry. E’ seduto nello stesso punto dell’ultima volta, persino i vetri sono ancora lì. Ha la sigaretta tra l’indice e il medio e guarda in lontananza, verso la piazza, mentre espira lentamente il fumo. Louis, in silenzio, si siede vicino a lui e gli prende la sigaretta dalle dita, fa un tiro e gliela restituisce, espirando lentamente. Non lo guarda, quando “tu non fumi” dice, appoggiando le braccia alle ginocchia e lasciando le mani a penzoloni. Harry, con uno sbuffo che potrebbe sembrare una risata, “neanche tu” replica, lasciando cadere la cenere sull’asfalto.
“Cos’era quella scena di prima?” chiede Louis voltando leggermente la testa per guardarlo. Harry scuote la testa e “nulla” risponde, lasciando cadere la testa tra le ginocchia, “sono solo stanco di vederli inseguirsi quando potrebbero essere felici.” Fa una pausa e butta il mozzicone lontano, “loro che possono ancora” aggiunge poi. Louis sente il suo cuore che si stringe mentre Harry alza il capo con un sorriso stanco e “mi dispiace per prima, Lou” confessa, “è che non mi sarei mai immaginato che questo giorno arrivasse così presto.”
“Quale giorno, H?” domanda Louis, aggrottando le sopracciglia. Non sta contando, adesso.
“Quello in cui avresti dimenticato di amarmi” risponde Harry, sussurrandolo come un segreto. Non ci sono lacrime nei suoi occhi, solo l’amara consapevolezza di una fine che ha deciso, ma non accettato. “Per questo mi sono arrabbiato con Zayn. Se continua a rimanere in silenzio, alla fine Niall se ne andrà esattamente come hai fatto tu.” Louis fissa Harry senza parole, sbigottito perché, nonostante tutto e dopo tutto questo tempo (centoquarantaquattro giorni), Harry si sta dando la colpa di una cosa che, tecnicamente, non ha fatto. Harry si incolpa di averlo fatto andare via, quando è Louis stesso che ha cominciato a recitare per colpa dei suoi problemi.
Louis sospira prima di passare un braccio intorno alle spalle larghe di Harry e attirarlo a sé in un abbraccio. Harry appoggia la testa sulla sua spalla e fa scivolare entrambe le braccia attorno alla sua vita, stringendolo. E’ una posizione scomoda, ma non sembra dispiacere a nessuno dei due; tengono gli occhi chiusi, rimangono in silenzio per quelli che sembrano giorni, ma probabilmente sono pochi minuti. “Non pensarlo mai” sussurra Louis, così piano che non è sicuro che Harry lo abbia sentito. Comunque, “non pensarlo mai” ripete, “perché non ci sarà mai un giorno in cui io avrò smesso di amarti.” Harry squittisce, allora, come se qualcosa di molto acuto lo avesse colpito. “Allora perché?” chiede, e Louis sa che sta provando a non suonare completamente disperato. “Perché c’è un altro, seduto accanto a te?” lo interroga, sfregando la guancia contro la sua clavicola. Louis gli accarezza i ricci, che sembrano sempre meno intricati man mano che passa il tempo, e “perché a te ho fatto troppo male” dice. “Non voglio rovinarti ancora, hai bisogno di qualcuno di migliore, che riesca ad essere se stesso con te. Lo hai detto tu, H. Mi hai lasciato perché ero diventato un’altra persona, e non sto parlando della questione dei soldi.”
Harry, allora, improvvisamente si districa dalla loro stretta e si alza, le gambe tremanti e il pacchetto di sigarette abbandonato sul marciapiede.
“Ho bisogno di Louis Tomlinson” annuncia ad alta voce, guardando davanti a sé. “E di nessun’altro. Solo di te” mormora poi, il tono che si perde mentre incrocia lo sguardo di Louis. Verde nel blu, blu nel verde, Louis non sta contando e non è perché Harry lo distrae.
“Anche io” confessa, alzandosi a sua volta. “Ma prima devo sapere che sei felice. Non lo eri, con me” aggiunge, avvicinandosi ad Harry e abbracciandolo di nuovo, alzandosi sulle punte per circondargli il collo con le braccia. Sente Harry sospirare mentre lo stringe e nasconde il viso sulla sua spalla. Harry smette di tremare e “quando ti ho detto che volevo restarti amico” borbotta, il tono soffocato dalla stretta, “non ci credevo neanche io. Pensavo: “Come si può essere amico dell’amore della tua vita?”. Lo capisco solo adesso.” Louis lo sente ridacchiare e “che cosa?” chiede, confuso.
“Sai tutto di me. Conosci la mia famiglia, i miei amici, il mio capo –  che non sopporti. Sei il mio migliore amico, Louis Tomlinson. Solo che prima non me ne ero mai accorto. E stavo in silenzio, perché l’unica cosa che non volevo era trattarti male o litigare. Ma sei il mio migliore amico, lo sei sempre stato. Mi dispiace di averlo capito così tardi.”
Harry scioglie l’abbraccio e si strofina gli occhi, ma non ci sono lacrime mentre sorride tristemente e “ti voglio bene, Lou” dice, sinceramente. “Ti amo” aggiunge poi, con una risata. Sembra ancora il diciottenne che ha scritto il primo articolo su Louis Tomlinson mentre lo saluta con la mano e “ci vediamo presto. Salutami Aiden” saluta, sorridendo ancora prima di voltarsi e fare qualche passo verso Soho Square.
“Oh, e—Louis?” chiede, senza girarsi. “Non ti preoccupare, chiamerò Zayn più tardi e sistemerò le cose, se lui collaborerà.” Louis rimane in silenzio, batte le palpebre un paio di volte e rimane in piedi, sul ciglio della strada di un vicolo di Londra per parecchi minuti. Quando si volta per tornare dentro, Aiden è appoggiato allo stipite della porta, le braccia incrociate e lo osserva con sguardo triste e quasi rassegnato.
Uno, due, tre, quattro.
 
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
Louis non è sicuro di quanto Aiden abbia sentito della sua conversazione con Harry, ma deduce che deve essere stato abbastanza, vista la sua espressione scura mentre tornavano a casa. Anzi, mentre Louis tornava a casa, perché quella sera Aiden gli ha chiesto di riportarlo al suo appartamento. Quando si sono salutati, Louis ha sentito l’amaro in bocca mentre lo baciava. Nessuno dei due ha osato parlare di quello che è successo, Aiden non chiama da tre giorni e Louis sa che dovrebbe farsi sentire, da bravo fidanzato preoccupato, ma sinceramente non ha idea di cosa dire. “Scusa, sono ancora innamorato del mio ex” sembra una scusa banale e, per quanto Aiden creda nell’utopia di tutte le cose, anche lui sapeva fin dall’inizio che Harry non se ne sarebbe andato tanto facilmente dalla vita di Louis. Il fatto è che, per quanto si sforzi, Louis senza Harry non funziona.
 
 
Non è sorpreso quando Aiden, dopo una settimana di silenzio, si presenta alla sua porta con la stessa espressione che aveva dipinta sul volto la sera in cui ha conosciuto i suoi amici. Louis lo lascia entrare senza proferire parola e chiude la porta lentamente, voltandosi verso il suo ragazzo. “Ciao” dice, tentando un sorriso. “Vuoi qualcosa da bere? Pensavo di farmi un tè. Possiamo anche guardare un film, ho letto che danno Secrets and Lies su Channel 4.”
Aiden scuote piano la testa e “non rimango” risponde, avvicinandosi al muro e osservando le poche foto incorniciate di Louis. La prima raffigura tutti e cinque i ragazzi che sorridono all’obbiettivo, su una spiaggia della California (era un viaggio pagato dall’università). La seconda è una foto delle sue sorelle, scattata l’ultima volta che le ha viste. La terza è una foto di Harry; in quell’occasione stava preparando una torta e Louis, senza poter resistere, gli aveva tirato della farina in faccia e aveva scattato velocemente la foto. Inutile dire che, una volta salvata la memoria, quella macchina fotografica era finita nella spazzatura, coperta da farina e uovo. “Quando ho visto il tuo primo film” comincia Aiden, senza staccare gli occhi dalle fotografie incorniciate al muro, “mi sono venuti i brividi a pensare che un giorno avrei potuto lavorare con un attore della tua bravura.” Aiden porta un maglione con tre righe orizzontali rosse su sfondo avorio. Louis conta le linee parallele. “E quando ti ho visto sul set, non ho potuto fare a meno di sperare di conoscere il vero Louis Tomlinson, non uno dei tanti personaggi.” E’ tardi quando Louis si accorge che le linee che può contare sono infinite; la sua mente sta già lavorando.
Aiden si volta con un sorriso tirato e “non l’ho mai fatto, vero? Non ci sono mai riuscito” chiede, ma è più un’affermazione che una domanda. “Non so chi sei, Louis Tomlinson.” Ha le mani dietro alla schiena e passeggia per il suo salotto, quell’espressione quasi distaccata ma malinconica dipinta sul volto. Centouno, centodue, centotre linee. “Harry ha detto che sei il suo migliore amico. Ha detto che sai tutto della sua vita, e presumo che lui sappia tutto di te. Io non conosco nemmeno i loro nomi, invece” continua, indicando la foto delle sue sorelle sulla parete.
Louis deglutisce e “Aiden…” sussurra, non sapendo bene cosa dire. Forse non c’è niente che può fare. Le linee si incrociano, adesso, e Louis perde il conto.
“Ho notato che conti i giri del cucchiaio quando mescoli il tè. E’ un’abitudine?” domanda Aiden, riprendendo la sua passeggiata in tondo. Louis fa cenno di no con la testa e, incredibilmente, Aiden sorride. “Lo sapevo.”
Ma Louis scuote ancora la testa e “non è un’abitudine” rivela, “è un bisogno.” Il suo ragazzo – lo è? – annuisce e “l’avevo capito” dice dolcemente. “So anche che probabilmente non hai mai raccontato questa cosa ad Harry. Il personaggio del tuo film non ha bisogno di contare, vero Louis?” Aiden si avvicina e prende entrambe le mani di Louis, portandole sulle sue guance. “Lo senti questo?” gli chiede, fissandolo negli occhi. Louis sta tremando, i numeri si sovrappongono e, dio, non sa più cosa sta facendo. “Questo sei tu, Louis Tomlinson. Non un personaggio inventato da qualcuno, non una stupida maschera. Questo è il tuo viso, questo è il tuo corpo, è la tua vita. Non quella di quel Louis che hai creato nella tua testa. Non fingere di essere una persona che non sei.”
Louis scosta le mani di Aiden dalle sue e “credi che non ci stia provando?” domanda, ostile. “Credi che non speri tutti i giorni di non essere come sono? Di poter essere normale?”
Dio, Louis, nessuno in questo mondo è normale! Guarda me; guarda i tuoi amici! Zayn non dice una parola se non sotto tortura, Niall ciancia di pannolini sporchi e football più di quanto dovrebbe, Liam è, beh, Liam, e credo di averlo capito io in una sera più di tutti voi in non so quanti anni; e Harry? Harry è come un cucciolo di giraffa quando cammina, tenta di fare il duro ma finisce per fare tenerezza a tutti. Io bevo caffè alle tre di notte, il mio colore preferito è il rosso ma sono daltonico e non ho idea di che cosa parlo, quando me lo chiedono! Louis, nessuno è normale.” Louis rimane in silenzio, dopo il discorso di Aiden, lo sguardo basso e la mascella contratta. Il fatto è che ha passato una vita intera ad immaginarsi il tipo di persona che avrebbe voluto essere da grande e non ha mai fatto caso al vero Louis. Sa che Aiden ha ragione, probabilmente lo ha sempre saputo, ma è comunque difficile accettarlo.
“Buttalo via, Louis. Butta via quell’imitazione di te stesso che hai costruito. Non è con quello che ti riprenderai Harry” dice Aiden con un sospiro. “Forse dovrei farti un disegno.”
Louis spalanca gli occhi mentre “riprendermelo?” chiede, come se non fosse sicuro di aver sentito bene. Aiden annuisce e “non dirmi che non hai capito perché ti sto facendo questo discorso, Lou” esclama esasperato. Scuote la testa, ricomincia a camminare ma stavolta a grandi falcate, percorrendo velocemente il suo salotto avanti e indietro, pensando a qualcosa che Louis forse non vuole sapere.
“Aiden” mormora Louis, afferrandogli un braccio. Il ragazzo si ferma e lo guarda in silenzio, incoraggiandolo ad andare avanti. “Mi dispiace” dice. Gli sembra di averne sentiti cento, mille, forse anche di più in questi mesi, pronunciati dalle sue labbra, da quelle di Harry, da Zayn. E’ un vortice senza fine, ma Louis ora ha capito che rimanerci dentro non lo porterà mai da nessuna parte. Così, quando Aiden alza leggermente le spalle e “sapevo che mi avresti fatto soffrire dal primo giorno che ti ho visto” gli confessa, Louis sa già cosa verrà dopo. Louis ha perso il conto ma, adesso, si accorge di avere ancora tempo per rimediare e riordinare le cose.
“Ma te lo dico: è stato un privilegio farmi spezzare il cuore da te, Louis Tomlinson.”
 
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
Frightened by the bite though it's no harsher than the bark
Middle of adventure, such a perfect place to start
(505, Arctic Monkeys)
 
 
 
 
Il divano di Zayn è rotto, quindi Niall dorme nella camera degli ospiti del suo appartamento, che dà sulla strada. A volte Niall dorme con Zayn e Perrie. A volte solo con Zayn. A volte Niall esce alle quattro di mattina per schiarirsi le idee e non torna fino alle undici di sera. Zayn non sa dove vada, durante le sue uscite notturne, e continua a pensare di essere un idiota, ma non fa poi molto per cambiare la situazione.
Ultimamente Zayn ha paura di non vederlo tornare. Quando lo dice a Louis, al telefono, lui ha un tono neutro che non sentiva da quando Harry lo ha lasciato. Gli racconta di come vorrebbe dire a Niall di andarsene ma contemporaneamente ha una paura fottuta che quel momento possa arrivare. Louis capisce più di tutti, ma se ne sta in silenzio mentre Zayn parla. Ed è strano, perché di solito è Louis il logorroico nella loro amicizia; adesso, invece, fa un segno ogni tanto per avvertirlo che c’è ancora e non dice una parola. Zayn si accorge solo dopo aver attaccato che Louis lo ha fatto parlare tanto così da non poter contare tutte le sue parole. Spaventato, da solo nel suo appartamento troppo piccolo per tre persone e troppo grande per una solamente, si chiede se la rottura tra Harry e Louis abbia cambiato anche tutti quelli che gli giravano attorno; la risposta, probabilmente, la conosce da quella famosa sera d’aprile.
 
 
 
Sono le sei di mattina quando il campanello dell’appartamento di Louis comincia a suonare. Louis si è addormentato su una sedia dopo aver parlato con sua madre e le sue sorelle dopo tre mesi di silenzio totale, e non ha difficoltà ad alzarsi. Certo, accompagnando l’azione con parole che Daisy definirebbe “colorate” (non colorite, da notare), ma comunque. Si trascina a piedi pesanti vero la porta, con una mano tra i capelli per sentire almeno in che stato tremendo sono, e apre la porta con un “chi cazzo ti ha fatto entrare?” pronunciato senza vedere chi sta di fronte a lui. Potrebbe anche essere Lady Gaga, per quanto può saperne, o meglio ancora, Macklemore.
Ma se c’è una cosa risaputa a questo mondo, quella è che Louis è sempre e costantemente sfigato; per questo, probabilmente, quando mette a fuoco la testa tinta di biondo che gli sta davanti, capisce che il suo ospite (anche se tecnicamente è ancora fuori dal suo territorio) non è altro che Niall Horan, la maglia del pigiama indossata a rovescio e un paio di jeans così stretti che viene da chiedersi come faccia il sangue a circolargli nelle gambe. Probabilmente sono di Zayn, ma Niall non se ne è nemmeno accorto; se Louis fosse nelle condizioni mentali per farlo, alzerebbe gli occhi al cielo.
Per ora, invece, si limita a “Niall” esclamare esasperato, stringendo la maniglia della porta come se ne dovesse della sua stessa vita. “Che cazzo ci fai qui? Che ore sono, Niall?”
L’altro si limita a fargli un sorriso storto e “Eleanor mi ha fatto una copia delle chiavi non molto tempo fa, perché era preoccupata di trovarti impiccato come Dorothy Hale. Non riuscivo a dormire, comunque, e sono le sei, buongiorno!” dice in tono entusiasta, superandolo con una pacca sulla spalla. Louis chiude la porta con un colpo secco e “Niall” sibila, “Dorothy Hale si è buttata da un grattacielo. Io posso trovare un modo più nobile per morire.” Niall si limita a ridacchiare – perché non esiste un universo in cui Niall Horan non rida di qualsiasi cosa Louis Tomlinson dica – e si butta sul divano, battendo una mano vicino a sé per invitare Louis a sedersi. Cosa che, effettivamente, Louis fa, tenendosi però a debita distanza, sul bordo del cuscino: non ne è certo, ma Niall potrebbe essere ubriaco per quanto ne sa.
“Andiamo, Tommo, vieni qui” sbotta Niall, circondando le spalle di Louis con un braccio e letteralmente tirandoselo addosso, una gamba di Louis sulla sua e la testa sul suo petto. Louis non ci prova nemmeno a ribellarsi, ma piuttosto “che hai?” chiede, forse un po’ troppo acidamente. Sente Niall scuotere la testa gentilmente e “ho bisogno di coccole” dire, stringendo la presa attorno al collo. “Quindi coccolami, Louis Tomlinson. Lo so che serve anche a te una buona dose di dolcezza.”
Louis allora si sistema meglio in braccio a Niall, che stringe le braccia attorno alla sua vita e gli fa appoggiare il capo sulla spalla. Rimangono in silenzio, i respiri che si incrociano, quelli brevi di Louis quasi rincorsi da quelli più profondi di Niall e Niall accarezza il fianco di Louis lentamente. Alla fine è davvero Niall quello che tiene insieme i pezzi e li rimette insieme quando, beh, esplodono.
“Niall?” mormora Louis dopo minuti interi di silenzio. “Davvero, è successo qualcosa?” gli chiede, voltando la testa per incontrare gli occhi di Niall. L’altro, però, scuote la testa e “nulla di così importante” risponde, stringendo la presa attorno a Louis. “A te che è successo?”
Louis imita Niall, ma “perché lo chiedi?” domanda, sentendosi improvvisamente esposto. Ma questo è lo scopo, giusto? Questo è Louis, deve sentirsi così, o la recita comincerebbe da capo. E poi, francamente, dire bugie a Niall è come rubare l’ultima caramella del sacchetto di Harry o far scoppiare il palloncino di un bambino. Atti che ti perseguitano per sempre, insomma.
“Lou” dice Niall, e dal tono sembra quasi preoccupato – sempre che sia possibile, non ci sono testimonianze umane a riguardo. “Siamo amici da anni. Lo so che non mi prendi quasi mai sul serio perché, ok, chi lo farebbe? Non sono esattamente quello a cui ti rivolgeresti per un consiglio o uno sfogo, ma. Sono tuo amico, e ti conosco. Forse tu credi che non sia così ma fidati, forse sono l’unico ad avere capito perché Harry ti ha lasciato – che, per la cronaca, resta un’incognita per tutti, visto che nessuno dei due si è degnato di spiegarcelo.” Niall prende un respiro profondo per calmarsi e “riproviamo” continua, scostandosi solo un po’ per guardare Louis negli occhi, “come stai?”
Domanda semplice. Lineare. Per Louis è l’essenza dell’inferno, invece. Non può rispondere “bene” e lasciar cadere il discorso, perché Niall si irriterebbe ancora di più e Louis, anche se non lo ammetterà mai ad alta voce, non vuole che se ne vada, ma. Non può nemmeno spaventarlo a morte. La verità è che Louis non sa ancora come sta. Dopo che Aiden gli ha sorriso e “ci vediamo alla prima, Lou” gli ha detto, con gli occhi lucidi di chi si trattiene e le iridi colme di parole mai dette, tutto sembra essersi fermato: tiene solo il conto delle ore, dei giorni, delle settimane. Non è che non sta contando, è solo che ha smesso di farlo per aspettare che la sua vita cada ancora più a pezzi. Louis conta per ricostruire, ora.
“Sfuocato” risponde allora, attraversato da un brivido. Sente Niall annuire contro la sua spalla, e torna il silenzio. “Aiden mi ha lasciato” dice poi, chiudendo gli occhi. Non sente bisogno di piangere, ma è più facile ammettere i segreti al buio. Niall trattiene il respiro, abbracciandolo ancora di più e “oh, Lou” esala, “mi dispiace tanto. Mi piaceva, in un certo senso.” Louis ridacchia e “adesso è libero, se t’interessa” gli confida, dandogli un calcetto sulla gamba con il tallone. Niall, come sempre, ride ad alta voce (sono le sei di mattina a Primrose e Niall Horan sta ridendo) ma “non ho tempo per queste cose, mi vogliono in troppi” dice, rassegnato. “Ma davvero, Lou, come hai reagito?”
Louis scuote il capo lievemente e “non posso dire di non averlo previsto” confessa, guardandosi le mani. “E’ durata così poco che non riesco neanche a starci male. Non era una cosa destinata a durare comunque, credo. Mi dispiace solo di aver ferito anche lui.” Niall annuisce ancora, ma “ce l’aveva molto più con se stesso che con te, Tommo” gli dice, e Louis capisce che non sta parlando di Aiden, adesso. “Avresti dovuto vederlo una delle prima sere. Girava in tondo nel nostro salotto con le mani tra i capelli, non riuscivamo a calmarlo” racconta, il sorriso sulle labbra e gli occhi quasi nostalgici, che Louis non può vedere. “Dai, spostiamoci da questa posizione” borbotta improvvisamente, togliendosi Louis di peso dalle gambe. Si sdraiano sulla penisola del divano perché Niall va dicendo di essere stanco e che, comunque, non ha ancora dormito. Così stanno di nuovo in silenzio, i nasi che si sfiorano e il braccio di Niall che circonda il fianco di Louis, mentre quello di Louis è sollevato, una mano tra i suoi capelli ossigenati.
“Sai, ho sempre pensato che tu e Harry foste una certezza” mormora Niall in tono roco. “Credevo che sareste rimasti HarryeLouis per tutta la vita. Era una delle poche cose su cui potevo giurare senza preoccupazioni, perché, dio, eravate voi due contro il mondo fin dall’inizio, e invece di allontanarvi, sembrava che vi avvicinaste ogni giorno di più.”
“Lo credevo anche io” gli dice Louis, un sorriso amaro dipinto sulle labbra. “Invece guarda dove sono ora: da solo, in un appartamento che odio, ho sentito mia madre dopo mesi di assenza e le ho quasi fatto venire un infarto e i miei amici non sanno neanche da che parte stare, per colpa mia.” Niall gli accarezza piano il fianco e “smettila, Lou” gli sussurra, “non ci siamo mai schierati. Abbiamo sempre pensato che si sarebbe aggiustato tutto, alla fine. Lo pensiamo ancora. Tutti quanti.” Niall sospira e fa un sorriso storto prima di chiudere gli occhi e “guarda me, piuttosto” dire, così piano che Louis non è sicuro di averlo sentito. “Sono in giro da tutta la notte perché il ragazzo che amo ha finalmente fatto la sua scelta e io adesso non so bene cosa dovrei fare.” Louis spalanca gli occhi e “ti ha buttato fuori di casa?” chiede, spaventato. Non sarebbe una mossa alla Zayn Malik, ma niente di quello che succede ultimamente è molto in-character, per chiunque. Niall, però, ride e scuote la testa, le palpebre ancora abbassate; il sorriso è sparito. “L’ha lasciata. Perrie, intendo. Zayn ha lasciato Perrie.” Si interrompe un secondo, mordendosi il labbro e “beh” si corregge, vagamente accigliato, “in realtà Perrie ha lasciato Zayn. Mi ha intimato di fare la mia mossa, ma Zayn sembra esserci rimasto molto male e io non sono mai stato bravo a giocare a scacchi.” Niall giocherella per qualche istante con il bordo della tshirt di Louis e “cosa farai ora?” chiede guardandolo dritto negli occhi.
“Vorrei riprendermelo, cambiare casa, fare una pausa dal cinema forse. Mi serve solo più tempo” risponde Louis grattando piano lo scalpo di Niall. “Non sono sicuro di quanto sia disposto ad aspettarmi, ma io non ho ancora finito di aggiustarmi.”
Niall e Louis non fanno discorsi seri. Mai fatti, mai pensato di farli. Forse è perché Niall ride letteralmente ad ogni respiro di Louis, forse perché sono così simili che non riescono a trovarsi. Controsenso. Ci sono state delle sere in cui hanno parlato tanto – Londra, primo appartamento, Harry si era fermato da Nick per la notte – e hanno davvero cominciato a conoscersi meglio, ovviamente. Sanno, comunque, che i paroloni e gli incoraggiamenti non fanno per loro. Louis non saprebbe mai come aggiustare un’altra persona, quasi non riesce a farlo con se stesso. Niall è decisamente troppo entusiasta per vedere il lato cattivo delle situazioni, e non saprebbe quindi capirle a pieno. Forse è per questo che adesso si sentono entrambi frastornati da questa improvvisa vicinanza, ma non dispiace a nessuno dei due. E poi le coccole servono a tutti.
“Potresti andartene per un po’” suggerisce Niall disegnando distrattamente cerchi immaginari sul fianco di Louis. Potrebbe anche sembrare un gesto intimo, ma Niall e Louis sono così abituati che non ci fanno nemmeno caso. Louis, giusto per ricordarlo, non sta contando e ne è segretamente contento. Più o meno.
“Come?” chiede, sbattendo le palpebre lentamente. “Andare dove?”
“Via, Lou. Andartene da qualche parte lontano da questa città” risponde Niall, evidentemente agitato. “Non credo che rimanendo qui, con Harry sempre presente, riuscirai a portare a termine qualcosa. Questi mesi ne sono stati un po’ la conferma, no?” No. No, perché in questi mesi Louis ha finalmente capito perché, e ok, ci è voluto un po’, ma ha cominciato ad accettare la persona che è e non quella che vuole essere. Forse però, solo forse, Niall ha ragione; Louis si sente soffocare a Londra, ha paura di incontrare Harry ovunque, non risponde nemmeno più ai suoi messaggi, ha almeno quattrocento notifiche su Facebook che non ha intenzione di guardare. Forse andare via gli farebbe bene. “Sembra quasi che tu mi stia buttando a calci in culo fuori dall’Inghilterra, Niall” dice, mettendo il broncio. Niall ride (strano) e “no, Tommo” lo corregge, “non vorrei che te ne andassi per nessuna ragione al mondo, di norma.” Fa spallucce (da sdraiato, attenzione, Niall Horan il mollusco) e “credo sia solo per il tuo bene. E quello di Harry, se vogliamo dirla tutta” continua, accarezzando con il pollice la pancia abbronzata dell’amico. Louis rimane in silenzio, un’espressione pensosa dipinta sul volto. Si addormentano così, e Louis sogna aerei, un mare di numeri e l’Empire State Building in lontananza, dove non ci sono cifre e conti.
 
 
 
Louis sta provando a stare bene, ora, e conta solo il minimo indispensabile. Ha dimenticato da quanti giorni Harry lo ha lasciato, ma adesso ha un obiettivo così nitido che può anche trascurare il tempo che passerà prima di averlo realizzato: ora Louis prova a stare bene per Harry, ma anche per se stesso.
 
 
 
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
Eleanor gli dice che è “un coglione egoista, come pensi che possa fare a spostare tutta la tua vita oltre oceano in due settimane?” quando Louis le racconta la sua proposta di trasferirsi a New York. Ha già trovato l’appartamento, la informa, la Columbia gli ha offerto di tenere un corso sulla vera vita di un attore e tutti i sacrifici che i ragazzi dovranno sopportare che dovrebbe durare sei mesi e poi, beh, c’è quel grosso affare di “City of Bones” che è ambientato a New York. Eleanor gli chiede perché vuole andarsene; Louis le dice che la risposta la conoscono tutti. Così Louis comincia ad impacchettare le sue cose e trova l’ultimo ricordo di Harry (anche se sospetta ce ne siano altri): è una collana d’argento con il ciondolo a forma di aeroplano. Louis lo ha anche tatuato sul braccio, ricorda persino di aver letto un articolo di Sugarscape in cui facevano notare a tutti che la “royal couple” aveva un simbolo. Non pensa nemmeno per un attimo a riportarla ad Harry; non conta, la infila al collo e la stringe, il metallo freddo contro le sue dita tiepide, quasi fosse una presenza viva. Sembra pulsare contro il suo petto, e Louis ne è in qualche modo felice. Zayn lo ha chiamato tre volte, Liam ha chiesto gentilmente ad Eleanor di dirgli che avrebbero piacere di vederlo e Harry gli ha mandato un numero imprecisato di messaggi che Louis non ha letto. Non sarebbe un problema vedere i suoi amici, ma sa che poi prenderebbe l’aereo per New York con il senso di colpa ad attanagliargli il petto.
 
E’ novembre quando Louis smette definitivamente di contare il passato e, con un borsone di pelle in spalla, si imbarca al gate 6 dell’Heathrow Airport di Londra. Nessuno sa che se ne sta andando, e probabilmente è meglio così. Si guarda indietro solo una volta, ma non si aspetta che qualcuno gli corra incontro con le lacrime agli occhi (nei film la fanno facile, ma tutti gli innamorati dove le trovano delle finte carte d’imbarco per raggiungere la loro metà prima che parta?) e probabilmente nemmeno vuole che arrivi. Eleanor, i boccoli castani che le incorniciano il viso delicato, “sei pronto?” gli chiede, quando arriva il loro turno. Louis annuisce e ride di cuore quando “avrai dimenticato qualcosa, già lo so” borbotta lei, trascinando il suo trolley rosa nuovo di zecca lungo le scale che portano all’aereo. Louis la riprende dolcemente, “hai davvero così poca fiducia in me, El?” chiedendo con un finto broncio. Eleanor sospira teatralmente e “non l’ho mai avuta, fiducia in te, ma guarda dove ci ha portato” risponde, incrociando il suo braccio con quello abbronzato di Louis. “Stiamo prendendo un aereo per New York, ho dovuto cercarmi un appartamento nuovo e spiegare a mia madre perché sto andando in America con il mio ex-ragazzo gay. Tutto questo per far star meglio il suddetto individuo. A volte mi chiedo anche perché sono diventata il tuo agente, Lou” continua poi, acidamente, ma c’è un piccolo sorriso dipinto sulle sue labbra. Louis scuote la testa e “mettiamola così” dice, “non saresti l’agente più figa del mondo con un conto in banca più vasto di chi fa il tuo lavoro da anni. E poi, beh, non saresti l’agente dell’attore più sexy del mondo, ammettiamolo.” Eleanor alza gli occhi al cielo, ma sta ancora sorridendo. Anche Louis si sente più leggero, se non pensa che sta lasciando indietro le persone che riempiono la sua vita. Okay, forse un po’ ci pensa. Solo un poco. Forse di più.
“Sicuro di non volerli avvisare?” chiede Eleanor quando una hostess li fa accomodare ai posti 20 e 21 della prima classe e “desiderate qualcosa da bere, signori?” chiede, ancora prima che si siano accesi i motori. Louis scuote la testa, rivolge un sorriso alla ragazza, che si dilegua velocemente, e “per farmi incatenare di nuovo a questa città? No grazie” mormora ad Eleanor. Volta la testa verso il finestrino mentre lei gli stringe piano il braccio. Rimangono in silenzio, il chiacchiericcio vivo delle persone sedute intorno a loro a fare da sfondo.
Solo quando una voce frettolosa “Signori, vi preghiamo di spegnere i cellulari” annuncia, Louis sente la sua bolla di finto ottimismo che scoppia. Si è nascosto di nuovo dietro un sorriso (forse più vero degli altri, ma comunque finto) ma ora se ne rende subito conto. Quindi, mentre Eleanor litiga con il tasto del tuo Samsung S IV (“Come cazzo si spegne questo coso e perché non ho tenuto il mio magnifico iPhone?”) Louis scorre i contatti e apre la conversazione di Harry. Coglie di sfuggita qualcosa come rispondi e ti prego, ma ignora tutto e scrive velocemente una semplice parola. Spegne il telefono subito dopo e stringe con entrambe le mani di braccioli del sedile. Prende un respiro profondo prima di chiedere ad Eleanor “resti da me stasera, per favore?” con voce sottile. L’aereo si solleva lentamente, Louis tiene gli occhi chiusi, non conta e pensa per l’ultima volta ad Harry Styles.
 
 
 
 
Louis Tomlinson (1 November 2020 6:27 AM)
 
Hi.
 
 
 
 
 
 
 
***
 



Maybe in five or ten
Yours and mine will meet again
Straighten this whole thing out
Maybe then honesty need not be feared as a friend or an enemy
But this is the distance
And this is my game face

(Vienna, The Fray)
 
 
 
 
 
 
 
Se si chiede a Louis Tomlinson cosa ne pensa della sua vita, lui al novantotto percento delle possibilità risponderà con un calmo ed imperturbabile “sono molto riconoscente verso le persone che mi hanno fatto diventare chi sono; la mia vita va bene, è un incastro perfetto di eventi ed è tutto quello che saprete da me” e un sorriso di circostanza. Chiunque a New York spera di essere abbastanza fortunato da trovarlo seduto in uno dei tanti (troppi) Starbucks di Broadway mentre sorseggia pigramente un Earl Grey Tea Latte (“Dio, Eleanor, la tua caffetteria del cazzo non ha un tè decente!”) e legge distrattamente il copione o gli appunti per il corso dell’università. Praticamente tutti, in città e, beh, nel mondo, sanno chi è Louis Tomlinson. In un anno è riuscito a farsi conoscere ovunque, il film con Aiden è stato un successo, tutti i giornali hanno almeno un inserto a lui dedicato. Non è mai tornato nel Regno Unito, da un anno a questa parte. Ha cambiato numero di telefono; non apre più Facebook; se i suoi amici hanno tentato di trovarlo in qualche modo, hanno sicuramente fallito (e, ok, Louis si sente in colpa, ma oggettivamente è stato l’unica soluzione possibile). Ha smesso di contare quasi totalmente (non è sicuro che riuscirà mai a non farlo, ma lo ha accettato); lui ed Eleanor hanno aggiustato quello che c’era di rotto e mai riparato dopo quella famosa telefonata e sono abbastanza convinti di essere amici, ora; Louis non ha notizie dei suoi amici da più di un anno, ma è troppo impegnato per pensarci. Lo scopo, in fondo, era proprio quello. Gli mancano le sue sorelle, anche se le vede su Skype tutte le settimane; gli manca la torta al caramello e cioccolato di Costa. Louis sente la mancanza delle piccole cose importanti (se un dolce ipercalorico può essere considerato tale); preferisce non ricordarsi che, nel profondo, Harry gli manca più di tutti. Louis si sta aggiustando, davvero. Ha solo bisogno del coraggio di accettare il cambiamento. Niente più numeri, niente più nascondersi. Solo Louis Tomlinson, i capelli troppo lunghi – un po’ come gli zeri del suo conto in banca - la collana che porta sempre al collo e amicizie strette quasi di sfuggita. Una vita troppo veloce, forse, ma almeno non più dettata da cifre infinite.
 
Quando si dice che tutti conoscono Louis, deve essere inteso alla lettera: non c’è un giorno che possa passare senza almeno un’intervista, venti o trenta autografi (non che Louis sappia quanti ne firma, sia chiaro) ed altrettanti volti bagnati di lacrime di felicità. Su Twitter ha più followers del geniale ragazzo dai capelli rossi (si è scoperto poi che era niente meno che Ed Sheeran, sette milioni di followers, un numero imprecisato di EP, la sua chitarra sproporzionata e la voglia di suonare in un posto qualsiasi senza essere riconosciuto) e legge di ragazzine che lo ringraziano per avere salvato le loro vite. Ci prova, ad immaginarsi come Louis Tomlinson abbia potuto tenere in vita un esercito di adolescenti, ma poi capisce che sono sempre i personaggi che interpreta. Il Louis delle telecamere le ha salvate, come gli fa notare Eleanor una sera, mentre è intenta a mettersi lo smalto sul divano di pelle da ottomila dollari di Louis. “Credo che trovino confortante anche solo la tua esistenza, e quella di tutta la gente che hai finto di essere” continua poi, soffiando sulle unghie appena verniciate. Louis si limita a scuotere la testa, ancora confuso. Probabilmente solo chi lo vive da fuori può capirlo meglio. Louis non si lamenta, in ogni caso.
Eleanor gli chiede dei suoi amici, a volte, e lascia intendere che Niall probabilmente la tartassa ancora di messaggi, ma non insiste sull’argomento. Sostiene solo che “dovresti smetterla di trovare solo persone effimere, Lou” e che, comunque, “la tua vita è qui, no? Cazzo, c’è gente che fa la fila per conoscerti, ma non rivolgi mai più di due parole a chiunque. Siamo esclusivi, ma così diventiamo misantropi, tesoro.” Il fatto è che tutti vogliono essere amici di Louis Tomlinson, ma se glielo chiedesse, nessuno saprebbe dirgli un vero perché. Per questo, quindi, nessuno può proclamare di essere finalmente nella ristretta cerchia di amici di Louis.
Aiden lo chiama ancora. Gli chiede sempre come sta, e Louis risponde sempre che sta bene. Gli chiede se conta ancora; ogni volta, Louis gli dice di no. Parlano di lavoro, del nuovo ragazzo di Aiden – un certo Tom Daley di cui Louis ha sentito parlare poche volte – e di come non vedono l’ora di incontrare l’attuale nazionale spagnola. Aiden gli dice che è a New York, a volte, e Louis gli propone sempre di uscire con tono allegro e leggero. Aiden racconta che Niall gli ha chiesto l’amicizia su Facebook per avere notizie, e che ha visto tutte le foto dei suoi album (“Non ci credo, ha anche un album solo di foto tue! Di che gente ti circondavi, Tomlinson?”). Louis, in quell’occasione, ride come non faceva da tempi lontanissimi, tenendosi lo stomaco con un braccio e seppellendo il viso nell’incavo dell’altro. Quando si separano, Aiden gli dice sempre di non sparire; Louis promette di non andare da nessuna parte.
Nessuno, comunque, si azzarda a nominare Harry Styles.
 
 
 
 
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E’ dicembre quando Eleanor lo informa dell’ultima intervista dell’anno per Elle, e non sembra contenta. “Mi hanno detto che manderanno uno assunto da poco; ho provato a spiegargli che sei Louis Tomlinson e serve competenza, anche perché abbiamo un’immagine da mantenere, ma non c’è stato verso. Pare che questo novellino abbia insistito per avere l’incarico” gli dice al telefono, i rumori del traffico newyorkese a fare da sottofondo e a disturbare la conversazione. “Giuro che se è uno che balbetta o non riesce a mettere due parole di fila lo sbatto fuori a calci” borbotta poi, e Louis sorride mentre fa scorrere le grucce dell’armadio in cerca di una camicia. “El, hai ancora quella camicetta bordeaux che mi hai prestato ad ottobre?” le chiede, per nulla turbato dalla storia della sua agente. Louis chiude un’anta di scatto mentre Eleanor “no, l’ho bruciata” risponde stizzita. “Non sei preoccupato?”
Louis scuote la testa, prima di ricordarsi che no, Eleanor non può vederlo, e “perché dovrei?” domanda, quasi ironico, buttandosi supino sul letto. “Solo perché è stato appena assunto non vuol dire che sarà nuovo anche nel suo lavoro, giusto?” dice. “Aspetta, era inglese quell’ultima frase?” aggiunge poi, dubbioso. Eleanor sbuffa. “Aspetto il giorno glorioso in cui troverò qualcosa che ti faccia incazzare come il vecchio Louis” sbotta, chiudendo di scatto la comunicazione. Louis, tranquillissimo, prende una camicia turchese a maniche corte e si mette a cercare un paio di pantaloni. Cinque minuti dopo, He likes boys di Simone Battle risuona nella camera da letto, leggermente soffocata dalle lenzuola disfate dove Louis ha gettato il cellulare. “Eleanor?” risponde, leggermente esasperato. Dall’altra parte della linea, la sua agente “Bluebird Coffee, East Village. Ti mando un messaggio con l’indirizzo esatto, anche se ho già avvertito Paul di passare a prenderti. Già il fatto che voglia fare l’intervista in un coffee shop nel Lower East Side la dice lunga, santo cielo. Potevate anche farla a Brooklyn, per quello che vale!” annuncia drammaticamente con un gran sospiro. Louis scuote di nuovo il capo con un piccolo sorriso sulle labbra e “Blair Waldorf, hai bisogno di una vacanza, honey” le dice bonariamente, afferrando un paio di jeans blu scuro. Eleanor, per tutta risposta, interrompe di nuovo la chiamata.
 
Il caffè è praticamente vuoto quando Louis entra con le mani in tasca, dopo aver assicurato a Paul che sì, starà attento e no, non ha bisogno del bodyguard, e si guarda intorno, leggermente spaesato. Ci sono due ragazze bionde sedute in un angolo, che ridono per qualcosa che hanno appena letto su un vecchio  cellulare, le tazze ancora fumanti di cioccolata calda davanti a loro. A due tavoli di distanza, con un giornale di spettacolo aperto sulle gambe e un computer che ad occhio e croce ha ancora Windows XP, c’è un uomo sulla quarantina leggermente stempiato e, uh, sta indossando una giacca arancione. Il barista è dietro il bancone e canticchia mentre sistema dei muffin appena sfornati sul secondo ripiano della vetrina dei dolci; porta un grembiule blu scuro con il logo del locale stampato in bianco  con insolita cura. Il suo sorriso è genuino mentre, a ritmo con una canzone che arriva in sottofondo da qualche parte che fa più o meno “If the time could turn us around / What once was lost may be found / For you and me, for you and me”, scuote i boccoli biondi e canticchia a bocca chiusa. Seduto all’unico tavolo leggermente nella penombra della stanza, infine, c’è un ragazzo che non può avere più di venticinque anni, un berretto di lana grossa dello stesso colore della camicia di Louis tirato sui capelli, un taccuino di pelle (davvero?) appoggiato accanto alla sua mano, sul tavolo. Tamburella con le dita sulla copertina, mentre aspetta, e anche da dietro Louis vede che è leggermente nervoso. Fun fact about the new Louis Tomlinson: ha imparato ad allentare la tensione. Sorride, quindi, mentre si avvia disinvolto verso di lui. L’uomo del computer lo riconosce, al suo passaggio, perché Louis lo sente trattenere il respiro e “buon Dio” sussurrare incredulo. Le ragazze non lo degnano di uno sguardo, ma Louis riesce a captare il loro discorso, ed è una cosa del tipo “e io dovrei accamparmi due giorni sulla quarantanovesima per vedere una boyband? Sul serio?” e Louis non è sicuro di voler sapere di più. Il ragazzo dietro al bancone gli chiede se desidera qualcosa; Louis, in tono allegro, “un tè bollente con poco latte” gli dice. Arrivato alle spalle del presunto giornalista, piega la testa di lato e “scusi” comincia, sicuro di sé. “Il giornalista di Elle, giusto?” gli domanda, sfoggiando il migliore dei sorrisi. Eleanor dice sempre che la sua fama è nelle mani giornalisti e che, quindi, deve sempre mostrarsi gentile. Louis non obietta, ma quando può non rispetta mai la regola.
Il ragazzo si volta lentamente, prima con il capo e poi con tutto il busto, e sul suo viso c’è il più grande e luminoso dei sorrisi che Louis abbia visto da un anno a questa parte. Davanti a Louis, un vecchio eskimo beige appoggiato alla sedia e il maglione bianco indosso, c’è nientemeno che Harry Styles. Forse ora Louis si permette di andare nel panico. Solo un po’.
“Harry” esala, con gli occhi spalancati e le mani che si stringono d’istinto spasmodicamente. Harry lo guarda come si guarda il più brillante dei pianeti di notte, come se d’un tratto fosse tornato il sole dopo una lunghissima giornata di pioggia. Dio, Harry lo sta guardando come se Louis fosse l’unica ragione per cui la Terra gira ancora. “Cos—che ci fai a New York?” chiede, senza riuscire a trattenersi, gli occhi che viaggiano lungo tutta la sua figura. Harry si alza, allora, e con quel sorriso che fa concorrenza alle vetrine di Tiffany, “hi” mormora, sopraffatto dall’emozione. Un attimo dopo sta stringendo Louis tra le braccia, e Louis si aggrappa a lui come se fosse l’unico modo per sopravvivere. Profuma ancora di Blue Chanel, Harry, e probabilmente usa ancora lo stesso shampoo che compravano sempre quando stavano insieme. Louis ha le lacrime agli occhi, ma per una volta è felice e non ha paura di mostrarlo. Si separano dopo attimi infiniti e solamente dopo aver assicurato a se stessi che sì, sono davvero in un coffee shop anonimo di New York, l’uno nelle braccia dell’altro, respirando la stessa aria (ok, forse questo lo facevano anche quando Harry era nel Regno Unito, ma, per dirla alla Zayn Malik, whatever). “Cosa ci fai qui?” domanda di nuovo Louis, una volta strofinatosi gli occhi. Quando Harry parla, il suo tono di voce è, se possibile, ancora più roco di come lo ricordava, ed è il suono che probabilmente gli è mancato più di tutti. “Ci lavoro” risponde, mostrano le fossette che nonostante gli anni sono sempre lì, a renderlo bellissimo agli occhi di Louis. “Senti, finiamo  in fretta l’intervista, d’accordo?” dice Harry, ed è a tanto così dall’ansimare a causa della gioia. Un po’ come i cani, insomma. “Ti faccio le stupide domande che mi hanno detto di farti e poi… posso invitarla a prendere un caff—un tè con me, Mr Tomlinson?” chiede, sgranando quei dannati occhi perennemente lucidi e facendo un sorrisetto speranzoso. Louis, ovviamente, si deve mordere il labbro per impedirsi di squittire perché, andiamo, Harry è la cosa più adorabile del mondo quando domanda qualcosa. Quando “okay” gli risponde, semplicemente, Harry sorride raggiante e gli indica la sedia di fronte alla sua. Questa sarà una lunghissima intervista.
 
 
 
 
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Harry gli chiede del suo lavoro, dei film che ha girato, di cosa ha in programma per il futuro. Dice che è per la rubrica Spettacoli e che probabilmente, conoscendoli, lo chiameranno all’ultimo minuto per un servizio fotografico. Gli chiede cosa gli è piaciuto della sua vita fino ad ora, e Louis sa che intende il suo percorso nel mondo del cinema, ma non può fare a meno di pensare “tu”, segretamente. Louis lo informa di tutte le celebrità che ora conosce, borbotta aneddoti che saranno sicuramente parafrasati totalmente diversi e sorride molto. Harry gli chiede se può avere una foto con lui. Louis ride e “sono abbastanza sicuro di avere almeno un centinaio di selfies di noi due, sul mio telefono, Haz. E sono anche certo che tu e la tua passione per Instagram me ne avete strappate altrettante, no?” Harry scuote il capo e “non sono mai troppe” afferma, ma sta sorridendo genuinamente come Louis non lo vedeva fare da, tipo, molto più di un anno. Harry gli chiede delle sue sorelle, della borsa di studio per la Julliard che Lottie ha ottenuto in anticipo e del nuovo marito di sua madre. “Credevo che fosse un’intervista su di me, questa?” scherza Louis, dando un piccolo schiaffo alla mano di Harry. Lui, però, sorride ancora (Louis si sente una divinità quando riesce a far comparire quelle dannate fossette) e “sono parte di te, è sempre di te che si parla” decreta, concentratissimo, senza alzare lo sguardo dal foglio. Louis, allora, “quindi dovresti intervistarti da solo o chiedermi di te, giusto?” azzarda con un ghigno storto, ma in risposta ottiene solo uno sguardo eloquente che sembra dire “stiamo lavorando”. Che lavoro sia, dunque.
Harry racconta che le domande gliele ha passate il direttore del giornale in persona, un tale Simon Cowell che Louis conosce solo per sentito dire. “Mi ha detto di aggiungerne solo due o tre mie, quindi direi che ci è rimasta un’ultima domanda, Lou” spiega, scrivendo qualcosa distrattamente sul suo taccuino (“Harry, un cliché più spudorato di quello non c’è, giuro”). Louis annuisce e lo incita silenziosamente, bevendo l’ultimo sorso di tè che il ragazzo biondo gli ha portato mentre canticchiava qualcosa che diceva “I’ve got two tickets for Iron Maiden, babe / Come with me Friday, don’t say maybe” e che Louis ricorda vagamente di aver sentito alla radio. Harry, alzando lo sguardo e incatenandolo a quello di Louis, “sei felice?” gli chiede, e il suo tono professionale è sparito. In questo momento non sono più Harry Styles, giornalista di Elle, e Louis Tomlinson, attore di fama mondiale; adesso sono solo Harry e Louis, centomila ricordi felici e non, otto appartamenti condivisi, troppi ti amo sussurrati tra lacrime di gioia e tristezza. “Credevo che tu ed Harry foste una certezza” gli ha detto Niall quella volta. Louis, seduto davanti al ragazzo troppo cresciuto, i ricci che stanno svanendo quasi dolcemente sotto il berretto e gli occhi più verdi che mai, sta ricominciando a crederlo.
“Non c’è una risposta precisa. Ci sono momenti in cui penso di aver sbagliato tutto; sto a riflettere su come è cambiata la mia vita dopo il liceo e mi dico che forse non ne vale la pena, di continuare questa vita. E’ difficile, non lo nascondo a nessuno e credo che tutti lo intuiscano. E’ molto, molto difficile, a volte strano, a volte anche doloroso. Poi, però, mi accorgo di quanto sono fortunato. Nel corso degli anni ho avuto amici che mi sono stati vicini, nel bene e nel male – soprattutto nei miei, di mali – e ho realizzato il mio sogno. Anzi, i miei sogni.”
“E quali sono – o erano – i tuoi sogni, Louis?” domanda Harry, tutto un sorriso e occhi lucidi alla sua risposta. Louis si sente quasi fiero di se stesso per essere riuscito a non farsi odiare da Harry, nonostante tutto. Non potrebbe sopportare anche solo il pensiero, sinceramente.
“Diventare un attore; farmi conoscere dalla gente, far sì che la gente sappia chi è la persona che interpreta il suo personaggio preferito; avere una famiglia unita nonostante la fama - e qui dovrei parlarti di tutta la merda che il The Mirror scrive su di me, anche se ho lasciato l’Inghilterra; avere degli amici fedeli; essere una persona migliore ogni giorno, ogni ora e ogni minuto di più; accettarmi; trovare la mia anima gemella.” Louis fa una pausa per riprendere fiato e vede gli occhi di Harry che si riempiono di lacrime. “Vuoi uno scoop, Harry Styles?” chiede, stringendo leggermente la tazza ancora tiepida. Harry annuisce e Louis, verde nel blu, blu nel verde, niente numeri, “ho già ottenuto e realizzato tutte queste cose” rivela, sorridendo apertamente. “E sono più che felice, in questo esatto momento. Questo, se vuoi, puoi anche metterlo nell’intervista.”
 
 
 
 
 
 
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Finiscono nell’appartamento di Louis e sanno entrambi che Harry non dovrebbe essere lì, ma non gliene importa più di tanto (“Sicuro di non dover lavorare?” – “No, mi hanno dato la giornata libera, tranquillo Lou”); Paul alza gli occhi al cielo quando, tra risatine da adolescenti al loro primo appuntamento, Harry e Louis salgono in macchina. “Dove vi porto, Louis?” gli chiede, guardandoli con le sopracciglia alzate. “Casa mia” risponde frettoloso lui, e si immerge in una conversazione sull’ultima collezione di Armani con Harry finché non arrivano a destinazione. Louis chiama Eleanor mentre Harry, ridacchiando, tiene il mazzo di chiavi in alto, lontano dalla presa del proprietario e “apro io, nanetto” sibila, una scintilla di divertimento negli occhi verdissimi. Louis ride ancora mentre il telefono fa uno, due, tre squilli a vuoto. “Eleanor non risponde” afferma quasi serio mentre guarda Harry che armeggia con la serratura, la lingua tra i denti per la concentrazione e sta solo aprendo una porta, non è normale che Louis lo trovi così adorabile. Quando finalmente riesce nell’impresa, “vivremo senza sentire la sua voce per un pomeriggio” dice Harry, abbassando la maniglia e spalancando la porta con un gesto agile e veloce. Fa un passo nell’appartamento e Louis lo osserva mentre fa correre lo sguardo ovunque con un piccolo sorriso sulle labbra (seriamente, perché sono sempre così rosse?). Harry fa una giravolta a braccia spalancate e chiude gli occhi con un’espressione contenta dipinta in viso. Annusa l’aria, prende respiri profondi e si lascia inebriare dall’essenza di Louis. “Quando sei diventato così stronzetto?” chiede il padrone di casa con un sorriso storto. Harry fa ancora un giro e “sarà la mia nuova confidenza verso la gente” risponde, gli occhi ora spalancati e rivolti al soffitto. Louis scuote la testa incredulo e “non posso immaginare un mondo in cui Harry Styles è spavaldo” decreta, chiudendosi la porta alle spalle con un tonfo. Harry sorride, allora, e Louis non lo ha mai visto più splendente: ha le guance arrossate dal freddo di dicembre, gli occhi che brillano di una felicità tutta nuova, le fossette non sono scomparse per un solo momento e, davvero, la voglia di baciarlo non è mai stata più forte di così. Lo guida verso la cucina e Harry si siede sul bancone con grazia quasi femminile, le mani appoggiate alle cosce e il cappotto ancora indosso. Louis si avvicina e glielo sfila come si fa con i bambini, una manica alla volta, le ginocchia di Harry appoggiate ai suoi fianchi. “Vuoi darmi anche quello?” chiede, indicando il berretto turchese. Harry scuote il capo e, prima che possa allontanarsi, si sporge in avanti e lascia un bacio delicato sul naso di Louis, sorridendo timidamente. Gesù, Louis si sente di nuovo un dodicenne alle prese con la sua prima cotta, ma ridacchia e accarezza con il pollice la guancia di Harry. “Vai pure in salotto, kitten” mormora Louis, allontanandosi senza mai dare le spalle ad Harry.
E sì, d’accordo, quando sta sistemando il vecchio eskimo su una gruccia del guardaroba forse si concede un momento di panico. Non sa perché ha invitato Harry, non sa perché Harry ha voluto fare l’intervista a tutti i costi e, soprattutto, non ha la minima idea di come comportarsi. Louis, le guance che arrossiscono al solo pensiero di quello che è appena successo (dodicenne), sa solo che ha bisogno di alcune risposte.
 
 
 
 
Harry sta armeggiando con la televisione quando Louis compare sulla soglia del salotto. “La pubblicità diceva che sono disponibili più di novecento titoli ma, Lou, io non trovo un cazzo qui” si lamenta, voltandosi con il broncio verso Louis. Si è già tolto le scarpe (ha ancora quei logori stivali marroni che Louis gli ha regalato al loro secondo appartamento londinese) e ha due camicie sotto il maglione avorio. Sembra anche che Harry possieda solo un paio di jeans neri, perché sta indossando quel famoso paio comprato a Manchester, che ora ha anche degli strappi sulle ginocchia mai rattoppati. Gli allunga il telecomando con espressione scontenta e si lascia cadere sul divano, incrociando le braccia. Louis ride e “lascia che faccia la mia magia e osserva, fanciullo” gli dice, sedendosi di fianco a lui. “Vogliamo guardare un cartone animato? Bambi? Oppure Love Actually, magari?” continua, divertito. Harry si imbroncia ancora di più e “smettila di prendermi in giro” borbotta piano, allontanandosi un poco da Louis. Poi, in un sussurro quasi inudibile, “guardiamo The Sound of Music?” domanda, tenendo lo sguardo fisso sulle ginocchia. Louis sbuffa e “no” risponde, secco. “Non ho intenzione di sorbirmi quel film un’altra volta, Haz” dice, facendo scorrere una lista di titoli che conosce ma non ha mai visto in vita sua. “E’ onestamente la cosa più melensa che potevi tirar fuori, e io non voglio nemmeno pensare al fatto che quella è Julie Andrews. Mi rifiuto categoricamente.”
Harry si avvicina, allora, e balza a quattro zampe sui cuscini del sofà, gli occhi sgranati e lucidi, il labbro inferiore all’infuori. “Louis” lo prega, sbattendo le ciglia lentamente, “per favore. Please. S'il vous plaît, Por favor. Vänligen. Posso dirlo in altre tre lingue, se necessario.”
Jolie, nous ne regardons pas ce film” afferma l’attore, deciso. Si sentono dei rumori in cucina, segnale che il l’acqua del tè è quasi pronta. Harry sbuffa e “tu parli bene l’italiano” borbotta, “quindi non t’improvvisare di altre nazionalità.”
“Ti prego, guardiamolo, è passata un’eternità dall’ultima volta!” prova di nuovo, le mani incrociate come in preghiera e lo sguardo supplicante. Ma Louis, scuotendo la testa, “mi hai anche lasciato, nel frattempo” mormora, senza riuscire a trattenersi. Harry, alla sua affermazione, sospira e con sguardo triste torna a sedersi, sibilando qualcosa che Louis non coglie. Louis si volta per guardarlo e, sospirando pesantemente a sua volta, sceglie il film. “Poi non dire che Louis Tomlinson non è una persona generosa, nel tuo cazzo di articolo” borbotta mentre le note familiari della canzone The Sound of Music risuonano nell’appartamento. Harry adesso sta sorridendo, anche se Louis non lo vede.
 
 
 
 
“Come sei finito ad Elle?” sbotta Louis mentre i ragazzini intonano Do-Re-Mi sul prato di qualche montagna svizzera. Harry si è avvicinato di nuovo e, con un piccolo sorriso soddisfatto sulle labbra, canticchia ogni singola dannata canzone del film. Non distoglie lo sguardo dallo schermo mentre “Nick” dice, come se quel nome spiegasse tutto. “Mi ha cacciato a calci in culo fuori dalla BBC dopo avermi trovato un lavoro oltreoceano. Mi ha anche pagato l’appartamento!” continua, ridacchiando. “Tea: a drink with jam and bread” intona poi, scuotendo la testa a ritmo. “Diceva che mi avrebbe fatto bene cambiare aria” aggiunge dopo un po’. Louis resta in silenzio, squadrandolo. “Diceva anche” ammette Harry, in tono quasi grave, “che avevo bisogno di andarmene da Londra e tutti i suoi ricordi. E che, comunque, non c’era niente di concreto a legarmi a quella città.” Louis si acciglia e “i ragazzi forse?” chiede confuso, perché sa che Harry non è il tipo che lascia tutto ciò a cui tiene tanto facilmente. Harry, ora, ha distolto lo sguardo dallo schermo e gli sta sorridendo tristemente. “Questo non ha impedito a te di andartene, no?”
Louis inghiotte. Sa che Harry ha ragione, davvero; questo non rende però più facile placare il senso di colpa che gli attanaglia il petto. Appoggia una mano sul dorso di quella di Harry, ma quando apre bocca per dire qualcosa, non esce alcun suono. Prova a parlare, ma è come se le parole fossero bloccate in gola dal rimorso. Harry allora, “eravamo tutti sconvolti” racconta sussurrando, voltando la mano e facendo combaciare i loro palmi. “Niall dice ancora oggi che è colpa sua, se non sei più in Inghilterra. Zayn ha pianto quando non rispondevi più al telefono” rivela poi, con una risatina senza emozione. Louis vuole solo sprofondare nel tombino più vicino e non risalire mai più. Ha fatto piangere Zayn Malik. Zayn non piange, ed è una legge universale risaputa. Dio, quanto si sente idiota in questo momento. “E tu?” riesce a chiedere in tono roco, la voce che raschia la gola per uscire. Harry scuote leggermente il capo e, con lo sguardo fisso in quello di Louis, “io ho capito, Lou” dice semplicemente. “Ho sempre saputo che non si può tenerti legato ad una cosa che crea tristezza dentro di te.” Louis si limita ad incrociare le proprie dita con quelle dell’altro.
E da qui, Harry, gli occhi di nuovo fissi sullo schermo, gli racconta di cosa è successo dopo la sua partenza. Si toglie il berretto, scuotendo i ricci come faceva una volta. Dice che è a New York da sei mesi ma che non ha mai sentito dire che anche Louis abitasse nella Grande Mela; gli riferisce che Zayn ha finalmente avuto le palle di ammettere che ama Niall, e ora vivono di nuovo insieme (“Io e Liam li abbiamo chiusi nello sgabuzzino per tre ore” è il suo commento fiero); Liam è sempre il solito apprensivo se stesso, anche se, a detta di Harry, “si sta lasciando andare ora che sta con Sophia”. Louis non chiede neanche chi sia, perché detto sinceramente gli basta che Liam sia felice. Niall è stato invitato da nientemeno che Ed Sheeran per una collaborazione, rivela Harry, e Ed è riuscito a fargli ottenere un contratto discografico. “Aspetta, mi stai dicendo che il nostro Niall diventerà famoso?” chiede Louis, la bocca spalancata per la sorpresa. Harry ride e “speravamo di diventarlo tutti, no? Liam come pompiere, Zayn come scrittore, io come giornalista, Niall come cantautore e tu come attore. Siamo cresciuti insieme e ora seguiamo i nostri sogni, più o meno uniti” commenta, con gli occhi che brillano di nuovo. Autocontrollo, Louis.
“Come sta Aiden?” domanda Harry, abbracciandosi le ginocchia con le braccia. Louis, un po’ scioccato, “bene, immagino” risponde lentamente, grattandosi lo scalpo. “Non lo sento da un po’, ma l’ultima volta si vantava di avere un ragazzo atleta, mi sembra” racconta, osservando Harry in cerca di una reazione.
“Cosa?!” urla Harry, mollando di botto le gambe e scattando in piedi, il film già dimenticato in sottofondo. “Che vuol dire?” chiede con gli occhi spalancati e le labbra socchiuse. E’ bellissimo anche così, pensa Louis, e non è giusto, non è normale. Esita un momento prima di rispondere: “Uh, che Aiden ha un ragazzo? Che è un atleta? Il ragazzo, intendo, non Aiden, quello non sa sollevare una mela senza farsi mal—“
“No, no, no!” lo interrompe Harry, con una mano tra i ricci e l’espressione sconvolta. “Credevo che tu” indica Louis con l’indice, “fossi il ragazzo di Aiden. Credevo steste ancora insieme!”
Stavolta è Louis quello confuso mentre “ma Niall non te lo ha detto?” domanda, alzandosi a volta ma solo per calmare un po’ Harry (è ancora più alto di lui, diamine).
“Niall non mi ha detto cosa?” chiede a sua volta Harry, alzando il tono di voce. A Louis scappa quasi da ridere, ma si trattiene e “avevo detto a Niall della mia rottura con Aiden tempo prima di andarmene” spiega, “non pensavo che avesse tenuto la bocca chiusa.” Harry all’improvviso assottiglia gli occhi, le sue labbra si riducono ad una linea dritta, quasi invisibile, e stringe i pugni. “Lo uccido” sibila, e Louis può vedere quanto sia incazzato. Old but gold about Harry Styles: non si arrabbia mai. “Io ucciderò Niall Horan prima che il mondo possa conoscere il suo nome.” Louis non fa niente mentre Harry comincia a camminare avanti e indietro per il suo salotto, le braccia tese lungo i fianchi e un’espressione furente dipinta sul viso. “Harry” azzarda Louis facendo un passo indietro. “Perché te la prendi?”
Lo sguardo di Harry guizza ad incontrare quello di Louis quando si volta di scatto, avvicinandosi pericolosamente. “Perché?” chiede, e sembra isterico. Ok, fa paura.
Perché?!” ripete, appoggiando le mani sulle spalle di Louis. “Adesso te lo spiego” dice agitatissimo. “Te lo spiego.” Louis annuisce piano e “calmati, però” sussurra, accarezzandogli piano un braccio. Harry ride senza emozione e “non posso farlo” ammette. “Credo che tu e Aiden steste insieme e l’ho creduto per un anno intero. Mi stavo arrendendo, Louis. Forse l’ho fatto. E adesso scopro che lo hai lasciato quando eri ancora in Inghilterra!” Louis, leggermente accigliato, “beh, veramente è lui che mi ha lasc—“ tenta, ma Harry lo interrompe di nuovo. “Non importa! Cristo, Lou, credevo di averti perso! E invece tu non stai con lui, e io sono uno stupido perché ho provato a buttare via tutto quello che ricordavo di te e in questo momento ho tanta voglia di piangere” esclama, il tono che va svanendo nelle ultime parole. Abbassa lo sguardo, si allontana stringendo i pugni, e Louis lo vede mentre si morde la guancia per non scoppiare. “Harry” mormora, circondandogli il collo con le braccia. “Va tutto bene” sussurra mentre si alza sulle punte per raggiungere il suo orecchio. “Non importa, okay? Non mi importa.” Ma Harry scuote la testa e “sono uno stupido” dice, ricambiando l’abbraccio e tirando il corpo di Louis contro il suo.
“Non lo sei” protesta l’attore, accarezzando i ricci alla base del suo collo. Harry, però, “lo sono” borbotta, “perché provo a lasciarti andare, non riesco mai e non mi accorgo che è impossibile.” Scioglie l’abbraccio con rimpianto mentre “ho bisogno di pensare” mormora, guardando Louis con occhi tristi. “E’ okay?”
Louis annuisce freneticamente e “ti aspetto” decreta. Ed è vero: sa benissimo che sarà sempre disposto ad aspettare Harry; non gli importa davvero se Harry ha provato a dimenticare, perché, onestamente, anche Louis ci ha provato. Dentro di sé, è consapevole che non ha mai smesso di sentire la mancanza di Harry. Mai.
“Possiamo rivederci?” chiede Harry mentre si infila gli stivali. Louis, confuso, “non rimani?” ribatte. Harry scuote la testa e si avvia a grandi passi verso l’ingresso. Prima di aprire la porta si avvicina ancora a Louis e “promettimi che ci rivedremo” lo prega, mordendosi il labbro inferiore. Louis annuisce e “anche domani, sei vuoi” gli risponde, sincero. “Stasera, domani, quando ti pare, mi va bene tutto. Dovessi prendere un aereo dall’altra parte del mondo, ci rivedremo.” Harry fa un piccolo sorriso e apre la porta senza dargli le spalle.
“Ti voglio bene, Louis.”
“Anche io.”
E’ con una porta sbattuta e uno spiffero di vento invernale che Harry lascia Louis da solo, nel suo appartamento. Louis, improvvisamente, sente quasi nostalgia dei numeri.
 
 
 
 
 
 
*
 
 
I know it's me that's supposed to love you
And when I'm home you know I got you

(Is there somebody who can watch you, The 1975)
 
 
Ci sono dei momenti, mentre si aspetta, in cui ci si accorge di tutte le coincidenze che popolano la vita e che, normalmente, non si notano; quindi una volta ci si sorprende che un ragazzo porti la stessa maglietta, un’altra si vede una persona che si sa di aver già incontrato prima. E magari ci si rende conto di cose che prima non si consideravano importanti, si presta nuova attenzione ai dettagli e il mondo smette di essere sfumato. L’atto dell’aspettare, qualcosa o qualcuno, fa si che tutti i sensi siano reattivi e pronti ad individuare ogni singola cosa che potrebbe essere quella attesa. Louis, astrazione a parte, ha vissuto abbastanza da capire che no, per quanto si sforzi, non riuscirà a smettere di vedere gente con i capelli ricci e cappotto beige per le strade di New York finché non avrà trovato chi gli interessa trovare. Ma Harry non c’è: una volta è il naso sbagliato, un’altra gli occhi troppo piccoli, un’altra ancora la statura (eppure Harry è alto, possibile che tutte le persone, da lontano, sembrino lui?). I giorni passano; la neve cade, a New York, come un bianco Natal che si rispetti; Louis consuma le suole delle scarpe, avvolto nel suo giubbino di jeans troppo leggero per la stagione, camminando senza meta per le strade della città. Si perde, spesso e volentieri; Eleanor deve venirlo a prendere almeno tre volte (“Sono in ferie” gli ricorda, quando entra in macchina per la terza volta, il naso freddo e le mani che scottano). Vede migliaia di facce diverse ogni giorno, molte delle quali piene di stupore perché, beh, Louis Tomlinson. Harry non c’è.
 
 
 
Ha pensato di appostarsi davanti alla sede di Elle, per trovarlo. Una ragazza dai capelli troppo rossi per essere naturali (Candice? Alice?) gli dice che Harry è tornato nel Regno Unito per le vacanze. Poi si complimenta per l’intervista e gli ultimi film, prima di sparire in un turbinio di colori troppo accesi per il cielo grigio di dicembre. Louis torna a casa, domandandosi perché diavolo non ha chiesto ad Harry il suo nuovo numero o, almeno, un indirizzo. Solo un punto di partenza nella caccia al tesoro. Sono le sei del pomeriggio del ventuno dicembre quando Louis, senza preoccuparsi di cambiarsi o togliersi la giacca, crolla a peso morto sul letto, gli occhi chiusi come in segno di arresa.
 
 
Ha cancellato Facebook, Twitter, persino Instagram; se dovesse scomparire sul serio, nessuno dei suoi followers si ricorderebbe di lui. Louis, dopo una serata a base di vodka e repliche di X Factor Italia (“Non ricordo nemmeno come si parla, l’italiano, gesù” dice, imprecando però nella suddetta lingua), se ne accorge: la vita di Harry Styles, come del resto la sua, non si è fermata. E potrebbe aver conosciuto chiunque, davvero, migliore di Louis, ma. “Provo a lasciarti andare, non riesco mai” gli ha detto, il tono soffocato dalla tristezza. Louis sa che sono passati seicentosette giorni da quando Harry lo ha lasciato; lo sa, ma non gli interessa.
 
 
 
E così si arrende all’ultima possibilità che ha per trovarlo; l’unica, vera soluzione, quella che sta evitando da quando Harry è uscito dal suo appartamento, o forse da quando è arrivato a New York. Alle due e mezza di notte, UK time, Louis telefona a Zayn Malik.
 
 
 
 
 
 
 
(E i numeri si confondono, si scompongono, ma a Louis, davvero, non interessa.)
 
 
 
 
 
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Non è Zayn a rispondere, ma Niall. Niall che, con un “Hello?” soffocato dalla bocca piena di ciò che Louis sospetta essere pizza, strattona il cordless con forza e respira pesantemente nel microfono. A Louis tremano perfino le viscere quando “sono io” dice flebilmente, incrociando le gambe come i bambini, seduto sul suo tappeto costoso che Eleanor ha ordinato su consiglio di Perrie. Che, tra parentesi, ha gusti osceni in fatto di arredamento.
Niall smette di masticare, il telefono di Louis non ronza più fastidiosamente e il silenzio cala per qualche minuto sulla linea, solo il respiro lento di Niall a fare da sottofondo.
“Perdonami, non ho capito chi sei” ammette poi l’irlandese, forse un po’ mortificato; Louis vorrebbe solo battere la testa da qualche parte e svenire per un po’.
Si schiarisce la voce, invece, e “Louis” sussurra, le mani che tremano terribilmente, “sono Louis”. Niall trattiene il respiro e, di nuovo, nessuno parla per un po’. Louis sente un botto, poi, come se la cornetta fosse caduta, e i passi di Niall che si allontanano velocemente, quasi troppo. Riesce a sentire qualcosa, come se Niall stesse parlando con se stesso e poi, più chiaramente, Zayn. “Mi dici cos’hai, santo dio?” sta chiedendo stizzito e chiaramente infastidito. Louis scorge la voce di Niall che, concitata e ansiosa, borbotta qualcosa e Zayn che replica con un secco “cazzate”, di quelli che non ammettono repliche. E’ allora che Niall alza la voce e “allora rispondi tu!” esclama, e Louis può quasi vederlo, le guance segnate da chiazze rosse e gli occhi limpidi, brillanti. “Rispondi a quel cazzo di telefono e poi torna da me, se non ci credi!”
Louis trattiene il respiro mentre sente i passi che conosce da tantissimo tempo (ha dimenticato quanto) avvicinarsi decisi e poi “hai tre secondi per dirmi chi sei e cosa vuoi” dice Zayn, mormorando un “fucking bullshit” tra i denti.
“Louis” ripete, con voce spezzata. “Louis Tomlinson.” Chiude gli occhi, allora, e le gambe tremano come non hanno mai fatto prima. Zayn, con uno sbuffo esasperato e, neanche a dirlo, arrabbiato, “senti” comincia, “non sei il primo di una serie di fans molto poco delicati che chiamano qui, Dio sa come, per sapere se c’è il loro idolo e, sinceramente, mi stupisce che non si sia ancora sparsa la voce, ma. Non c’è. Abita da qualche parte in America, adesso, e dovete davvero smetterla di chiamare a queste ore impossibili, perché noi lavoriamo ed arriviamo a casa distrutti, ogni santo giorno. E’ passato il messaggio?” Zayn respira solo dopo aver finito il discorso e Louis lo sente mentre si siede sul divano cigolante di casa sua, quello che ha visto troppe coppiette accoccolate nel corso degli ultimi anni. Louis, però, sta ancora trattenendo il fiato mentre “Zayn” esala, “sono davvero io.” L’altro, per tutta risposta, grugnisce e “ma fammi il piacere” risponde. “Ci vuole più di una voce in falsetto per prendermi in giro. Vorrei dormire e non sentire più nessuno di voi, ora.”
“No!” ora Louis urla, allarmato, e “aspetta, ti prego” supplica. “Chiedimi qualcosa che solo il vero Louis saprebbe dirti” propone, sentendosi forse un po’ idiota. Zayn resta in silenzio un momento prima di acconsentire, non senza aggiungere che, comunque, “devo essere proprio stupido per fare queste cose alle due e mezza di notte.”
Ci pensa un attimo, poi, e “cosa c’era sul soffitto dell’appartamento di Chelsea?” domanda. Non aggiunge altro, nessun particolare, perché, ovviamente, il vero Louis capirebbe. Louis allora finalmente espira e, con un mezzo sorriso, risponde sicuro: “La macchia di porridge che Niall aveva lanciato in aria per scappare dalla tua ira divina.” Lo ricorda, ovviamente, perché aveva contato quanti secondi erano passati prima che Zayn cominciasse a rincorrere Niall per la cucina piccolissima di Harry e Louis. C’è di nuovo silenzio per un po’ e Louis teme che Zayn sia morto allibito. Dovrebbero esserci le urla di Niall, le sirene in lontananza, e la conversazione telefonica interrotta di botto, ma. Questo non è un film, né la vita di qualcun altro. Ciò che accade ora è reale, e avrà delle conseguenze. Sarà causa di qualcosa, negativo o positivo che sia.
Cristo, Lou?” chiede Zayn debolmente, il respiro accelerato nel ricevitore. Il sorriso di Louis si allarga un poco mentre “hey” dice, allungando le gambe come per stiracchiarsi. “Ti ricordi di me?”
La risata di Zayn è tremula, nervosa; Louis sente Niall che, in sottofondo, “cazzo!” sta esclamando, probabilmente girando intorno al tavolino  con le mani tra i capelli; il pensiero gli allenta un poco il noto che ha nel petto. Prima che Zayn dica altro, però, Niall prende il telefono, e il suo tono non è così leggero come Louis si aspettava. (O, per meglio dire, sperava.)
“Io ti uccido. Se mai dovessi rivederti, se mai dovessi trovarti in mezzo alla strada, da qualsiasi parte, io ti ucciderò Louis Tomlinson. Giuro, io--  Un anno. E’ passato un anno in cui nessuno ha saputo nulla di te se non dai giornali, e lo sappiamo bene tutti quanto poco ci si possa affidare a quelle porcherie. Un anno, per Allah, trecentosessantacinque giorni senza sentirti né vederti. Io— tu non sai le cose che vorrei farti in questo momento e fidati, non sono possibilmente cose buone. No, Zayn— lasciami stare, non sto calmo, io questo qui lo strozzo!”
Louis si morde un labbro, nello sforzo di non ridere o scoppiare in lacrime (c’è un gap relativamente piccolo tra le due opzioni) e “Niall” tenta, tossicchiando. “Non vorrei dirti che mi dispiace, so che ti arrabbieresti, ma mi dispiace tanto.”
Niall riattacca.
 
 
 
 
 
Ci pensa Zayn, qualche ora dopo (8 AM, UK time), a richiamarlo. “Niall dorme” gli spiega, “sono riuscito a calmarlo solo mezz’ora fa. Alla fine è crollato solo per la stanchezza. E forse perché abbiamo mangiato sette pizze in due, ieri sera.” Louis ridacchia, sdraiato sul suo letto matrimoniale, sotto le coperte, la testa sprofondata tra almeno dieci cuscini che, se la memoria non lo inganna, vengono dall’Italia. Parlano del tempo, della nuova relazione di Zayn e dei film di Louis; si scambiano storie su Eleanor e Perrie; Zayn gli dice che hanno comprato quella pessima riproduzione del quadro di Magritte appeso al pub, vicino al loro tavolo, per sole quindici sterline e lo hanno appeso vicino alla foto sul camino di Liam. Zayn, al contrario di Harry, non rimane stupito quando viene a sapere che Louis è single; dice che era ovvio che non sarebbe durata. O, almeno, non sarebbe durata mentre Louis era in quelle condizioni. Louis gli racconta dell’incontro con Harry, di come lo stia cercando per tutta la città, lo stato, il mondo intero. Zayn non dice niente.
“Quanto sei arrabbiato con me, in una scala da uno a Niall Horan?” gli chiede allora, infilando la testa sotto il piumone color cioccolato. “Discretamente, ma so quello che hai passato. O almeno, lo immagino. Quante lettere ha la parola precipitevolissimevolmente, Lou?” dice Zayn, sospirando leggermente.
Louis, con un sorriso leggero, “non ne ho idea” risponde.
 
 
Zayn domanda se vuole tornare a casa per Natale. Louis risponde di sì.
Zayn riattacca.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
 
 
E’ la Vigilia di Natale quando Louis, una borsa da viaggio sulla spalla, la carta d’imbarco in una mano e il suo cuore nell’altra, atterra all’aeroporto di Londra alle due del pomeriggio. Non c’è nessuno che lo accoglie in Inghilterra perché, di fatto, nessuno sa che è tornato. Certo, ha detto a Zayn che avrebbe fatto ritorno per Natale, ma nient’altro. Sua madre crede ancora che sia in Florida con Eleanor e Max, probabilmente. Eleanor, che lo ha salutato su Skype dicendogli di “non fare puttanate, guarda sempre due volte prima di attraversare la strada e non lasciarlo andare mai più”. Se Louis ha pianto, nessuno può o deve saperlo.
 
Londra è sempre la stessa, i rumori del traffico sono la sua melodia, le luci, le vetrine scintillanti dei negozi sono i suoi gioielli; a Trafalgar Square c’è il solito albero addobbato, ogni anno più luminoso ed elaborato. Mentre fa lo slalom tra la gente in Tottenham Court Road, Louis tiene la testa bassa, ma anche così vede i poster del suo nuovo film che tappezzano i muri, e improvvisamente desidera non essere lì. E’ tutto terribilmente famigliare, soffocante, impregnato di ricordi; è ciò da cui Louis è fuggito, un anno fa.  Sono le tre del pomeriggio, e Louis è a Soho Square; vede il vicolo e l’insegna del pub, i giardini innevati e la gente che si stringe nei cappotti, le guance rosse e l’aria festosa. Ma a Londra nessuno è felice, nemmeno a Natale. O almeno, questo è sempre ciò che Louis ha creduto, fino ad Harry.
Decide di non prendere un taxi, e s’incammina verso Regent’s Park, con la borsa che comincia a pesare e il rimpianto di non aver indossato un cappotto più pesante. C’è una ragazzina, ai giardini, che lo guarda e trattiene il fiato, consapevole. Louis alza il cappuccio e cammina più veloce, lasciandosi la gente alle spalle.
(E, d’accordo, sono quaranta minuti di strada a piedi per arrivare da Niall e Zayn, ma Louis ha bisogno di pensare. Per una volta lo fa.)
Davanti al cancello del parco di ferma, scatta una foto e la carica su Instagram, con un semplice #home come commento.
Fa freddo, e il vento di Londra gli penetra fino alle ossa, ma Louis non ci pensa. Sa che Harry è lì, da qualche parte, e a dividerlo sono un paio di palazzi e qualche strada.
Nulla di che, davvero.
 
 
 
 
Nessuno se la prenderà con Louis se, per una volta, ha contato le persone.
 
 
 
 
 
 
Quando Niall apre la porta ad un infreddolito Louis, lo fa con gli occhi socchiusi, i capelli spettinati dal sonno e una vecchia tuta addosso. Non dice nulla, ma si sposta per lasciarlo entrare. Louis lascia cadere la sacca in un punto imprecisato sul pavimento e si guarda intorno: non c’è nulla di nuovo, tranne il fatto che la casa non profuma più di Coco Mademoiselle. “Zayn sta lavorando” borbotta Niall, buttandosi sul divano con poca grazia. (Quel mobile sarà rotto prima della fine dell’anno, davvero. Tecnicamente lo era anche quando Louis ci dormiva un anno fa.)
Louis toglie il cappotto e lo appoggia sul tavolo; poi, cautamente, si siete accanto a Niall. Nessuno sta pensando all’ultima volta in cui Louis è stato in quella casa, o a cosa è successo quella fatidica sera, sul serio; nessuno lo sa, in fondo.
“Il mio suggerimento” commenta Niall, dal nulla, “era riferito ad un arco di tempo limitato. Ovvero, dovevi andartene per qualche settimana, al massimo due o tre mesi; invece sei scomparso per più di un anno. E se non lo avessi incontrato a New York, dubito che ti avremmo rivisto così presto.”
Louis abbassa lo sguardo, torturandosi le mani, ma non dice nulla; sa che è solo la punta dell’iceberg. “Mi sono sempre chiesto cosa ti rendesse così malinconico, in questi anni” continua poi, senza togliere gli occhi dalla partita di hockey che stava guardando prima che il campanello suonasse. “Anche quando c’era Harry, tu avevi quel non so che di triste. E non importa quanto potevi far finta di essere felice, quanto io cercassi di farti ridere, quanto tutti noi volessimo vederti felice; tu eri sempre buio dentro, non è vero?”
Non aspetta risposta, ovviamente, perché Niall è fatto così, e se comincia un discorso, difficilmente si lascia interrompere. “Avevamo sempre la speranza che Harry potesse farcela. Speravamo che potesse cancellare l’espressione triste che nascondevi sempre. Invece tu hai tagliato fuori anche lui. E lo so bene che ami lui molto più di quanto potresti mai amare noialtri.” Louis lo guarda, ora, gli occhi che brillano leggermente e il labbro inferiore tra i denti. Ami, presente. Niall sospira e gli passa un braccio attorno alle spalle, come l’ultima volta, avvicinandolo a sé. “A volte pensavo che il tuo fosse solo egoismo” sussurra, accarezzandogli la spalla. “Ho capito solo quando te ne sei andato che credevi fosse meglio non dire nulla per il bene degli altri.” Louis stringe Niall intorno alla vita, forte, e inspira; e Niall, alla fine, è quello che tiene insieme i pezzi come nessun’altro sa fare. “Un anno senza di te” ripete poi, scuotendo incredulo il capo. “Non so come siamo ancora tutti vivi.”
Quando Zayn arriva a casa, stringe Louis per minuti interi, gli singhiozza sulla spalla e, beh, gli dà anche uno schiaffo. Louis non reagisce, ma sorride e alla domanda “resti a cena?” risponde con un entusiastico cenno del capo. Solo dopo si accorge che forse, quella di Zayn, era un’affermazione.
 
 
Liam lo viene a sapere da Cher, che lo ha saputo da Aiden, che lo ha saputo da Perrie, che a sua volta lo ha saputo da Zayn. Quindi, ovviamente, quella sera stessa tutti e tre stanno suonando a casa Malik-Horan, ansiosi di vedere Louis. Aiden rimane in disparte, il sorriso più luminoso che Louis gli abbia mai visto fare dipinto sulle labbra, la sciarpa azzurra che Tom gli ha regalato al loro secondo appuntamento (“Sono innamorato di lui” aveva sospirato al telefono, una sera e Louis, ironicamente, “un po’ presto per scegliere dove vi sposerete o sbaglio?” Aiden, neanche a dirlo, aveva riattaccato). Liam ha gli occhi lucidi quando smette di stritolare Louis e, tirando su col naso, “bentornato” riesce a dire, il petto che trema leggermente mentre trattiene i singhiozzi. Perrie gli tira una guancia tra indice e pollice e “testa di cazzo” lo apostrofa, ma sta sorridendo. “Grimshaw” mormora Louis mentre Aiden si avvicina a braccia spalancate, sorridente come non mai. “Tommo” risponde in tono leggero lui, stringendolo forte, sostenendolo mentre Louis si aggrappa alle sue spalle. Si siedono tutti in salotto, Zayn sul pavimento, Niall su tavolino da caffè, Liam e Perrie sulla poltrona e Aiden accanto a Louis, sul divano. Lo aggiornano su tutto quello che è successo; Liam gli fa promettere di cenare insieme per conoscere la sua fidanzata. Perrie sembra tranquillissima per tutto il tempo, anche quando Zayn cerca gli occhi di Niall e mima un ti amo con le labbra. Louis è geloso, ma non ha ancora capito di chi.
Ci sono anche momenti di silenzio, in cui tutti si guardano, e tutti gli sguardi cadono su Louis, accompagnati da sorrisi sollevati, felici, vivi.
E’ Aiden a rompere il silenzio, però. “Louis. Cos’hai intenzione di fare ora che sei qui?” Ecco perché si sono frequentati: Aiden arriva sempre al punto, capisce cose che gli altri nemmeno notano. Sa, quindi, che Louis non è tornato in Inghilterra per caso. E’ tranquillo mentre glielo chiede, come sempre; non esiste persona più equilibrata di Aiden Grimshaw, garantito. Louis è contagiato dalla sua mancanza di ansia mentre risponde, a voce bassa, “lo sto cercando”. Gli sguardi che si scambiano tutti ora sono consapevoli, un po’ allarmati forse. Liam, schiarendosi la voce, “sei sicuro di quello che fai, Louis?” gli domanda, togliendo delle briciole invisibili dal bracciolo della poltrona.
“Mettiamola così, Liam” dice Louis, sfilando il pacchetto mezzo vuoto di Camel Blu dalla tasca e prendendone una. “La risposta sincera è no. Ma penso lo sappiate tutti che, beh, sono qui per trovarlo. E io so che almeno tre di voi sono scettici a riguardo. Potrei anche dirvi i nomi. Ma non faccio lo stesso errore due volte, Liam. Non ho più intenzione di fargli male.”
“Il fatto è, Lou” interviene Niall, posando a terra il cubo di Rubik che era impegnato a risolvere fino ad un secondo prima, “che tu non lo hai visto, quando sei andato via. Eravamo tutti qui – a parte Aid, chiaramente – quando è arrivato di corsa chiedendo se ti avessimo visto, dicendoci che il tuo numero risultava inesistente ed Eleanor aveva bloccato le sue chiamate. Non eri qui quando si è reso conto che ci avevi tagliati fuori dalla tua vita, lui soprattutto. Vogliamo sia la sua che la tua felicità, sia chiaro. Ma a parte quello, io non sono sicuro che sia una buona idea.” E’ la prima volta che Niall gli parla schiettamente del male che ha fatto a tutti. Anzi, veramente è la prima volta che chiunque glielo dice chiaro e tondo in faccia. Ma Louis non scappa, stavolta. “Lo amo” decreta, guardando con aria di sfida tutti i presenti.
“Lì sta il punto” dice Niall con un sorriso storto. “E’ abbastanza?”
 
 
 
 
 
 
 
Liam annuncia che darà una festa per l’ultimo dell’anno. Lo guarda come per avvertirlo, e Louis rabbrividisce mentre distoglie lo sguardo. “Azzardati a non venire e ti butto fuori dalla mia vita” dicono gli occhi di Liam. Quelli di Louis promettono e basta.
 
 
 
 
 
***
 
 
 
Sono cambiato io, e non il Vuoto, e ho fatto tutto questo e sono andato e venuto e mi sono lamentato e ferito e ho gioito e urlato.
(Sulla strada, Jack Kerouac)
 
 
Lo sanno tutti che Harry sarà a quella festa. Lo sa anche Louis, quindi, mentre entra in punta di piedi nella stanza di Zayn e Niall, chiudendosi la porta alle spalle delicatamente. E’ il 31 dicembre, il riscaldamento è rotto e Louis ha freddo al cuore. Gattona sul materasso e si sdraia, con poca grazia, tra i due padroni di casa. Zayn neanche si muove, sta girato sul fianco, gli occhi chiusi e il respiro lento e regolare di chi è ancora addormentato. Niall, invece, mormora qualcosa e rotola al lato del letto per far entrare Louis sotto le coperte; poi gli circonda il fianco con il braccio mentre Louis fa la stessa cosa con Zayn. Niall gli posa un bacio leggero dietro all’orecchio mentre Zayn, inconsciamente, porta una mano sulla sua e la lascia lì. Occhi chiusi, respiri regolari. Louis non sta contando.
“Non aver paura” sussurra pianissimo Niall, il fiato caldo che soffia sul collo di Louis e gli provoca piccoli brividi. Zayn gli stringe la mano, come a dirgli sono qui, siamo qui. Louis sta tremando.
“Lou” continua Niall, disegnando figure immaginarie sul suo fianco con la punta delle dita, “non verrai stasera, vero?” Le sue mani sono fredde sulla pelle di Louis, che esala un respiro spezzato, ma non risponde. Sta pensando a come potrebbero cambiare le cose, ad Eleanor e Max su una spiaggia bianca, alle sue sorelle che probabilmente avranno tutte un posto dove festeggiare il nuovo anno, a La Trahison des images, appeso sulla parete di casa Payne, ad Harry che potrebbe essere lì a fissarlo in questo preciso momento.
Se Louis piange, Niall e Zayn non lo diranno a nessuno.
 
 
 
Chiamano Aiden per convincerlo. Aiden, che gli ricorda che sarebbe controproducente non presentarsi alla dannata festa. “Hai fatto uno sforzo immane per venire qui, Louis. Vorresti rinunciare per paura, ora?” gli domanda, inginocchiandosi davanti a lui per guardarlo negli occhi. Louis, che sta seduto sul divano di Zayn, inerte e con lo sguardo perso nel vuoto, “non lo so” mormora, “non so più niente adesso.”
“Louis.” Il tono di Aiden è duro, categorico. “Non ti permetto di dire queste cose adesso, è chiaro? Perché, te lo giuro, se te lo fai scappare questa volta, ti farò talmente male fisicamente che sarà difficile poi ritrovarlo. Lo sanno anche i muri che Harry è a Londra. Lo sapevamo da un pezzo del party di Liam, okay? Niall ti ha fatto quel discorso per spingerti ad andarci e provargli che stava sbagliando. Louis, letteralmente tutto il mondo vuole che tu vada a quella festa, stasera.” Si interrompe un attimo e poi, ridendo senza allegria, “se lo scrivessi su Twitter, probabilmente ci sarebbero in meno di un minuto tutte le tendenze dedicate a te e pure delle fazioni, puoi scommetterci.”
Aiden abbassa la testa, apre e chiude le mani spasmodicamente, in cerca delle parole giuste mentre Louis, i palmi premuti sugli occhi, tiene le labbra premute in una linea sottile e si impedisce di pensare. “Non so cosa fare, Lou” dice poi, appoggiando gli avambracci sulle ginocchia di Louis, “ti sto chiedendo solo un briciolo di coraggio. Per te stesso, e anche per lui.”
Louis scatta, allora, e “ma che ne sai?” esclama, lo sguardo duro rivolto ad Aiden. “Cosa sai di Harry e di cosa è meglio per lui? L’avrai visto forse due volte in tutta la tua vita, quindi non improvvisarti di nuovo psicologo perché, gesù, è fastidioso.”
Aiden non parla, ma lascia che Louis si sfoghi, ascoltando con le sopracciglia leggermente alzate. “La psicoanalisi limitala alle persone che conosci, ti prego. E non ho nemmeno capito perché sei qui, a dire il vero! Non ho bisogno di un dannato consulente” continua Louis, alzando la voce alla fine del discorso perché sentano anche Zayn e Niall. “Sto bene, è la mia vita, la mia vita, me lo hai sempre detto tu, Aid! Invece ora sei qui, a ciarlare di cose che pensi di sapere e persone che credi di conoscere e, francamente, è ridic—“
“Lui lo sapeva” lo interrompe Aiden, perentorio, e questo basta a zittire Louis. Lo sta fissando con gli occhi celesti spalancati, confusi; Aiden si siede a gambe incrociate sul tappeto sporco di smalto e birra e “lo sapeva, Harry” ripete in tono convinto.
“L’ho incontrato qualche mese prima di te” ammette, stringendosi un po’ nelle spalle. “Intervista per non ricordo che giornale.”
Elle” dice subito Louis; Aiden annuisce soltanto. “Era stupito quanto me, credimi. Il suo capo non gli aveva nemmeno detto chi avrebbe dovuto intervistare. Dovevi vederlo, spaesato com’era, intento a cercarmi sul set. Abbiamo parlato per qualche ora, e fidati quando ti dico che sembrava veramente abbattuto. Non era sicuro di voler lavorare in quella redazione, o a New York in generale. Abbiamo anche discusso di te. Gli ho detto che eri nella Grande Mela per The Mortal Instruments. Mi ha chiesto subito se fosse il film  in cui interpreti il personaggio gay” racconta, ridacchiando. Ma Louis non sta ridendo.
Se Harry ha davvero incontrato Aiden, significa che ha passato una giornata con lui convinto che fosse ancora il suo ragazzo. Se Aiden gli ha detto che era a New York, vuol dire che Harry ha probabilmente organizzato la loro intervista. L’ha pianificata, insomma. E se l’ha fatto, significa che voleva rivederlo. Harry lo stava cercando come lui lo ha cercato dopo quella famosa giornata nell’appartamento di Louis.
“Tu” chiede, la voce insicura, “gli hai parlato e ti sei dimenticato di dirgli che mi hai lasciato quando eravamo tutti ancora in Inghilterra?” Deve fare parecchia paura adesso, perché Aiden lo sta fissando preoccupato e, sotto sotto, terrorizzato. “Forse?” azzarda in risposta, insicuro. “Non mi è nemmeno passato per la mente, Lou! Credevo lo sapesse.”
Respiri profondi, inspirare, espirare. Uno, due, tre, quattro. Ma Louis sente di non averne la necessità mentre “hai una camicia da prestarmi per stasera?” domanda ad Aiden. Lui, in tutta risposta, fa sfoggio del suo scintillante sorriso a trentadue denti. Ecco perché sono stati insieme.
 
 
 
 
 
(“Conti ancora?” chiede Aiden mentre gli sistema il collo del maglioncino di cashmere Loro Piana e si allontana per vedere come sta. Lo sguardo d’intesa che si scambiano poi basta come risposta. Uno, due, tre, i numeri scompaiono e si fondono a creare non ansia, ma quella che pare speranza.)
 
 
 
 
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
Louis è sicuro di tre cose, al momento: la prima è che l’appartamento di Liam non è mai stato più affollato; da qualsiasi parte ci si giri, c’è comunque gente che beve, ride, si scambia storie ed è contenta di essere nel piccolo appartamento a godersi una serata tra amici. La seconda è che, probabilmente, esattamente come più della metà degli ospiti, Louis è ubriaco— o quantomeno brillo; sa, comunque, che ha smesso di contare i drink (non gliene si voglia, per una volta) più o meno dopo aver conosciuto Tom Daley ed aver elogiato il suo fondoschiena, guadagnandosi un’occhiata storta da parte del fidanzato del suddetto. Zayn gli ha urlato qualcosa nell’orecchio, ad un certo punto, che somigliava vagamente a “non sono abbastanza fatto per tutto questo”. Ciò è accaduto prima che Niall lo trascinasse nel bagno privato di Liam (sì, esiste anche quello degli ospiti, grazie mille) e lui lo seguisse, alzando le sopracciglia in modo eloquente in direzione di Louis. Anche Perrie sembra piuttosto andata, dal modo in cui muove il bacino a ritmo con la musica soft e sofisticata (“dio, è la festa nazionale della verginità, Payno?”) contro l’appendiabiti pieno di cappotti e giacconi pesanti. La terza è che c’è un fastidioso odore di fumo che aleggia nel salotto, ma nessuno azzarda a condividere, ed è ingiusto, sul serio, perché Louis ora ha notato anche una quarta cosa e ha davvero bisogno di qualcosa che lo rilassi, che non gli faccia pensare a tutti i mostri impregnati nel quadro appeso sopra il camino, quelle creature orride che Liam definirebbe ricordi, il che è ridicolo sul serio, ma—insomma, il punto è che Harry non c’è. Ed è una certezza, questa, perché Louis ha controllato ogni singolo centimetro dello stupido appartamento ed è sicurissimo di aver guardato chiunque in faccia, anche le donne. Il che è forse un po’ eccessivo, ma Louis è ubriaco, giusto? Gli gira la testa, la festa fa schifo, Harry non c’è.
E allora è naturale, ovvio, quasi scontato, c’è da ammetterlo, che Louis se ne vada. In fondo non si tratta di scappare, se ciò da cui dovresti allontanarti non c’è, giusto?
Louis ha ancora paura, lo stesso timore che gli rende difficile respirare mentre, incrociando per l’ultima volta lo sguardo di Liam, chiude la porta dell’appartamento.
 
 
 
 
Liam abita a Marylebone e, beh, non è esattamente una comodità avere 166 ettari di erbacce (“Taci Liam, lo sono”) che lo separano dall’appartamento di Zayn e Niall. Tornare a casa non è nemmeno un opzione, quindi, anche perché Louis non ha le chiavi. Ovviamente.
Con le mani nelle tasche del parka Woolrich di Zayn che gli arriva quasi alle ginocchia, troppo grande per la sua figura minuta, Louis cammina. Cammina e basta, senza meta, esattamente come faceva a New York. Non sta nemmeno cercando, ormai; un passo davanti all’altro, il respiro che si mostra e si perde in un attimo nella nebbia di Londra e gli occhi stanchi per via del jet lag, Louis si gode per la prima volta la sua città, quella Londra che, sebbene sia tracciata sulle cartine, per lui è sempre una scoperta. Ma è anche vero che, nonostante le città abbiano qualcosa di misterioso anche dopo averci vissuto per anni, ad un certo punto se ne sceglie una, quella in cui si sta meglio, e ci si ferma. Louis vuole disperatamente fermarsi, adesso.
Ma i suoi piedi avanzano e avanzano, i respiri diventano più veloci, poi rallentano, Londra è tutta un fremito, pronta a scoppiare, e l’adrenalina si sente nell’aria e— Soho Square è lì, colma di memorie delle serate di un tempo. Louis corre.
I ricordi si annidano negli angoli delle strade, pronti a mostrarsi quando opportuno, mentre Louis attraversa il mare di persone a Trafalgar Square (e sì, si è fatto un chilometro di corsa, alla faccia di Aiden che sosteneva che fosse ingrassato, in America) e corre, corre, corre fino a Westminster senza mai fermarsi. Manca poco a mezzanotte, Louis lo vede dalle persone riunite sotto il Big Bang e, beh, dall’orologio. Ha dimenticato il cellulare a casa di Liam, o magari qualcuno gliel’ha sfilato dai pantaloni mentre lui era perso nelle nuvole di fumo sospetto di quella festa, chi lo sa. Louis rallenta, il respiro pesante e i pugni stretti, ma non si ferma.
Ventitre e quarantasei.
Non mi ricordo nemmeno cosa facevo quando tu non c’eri” aveva detto Harry. Una volta Louis avrebbe contato i passi.
“Butta via quell’imitazione di te stesso che hai costruito. Non è con quello che ti riprenderai Harry.” L’ha fatto, giusto? Louis non è più quello di prima. Ha pianto, ha sofferto, urlato, recitato e sorriso. Louis è diverso. La gente passeggia per i Victoria Tower Gardens mentre lui avanza ancora, la nausea che pian piano sale ad insinuarsi. Dov’è Harry?
“Provo a lasciarti andare”  Louis si piega in due, rigettando i drink che Liam gli ha offerto poche ore fa, e fa fatica a respirare. Le persone mormorano, lo fissano, “ma è Louis Tomlinson? L’attore?” chiede qualcuno; “Sta bene, signore?” domanda una voce femminile. Louis, ansimando, scuote la testa, si pulisce distrattamente la bocca e riprende a camminare. Svolta a sinistra, l’aria salmastra del Tamigi che gli riempie i polmoni, e finalmente si ferma, appoggiandosi al parapetto di Lambeth Bridge. Louis alza lo sguardo e la prima cosa che nota è che Londra sta brillando, più luminosa del solito, anche tra la nebbia. La seconda, voltando il viso, è lui.
Ha visto tanti visi incorniciati da ricci scuri, ultimamente, ma riconoscerebbe il suo viso tra mille, duemila, centomila persone. Ha le mani in tasca, i piedi incrociati (prima o poi si farà male, sia per la posizione che per i suoi assurdi stivaletti) e lo sguardo rivolto verso le stelle. Louis potrebbe giurare che i suoi occhi stanno brillando più degli astri, anche da lontano. Non riesce nemmeno a chiedersi cosa ci faccia lui lì, su un ponte di Londra l'ultimo dell'anno.
Ventitre e cinquantasette. Incespica nei propri passi mentre gli si avvicina di corsa, trattenendosi a stento dal saltare. E’ a pochi passi da lui quando si arresta, quasi di botto, irrigidendosi.
Non riesco mai”
 Louis sorride e esala un respiro che non si era accorto di aver trattenuto. Estrae l’ultima sigaretta del pacchetto proprio mentre Harry si volta, probabilmente a causa della gente che, sullo sfondo, sta ancora sussurrando. Le espressioni che si rincorrono sul suo volto sono di sorpresa, paura, felicità. Le fossette sono visibili quando Louis, dopo aver fatto un tiro, gli passa la sigaretta in silenzio. Harry aspira il fumo con calma assoluta, gettandola poi, ancora tutta da fumare, oltre il parapetto. Espira il fumo lentamente, afferrando la mano destra di Louis. “Non sapevo che fumassimo” commenta, osservando il cielo noncurante. “Infatti non fumiamo” replica Louis, tirandogli leggermente il braccio per farlo voltare. Gli stringe i fianchi con le braccia mentre Harry, incrociando le mani dietro al suo collo, sorride e “alla fine torniamo sempre” dice a bassa voce, guardandolo negli occhi. Louis appoggia la sua fronte a quella di Harry, alzandosi sulle punte dei piedi, mentre “che differenza fa, in definitiva?” chiede. “Londra o New York, Primrose o Manhattan, siamo sempre io e te.”
Ventitre e cinquantanove.
“Beh,” osserva Harry, accigliandosi, “qui siamo noi. C’è una bella differenza.” Louis ride, perché gli viene naturale, perché va bene così. Perché adesso può fermarsi.
Cinque, quattro, tre, due, uno.
“Buon Anno, Lou.”
Londra brucia, esplode mentre Harry bacia Louis, un contatto sospirato e rincorso per così tanto tempo che offusca tutto il resto. Le luci e i botti sono solo sfumature nello sfondo mentre le labbra di Louis sfiorano quelle di Harry, approfondiscono il bacio, sussurrano un ti amo soffocato da troppo. Il mondo è vasto, lo hanno sperimentato; tuttavia, pensa Louis mentre labbra, lingue e denti si incontrano in un’armonia meravigliosa e giusta, se c’è una cosa sola che sanno fare, è ritrovarsi. Se Louis ha perso il conto dei giorni che sono passati, nessuno lo saprà. Harry, in ogni caso, torna sempre.
 
 
 
 
 
 
(Invecchiano insieme. Harry sa dei numeri, Louis sa delle frasi del quaderno. Il maglione è ancora nell’armadio, anche se è fuori moda. Va tutto bene.)
   
 
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