Anime & Manga > TSUBASA RESERVoir CHRoNiCLE / xxxHOLiC
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Autore: Kuri    21/05/2008    0 recensioni
Shubun no hi. L'equinozio d'autunno.
Dopo la calura dell'estate trascorsa a raccontarsi storie di fantasmi attorno ai falò, con la stoffa leggera degli yukata a sfiorare la pelle, è tempo che gli spiriti ritornino dall'altra parte, fino al successivo equinozio di primavera.
E' quello il momento giusto per onorare i morti, affinchè si comportino bene con i vivi.
Non altrettanto giusto è, secondo Yuuko, è l'invasione che c'è stata in questa ricorrenza del suo negozio e della sua serena tranquillità.
Ma ogni momento è buono per capire quanto quello che abbiamo può essere importante, anche se si è uno degli essere magici più potenti di tutti i mondi.
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Kimihiro Watanuki , Yūko Ichihara
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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21 Settembre - Decisamente c'è qualcosa che non va


La prima giornata d'autunno di Watanuki era iniziata con un notevole senso di confusione in testa. Aveva avuto bisogno di un paio di minuti per far passare l'intontimento e rendersi conto che era nel suo letto, che la notte prima era tornato a casa incredibilmente tardi, e che doveva alzarsi nel giro di pochissimi istanti se voleva fare in tempo a preparare il bentō per Doumeki e Himawari e vestirsi per andare a scuola.
Quello che era realmente successo nel negozio di Yūko lo aveva realizzato solo una volta superato il cancello della struttura scolastica, mentre Himawari lo salutava da lontano per attirare la sua attenzione.
Non sapeva bene cosa pensare, anche perché non c'era stato molto tempo per ragionarci su. Dopo un primo istante di scoramento, Yūko gli aveva seccamente imposto di preparare le stanze per le due ospiti e il loro seguito e poi era scomparsa in un turbinio feroce di seta cremisi e capelli scuri come la notte. Solo Maru e Moro avevano sollevato i musetti nella sua direzione e avevano eseguito con solerzia i suoi ordini. Alla fine di tutto quel gran daffare si era avviato verso casa, dove era crollato esausto sul proprio letto.
Tutto era accaduto così in fretta che non riusciva neppure a chiedersi chi fossero quelle due donne, e tanto meno a darsi una risposta.
«Cosa c'è, Watanuki? Qualcosa ti preoccupa?»
La voce dolce di Himawari lo scosse dai suoi pensieri mentre la sua ombra gli sottraeva i raggi tiepidi del sole. Il ragazzo sollevò la testa verso di lei rivolgendole un sorriso, seduto su un giardino nel posto consueto in cui i tre ragazzi andavano a mangiare sul retro della scuola. Himawari rispose alla sua espressione sollevando le spalle con una risatina leggera e scuotendo le lunghe code ricciolute.
«Sei sempre così serio e concentrato, Watanuki! Il lavoro al negozio ti occupa molto, non è vero?»
«È colpa sua che si agita per un nonnulla, e non è in grado di organizzarsi.» disse Doumeki che si trovava seduto accanto a Watanuki, infilandosi poi un maki in bocca con perfetta indifferenza.
«Nessuno ha chiesto il tuo parere! E poi non vedo perché devi startene a mangiare qui. Questa è la settimana dello Shubun no hi, non ho bisogno di te, stupido Doumeki!»
«Uh?»
«Già, è vero!» il viso di Himawari si allargò in un nuovo sorriso «Questa è la settimana dell'equinozio. Immagino che per te sarà un grande sollievo, Watanuki!»
La faccia del ragazzo assunse un'aria vagamente idiota mentre sorrideva beato a Himawari e Doumeki ne approfittò per sottrarre un altro maki dal suo bentō.
«Al negozio, però, sono arrivate delle strane persone, ieri sera... temo che non avrò molto tempo per le visite al tempio e al cimitero» improvvisamente il viso di Watanuki assunse un'espressione addolorata. Himawari si portò una mano alla bocca appena si accorse di quella smorfia, come se fosse stata causata direttamente dalle sue parole.
Watanuki non era mai triste. Ogni volta che la sua memoria faceva riemergere i vaghi ricordi dei suoi genitori e della loro morte, si sforzava di sorridere, di alleggerire la tensione riducendo l'intensità di quello che sentiva in un'apparente sciocchezza, in un pensiero da nulla che poteva essere allontanato con facilità.
Ma Himawari e Doumeki sapevano che non era così. I due ragazzi erano consapevoli di quanto quei discorsi lo sprofondassero in un sentimento limaccioso di malinconia. Eppure sapevano anche che non avrebbero potuto fare nulla per migliorare le cose. Il dolore di Watanuki diventava con immensa tenerezza anche il loro e lunghi minuti di rammarico silenzioso colavano di tanto in tanto sulla piccola compagnia senza che potessero evitarlo.
«Se vuoi potremmo andarci insieme, Watanuki. Se io e Doumeki chiediamo alla signorina Yūko di lasciarti venire con noi, non dirà certo di no.»
Watanuki scosse la testa con decisione, anche se quel sorriso addolorato continuava ad aleggiargli sulle labbra.
«Non voglio che poi lei vi chieda qualcosa in cambio.»
«Yūko potrebbe allora addebitare tutto a te.» l'esclamazione di Doumeki lo colpì facendolo quasi cadere dal gradino su cui era seduto.
«Tu ti diverti a vedere Yūko che mi tiranneggia, vero? Ammettilo, bastardo! Tu godi nel vedermi soffrire alle dipendenze di quella donna orribile!» si mise a gridare Watanuki mentre tentava di strangolare un Doumeki indifferente, completamente assorto dalla scelta tra un maki al tonno e uno al salmone.


«È per caso il ragazzino alto con gli occhiali?» la voce della ragazza dai lunghi capelli neri soffiò come una bava di vento, quasi inudibile.
«Sì, è lui.» le rispose baldanzosamente il ragazzo, scoccandole un'occhiata affettuosa a cui lei rispose con un vago rossore sulle guance.
Le due figure tornarono ad osservare, seminascoste dalle fronde dorate degli alberi di ginko su cui erano salite.
Di tanto in tanto un refolo di vento faceva staccare dei rami delle foglie accartocciate e sollevava il bavero alla marinaretta della divisa di lei.
«Non sembra molto forte, e neppure il ragazzo che sta con lui.» disse, spostando appena dietro l'orecchio una ciocca di capelli.
«Eppure da un mondo all'altro si dice che lui sia l'erede della strega delle dimensioni, e che anche l'altro sia dotato di un forte potere.»
Una smorfia di misurato disprezzo le si disegnò sulle belle labbra sottili.
«Le chiacchiere non hanno mai racchiuso la verità. Io non percepisco in loro nessuna forza così straordinaria.»
Lui fece spallucce, accovacciandosi sulle ginocchia, evidentemente divertito.
«In ogni caso sarà prudente tenerlo d'occhio.»
Il salto che spiccarono fu così veloce che nessuno, anche se avesse alzato lo sguardo sulle cime degli alberi, avrebbe potuto dire con precisione il momento esatto in cui le due figure erano sparite.


«Shubun no hi a me piace molto. Si respira un'aria di tale pace che sembra quasi irreale. E poi è l'ultima occasione per vedere le persone in kimono prima di capodanno...»
«E tu sei così carina in kimono, Himawari-chan!» esclamò Watanuki piroettando in mezzo alla strada che stavano percorrendo dopo la fine delle lezioni, stringendosi il viso tra i palmi delle mani, mentre la sua fervida immaginazione prendeva il sopravvento.
«Dicono che a Shubun no hi pioverà a dirotto.»
Watanuki per poco non incespicò lungo il marciapiede appena sentì la voce di Doumeki infrangere, come di consueto, le sue fantasie.
«Maledetto uccellaccio del malaugurio, ma non sei capace di stare zitto una volta in vita tua?» gridò Watanuki allungando le mani per artigliare il collo di Doumeki.
In quel momento qualcosa leggero come una carezza gli sfiorò il viso. Una carezza, gelida come una lama sottile, una sensazione di freddo che gli attraversò il viso lasciandolo immobile.
Si bloccò, mentre le sue mani rimanevano sospese a mezz'aria.
«Watanuki!» Himawari lanciò quell'esclamazione d'angoscia portandosi le mani alla bocca, mentre i grandi occhioni scuri si spalancavano per l'orrore.
Doumeki voltò la testa di scatto, come se avesse udito qualcosa, poi tornò ad osservare lungo la strada che stavano percorrendo. Tutto sembrava immerso nella quiete placida dei tetti che sbucavano dalle recinzioni e le chiome rosse degli alberi che mormoravano scosse dal vento.
In ogni cosa, c'era silenzio.
Watanuki si portò una mano sulla guancia e le sue dita incontrarono la sensazione viscosa del sangue.
Fissò con stupore i polpastrelli tinti di rosso mentre Himawari si precipitava su di lui per tamponargli la ferita con un fazzoletto.
«Cosa è stato?» il sussurro impaurito di Himawari prese forma tra di loro con la consistenza di una bolla.
«Non lo so.» rispose con apparente semplicità Doumeki. Eppure Himawari poteva vedere come ogni muscolo del ragazzo fosse in tensione. A causa di un sentimento inspiegabile, per Doumeki era impensabile che qualcuno potesse fare del male a quel giovane alto e occhialuto che ogni giorno soddisfaceva le sue più assurde richieste di bentō. Ma di sicuro quello che lo muoveva andava ben aldilà di una questione di stomaco.
Che qualcuno – o qualcosa – potesse aver colpito Watanuki in sua presenza, era semplicemente inconcepibile.
La risata maschile si liberò nell'aria con sincero divertimento.
Le dita di Doumeki si contrassero, mentre le mani si chiudevano a pugno.
La strada seguitava ad essere deserta e quella voce sembrava essere giunta dall'alto, da un posto che i tre ragazzi non riuscivano a vedere.
Himawari strinse con più forza le braccia sulle spalle di Watanuki che si tamponava la ferita, mentre sul visino pallido di lei la paura lasciava il posto ad un'espressione di decisione.
«Caro Seishiro, non credo che sia il caso di fare già a fettine questo simpatico giovane prima che lo possa vedere la nostra Kanoe. Sono sicuro che lo troverebbe estremamente simpatico. E poi la strega delle dimensioni non gradirebbe una sua così repentina dipartita.»
I ragazzi alzarono lo sguardo e finalmente lo videro, in piedi sul ramo di un albero, in perfetto equilibrio sulla corteccia sottile. Indossava un lungo soprabito candido, come dello stesso colore era l'abito dal taglio impeccabile che si intravedeva sotto i lembi svolazzanti della stoffa. Una sfarzosa cravatta di seta viola spezzava quella monocromia abbacinante con una nota buffa.
I capelli, chiarissimi, gli scendevano in onde morbide e disordinate sul viso dai lineamenti perfetti e sorridenti. Quel sorriso, tuttavia, aveva qualcosa di agghiacciante.
Doumeki allargò appena le gambe, come a voler fare maggiore presa sul terreno.
«E tu chi sei?»
Negli occhi dell'uomo si accese un lampo di divertimento.
«Oh, sono solo un semplice passante.» rispose l'uomo chiudendo gli occhi e inclinando la testa di lato in un'espressione di presunta innocenza.
«Che io sappia, i semplici passanti non camminano sugli alberi.» fu l'affermazione brusca di Doumeki.
L'uomo scoppiò nuovamente a ridere, come se la situazione fosse di un'ilarità fin troppo evidente.
«Kigai. Non mi sembra il caso di perdersi in inutili convenevoli.»
Accanto all'uomo vestito di bianco comparve un secondo individuo. A differenza del compagno vestiva completamente di nero, come scuri erano anche gli occhialini che spiccavano sul pallore terreo del volto magro. Era talmente scavato, quel viso, che a tratti si poteva credere che la pelle si tendesse direttamente sulle ossa del cranio, come in una macabra e viva rappresentazione della morte.
L'uomo vestito di bianco scoppiò nuovamente a ridere nel notare l'espressione sempre più sbigottita di Himawari e Watanuki e il cipiglio diffidente di Doumeki.
«Poveri ragazzi.»
«Eccovi, finalmente!»
L'esclamazione fece voltare di scatto la testa ai tre ragazzi.
A gridare quella frase era stato uno strano giovane che agitava forsennatamente le braccia in direzione dei due uomini, e al cui fianco si stagliava una bellissima ragazza dai capelli corvini. Sul volto perfetto di lei aleggiava un'impenetrabile espressione di freddezza. In mano stingeva una katana che appariva fusa con la sua mano da un fascio di filamenti organici.
Anche loro sembravano trovarsi molto a loro agio sulle cime degli alberi.
«Arisugawa-kun, che piacere rivederti!» lo salutò l'uomo vestito di bianco. Il ragazzo proruppe in una risata e alzò la mano a stropicciarsi la zazzera di capelli neri spettinati.
Doumeki sbatté le palpebre un paio di volte, poi scosse la testa mugugnando qualcosa a mezza bocca. Infine afferrò Watanuki per un braccio e prese a trascinarlo lungo la strada, seguito da Himawari.
«Ehi, aspettate, dove state andando voi tre?» esclamò all'improvviso l'uomo dagli abiti candidi lanciando su di loro uno sguardo violetto fendente come una lama.
«A casa. Mi sto davvero scocciando.» gli rispose Doumeki senza degnarlo di un'occhiata.
«Ma noi non abbiamo ancora finito con voi tre, soprattutto con lo spilungone occhialuto.»
Watanuki alzò gli occhi mentre sentiva ancora la ferita bruciare sotto la pressione del fazzoletto.
«Beh, io mi sto annoiando.» concluse Doumeki senza dare segno di volersi fermare.
«Kigai! Io e Arashi non vi permetteremo mai di fargli del male!»
«Non ne ho il minimo dubbio, Arisugawa-kun!»
Watanuki non riusciva a capire. Tutto gli sembrava più concreto rispetto alle volte in cui gli spiriti gli facevano visita, ma allo stesso tempo quegli eventi sembravano appartenere ad un mondo e ad una storia che non conosceva e proprio per questo tutto gli risultava incomprensibile.
Come quando il ragazzo dai capelli spettinati stese in avanti il braccio, con il palmo della mano rivolto verso l'alto, e sul suo viso si formò una smorfia di concentrazione. Dal palmo iniziò a crescere un cubo traslucido come vetro. Watanuki si portò istintivamente il braccio sul viso quando quello strano schermo lo investì, ma non sentì nulla, tranne un leggero formicolio sulla superficie della pelle.
Quando riaprì gli occhi, vide gli sguardi dei quattro personaggi puntare su di lui e i suoi amici con interesse.
«Posso capire i ragazzi, ma c'è anche lei all'interno della tua barriera.» la frase pronunciata dalla ragazza sembrò una banale constatazione, espressa con apparente indifferenza.
«Come è possibile?» il tono interrogativo e stupito dell'uomo vestito di bianco catturò l'attenzione dei ragazzi «Forse siete anche voi legati alla fine del mondo?»
«Cosa?» gridò Watanuki agitando le braccia come impazzito «Cosa volete da noi? Quale fine del mondo?»
Yuto Kigai aprì la bocca, come a rispondere alle sue domande, ma l'uomo chiuso nel lungo impermeabile scuro stese una mano per zittirlo. Con il mento, impercettibilmente, indicò la figurina sottile di Himawari, e Yuto si bloccò, spostando lo sguardo duro sulla ragazzina. La osservò per un lungo istante, per poi distogliere gli occhi con un sorrisetto.
«Beh, non si può certo essere sempre fortunati.»
Portò la mano affusolata a scostare le ciocche chiare di capelli dalla fronte e in quel gesto il suo corpo e quello dell'uomo accanto a lui sembrarono dissolversi nell'aria, lasciando solo il ramo dell'albero ad ondeggiare con un fruscio leggero di foglie secche.
I ragazzi voltarono di scatto la testa quando gli altri due giovani scesero dal loro albero con un salto poderoso.
Doumeki strinse i pugni istintivamente, chiudendo lo sguardo sulla katana della ragazza. Questa gli restituì un'occhiata gelida e poi, con apparente indifferenza, fece rientrare l'arma nel proprio corpo attraverso il palmo della mano.
«Ehi, signorinella, hai messo proprio una bella paura a quei due cattivoni!» esclamò il ragazzo esplodendo in una fragorosa risata nella direzione di Himawari. Lei si strinse a Watanuki, mentre le mani le tremavano, aggrappate alla cartella della scuola con un gesto convulso.
«Cosa volete da noi?»
Il ragazzo fissò Doumeki, senza che il suo sorriso sincero si spegnesse sulla bocca.
«Ciao, io sono Sorata e questa è la mia ragazza, Arashi.» lei avvampò, mantenendo il cipiglio imbronciato sul viso bellissimo «Siamo qui per proteggere la profetessa Hinoto da tipi come quelli, che l'hanno seguita fin qui perché sanno che le possibilità di difesa sono minori. Ma ci siamo noi, per questo non potranno mai averla vinta!» esclamò occhieggiando con evidente soddisfazione.
I ragazzi rimasero ammutoliti.
«Ma tu sei il discepolo della strega. Credo che sia opportuno non trattenerti oltre. Immagino che avrai giornate intense al servizio di quella vecchia volpona di Yūko!»
Watanuki sospirò, sentendo che la tensione si stava sciogliendo.
Effettivamente, da quando aveva conosciuto Yūko, non aveva avuto modo di annoiarsi.
La strega avrebbe dovuto spiegargli un bel po' di cose, quel pomeriggio.
C'era decisamente qualcosa che non andava.


Appena entrato nel negozio, Watanuki realizzò che effettivamente c'era qualcosa che non andava. La casa era immerso nel silenzio, ma non era la consueta pace interrotta solo di tanto in tanto dagli schiamazzi dei suoi caotici abitanti.
Era come se un velo sottilissimo e leggero avvolgesse ogni oggetto, rendendo i movimenti e i respiri difficili.
Watanuki entrò nel negozio chiamando Yūko a gran voce.
La volpe della pipa gli venne incontro fluttuando nell'aria e avvolgendosi con affetto intorno al suo collo, lanciando deboli pigolii di piacere.
«Brava, brava... Yūko è in camera sua?» le chiese mentre la accarezzava distrattamente.
Pur non essendo la strega all'apice della sua scala di affidabilità, la sua presenza lo aiutava a percepire con più nettezza le cose strane che gli accadevano attorno, consentendogli di prendere le giuste distanze da quei fenomeni. Era proprio per quel motivo che aveva bisogno di una sua spiegazione, per quanto strampalata potesse essere.
Si avviò lungo il corridoio in cui si trovava la camera della strega e subito non si avvide della densa bava di fumo che passava da sotto la porta, insinuante come un serpente con le sue spire contorte.
«Yūko!»
Watanuki si precipitò verso la stanza, mentre la sua mente pensava a tutte le sventurate circostanze in cui poteva essersi scatenato un incendio all'interno della camera della donna. Le aveva detto mille volte di non accendere impudentemente il braciere con l'incenso senza poi curarsi di spegnerlo.
Quando spalancò la porta, la scena che apparve sotto i suoi occhi lo lasciò completamente sbigottito, tanto che non realizzò subito che il fumo della pipa che Yūko si portava furiosamente alla bocca aveva invaso tutta la stanza in una nebbia densa e grigiastra.
«Yūko!»
La strega alzò la testa di scatto, distogliendo lo sguardo iroso dal bracciolo della chaise longue. Lo fissò per un lungo istante che fece scorrere un brivido gelido lungo la schiena di Watanuki, poi sbatté le palpebre sopra le iridi rossastre.
«Dove sono?»
Watanuki socchiuse le labbra.
«Chi?»
Yūko si alzò di scatto, la seta nerissima della vestaglia da camera che le vorticava tra le gambe pallide, e si avvicinò alla cassettiera intagliata per prendere altro tabacco per la pipa.
«Quelle due streghe...»
Watanuki arretrò di un passo. La furia palese della voce di Yūko lo stava spaventando molto di più delle frasi sibilline e misteriose che snocciolava con i suoi clienti.
«Non lo so, sono appena rientrato. Ma chi sono, Yūko? Insomma, ieri sera...»
«Ehi, cosa hai fatto al viso?»
Watanuki sollevò la mano alla ferita sulla guancia che bruciava un po'.
«Dei personaggi strani hanno attaccato me, Doumeki e Himawari dopo la scuola. Ci hanno aiutato due ragazzi che ci hanno detto di avere un legame con la profetessa.»
La donna riempì con cura la pipa, mentre la bocca formava un taglio sottile e crudele al centro del viso. Avvicinò un lungo fiammifero al fornello e la brace sopita riprese a rosseggiare e a spandere il suo fumo denso nell'aria già soffocante.
«Non avvicinarti troppo a quelle due donne, Watanuki. Qualsiasi cosa loro ti chiedano, qualsiasi cosa vogliano da te, tu fingi di non averle neppure viste. Di loro si occuperanno Maru e Moro, e i servitori che si sono portate dietro.»
«Perchè? Yūko, io non capisco...»
La strega si voltò, mentre le spire del fumo le si avvolgevano attorno ai polsi e al viso come grossi boa pigri. Nel suo sguardo c'era qualcosa di indecifrabile, un grumo di significati che Watanuki non riusciva a capire, anche se sapeva essere rivolti a lui. Il mondo di Yūko era incomprensibile, ma quello che poteva nascondersi dietro al suo sguardo fosco e a quei lampi scarlatti era vasto almeno quanto uno dei tanti mondi le cui fila la donna intesseva tra le dita.
«Emeraude è la principessa di un mondo che è specchio di una Terra parallela, costruita da un dio alquanto bizzarro.» lo sguardo della donna si distolse dal viso di Watanuki per lanciare un'occhiata affettuosa alla piccola Mokona che ronfava beata sulla chaise longue «È una donna sulle cui spalle grava un peso che ben presto la schiaccerà, e il suo mondo con lei. Coinvolgerà molte persone nel suo dolore, perché è l'unico mezzo che ha per liberarsi del senso di colpa. Hinoto invece è la profetessa potentissima di una Terra che sta affrontando una guerra all'ultimo sangue tra due fazioni molto determinate e che vedrà un'apocalisse terribile abbattersi su ogni cosa. Dentro il cuore di Hinoto...» si interruppe per lasciare le proprie dita scivolare sulla pelliccia soffice di Mokona e poi si voltò nuovamente verso Watanuki «Dentro il suo cuore ci sono troppi sentimenti e troppe paure, e proprio la Terra che vuole difendere potrebbe essere distrutta da questa sua debolezza. Sono donne molto pericolose, e meno stanno in questo mondo, meglio sarà per tutti.»
«Perchè sono qui, allora?»
Watanuki si sentiva completamente inebetito.
«Per lo Shubun no hi. Ogni cinquant'anni gli esseri magici più potenti di tutti i mondi si radunano sulle sponde del fiume per rendere omaggio a coloro che non ci sono più, in modo che la loro magia non torni sui mondi guidata da passioni e sentimenti distorti. Diciamo che è il corrispettivo magico di una visita al tempio e al cimitero.»
«Per fiume intendi...»
Yūko chiuse gli occhi e per la prima volta sorrise, annuendo piano con la testa. Non lo avrebbe mai ammesso, ma quelle piccole lezioni erano per lei veri momenti di piacere. Watanuki era un ragazzo estremamente ricettivo e attento, e la strega sapeva che nessuna delle sue parole sarebbe andata persa, ma sarebbe stata esaltata da quell'anima preziosa.
«Già, proprio quel fiume.»
«Yūuuuko!» il lungo lamento di Maru e Moro proruppe nella stanza mentre le due bambine precipitavano dentro rovinando a terra. Apparivano distrutte, i visini tirati dalla stanchezza.
«Cosa succede?» esclamò Watanuki chinandosi per aiutarle ad alzarsi.
«Continuano a chiederci tante cose e noi...»
«Quelle due maledette!» Yūko strinse la mano a pugno, mentre il suo viso riprendeva un'espressione di furore «Adesso le caccio e non mi importa delle conseguenze, chiuderò ogni più piccolo spiraglio tra il loro mondo e...»
Il campanello posto nell'ingresso del negozio suonò, malgrado il frastuono che regnava.
Solitamente Yūko si divertiva a percepire la presenza dei suoi clienti fin da quando erano ancora nella strada, ma aveva deciso lo stesso di installare un piccolo campanellino di bronzo che tintinnava ogni volta che la porta si apriva.
Lei sollevò la testa, tendendo la propria attenzione verso quello che percepiva con la forza naturale della sua magia.
«Maru, Moro, l'abito di taffetà con le maniche lunghe, farà freddo, questa sera.» schioccò le dita con forza e i suoni secchi fecero rialzare le bambine improvvisamente rianimate, mentre la bollicina che si gonfiava sul nasino di Mokona esplose con un plop sordo «Watanuki, ti prego, fai accomodare la nostra cliente e servi pure il thé alla vaniglia. Io arrivo subito. Falla accomodare nella stanza dove hai messo il vaso con le camelie.»
Yūko congedò il ragazzo con un volteggiare setoso di stoffa, scomparendo oltre il paravento decorato che usava come spogliatoio.
Watanuki uscì dalla stanza, richiudendosi la porta alle spalle.
Si incamminò a passi lenti lungo il corridoio, diretto all'ingresso.
Quando si affacciò, lei si voltò. Aveva lunghi capelli neri che le ondeggiarono sulla schiena e la pelle che sbucava dall'abito scollato aveva il colore del cappuccino, una tonalità brunita insolita per quell'angolo di mondo, come insolite erano le pagliuzze dorate nelle sue iridi intense e dolenti, degli occhi dalla tondeggiante forma occidentale. Il vestito che indossava era intessuto di foglie smeraldine e fiori vermigli su campo nero, un pesante stoffa lucida che la avvolgeva come un abbraccio.
Tutto, nella donna, era esotico e strano, come se la sua sola presenza fosse una nota incrinata.
«Ciao.»
«Buongiorno, io sono qui... non lo so, ma...»
Watanuki sorrise, abituato all'iniziale perplessità di tutti i clienti della strega.
«Adesso verrà immediatamente la proprietaria del negozio. Se vuole, intanto, si accomodi in questa stanza, le servirò subito del thé.»
La donna ebbe un tremore, come se il suo corpo fosse stato attraversato da un'impronta gelida.
«Ecco...»
«Accomodati pure.» la voce forte di Yūko fece voltare tutti. Teneva le braccia incrociate sul petto prosperoso, nella sua posa migliore da sibilla misteriosa, perfettamente calata nella parte. L'abito di stoffa morbida si apriva sulle sue gambe in dolci increspature, in un taglio da bambola vittoriana.
«Non manca molto a Shubun no hi. Dobbiamo fare presto.»


C'era il thè che fumava nelle tazze di ceramica dipinte. La casa sembrava di nuovo finalmente deserta. Watanuki era seduto alle spalle di Yūko, accomodata al tavolo con il mento mollemente appoggiato al dorso della mano.
Come sempre aspettava che le parole arrivassero da sole, spinte dagli impulsi più primordiali.
«C'è qualcosa che desideri? Qualunque cosa ti può essere offerta, in cambio del giusto prezzo.»
La donna si morse il labbro inferiore, carnoso e morbido, con i denti candidi e perfetti.
«Dimmi.»
Tentennò ancora un attimo, tamburellando con le unghie traslucide come perle sulla superficie del tavolo.
«Voglio liberarmi di lui. Voglio che non mi ami più. Voglio perderlo.»
«Ma tu lo hai già perso. È morto, e non tornerà più.»
Le parole di Yūko erano state inevitabili come sassi lanciati in un laghetto.
«Torna sempre. Ogni notte mi aspetta nel salottino della mia casa, mentre mi preparo per la notte. Sorseggia vino aromatizzato alla magnolia, fatto arrivare direttamente dall'America. Aspetta me e intanto fissa il letto coperto di lenzuola di raso nere, con desiderio.»
Watanuki sentiva che l'aria si faceva più densa e pesante. Era come se le promesse tropicali di quella donna straniera le turbinassero attorno come un incantesimo.
«Nel vino splendono dei diamanti, e io so che sono per me. È il prezzo che lui mi paga, ogni sera. Poi appoggia il bicchiere sul tavolino accanto alla poltroncina e si avvicina a me. Mi abbraccia, dice che la mia pelle sa di cioccolato e ha il colore del café au lait...» [4]
La donna si strinse le braccia attorno alle spalle, senza distogliere gli occhi fieri da quelli della strega che la fissava con il suo consueto sorrisetto.
Yūko non giudicava. Semplicemente, la realtà la divertiva molto.
«Poi mi stringe e cominciamo a ballare, balliamo per tutta la notte follemente e io non riesco a smettere e a sfuggire da lui. All'alba svanisce e io sento il cuore nel petto che mi scoppia. E so che morirò perché lui vuole che io muoia per essere sua ancora.»
Yūko chiuse gli occhi. Watanuki poteva sentire la tensione scorrere dalla bellissima donna creola, una cliente tanto insolita per quel negozio.
«Getta via la bambola voodoo che hai fatto, quella che lo rappresenta. Bruciala e disperdi le sue ceneri. Bada di fare tutto prima dell'equinozio d'autunno, perché allora le porte si chiuderanno e più nulla potrà passare da una parte all'altra, se non all'alba del giorno successivo e sarà molto importante riuscire a disperdere la sua mangia in tempo. Parleremo poi del giusto prezzo.»
La donna si alzò dal tavolo, ondeggiando sugli altissimi tacchi delle scarpe di lucida vernice rossa che non si era tolta prima di entrare. Lanciò un'ultima occhiata alla strega, che trasudava una magia diversa da quella carnale e soffocante a cui era abituata, ma che era ugualmente terrena e reale.
Yūko rimase immobile mentre la donna se ne andava e Watanuki le apriva gentilmente le porte.
Vino, danze. Un ricordo che passava fugace dietro lo schermo di quegli occhi misteriosi, per poi essere affossato di nuovo nella memoria.
Anche lei aveva qualcuno da salutare, legata contro la sua volontà ad un profumo che arrivava dall'altra sponda del fiume.





[4] questo discorso ricalca parte del testo della canzone Lady Marmalade nella versione fatta da Christina Aguilera, Lil' Kim, Mya & Pink.

   
 
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