Libri > Hunger Games
Segui la storia  |       
Autore: Akilendra    29/12/2013    2 recensioni
Gli Hunger Games sono giochi senza un vincitore, ventitrè ragazzi perdono la vita, l'ultimo che rimane perde sè stesso in quell'arena, non c'è nulla da vincere, solo da perdere. Nell'arena si è soli, soli col proprio destino, Jenna però non è sola...
Cosa sei disposto a fare per non perdere te stesso? E se fossi costretto a rinunciare alla tua vita prima ancora di entrare nell'arena?
Gli Hunger Games saranno solo l'inizio...
(dal Capitolo 1):
"Un solo rumore e so che lei è qui...l'altra faccia della medaglia, il mio pezzo mancante, la mia immagine riflessa allo specchio, una copia così perfetta che forse potrebbe ingannare anche me, se non fosse che io sono la copia originale dalla quale è stata creata. Dopotutto sono uscita per prima dalla pancia di nostra madre, quindi io sono l'originale e lei la copia."
(dal Capitolo 29):
"'Che fai Jenna?'
Mi libero della menzogna.
'Che fai Jenna?'
Abbraccio la verità.
'Che fai Jenna?'
Mostro l'altra faccia della medaglia."
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Angoletto dell'autrice che non molla: Rieccomi, anche se da un po' di capitoli sono calate le recensioni nonchè la mia ispirazione, io non ho intenzione di mollare, ho iniziato a scrivere questa storia e la porterò a termine!
Bene, detto ciò, volevo solo dire a chi ha sofferto la lontananza di Sam nei capitoli precedenti di non disperare, perchè in questo capitolo c'è molto di più, non è detto che vi piaccia, ma c'è molto di più.
Non ho nient'altro da dire, spero che questo capitolo vi piaccia e che vogliate farmi sapere cosa ne pensate, perchè non mi stancherò mai di ripeterlo: non c'è niente di più importante della vostra opinione, anche se non è positiva!
Ah, poi volevo ringraziare tantissimo Hoshi98 per esserci stata anche quando era la sola, Elektra47 per aver cominciato a leggere dall'inizio la mia storia e aver recensito in breve tempo ogni capitolo, a Roberta Salvatore perchè sì e Giuli_Sunlight per la mega-recensione che mi ha lasciato, ho apprezzato davvero molto!
Beh, alla prossima, Buona lettura!








-Accetterà – urlo entrando nella sala del comando –Katniss accetterà – ripeto a voce più bassa –Sarà la Ghiandaia Imitatrice –gli sguardi di tutti i presenti sono fissi su di me. –E tu che ne sai? – chiede Haymich riducendo gli occhi a due fessure, mi guardo le mani – Lo so. Non vi basta? – rispondo, forse un po’ troppo sulla difensiva. Per qualche minuto tutto nella stanza tace, poi è la Coin a parlare – Non è questo il punto… - comincia, ma la interrompo prima che possa finire – è lei. È la persona giusta. – dico lei mi guarda un attimo come per capire da dove provengano le mie parole –Non sto cercando di scappare dalla decisione davanti alla quale mi avete messo – mi affretto  a spiegare – Accetterà, lo so. E so anche che è la cosa giusta – Haymitch annuisce fissando un punto indefinito –Vorrei poter avere la stessa sicurezza – dice in un soffio di voce la presidente, un attimo dopo è tornato il pezzo di marmo che conosco – Sarà meglio per lei – dice gelida – E per noi – aggiunge Haymitch. E per noi.
 
Dopo pranzo Katniss comunica al consiglio che ha acconsentito a diventare la Ghiandaia Imitatrice, ma a patto che rispettino le sue condizioni. Quando la Coin le annuncia pubblicamente destano qualche attimo di agitazione, che lei calma subito chiarendo che alla prima mossa falsa di Katniss, il patto si considererà sciolto e la sorte dei vincitori come quella di Katniss sarà decisa dalle leggi del distretto 13. L’ha incastrata e ormai lei non si può più tirare indietro.
 
Pian piano la sala comune si svuota e la gente torna a fare quello che stava facendo prima di essere stata convocata, rimane solo Katniss, in mezzo alla sala che fissa un punto imprecisato davanti a sé con un’espressione indecifrabile sul viso. Per un secondo dentro di me lottano intenzioni contrastanti. Una parte di me prova pena per lei perché ancora una volta sembra essere diventata una pedina,la stessa che sarei potuta diventare io, questa stessa parte vorrebbe avvicinarsi per parlarle, l’altra parte invece, testarda e orgogliosa vuole solo poter essere indifferente. Ma ormai è da un pezzo che ho spesso di riuscire ad essere indifferente. E poi, siamo nella stessa squadra ormai, e non parlo dei ribelli. No, noi due siamo in una squadra molto più intima, quella delle persone condannate eternamente a recitare una parte.
Perciò non ce la faccio proprio ad essere indifferente con lei, nonostante tutto sarebbe come essere indifferente con me stessa. Così alla fine mi avvicino, le nostre spalle si sfiorano, i nostri sguardi sono puntati in avanti, faccio finta di sapere dove stia guardando, faccio finta di guardare nello stesso punto. Per qualche minuto ci ignoriamo, o almeno facciamo finta di ignorarci, poi decido di rompere il silenzio – Ti ha incastrata eh? – dico, la sento sussultare impercettibilmente contro la mia spalla, come se non si aspettasse che avrei parlato prima o poi. Lo sguardo fisso in avanti, sembra che non mi abbia mai sentito e che io non abbia mai parlato, ma ha sentito e ho parlato.
– Non devi per forza fidarti di lei sai? – non so neanche io perché ho detto questa cosa, so solo che ha capito che sto parlando della Coin e sembra che le mie parole abbiano fatto centro, sussulta per la seconda volta, brevi tremiti, ma che io percepisco chiaramente. Gira di poco la testa, quel tanto che le basta per guardarmi negli occhi, anch’io mi volto poco – Io non mi fido di lei – sussurra – Non mi fido di nessuno di loro – continua a voce così bassa che faccio fatica persino a sentirla. Poi riporta lo sguardo avanti –Neanche io – confesso, lei volta il viso di nuovo –E allora che facciamo? – chiede. I suoi occhi grigi come il metallo fuso scrutano nel buio dei miei cercando risposte che non ho ancora – Teniamo gli occhi aperti – dico.
Insieme torniamo a guardare avanti a noi, come se non ci fossimo mai parlate, come se ieri non avessimo passato ore chiuse in un armadio, come se continuassimo ad odiarci in segreto. Ma ci siamo parlate, ci siamo aperte l’una all’altra e per quanto mi riguarda, da ieri ho smesso di odiarla. Siamo nella stessa squadra, lo siamo sempre state.
 
Quando il giorno dopo le chiedono chi voglia nella sua scorta e lei indica Gale e poi me, mi convinco che forse anche lei ha smesso di odiarmi.
 
Nel pomeriggio raggiungo Sam ed insieme ci avviamo verso l’ascensore. Ho chiesto alla Coin di poter uscire all’aria aperta con lui un’ora al giorno e lei dopo avermi elencato tutte le misure di sicurezza che avremmo dovuto adottare, ha acconsentito.
 
-Guarda! – Sam indica con il dito il cielo, mentre con l’altra mano non fa altro che stropicciare i fili d’erba su cui è sdraiato. Rotolo sul prato come fanno i bambini avvicinandomi di più a lui –Dove? – chiedo alzando gli occhi –Là, quella nuvola!– urla sorridente indicando con insistenza un punto nel cielo. Giro il collo per guardare meglio – Sembra un gatto – dice tutto convinto – Uno dei gatti della signora Miller – precisa ed insieme scoppiamo a ridere.
La signora Miller era una vecchia zitella che abitava nel distretto 7, che non faceva altro che allevare gatti, ne aveva un numero spropositato e li trattava come fossero i suoi figli. Quando camminava per strada era sempre in cerca di nuovi trovatelli da portare a casa, la gente la evitava, non è che fosse cattiva, non avrebbe fatto male ad una mosca, era solo un po’ matta. Un giorno mi ricordo di aver trovato un gatto randagio, probabilmente era stato abbandonato, era ferito ad una zampa, non sapevo cosa farne, io non potevo tenerlo e gli altri abitanti del distretto difficilmente lo avrebbero preso, nessuno aveva bisogno di un’altra bocca da sfamare. Così non sapendo cos’altro fare lo portai dalla signora Miller, ricordo ancora come le si illuminarono gli occhi quando lo prese in braccio, era una brava vecchia, infondo.
 
-Quella sembra un cappello! – dico indicando una nuvola proprio sopra la mia testa Sam segue il mio dito –Un cappello? Certo che hai fantasia tu eh! – commenta ridendo, metto su una finta espressione imbronciata – Tu vedi i gatti nel cielo e io non posso vederci un cappello? – chiedo con l’aria piccata, ma mi ridono perfino gli occhi, anche Sam ride –Puoi vederci quello che vuoi – dice.
La risata piano si spegne e si trasforma in un sorriso, inclina la testa fissandomi per quello che mi pare un tempo infinito–Che c’è? – chiedo ridendo, lui scuote la testa, ha il sorriso ancora sulle labbra – Sei bellissima – dice con un filo di voce, rimango intontita a guardarlo.
I capelli castani mossi dal vento, gli occhi azzurri illuminati dalla luce si confondono con il cielo. Lui è bellissimo.
Le sue mani sono bellissime, mentre mi accarezzano il viso. I suoi occhi sono bellissimi, mentre sono incollati ai miei. La sua bocca è bellissima, mentre solo un respiro la divide dalla mia.
Mi bacia, ci scambiamo i respiri a lungo, come se non fossimo capaci a respirare senza l’aiuto dell’altro. Quando ci stacchiamo ha dipinta sul volto un’espressione che mi sembra nuova, credevo di conoscere ogni più piccola sfumatura di lui, eppure quest’espressione… non l’avevo mai vista.
Mi bacia un’altra volta lentamente, con amore, in un modo in cui non mi aveva mai baciata prima. Una mano scivola lenta sotto il bordo della mia maglia, rido sulle sue labbra, mi fa il solletico – No…– dico staccandomi quanto basta per parlare. Ma lui sembra non sentirmi, o meglio, fa finta di non sentirmi e comincia a lasciare una scia di baci sul collo. Adoro quando mi bacia sul collo, lo sa – No – ripeto cercando di mostrarmi convinta, ma lui non si ferma – No…– ripeto ancora, ma la mia convinzione comincia a vacillare – Dai Sam, non qui!- ma sto ridendo e non mi prende sul serio. – Oh andiamo, lo abbiamo già fatto in un bosco – dice posando un bacio dietro il mio orecchio, rido ancora più forte. Non posso credere che l’abbia detto. – E non succederà una seconda volta – puntualizzo cercando di liberarmi dal suo abbraccio, dalle sue labbra esce un verso simile ad un grugnito – Non vuoi? – chiede con un’espressione che sarebbe in grado di smontare ogni mia convinzione. Come si fa a dire di no a questa faccia? – No – ecco, così.
Ma Sam non demorde e con un solo movimento il suo corpo mi schiaccia contro l’erba del prato
– Ci pensi mai ad un bambino? – mi chiede ad un soffio dalle mie labbra.
Sento che potrei morire da un momento all’altro.
Oh no, no, no. Ho sentito male, vero?
‘No Jenna, hai sentito benissimo’
Ha detto…
‘Bambino! B-A-M-B-I-N-O’
Sta’ zitta!
 
Ho vinto un’edizione degli Hunger Games, ho raggirato i sistemi di sicurezza della capitale, ho vissuto fingendo di essere un’altra persona, ho ucciso un ragazzino, ho ucciso Alexandra, ho visto morire Ares, ho creduto di essere morta, ho creduto di voler morire, hanno venduto il mio corpo come fosse una merce di scambio, hanno rapito mia sorella, sono una dei ribelli, sto partecipando ad una rivoluzione, mi hanno chiesto di diventare la Ghiandaia Imitatrice, ho scelto invece di essere le sue ali, ho deciso di essere un soldato, quando scoppierà la guerra combatterò…
E poi il mio ragazzo parla di avere un bambino ed io me la faccio sotto…strana la vita!
 
 – Un piccolo Claflin che corre di qua e di là e ti chiama mamma – mi sta seriamente spaventando. Ha detto mamma. Ha detto bambino.
– Sam… - lo chiamo cercando di strapparlo via da qualsiasi strana idea lo abbia rapito – Non lo vorresti, amore? – chiede e deposita un bacio sulle mie labbra prima che ne lasci un altro lo fermo mettendo la mia mano fra le nostre bocche – Sam… - lo chiamo cercando le parole giuste – …Amore mio… - aggiungo cercando di addolcirlo un po’e cercando di addolcire anche me – Non ti sembra un po’ presto per certi discorsi? – domando con il cuore in gola. Lui mi guarda come se fossi io quella strana – Non lo vuoi? – mi chiede con quell’aria innocente che mi fa sciogliere quando cerco di rispondere inciampo nelle parole .- Io… ecco, io… si, certo… Un giorno… - solo a pensarci sento crescere nello stomaco un terrore cieco, un giorno molto lontano…
Sam non sembra convinto -Mi ami? – chiede – Certo che ti amo – rispondo subito. Certo che lo amo. Lui continua a fissarmi come stesse pensando, ma a cosa non me lo dice – Ti amo anch’io – dice invece e lascia che le sue labbra si pieghino in un sorriso, poi alza le spalle con noncuranza –Vorrà dire che lo faremo un altro giorno il nostro bambino – dice con leggerezza. Un giorno molto, molto lontano, penso sentendomi stretta da un profondo ed irrazionale senso di terrore.
Sorride ancora e si abbassa per unire le sue labbra alle mie, ma prima che possa farlo lo fermo –Sam, non pensi che potremmo usare quest’ora per fare dell’altro oltre a…questo?- sul suo viso si dipinge un’espressione stupita.
In effetti anch’io sono stupita. Sono io quella che affoga i timori tra le sue braccia, sono io che desidero spegnere il cervello quando sto con lui. Sam è sempre stato il mio scacciapensieri. Ma non si può risolvere sempre tutto con un bacio, ci sono altre mille cose che ho voglia di fare con lui. Noi due siamo più di questo, siamo più di due ragazzini in preda agli ormoni che non ce la fanno a non saltarsi addosso appena si vedono. Tutto quello che abbiamo passato, tutto quello che abbiamo superato insieme, siamo due sopravvissuti, superstiti della vita.
Io sono sua e lui è mio. Ma in un modo molto più profondo di quello carnale.
Lui è mio perché io conosco ogni sua paura e gli offro la mano quando ne sento arrivare anche solo una. Io sono sua perché ha visto e provato sulla sua pelle ognuno dei miei incubi e quando arrivano li chiama per nome, come vecchi compagni di viaggio e mi offre le sue braccia per provare a scacciarli insieme.
Lui è mio quando qualche brutto pensiero lo porta lontano e basta la mia voce a farlo tornare indietro.
Io sono sua quando il mondo mi appare un posto buio e la sua sola presenza mi convince che almeno una luce c’è.
 
-Mh, pensavo ti piacesse…questo – dice figendosi offeso, alzo gli occhi al cielo – Certo che mi piace. Ma ho in mente altre mille cose che potrebbero fare queste belle labbra – e così dicendo traccio con un dito il contorno della sua bocca. Sam mi guarda vagamente divertito –Tipo? – chiede alzando un sopracciglio – Tipo insegnarmi il nome di ognuno di questi stupendi fiori – rispondo indicando i puntini colorati che coprono il prato su cui siamo sdraiati.
Maryse, la mamma di Sam, aveva un negozio di piante al distretto. I fiori erano una specie di ossessione per lei, li chiamava “i miei tesori”, casa sua ne era piena. Ricordo che diceva sempre che ogni fiore è un desiderio, un desiderio che si esprime per la persona a cui lo si regala.
Mi chiedo come Maryse facesse a non accorgersi di come suo figlio rapisse spudoratamente “i suoi tesori” per regalarli a me che di piante ne capisco quanto un orso bruno di danza. A testimoniare la mia completa inattitudine alla botanica erano proprio i cadaveri dalle foglie raggrinzite di quei poveretti, che dopo un giorno o due, nonostante i miei sforzi, morivano miseramente rimpiangendo la loro precente padrona dal pollice più che verde.
 
-Li ammazzavo tutti i poveri fiori di tua madre – gli dico con un pizzico di nostalgia nella voce, la risata cristallina di Sam mi riempie le orecchie e fa vibrare il suo petto –Hai ragione, sei un’assassina – rispodonde sghignazzando – Allora tu eri mio complice! Perché ti ostinavi a regalarmeli se sapevi che sarebbero morti? – chiedo divertita. Sam sorride ma la sua espressione si fa leggermente più seria –Mia madre diceva sempre che ogni fiore è un desiderio– risponde con un filo di voce. Poi raccoglie un piccolo fiore azzurro e lo sistema tra i miei capelli –E questo che desiderio è? – chiedo accarezzando i petali dello stesso colore dei suoi occhi, lui scuote la testa sorridendo – Non posso dirtelo, altrimenti non si avvera - .
 
Nei giorni seguenti tra me e Sam sembra filare tutto liscio, lui per fortuna non ritorna più sull’argomento “bambino”ed io mi guardo bene dal farlo. Ultimamente ho l’impressione che voglia starmi più vicino, il che ovviamente non mi dispiace affatto, senza di lui sarei persa, più mi sta vicino e più mi sento forte.
 
Cammino distrattamente per uno dei tanti corridoi che ci sono qui, ormai li conosco quasi tutti, ma qualche volta se sono particolarmente distratta, capita che prenda quello sbagliato.
Sto andando alla palestra, per allenarmi un po’, l’esercizio fisico mi fa scaricare le tensioni, stranamente poi collezionare nuovi lividi con Diana sta diventando il mio passatempo preferito.
‘Masochista!’
Forse.
‘O magari sono i sensi di colpa… credi forse che per ogni livido che ti fa la ripaghi un po’? Non funziona così’
Taci!
 
Spero proprio che una volta dentro riesca a distrarmi un po’ e a non pensare, non mi fa per niente bene pensare ultimamente. Mi ci vuole qualcosa di forte, qualcosa che mi faccia scordare per un paio d’ore di tutto.
Quando entro e mi ritrovo Sam davanti, mi convinco che riuscirò decisamente a distrarmi un po’, è una distrazione abbastanza forte, direi. Il mio scacciapensieri.
Cosa ci fa qui?
‘Non è abbastanza chiaro forse?’
Lo guardo mentre con una sola mossa sovrasta il suo avversario che ora è bloccato dal suo corpo sotto il materassino.
Già, non è abbastanza chiaro forse?
Lo aiuta a rialzarsi mentre gli da una pacca amichevole sulla spalla. Poi mi vede e mi si avvicina cercando di non sbellicarsi dalle risate, devo proprio avere una faccia da ebete– Ciao – dice, non la smette di fare quel suo sorrisetto combiaciuto. Non riesco a spiccicare parola, lui ride, mette un dito sotto il mio mento e spinge verso su facendo chiudere la mia bocca che si era spalancata, ci posa sopra un bacio e poi si dirige soddisfatto verso le postazioni di tiro. Non può fare così, mi deve delle spiegazioni, non può risolvere tutto come al solito con un bacio.
Rimango un attimo immobile ho un’espressione intontita sul viso, ne sono certa. Quando mi risveglio dal torpore mi affretto a raggiungerlo.
Sta caricando una pistola. E questo dove l’ha imparato? Quando spara e mette a segno ogni singolo colpo con precisione, rimango a bocca aperta, per la seconda volta. E quest’altro dove l’ha imparato?
-Che significa questo? – gli chiedo, ma lui non mi risponde, quando si accorge che lo sto fissando mi fa segno che non sente e ci credo, ha un paio di quelle strane cuffie che si devono mettere per sparare. Gli ripeto la mia domanda ad un volume talmente alto che mi fanno male le mie stesse orecchie, Sam alza leggermente un lato della cuffia liberando un orecchio – Mi spieghi che significa questo? – chiedo ancora, scrolla le spalle – Oh, che so sparare – risponde, scuoto la testa fingendo un’aria contrariata – Intendo, che ci fai qui? – mi correggo – Oh, mi assicuro che tu non faccia niente di stupido, amore – dice sottolineando con quel pizzico d’ironia che non mi sfugge l’ultima parola, guarda verso la sagoma bucherellata dai suoi proiettili– Ma siamo qui dentro, cosa vuoi che faccia? – dico allargando le braccia – Infatti il problema è fuori – risponde tranquillamente rigirandosi tra le mani la pistola e rimettendosi in posizione davanti ad una nuova sagoma – Quando avrò una missione non potrai uscire con me, solo i soldati possono – dico un po’ confusa. Sam volta la testa nella mia direzione, sul suo viso si fa strada uno di quei suoi sorrisetti compiaciuti.
Allora è questo, è diventato un soldato. Lo odio. Non è vero, lo amo.
Si gira, prende la mira e spara. Bersaglio centrato in pieno cuore.
Si toglie le cuffie e le rimette a posto insieme alla pistola – Ora se vuole scusarmi soldato Wellington, devo allenarmi – dice passandomi davanti e andando verso il tappetto del combattimento corpo a corpo. Che faccia tosta, io però sono più tosta.
– Anch’io devo allenarmi – dico piazzandomi al centro del materassino, mi guarda sbigottito – Allora soldato? – lo chiamo – Si faccia sotto – lo incito togliendomi la felpa e lanciandogliela addosso. Lui si toglie la mia felpa dalla faccia e la lancia lontano assieme alla sua, poi si toglie la maglietta rimanendo a torso nudo – Cosa fa? Cerca di distrarre l’avverario? – chiedo stampandomi in faccia un sorrisetto affilato – Strategie di gioco – risponde socchiudendo gli occhi.
Alla mia destra noto una biondina appoggiata al muro che guarda Sam, il mio Sam. Mi sento andare in fiamme. Ah, è così? Beh, mi dispiace per lui ma ci sono più maschi che femmine in questa sala. Mi tolgo anch’io la maglietta e mi congratulo con me stessa per la scelta di stamattina di aver messo sotto questa canottiera attillata invece dell’altra – Strategie di gioco – dico restituendogli le sue parole mentre guardo con piacere il suo viso diventare color fuoco, scoppia in una risata liberatoria, mi sforzo di non ridere con lui e mantenere la mia faccia di bronzo.
Ormai è diventata una sfida, e devo essere io a vincerla.
 
Per un po’ ci giriamo intorno come due animali, due predatori, l’azzurro mare dei suoi occhi cerca il nero notte dei miei. Nel frattempo un po’ delle pesone nella sala si sono avvicinate al materassino, interessate al combattimento, o forse attirate dalle scariche elettriche che ci mandiamo con gli occhi.
Continuo a ripetermi che combattere con Sam sarà una passeggiata, è vero che ci tiene al suo onore, è orgoglioso e tutto quanto, ma non mi torcerebbe neanche un capello, ne sono certa.
‘E tu Jenna, glielo torceresti un capello?’
Beh, ne ha così tanti, cosa vuoi che sia un capello?
Tiro un calcio all’altezza del suo stomaco che para abbastanza facilmente. Sul suo viso appare un’espressione un po’ stupita, cosa credeva che sarei rimasta ferma a guardarlo negli occhi all’infinito? Con movimenti rigidi e fin troppo accademici dà qualche pugno che sarebbe facile parare anche per un bambino. Mi fermo per un attimo abbassando di poco la difesa per lanciargli un’occhiata stralunata, non deve andarci così piano, almeno un po’ so difendermi, non sono mica fatta di porcellana!
Proprio in quel momento Sam lancia un altro pugno colpendomi il braccio, incasso il colpo e mi rimetto in posizione di difesa stampandomi in faccia un sorrisetto compiaciuto. Quindi un po’ fa sul serio, ma dovrà fare meglio di così se vuole battermi.
Continuamo a stuzzicarci a vicenda assestando colpi che siamo certi l’altro parerà, senza mai abbassare la guardia, potremmo andare avanti così all’infinito, ma non ho intenzione di passare in questa palestra, su questo materassino il resto della mia vita, ho aspirazioni leggeremente più alte di queste. Così alzo la gamba mirando al suo fianco, ma sono evidentemente un secondo troppo lenta perché lui capisce le mie intenzioni, o forse me le legge negli occhi e blocca la mia gamba facendomi perdere l’equilibrio. Cado a terra e in un attimo lui è sopra di me e mi schiaccia contro il materassino.
E ora che faccio? È troppo pesante per spostarlo o cercare di ribaltare le posizioni, è più forte, è più alto, più muscoloso, non ha punti deboli.
‘Non ti torcerebbe neanche un capello, Jenna’
Forse uno ce l’ha…il suo punto debole sono io.
All’improvviso la quasi inesistente distanza che separa i nostri corpi mi sembra un’arma da poter usare contro di lui, con un movimento improvviso avvicino il mio viso al suo e premo le mie labbra sulle sue.
‘Ma non si può risolvere sempre tutto con un bacio, Jenna, sono parole tue”
Magari solo per questa volta…
 
Sam rimane un attimo paralizzato, poi allenta la presa sulle mie braccia e si rilassa, quando lo fa ne approfitto per ribaltare le posizioni. Ora sono sopra di lui e lo inchiodo al pavimento bloccandogli le braccia e le gambe, so che se volesse potrebbe spostarmi senza troppi sforzi, ma non lo fa, è troppo impegnato a guardarmi con un’espressione sul viso che sembra voler dire ‘Non vale’, in realtà vale eccome.
-Cerca di non distrarti la prossima volta, amore – gli sussurro in un orecchio sottolineando l’ultima parola, proprio come aveva fatto lui poco prima. Poi mi alzo, raccolgo la maglietta e la felpa a terra ed esco dalla sala in pieno stile ‘Pantera del 7’.
 
‘Bella mossa, Jenna! Sei una stronza, lo sai?’
Grazie, alter-ego rompiscatole di me stessa, tante grazie!
‘Sei sempre la solita e io che ti do pure i suggerimenti!’
Sei solo una voce nella mia testa, sono io che penso le cose , tu le dici solo. Sei una voce molto stressante.
‘Quindi dato che è la tua testa, sei tu ad essere stressante in realtà, dico bene, Jenna?’
Sparisci.Non ti sopporto più.
 
 
È strano allenarmi ogni mattina con Sam, è strano vedere come sia letale con qualsiasi arma abbia in mano. Sam, il mio Sam, il ragazzo dolce e protettivo che non farebbe male nemmeno ad una mosca. Eppure quelle mani che tante volte mi hanno accarezzato, quelle stesse mani che l’altro giorno mi hanno sistemato nei capelli quel fiore azzurro, riescono a serrarsi intorno ad una pistola, quelle braccia che tante volte mi hanno stretto per proteggermi dagli incubi, scagliano coltelli più lontano di come avessi mai visto. Forse dietro al ragazzo innocuo che ho imparato ad amare si nasconde questa parte, una macchina da guerra pronta a scattare se solo ne verrà l'occasione, mi domando come ho fatto a non accorgermene prima. Come ho fatto a non leggerlo nel fuoco che c'era nei suoi occhi ogni volta che parlava di ribellioni, ogni volta che diceva che le cose dovevano cambiare. Come ho fatto?
Eppure è sempre lo stesso, è sempre il mio Sam. Forse dovrei smetterla di farmi troppe domande, forse è stato lui stesso a reprime questa parte di sé dopo gli Hunger Games, forse non sapeva neanche lui che esistesse, questo lato del suo carattere.
Da quando è diventato un soldato stiamo sempre insieme, è strano, ma non chiedo di meglio.
 
E mentre io passo tutto il giorno ad allenarmi con Sam e a parlare con Finnick, Katniss cerca di recitare la parte che le è stata affibbiata e forse, è proprio questo il problema.
Recitare, negli ultimi anni non ha fatto altro che far finta: di essere una stupida ragazzina ingenua, di essere incinta, di essere innamorata di Peeta...beh, forse questa non conta, dato che non è più una recita.
La capisco. Dio quanto la capisco!
La verità è che è una pessima attrice, penso mentre la guardo recitare la sua battuta davanti alla telecamera. Stanno cercando da un'ora di registrare questo benedetto spot, dovrebbe incoraggiare i ribelli, rincuorare i distretti, ma non riuscirà a fare nessuna di queste cose se continua a recitare.
Dal fondo della sala riecheggia una sonora risata, Haymitch è appoggiato allo stipite della porta e si tappa la bocca con una mano per non ridere di nuovo - Ecco, signori miei, come muore una rivoluzione - dice prima di andarsene. Non potrei essere più d'accordo.
 
Nella riunione successiva decidiamo di comune accordo che è ora di smetterla di dirle cosa deve dire, devono smetterla di trattarla come un'attrice. Panem non sa che farsene di un'attrice, abbiamo bisogno di qualcuno che infonda speranza, qualcuno in cui la gente di distretti si rispecchi, non ci serve un altro fantoccio pieno di finzione come quelli di Capitol City.
Haymitch propone quindi di buttarla in mezzo alla battaglia, solo allora Katniss non si sentirà costretta in un ruolo. Arrivano subito le proteste della Coin, di Plutarch e degli altri, hanno paura che la loro bambolina si faccia male, hanno paura che alla Ghiandaia Imitatrice si spezzi un'ala, non possono permetterselo – Voglio andare- dice però Katniss. Batto un palmo della mano sul tavolo come per enfatizzare quello che ha appena detto, gli occhi di tutti i presenti si posano su di me, non mi ero accorta di aver attirato la loro attenzione - Sono d'accordo - dico rispondendo agli sguardi interrogativi che mi rivolgono - Bene, allora andrai con lei - dice la Coin in tono apatico - Certo che andrò con lei, faccio parte della sua squadra- dico risoluta, l'avevo dato per scontato questo, Katniss mi rivolge un sorriso sincero che io ricambio subito.
 
Così il giorno dopo con un hovercraft raggiungiamo il distretto 8, Haymitch rimane a bordo assieme al pilota, mentre io, Katniss, Sam, Gale, Boggs, e un altro paio di soldati seguiti dai cameramen, raggiungiamo l’ospedale improvvisato dagli abitanti del distretto per curare i feriti.
È proprio tra questa gente, tra le barelle e le fasciature sporche di sangue che capisco quanto sia importante per Panem quello che stanno facendo i ribelli. La Ghiandaia Imitartrice smette di essere un simbolo mentre Katniss passa in mezzo ai letti dei feriti, diventa pura e autentica speranza mentre stringe la mano di chi sta per morire o accarezza il viso di chi soffre. Tutto questo mi fa capire con una realtà allucinante che non possiamo permetterci di fare cavolate, che abbiamo in mano un grande potere con cui possiamo salvare molte più vite di quante se ne siano perse, che stiamo facendo la cosa giusta.
Poi vedo succedere sotto i miei occhi l’impensabile, bombardieri con lo stemma di Capitol City compaiono nel cielo. Quando ci arriva l’ordine di ritornare all’hovercraft Gale e Katniss se ne infischiano ed io non ci penso due volte ad unirmi a loro seguita a ruota da Sam. Ma nonostante tutto il nostro aiuto è piccolo contro le bombe che lanciano gli aerei, ne abbattiamo molti, ma loro abbattono l’ospedale.
Quando ritorno al distretto 13 non è la ferita al braccio a farmi male, sono altre ferite a sanguinare, ferite che ci metteranno di più di quelle fisiche a rimarginarsi .
Come si fa a lanciare bombe su dei feriti? Gente disarmata, indifesa. Come si può? Non si può.
Ma alla fine è questo che fa la Capitol City, è quello che ha sempre fatto, distrugge tutto senza fare distinzioni, senza avere morale, loro la morale, la lealtà, la giustizia, non vogliono sapere nemmeno cosa siano. L’unica cosa che vogliono è strappare la speranza alla gente, toglierne anche il più piccolo briciolo dai loro cuori.
Così la prima cosa che faccio, in cuor mio, per contrastare la capitale, è cominciare a sperare.

 
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Hunger Games / Vai alla pagina dell'autore: Akilendra