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Autore: Artemis Black    30/12/2013    1 recensioni
Quando si girò, per poco non mi prese un infarto: sembrava uno di quei modelli che sfilavano per Dolce & Gabbana, con tanto di gelatina sbrilluccicosa in testa e due fari blu al posto degli occhi.
Terra chiama Jess! Svegliati imbecille!
“Ehm, ti serve una mano?” gli chiesi, svagando con gli occhi.
Aveva due bicipiti che mi impedivano di guardarlo negli occhi.
“Signorina, non mi sembra il caso.” Rispose gentile.
“Crede che una donna non sappia riparare un qualsiasi veicolo? E’ maschilista per caso?” gli chiesi incrociando le braccia sul petto.
La stavo prendendo sul personale. Esatto.
“No, mi scusi. È che le donne solitamente non riparano motori, ma se lei è così sicura… prego!” mi disse gentilmente. [dal primo capitolo]
Piccola storia sulle avventure sentimentali di Steve Rogers :)
Genere: Commedia, Demenziale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Steve Rogers/Captain America, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: Tematiche delicate
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5. Let the flame begins


[Quattro settimane più tardi, dopo svariate colazioni a letto, colloqui di lavoro andati male e alcune missioni in Russia non molto tranquille…]

 

“Sta fermo!” dissi a Steve “Altrimenti non so come toglierti questi punti.”

“Voglio sapere chi è quell’intelligente che mi ha soccorso… non ho bisogno di cure, dannazione!” disse, mentre tentavo di strappargli i punti dalla guancia sinistra.

Era appena rientrato da un’altra missione segreta in Russia.

“Già, tu ti auto rigeneri e bla bla bla.” Dissi facendo la vocetta.

“Mi prende in giro, Mrs Henderson?” chiese con un sorriso sbilenco terribilmente sexy.

“No affatto, capitan ovvio.” Dissi seria.

Tentò di farmi il solletico, ma si procurò soltanto dolore perché per scartare di lato, gli strappai con forza i punti. Una goccia di sangue cadde sui suoi pantaloni scuri, ma appena posai gli occhi sulla ferita, quella era sparita.

“Ecco fatto, Capitan destrezza.” Dissi denigrandolo ancora.

“Ci sentiamo spiritose oggi?” disse avvicinandomi a se.

“No, è più il nervoso per stasera, che mi fa essere così spavalda nel prenderti in giro.” Dissi, giocando con il suo ciuffo di capelli davanti gli occhi.

“Non devi esserlo, alle feste ci si diverte generalmente… no?!” disse, mentre mi sedevo sulle sue ginocchia.

“Si hai ragione…” risposi.

“Soprattutto a quelle di Stark… vedrai.” Mi disse.


 

Dopo aver lasciato Steve nella sua camera a crogiolare nel letto e a tentare di trattenermi lì con lui, mi chiusi in bagno e cominciai a prepararmi per la serata.

Mi lavai con cura corpo e capelli, poi mi misi alcuni bigodini qui e li per creare poi un effetto onda. Nel frattempo che aspettavo che i capelli si asciugassero, applicai una crema al viso, mi misi lo smalto nero sulle unghie e poi passai al trucco: misi dapprima un ombretto perlato e tracciai poi una linea nera d’eyeliner su entrambi gli occhi e infine misi un po’ di blush pesca sulle guance. Sciolsi i capelli e passai il ferro giusto sulle ciocche davanti.

Uscii dal bagno e andai a mettermi il vestito che Steve mi aveva gentilmente regalato.

Era nero, lungo e con uno scollo sulla schiena molto profondo. Aveva due cinturini, uno dietro il collo e un altro all’altezza del basso schiena, tempestati di cristalli a cui avevo abbinato due bracciali: uno grande molto elaborato, l’altro aveva un semplice giro di cristalli d’argento e per finire un paio d’orecchini lunghi a cascata. Per completare il tutto, avevo abbinato un paio di décolleté nere con la suola rossa.

Quando mi specchiai un’ultima volta e applicai il rossetto di una leggera tonalità di rosso, ero pronta e mi consideravo decente, almeno per la festa.

Uscii dalla stanza e mi ritrovai Steve in smoking nero e camicia bianca che litigava con il farfallino che aveva intorno al collo. Mi avvicinai e lui alzò lo sguardo per vedermi: per un momento rimase fermo a scrutarmi e infine mi sussurrò un dolce “bellissima” all’orecchio.

Quando lo aiutai a sistemarsi il farfallino, notai una piccola spilla a forma di scudo a stelle e strisce che aveva messo sul bavero e sorrisi tra me e me.

“Non andremo in moto, vero?” gli chiesi preoccupata.

“O no, ho chiesto a Tony di mandarci una macchina. Sarebbe stato più… comodo.” Disse guardando il mio abbigliamento.

Quando scendemmo, notai la macchina nera sportiva a due posti super lussuosa parcheggiata nel retro di casa.

“E meno male che gli avevo chiesto qualcosa di sobrio.” Disse quando ci sedemmo sui sedili in pelle rossa all’interno.

“Beh, niente male.” Dissi ridacchiando.

In poco tempo arrivammo sotto la torre Stark, che splendeva come un faro tra gli altri grattacieli di New York, e lasciammo la macchina in un garage sottostante riservato.

Ci chiesero gli inviti, anzi mi chiesero l’invito poiché Steve aveva il lasciapassare e salimmo al 20esimo piano con l’ascensore.

Le mani mi tremavano leggermente, Steve se ne accorse e mi rassicurò. A poco serviva perché in qualunque caso tutti mi avrebbe squadrata dalla testa ai piedi per capire cosa spingesse Capitan America a star insieme ad una come me.

-Ma che dici? Non eri quella che “il giudizio degli altri non mi importa”?!- disse una vocina dentro di me. Aveva ragione. Così scostai i capelli solo su una spalla e drizzai la schiena.

“Tutto ok?” mi chiese Steve con un sorriso.

“Certo, sto molto meglio.” Dissi con un sorriso sfrontato.

Sogghignò e quel suo sorriso sbilenco lo fece apparire così terribilmente sexy. In un attimo lo presi per il bavero della giacca e gli regalai uno dei miei baci passionali, che solitamente riservavo soltanto quando eravamo in camera. Le sue mani scivolarono lungo la mia schiena, provocandomi dolci scariche elettriche, e mi strinsero salde al suo addome.

Poi le porte dell’ascensore si spalancarono e ci scostammo, come se fossimo stati sorpresi a fare qualcosa di proibito. Mi girai verso di lui e sorrisi, nascondendo il volto tra i miei capelli, poi mi prese la mia mano e con passo deciso ci unimmo agli altri invitati, che ci guardavano con un misto tra lo stupore e l’apprezzamento.

“Ehi Cap!” un uomo gli fece cenno vicino ad un tavolino. Aveva un calice di champagne in mano, la giacca dello smoking aperta e la cravatta leggermente allentata. Steve mi presentò e scoprii che si chiamava Clint, che io collegai subito a Occhio di Falco senza dirglielo, perché alcune informazioni non avrei neanche dovuto saperle.

“E così tu sei la famosa ragazza di Steve di cui parla Stark.” Disse, buttando giù l’ultimo sorso del drink.

“Già, è stato piuttosto singolare incontrare Tony in un supermercato mentre mi pedinava.” Dissi ridendo.

Steve e Clint si lanciarono un’occhiata e quest’ultimo scoppiò a ridere.

Poi fece la comparsa una donna in un lungo vestito blu notte, con uno spacco laterale da capogiro. Aveva i capelli rossi e occhi indagatori.

“Steve, è un piacere vederti.” Disse languida.

“Natasha! Ti presento Jess, la mia fidanzata.” Arrossii nuovamente alla parola “fidanzata” e le strinsi la mano.

“E’ un piacere conoscerla.” Mi disse con un sorriso appena accennato, mentre con la coda dell’occhio vidi Clint soffermarsi sullo spacco della roscia.

Ci mettemmo a chiacchierare finchè Stark non comparve insieme a Pepper Potts e diede il via alla festa.

“Capitan Ghiacciolo!” esclamò Tony avvicinandosi.

“Tony…” disse Steve roteando gli occhi.

“Non mi presenti alla tua donzella?” disse con il suo solito sorriso sfacciato.

“Credo che tu l’abbia già casualmente incontrata al supermercato.” Gli rispose Steve.

“Da quando vai al supermercato, Tony?” chiese Pepper.

“E’ una lunga storia noiosa, piacere di rivederla Jess.” Disse infine.

“Ma guardate chi c’è!” disse Stark.

Un uomo sulla quarantina con capelli neri e gli occhiali si fece avanti, tenendo le mani nelle tasche del suo smoking scuro con camicia verde.

“Dottor Banner! Come va?” disse Tony dandogli una pacca sulla spalla.

“Tony per piacere, sai di avermi praticamente costretto a venire qui…” rispose.

“Mostra un po’ di entusiasmo, guarda quante belle donne sono pronte a giocare al dottore e l’infermiera con te, stasera.” Disse.

Vidi Pepper mettersi una mano sulla fronte e blaterare qualcosa sul dover assumere un po’ d’alcool per reggere alla serata.

“Oh, Steve! E’ bello rivederti!” disse infine Banner.

Poi guardò me e mi tese la mano:” che maleducato, mi perdoni se non mi sono presentato prima. Sono Bruce Banner.”

“Jess, Jess Henderson.” Dissi stringendogli la mano.

“Bene, dopo le presentazioni, direi di andare al bar a prendere qualche drink.” Disse Stark.

“Ti seguo, vuoi qualcosa Natasha?” disse Clint. Lei scosse la testa.

Ci mettemmo seduti ad un tavolo e cominciammo a discutere di varie cose: Banner mi chiese se avevo frequentato l’università o se ne avevo intenzione, mentre Natasha chiacchierava con Steve.

Dopo qualche ora, vari assaggini e alcuni bicchieri di champagne di troppo, mi alzai e andai al bagno.

Appena entrai, chiusi la porta e scrollai le spalle. Mi sciacquai le mani e mi rinfrescai il viso.

“Beh, non sto andando male…” dissi al mio riflesso sullo specchio.

Poi sentii alcuni rumori provenire da una delle toilette. Bussai leggermente e chiesi se qualcuno si sentiva bene, ma nessuno rispose e i rumori smisero. Girai la maniglia e la porta si scoprì essere aperta: un uomo in divisa da cameriere stava armeggiando con una scatola nera nascosta sotto il wc e quando mi vide, scattò verso di me. Prontamente mi girai e cercai di richiudere la porta che fu bloccata da uno dei piedi dell’uomo. Indietreggiai e mi diressi verso la porta per uscire, ma il vestito non facilitava i movimenti, così l’uomo mi prese per un braccio e mi trascinò dietro.

Mi mise una mano sulla bocca e mi cinse le braccia dietro.

“Sta zitta!” mi disse.

Poi armeggiò con qualcosa nella sua tasca e ne estrasse un telecomando. Fu allora che collegai le due cose: quella nascosta in una delle toilette poteva essere una bomba. Cercai di divincolarmi e gli morsi la mano.

Gridai, ma la musica fuori copriva le mie urla. Cercai di non farmi prendere dal panico e fu allora che misi in atto gli insegnamenti di mio padre.

Sferrai un calcio su un piede dell’uomo e affondai il tacco fino a farlo urlare di dolore e liberarmi dalla sua stretta. Mi girai e con una ginocchiata allo stomaco lo feci piegare in due. Tentò di afferrarmi e prese uno dei miei piedi. Scivolai sbattendo la testa sul pavimento. Leggermente intontita dal colpo, tentai invano di rialzarmi perché l’uomo mi si avventò contro. Mi legò stretti i polsi con un fazzoletto e poi tentò di tapparmi la bocca, ma la posizione in cui stava lo metteva a rischio: infatti con un calcio gli colpii le palle e lo feci ritrarre. Lanciai via i tacchi e mi alzai in piedi, poi colpii l’uomo con pugno in faccia e gli ruppi il naso. La mano mi doleva ma ne era valsa la pena, riuscii a uscire dal bagno e quando la gente mi vide si spaventò.

“Steve!” gridai, lo vidi in lontananza con il professor Banner accanto. Si girò verso di me, ma in quel momento qualcosa nel bagno era stato azionato: la bomba esplose.


 

La schiena mi doleva, ogni mio muscolo era indolenzito e tentava di opporsi ai miei comandi. Tentai di alzarmi, ma le braccia cedettero. Feci uno sforzo enorme per mettermi seduta.

Gli occhi mi bruciavano per la polvere che mi circondava , ero ferita ad un braccio e ad una gamba. La gente intorno a me gridava, tentava di alzarsi per scappare, chiedeva aiuto. La schiena mi faceva un male cane, ci passai una mano sopra e sentii tanti piccoli graffi lacerare la mia pelle.

“Steve!” gridai con voce roca.

Strappai un pezzo del mio vestito per fasciare il braccio sanguinante e feci lo stesso con la gamba. Ormai avevo addosso un mini abito che copriva ben poco.

Una donna affianco a me urlava di dolore, un signore tentava di farla calmare. C’era gente che correva via, che urlava nomi, che tentava di chiamare un ambulanza.

Mi avvicinai a carponi alla donna.

“Dove ti fa male?” le chiesi. Lo dovetti ripetere ben due volte per farmi ascoltare.

“La gamba!” urlò tra le lacrime.

Le scostai il vestito e ispezionai la gamba, poi la girai di fianco e vidi la grossa scheggia di ferro che le si era conficcata nella coscia. Non poteva fare niente, se non fermare il sangue legando un pezzo di stoffa sopra la ferita, così da creare una specie di laccio emostatico che avrebbe impedito l’afflusso di sangue .

Di tanto in tanto mi guardavo intorno per cercare Steve. La sala stava lentamente prendendo fuoco.

“E’ ferito?” chiesi all’uomo che teneva la mano alla donna ferita affianco a me.

“N-no.” Disse.

“Bene, dobbiamo spostarla, o il fuoco ci raggiungerà.” Gli dissi.

“Mi chiamo Jack.” Disse.

“Bene Jack, al mio tre sollevala dal busto, io le terrò la gamba distesa nel frattempo.” Dissi ansimante, mentre mi mettevo in piedi.

“Ehi, adesso ti portiamo via. Devi stringere i denti però.” Dissi alla donna, che annuii spaventata.

Al tre la sollevammo e sentii le sue unghie conficcarsi nel mio braccio per il dolore, mentre io mi morsi un labbro per tenere duro.

Ma dopo qualche passo, ci trovammo vicino ad una porta con delle tende sopra che presero spaventosamente fuoco. La donna gridò, l’uomo si fece prendere dal panico e attraversò di corsa la porta, che subito dopo fu divorata dalle fiamme. Stupidamente lasciai andare la gamba della donna per coprirmi il volto e indietreggiare.

Tornai indietro, cercai un riparo dal fuoco, ma ormai era tutto lambito dalle fiamme. L’unica chance era prendere l’ascensore, ma si sa che in caso di emergenza l’unica cosa da non prendere è proprio l’ascensore, che alla fine si rivelò guasto.

Ero in trappola ormai.

“Steve!” gridai più volte presa dalla disperazione. Mi rifugiai nell’ascensore, l’unico posto dove le fiamme non erano ancora arrivate.

Mi venne la brillante idea di aprire poi la botola d’emergenza sul soffitto dell'abitacolo di ferro, mi aggrappai con tutte le forze e mi issai su. Era impossibile scendere ad un piano inferiore, cosi cominciai ad arrampicarmi sulle corde metalliche, cercando di raggiungere almeno il piano superiore. L'allarme aveva fatto aprire automaticamente tutte le porte e quando finalmente ne vidi una, le mani cominciavano a dolermi da morire. Con un ultimo e faticoso gesto, riuscii a raggiungere quella fessura e per poco non rischiai di cadere.

La stanza era illuminata dalla luce della luna che attraversava le grandi vetrate, era piena di scaffali e server che lampeggiavano. Cercai un fottuto modo per uscire da quella situazione, ma l'unica cosa che trovai fu un'altra scala antincendio. Corsi a perdifiato, finché i muscoli non cominciarono a dolermi. Entrai in un'altra stanza, forse al momento sbagliato, perché vi trovai un gruppo di ladri intenti a scassinare chissà quale informazione da un grosso pannello metallico.

“Prendetela!” urlò qualcuno.

Ero troppo stanca per riuscire a scappare realmente, tentai invano di tornare indietro ma fui acciuffata.
 

________________
Perdonatemi questo enorme ritardo, ma il computer si era rotto e ho avuto problemi con word e ho dovuto portare tutte le storie su un altro programma.
Spero vi piaccia questo capitolo (e spero che non ci saranno più problemi in futuro)
A presto, 
Artemis Black

 
  
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