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Autore: Kitri    30/12/2013    15 recensioni
Che parole impegnative per una ragazzina immatura di appena sedici anni! Ma allora lei ne era convinta e, dopo dieci anni, con l’esperienza, poteva confermare che quello che provava era davvero amore. [...]
«Non ti dimenticherò mai» gli aveva detto prima di scappare via.
Quella era stata l’ultima volta che lo aveva visto.
Un ritorno improvviso e qualcosa lasciato in sospeso anni prima. Il Natale riuscirà a compiere la sua magia?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Mamoru/Usagi
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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Seconda parte
 
In una settimana, Usagi aveva coperto l’intero territorio nazionale, volando da Tōkyō a Hokkaidō, da Shikoku a Kyūshū, fino a Okinawa.
Il lavoro la distraeva, ma quando, nei momenti meno opportuni, le veniva in mente la figuraccia che aveva fatto a casa di Rei, davanti a tutte quelle persone, il sangue le fluiva interamente al cervello e diventava sgarbata e irascibile con tutti, colleghi e passeggeri.
Si malediceva perché era scappata via come una ladra e non aveva saputo gestire la propria reazione. Avrebbe dovuto fare buon viso a cattivo gioco, accettando la provocazione di Mamoru e limitandosi a un insignificante bacio a stampo, per mettere a tacere Minako e le sue trovate geniali. Ecco quello che avrebbe dovuto fare! Non saltare addosso a Mamoru, come se non aspettasse altro da dieci anni. Così, adesso, tutti avrebbero pensato che provava qualcosa per lui.
Più di tutto, ciò che le dava sui nervi era che, dopo sette lunghissimi giorni, quel bacio ancora la infiammava, il ricordo del tocco di Mamoru ancora bruciava sulle sue labbra, il pensiero di come i loro corpi si erano avvinghiati le faceva tremare le gambe. E questo era assurdo e inammissibile.
In passato era stata innamorata di Mamoru e adesso non poteva permettersi di ricaderci. Anche se aveva vacillato, quel sentimento doveva rimanere morto e sepolto. E si consolava pensando che la propria reazione sconsiderata fosse, sicuramente, da attribuire allo shock di averlo rivisto dopo tanti anni, o, forse, al fatto che, da tanto tempo, non avesse un ragazzo e la vicinanza delle amiche, tutte felicemente sposate o fidanzate, la stesse influenzando negativamente.
Ma lei non voleva un ragazzo! Voleva essere libera di viaggiare su e giù per il mondo e inseguire il proprio sogno, che finalmente stava realizzando. Non voleva qualcuno che le tarpasse le ali, né tantomeno aveva bisogno di un casanova sbruffone e pieno di sé, che sarebbe ritornato alla sua vita tra meno di un mese.
“Esci con me, Usagi!”
Con quanta convinzione e sicurezza aveva pronunciato quella frase, pensava furibonda, mentre con il carrello delle vivande percorreva il corridoio dell’aereo.
«Col cavolo!» esclamò.
L’ignara signora, a cui stava versando del succo di frutta, la guardò sbigottita.
«Mi … mi scusi … pensavo ad alta voce» provò a giustificarsi imbarazzata, mostrando un finto sorriso a trentadue denti, mentre mentalmente continuava a maledire se stessa, Mamoru Chiba, il vischio e tutto quanto le facesse venire in mente quel bacio.
 
Se, da un lato, Usagi era pessimista e nervosa, dall’altro lato, Mamoru sembrava più calmo e riflessivo.
Negare che quel bacio avesse smosso qualcosa dentro di lui era da stupidi. Ci pensava continuamente e voleva rivedere Usagi, parlare, capire.
“Esci con me, Usagi!”le aveva detto.
E, benché, senza comprenderne il motivo, fosse ciò che desiderava ardentemente, era più che consapevole del fatto che New York e la propria vita lo attendevano tra meno di un mese.
Eppure, in pochi giorni, inconsciamente non aveva più le certezze con le quali era partito. Tōkyō, le proprie origini, i vecchi amici e, soprattutto, Usagi, avevano minato la sua solidità.
In settimana, aveva contattato la migliore agenzia immobiliare della città e da una prima valutazione era emerso che la villa e il terreno circostante valevano quasi il doppio rispetto a quanto aveva ipotizzato. Con quella cifra avrebbe potuto comprare e arredare l’attico dei suoi sogni a Manhattan, prendere un’auto nuova, finanziare parte del progetto di ricerca che stava seguendo con la sua equipe e, magari, donare anche una cospicua somma al reparto pediatrico dell’ospedale in cui lavorava.
Ma, nonostante tutti questi progetti fossero a un passo dalla realizzazione, Mamoru aveva provato un’inspiegabile sensazione di disagio, quando il primo potenziale acquirente si era fatto avanti, e fu stranamente sollevato, quando questi mostrò la propria titubanza. Mamoru non fece niente per convincerlo almeno a pensarci su.
Aveva creduto che liberarsi del passato e di quello che lui era un tempo fosse facile. Ma, come si dice, lontano dagli occhi, lontano dal cuore.
Quando aveva messo piede in Giappone, la nostalgia lo aveva colpito come un pugno in pieno viso. E, in tutto questo, il pensiero di Usagi era una costante che non lo abbandonava.
A diciannove anni, si ha un modo completamente diverso di vedere le cose rispetto a quando se ne hanno quasi trenta, si è più romantici e sognatori, molto meno pratici e concreti. Per questo, Mamoru non riusciva a capacitarsi di come un solo sguardo e un bacio avessero potuto sconvolgerlo.
Era scombussolato a tal punto, da chiedersi, ripetutamente, come sarebbe stata la sua vita se, quella maledetta sera di dieci anni prima, avesse confessato a Usagi che anche lui l’amava.
Ma, adesso, cosa provava per lei? La sua era soltanto una crisi passeggera o c’era qualcosa di più profondo da esplorare e comprendere?
Questo era quello che si chiedeva, mentre passeggiava distratto lungo le vie di Tōkyō, ignorando la gente che le affollava e la ressa nei negozi per gli acquisti di Natale.
«Mamoru!».
All’improvviso, si sentì chiamare e fece ritorno sul pianeta Terra.
Si voltò e sorrise alla giovane donna bruna, che avanzava verso di lui, spingendo una carrozzina blu.
«Non è un po’ tardi per andarsene in giro, da sola, con un bambino così piccolo?» chiese, avvicinandosi a Rei e allungando lo sguardo verso il piccolo Akira.
La ragazza sollevò le spalle passivamente.
«Il meteo prevede forti nevicate nei prossimi giorni - spiegò - e così ho approfittato di quest’ ultima tregua per concludere gli acquisti natalizi. Tu, invece, dove te ne vai di bello?».
«Ho incontrato il primo potenziale acquirente della villa».
Rei captò l’espressione seria di Mamoru in quella risposta.
«E allora? Come è andata?» chiese curiosa.
Mamoru non fiatò, ma si strinse nelle spalle, facendole capire che non era stato concluso alcun affare.
La ragazza si sentì quasi sollevata. Anche per lei quella villa era piena di ricordi e, benché non vi mettesse piede da quando Mamoru era partito, un po’ le dispiaceva sapere che lui avesse deciso di metterla in vendita. Ma tenne queste nostalgiche considerazioni per sé e preferì cambiare discorso.
«Ti andrebbe di aiutarmi a scegliere il regalo per Yuichiiro? Ho già un’idea, ma il parere di un uomo può sempre tornarmi utile. Dopo, potrei offrirti un caffè per sdebitarmi».
«Mi farebbe molto piacere … il caffè, intendo» scherzò Mamoru.
«Spiritoso!» lo rimbeccò Rei, riprendendo a spingere la carrozzina.
Mamoru la seguì, camminandole di fianco, pensando sorridente a quanto fossero bizzarri i casi della vita. Mai avrebbe immaginato di accompagnare una sua ex-fidanzata, con figlioletto al seguito, a scegliere un regalo per il marito.
 
Quando presero posto nella caffetteria, sistemandosi in un angolo dove la carrozzina non desse fastidio agli altri avventori, Rei era decisamente entusiasta del regalo appena acquistato.
«A Yu piacerà tantissimo» esclamò battendo le mani come una ragazzina.
Quell’entusiasmo fece sorridere Mamoru.
«È tutto merito mio! – esclamò pavoneggiandosi in maniera ironica – Fosse stato per te, avresti scelto quel triste maglione verde».
«Già! È per questo che ti sto offrendo il caffè, per dimostrarti che ho apprezzato il tuo aiuto» rispose la ragazza condiscendente, strizzando un occhio.
Mamoru ordinò un caffè ristretto, mentre Rei scelse una cioccolata calda con panna.
Il piccolo Akira si era svegliato e brontolava nella sua carrozzina. La mamma lo prese in braccio, rivolgendogli qualche parolina dolce per rassicurarlo. Poi, chiese alla cameriera la cortesia di scaldare il biberon.
Per tutto il tempo Mamoru la osservò, intenerito da quell’immagine.
«Deve essere bello avere una piccola vita di cui occuparsi».
«È meraviglioso – rispose la ragazza con sguardo sognante, ammirando il suo bambino - È la mia unica ragione di vita!».
«Sei molto felice» affermò Mamoru, convinto di non averla mai vista così. Eppure un tempo l’aveva conosciuta piuttosto bene
Rei chinò il capo di lato, come se avesse intuito i suoi pensieri, e rimase alcuni secondi in silenzio, accennando un sorriso.
«Adesso posso dirtelo, perché è passato un sacco di tempo, - disse, emettendo un breve e lieve sospiro - Vedi, dieci anni fa, avrei tanto voluto che tutto questo fosse con te e non ti nascondo quanto sono stata male, quando mi hai lasciato. Pensavo che la mia vita fosse finita. Ma poi, ho conosciuto Yu e, solo allora, ho capito cosa fosse realmente l’amore. Quindi sì, sono molto felice. E, un po’, è anche merito tuo».
«Per averti lasciato?» chiese Mamoru perplesso arcuando un sopracciglio.
Rei annuì.
«È la prima volta che una donna mi ringrazia per averla lasciata e fatta soffrire» ironizzò il ragazzo, ma comprendendo quanta verità ci fosse, in fondo, nell’affermazione di Rei. Se non l’avesse mai lasciata, Rei non avrebbe mai scoperto l’amore vero e non sarebbe mai stata completamente felice.
«Sono la prima che te lo dice. Ma sono sicura che ce ne siano altre che vorrebbero farlo».
Mamoru rise brevemente.
«Questo discorso è assurdo!» esclamò divertito.
Rei scosse la testa.
«Nel tuo cuore c’è sempre stato posto per una sola persona» pronunciò serafica.
Mamoru si prese il mento tra il pollice e l’indice e alzò gli occhi, fingendo di riflettere per fare il punto della situazione.
«Mhm … vediamo un po’ … sono stato fidanzato con Mikiru per quattro anni, poi c’è stata Sarah per due e Setsuna per quasi uno. Quindi sono tre, senza contare le precedenti, qui in Giappone».
Rei sogghignò davanti alla sceneggiata. Con quella risposta, Mamoru aveva elegantemente glissato l’argomento.
«Sai bene a cosa, o meglio, a chi mi riferisco! – lo rimproverò – E il bacio dell’altra sera mi ha confermato che, nonostante siano passati tutti questi anni, non è cambiato niente».
Ci fu un attimo di silenzio, in cui Mamoru chinò il capo sul suo caffè, mentre Rei si destreggiava tra il biberon con il latte di Akira e la cioccolata ormai fredda.
«Tra me e Usagi non c’è mai stato niente» disse, infine, il ragazzo.
Rei, a quell’affermazione, alzò lo sguardo posandolo su di lui e sollevò un sopracciglio, scettica.
«Andiamo, Mamoru! Non sono stupida – lo ammonì - Ho sempre saputo che eri innamorato di lei, ma per tutto il tempo ho preferito fare finta di niente. Non facevi altro che cercarla, in ogni momento, e il modo in cui litigavate era … come dire … eloquente? Per non parlare, poi, di quei rari momenti in cui non discutevate: eravate complici e c’era un affiatamento tra voi che raramente ho visto in altre persone».
Mamoru non rispose, limitandosi a una smorfia di disappunto, e Rei continuò la sua filippica.
«Ho sempre pensato che, prima o poi, mi avresti lasciato per lei. E quando l’hai fatto, ero convinta che vi vedeste di nascosto. In quel periodo, ho odiato Usagi, in un modo di cui non pensavo essere capace. Solo quando sei partito, ho capito che non mi avevate mentito e che Usagi non c’entrava nulla. Ero solo gelosa di quello che provavi per lei, qualcosa che non aveva nulla a che vedere con quello che, invece, ti aveva legato a me. Solo allora ho smesso di riversare la mia frustrazione su di lei. Ma non ho mai smesso di pensare, neanche per un secondo, che vi eravate sempre amati e, dopo che ho visto quel bacio e quella passione, l’altra sera, sono convinta, più che mai, che tra voi ci sia ancora qualcosa».
Mamoru non negò e rispose in un modo che non fece altro che sottolineare l’evidenza dei fatti.
«Rei, tra un mese torno a New York. E, forse, anche meno, se riesco a vendere la villa prima del previsto».
«La mia era solo una constatazione. - disse la ragazza, seria - Credo che abbiate qualcosa in sospeso e che dovreste parlarne».
«Non vedo che utilità possa avere parlare, se sappiamo già come si concluderà questa storia» rispose Mamoru, ignorando che lui per primo aveva avuto quella stessa esigenza.
Rei, però, continuò imperterrita.
«Usagi torna stasera» disse allungandosi verso la borsa per estrarne il cellulare e una penna. Non avendo altra carta a disposizione, prese un tovagliolino e vi scrisse sopra qualcosa, porgendolo poi a Mamoru.
«Ora si è fatto tardi - disse, alla fine, alzandosi - Per il mio piccolo è l’ora del bagnetto».
 
Usagi atterrò a Tōkyō esausta, sognando un bagno caldo profumato e morbide coperte di lana ad accoglierla nel suo appartamento. Dopo aver salutato i colleghi, augurando a tutti buon Natale, si diresse verso il nastro trasportatore per recuperare il bagaglio e sperò di trovare subito un taxi disponibile, che la riportasse a casa.
Trascinando pesantemente il trolley, si diresse all’uscita e, quando la porta scorrevole degli arrivi, che dava nella sala d’attesa, si aprì, tra le tante persone che aspettavano i loro cari, scorse subito un volto familiare.
Tra tutti coloro che sperava venissero a prenderla all’aeroporto, risparmiandole una costosa corsa in taxi, Mamoru Chiba era sicuramente l’ultimo, anzi, non era neanche incluso nella lista.
Tentennò un istante, rallentando il passo e, lui, prima appoggiato a uno dei pilastri in muratura della sala, si raddrizzò e poi avanzò cauto verso di lei, senza mai distogliere lo sguardo, ma rivolgendole un sorriso furbo e accattivante, che, invece di mandarla su tutte le furie, la fece sciogliere completamente.
“Coraggio, Usagi!” si disse con un lungo sospiro, mentre il cuore le batteva furioso nel petto. Non poteva scappare anche stavolta, dopo che, per sette giorni, si era rimproverata la fuga precipitosa del sabato precedente. Doveva mostrarsi indifferente e stare al suo gioco, perché l’indifferenza era esattamente l’unica cosa che provava nei confronti di Mamoru. Così preferiva credere.
«Che cosa vuoi?» gli chiese brusca, non appena furono l’uno di fronte all’altra.
L’asprezza con cui gli si rivolse non era proprio sinonimo di indifferenza, ma si disse che andava bene ugualmente, purché non si dimostrasse turbata.
Fortuna che Mamoru non potesse sentire le capriole del suo cuore traditore e non potesse leggere nella sua mente, dato che l’unica cosa a cui Usagi pensava, in quel momento, erano le labbra di lui e il sapore che avevano.
«Anche io sono contento di vederti, Usagi» ironizzò Mamoru, prendendole la valigia.
Usagi lo lasciò fare e si incamminò verso l’uscita.
Lui la seguiva e, nel frattempo, osservava deliziato la divisa rossa e nera e il modo in cui le modellava il corpo. Si scoprì geloso al pensiero che altri uomini, a quella vista, potessero avere su di lei gli stessi pensieri poco casti che, adesso, aveva in mente lui.
«Non mi chiedi perché sono qui?» provò a chiederle, cacciando quei pensieri inopportuni.
«Perché sei qui?» ripeté la ragazza come un pappagallo, senza voltarsi, ma continuando a offrirgli la vista del suo sedere tondo che ondeggiava.
Mamoru si impose si darsi un contegno e, accelerando il passo, la raggiunse, portandosi al suo fianco.
Usagi si limitò a guardarlo di sottecchi, senza fermarsi, ma continuando a camminare a passo spedito.
«Ti porto a cena e poi ti riaccompagno a casa» pronunciò il ragazzo, come se fosse la cosa più semplice e naturale del mondo.
A quell’affermazione la ragazza si bloccò, voltandosi verso di lui. Lo guardò per un lungo istante, stringendo gli occhi per studiarlo, poi scosse la testa incredula e riprese a marciare verso l’uscita.
«Gradirei che mi dicessi qualcosa».
Il tono di Mamoru era calmo e modulato, ma si intuiva che l’atteggiamento di Usagi lo stesse infastidendo.
«Qualcosa» rispose lei, trattenendo una risatina e accelerando ancora di più il passo e superandolo, per evitare che Mamoru scorgesse l’esitazione sul suo volto.
«La smetti di correre? Sembra che tu stia scappando dalle tue responsabilità» la minacciò il ragazzo.
«Io non scappo e non ho delle responsabilità nei tuoi confronti».
«Ah, come no! Ho visto come sei scappata l’altra volta!».
Usagi si bloccò all’istante e si girò verso di lui.
«Io … io non sono scappata … ero … ero imbarazzata, ecco».
Mamoru colse l’incertezza nella sua voce e capì che quello era il momento migliore per agire e mettere a segno il colpo.
«Imbarazzata? Ma se mi hai baciato davanti a tutti» affermò con un sarcasmo che le diede sui nervi.
«Tu mi hai baciato, idiota» lo minacciò Usagi puntandogli l’indice sul petto.
Mamoru si strinse nelle spalle, con l’aria di voler farsi beffe di lei.
«Io mi sono limitato a osservare la tradizione. Sei tu che mi hai gettato le braccia al collo».
«Ma tu mi hai provocato».
«Ma a te è piaciuto».
«Anche a te è piaciuto».
Mamoru rimase un attimo in silenzio, poi esibì il suo solito sorriso sornione
«Moltissimo» ammise con un tono più basso e roco, avvicinandosi pericolosamente.
A quel punto, Usagi sgranò gli occhi, notando che, adesso, i loro visi erano a pochi centimetri e lo sguardo di Mamoru si era fatto più scuro e profondo.
«Non lo fare!» quasi lo supplicò, intuendo le sue intenzioni.
«Non lo faccio» mentì Mamoru, mantenendo il suo sorriso furbo.
Usagi avrebbe potuto fare un passo indietro, ma non lo fece e, quando lui le prese il viso tra le mani, continuando a fissarla, come se volesse divorarla da un momento all’altro, lei si rese conto che, da una settimana, non aspettava altro.
Poi Mamoru, finalmente, la baciò.
Dapprima, fu solo un lento sfiorarsi di labbra, mentre con gli sguardi continuavano a tenersi incatenati l’uno all’altra. Poi, entrambi chiusero gli occhi e il bacio si fece più profondo.
Non fu un bacio furioso e appassionato, come il precedente, né esitante e incerto, ma fu un bacio caratterizzato dalla sincerità e dall’intimità di chi si conosce da sempre.
Usagi gli afferrò i polsi, sollevandosi sulle punte dei piedi per essere alla sua altezza e, poi, si lasciò andare completamente. Mamoru accolse quel gesto come un invito e si strinse maggiormente a lei. Entrambi persero il senso dello spazio e del tempo e naufragarono in un vortice di sensazioni, dove non c’era posto per nient’altro.
«Buon Natale, Usagi!».
Il tono scherzoso, con cui era stata pronunciata quella frase, e le risatine che ne seguirono, li riportarono alla realtà.
Lentamente si staccarono, senza mai perdere il contatto visivo tra loro.
Un senso di vertigine avvolse Usagi, facendole tremare le gambe. Si erano lasciati andare in pubblico, di nuovo, proprio come la volta precedente.
La ragazza si voltò verso quelli che aveva riconosciuto come suoi colleghi e, alzando una mano in segno di saluto, finse un sorriso rilassato e ricambiò gli auguri.
Mamoru le prese la mano, ma non fece alcun commento sull’episodio, riportando, invece, l’attenzione su quanto di più importante era appena, e di nuovo, accaduto tra loro.
«Ora che abbiamo stabilito che la colpa non è di nessuno e che è piaciuto a entrambi, possiamo andare a cena?» le chiese con dolcezza.
Usagi si limitò a un cenno affermativo con il capo, e in silenzio lo seguì, continuando a tenergli stretta la mano e abbandonando definitivamente l’idea di fargli la guerra.
 
Mamoru osservava Usagi mangiare con voracità la pizza che aveva ordinato e sorrise compiaciuto. Ringraziò mentalmente Rei per avergli scritto, su quel pezzo di carta rimediato, il numero del volo, con il quale Usagi sarebbe atterrata, e l’orario previsto.
Non sapeva esattamente a cosa lo avrebbe portato tutta questa storia, né ne capiva il senso. L’unica cosa di cui era certo era che, in quel momento, stava bene, come se non fosse mai passato, inesorabile, tutto quel tempo. E, ancora una volta, si trovò a chiedersi cosa sarebbe successo se, all’epoca, si fosse comportato in maniera diversa.
Non era pentito della propria scelta. Era soddisfatto del proprio lavoro e del tipo di vita che conduceva, ma qualcosa lo riportava a farsi e ripetersi, troppo spesso, quella stessa domanda.
Sentendosi osservata, Usagi alzò lo sguardo.
«Perché mi guardi e non mangi?» chiese, indicando la sua pizza, mangiata solo per metà.
«In realtà, non ho molta fame».
Le labbra di Usagi si allargarono in un enorme sorriso.
«Allora se permetti, la mangio io la tua pizza» esclamò soddisfatta, allungandosi a prendere il piatto di Mamoru.
Il ragazzo scoppiò a ridere.
«Non sei cambiata per niente, Usako!» esclamò divertito, per poi tornare serio, subito dopo essersi accorto del nomignolo con cui l’aveva chiamata.
Usagi avvampò, poi sul suo volto scese, inevitabile, un sottile velo di malinconia.
«Era da tempo che non sentivo quel nome – disse - Le rare volte che non litigavamo, mi chiamavi sempre così. Tutte le altre volte, ero solo Odango».
«Piccola Usagi … » ripeté Mamoru con dolcezza.
Imbarazzata, Usagi finse di sorridere di nuovo.
«Già, ma adesso non mi si addice più … non sono più tanto piccola» e rise per mascherare la tristezza che si era impadronita di lei.
Mamoru si allungò sul tavolo, sporgendosi verso di lei. Con un gesto delicato, percorse il suo viso con le dita.
«Ma sei sempre dolce come allora» le disse.
Usagi notò che non la stava prendendo in giro. La sua espressione era seria e profonda, Mamoru pensava realmente che lei fosse dolce. E la delicatezza con cui la stava sfiorando ne era un’ulteriore prova. Per un attimo, chiuse gli occhi, assaporando la magia di quell’istante, e poggiò la testa sulla sua mano calda, che nel frattempo si era aperta in una morbida carezza.
«Mi dispiace se non mi sono più fatto sentire» disse Mamoru.
La sua mano, ora, era immobile sul viso di Usagi e con il pollice tracciava brevi percorsi sulla guancia.
La ragazza trasalì e aprì gli occhi. Per un attimo aveva perso il controllo lasciandosi andare alla tenerezza.
«È passato tanto tempo, me ne sono dimenticata, ormai» mentì lei.
«Io non ho mai dimenticato quello che mi hai detto quella sera e … ».
« … e ti sei chiesto cosa sarebbe successo se non fossi mai partito – Usagi, ostentando una finta disinvoltura, lo interruppe, continuando il suo discorso – Smettila di chiederti cose inutili, la tua vita è a New York e non c’è spazio, ormai, per i ma e per i se».
Un po’ deluso da quella risposta, Mamoru annuì, mentre Usagi deglutì nervosamente dopo aver mentito ancora una volta e aver taciuto che anche lei si era posta la stessa domanda.
Per alleggerire il clima teso che si era creato, allora, la ragazza cambiò completamente argomento.
«Cosa fai per Natale?» gli chiese, prendendo di nuovo in mano forchetta e coltello per tagliarsi un pezzetto di pizza.
Mamoru fece spallucce.
«Motoki mi ha proposto di organizzare una festa nella villa, in memoria dei vecchi tempi. Anche se dovessi venderla, fino a fine dicembre sono ancora il proprietario».
«La trovo un’idea bellissima! Potremmo darti tutti una mano a organizzarla».
Di fronte all’entusiasmo dilagante e contagioso della ragazza, Mamoru si convinse che quella di Motoki non era poi una brutta idea e non poté fare a meno di sorridere.
«Va bene, allora organizzeremo questa festa per la sera della vigilia».
Usagi batté le mani entusiasta.
«Devi avvisare subito Motoki e le altre» ordinò con quella vivacità che Mamoru aveva sempre apprezzato e ammirato in lei.
L’entusiasmo e l’allegria di Usagi erano sempre gli stessi, pensò.
«Allora non sei proprio cambiata, Usako!» le disse, usando, questa volta di proposito, quel nomignolo.
Usagi gli sorrise complice.
«Anche tu, Mamo-chan!».
 
Dal momento del bacio in aeroporto, quando poi si erano stretti la mano, esclusivamente per il desiderio di mantenere un contatto, il clima tra loro si era addolcito e le tensioni sembravano tutte spazzate vie.
Discorsero amabilmente di ciò che avevano fatto in quei dieci anni, dei loro studi e dei rispettivi lavori, con relative soddisfazioni. Passarono velocemente da un argomento all’altro, ridendo e scherzando, fino ad arrivare all’ organizzazione della festa per la vigilia di Natale, più per l’entusiasmo di Usagi che non per quello di Mamoru, che si esaltava solo di riflesso, spinto dalle briose proposte di Usagi.
Ci fu qualche piccolo battibecco, ma, del resto, come sottolineò Mamoru, lei era ancora una Odango, una testolina buffa, capricciosa e testarda. Usagi, però, non se la prese, e quasi adorò quel soprannome, allo stesso modo di come adorava sentirsi chiamare Usako.
E risero tanto, proprio come facevano un tempo, con la stessa complicità e lo stesso affiatamento di tutte le volte che non erano impegnati a discutere o insultarsi a vicenda.
Nessuno dei due si chiese, quella sera, cosa sarebbe successo in seguito, quando Mamoru sarebbe tornato negli Stati Uniti. Entrambi pensavano solo a godersi la serata e a crogiolarsi nel ricordo di quello che erano stati un tempo, pur senza mai esserlo stati realmente.
 
Mamoru accostò la macchina vicino alla palazzina in cui viveva Usagi. Aprì la portiera e fece il giro della vettura per prendere la valigia dal bagagliaio.
«Mamo-chan, nevica!».
La voce di lei richiamò la sua attenzione e, davanti agli occhi, Mamoru si trovò ad ammirare lo spettacolo più bello che avesse mai visto: Usagi volteggiava su se stessa, con gli occhi estasiati che puntavano verso il cielo e le mani che giocavano ad afferrare quei primi candidi e leggiadri fiocchi.
Sembrava fatta per danzare nella neve e quell’immagine, così semplice e innocente, lo ferì come una lama affilata. E si chiese come avesse potuto rinunciare a lei, come avesse fatto a seppellire il suo ricordo, sotterrandolo sotto cumuli di immagini di altre donne, che non gli avevano lasciato niente, se non l’illusione di aver dimenticato qualcosa di più grande e vero.
Solo in quell’istante, Mamoru capì che Usagi non era una cotta adolescenziale, un’infatuazione passeggera, Usagi era l’amore che lui non aveva saputo cogliere.
La verità lo colpì duramente, costringendolo a darsi dello stupido per non aver saputo guardare a fondo nel proprio cuore e, ormai, era troppo tardi per tornare indietro. La sua vita era altrove e avrebbe dovuto accontentarsi solo di briciole di lei, pur sapendo che non lo avrebbero mai saziato.
 
Usagi non volteggiava più, ma ferma, con il sorriso disegnato sulle labbra, si lasciava sfiorare dai fiocchi di neve, che, ormai, cadevano sempre più veloci e grossi.
I suoi occhi erano incatenati a quelli blu di Mamoru, che le sorrideva mentre lentamente si avvicinava a lei.
Lasciò che la accarezzasse delicatamente e che le scansasse una ciocca di capelli biondi dal viso per sistemarglieli dietro un orecchio. Poi si abbandonò tra le sue braccia, per farsi cullare dolcemente, in silenzio, sentendo il suo respiro caldo sul collo, mentre tutto intorno cominciava a imbiancare.
E, seguendo solo quello che il cuore le dettava, prese la decisione più giusta. Una notte sola. Se ne sarebbe accontentata, pur di avere di lui un ricordo più intenso e profondo che la riscaldasse, quando lui sarebbe stato dall’altra parte dell’oceano. Le avrebbe fatto male, ma non più del fatto di non essere mai stata sua.
 
La luce dei lampioni, dalla strada, filtrava attraverso i vetri delle finestre, andando a posarsi sul letto e creando sensuali chiaroscuri intorno ai loro corpi nudi, stesi tra le lenzuola roventi e attorcigliate.
Non c’era frenesia, ma solo il desiderio profondo di assaporare, attimo per attimo, quella notte, irripetibile, che era tutta e solo per loro.
Rimasero sdraiati fianco a fianco, concedendosi tempo. Tutto il tempo necessario per scoprirsi, attraverso il tocco delle labbra e delle mani sulla pelle calda e bisognosa di essere venerata, per fissare nella memoria ogni dettaglio e chiuderlo a chiave nello scrigno dei ricordi e non lasciarlo andare mai più.
Mamoru scoprì che Usagi aveva un corpo morbido e carnoso, liscio come seta, che profumava di muschio bianco. Scoprì che la sua pelle, sensibile e recettiva, si infiammava a ogni tocco e che i suoi seni sembravano fatti apposta per le sue mani, come pure le sue gambe, lunghe e snelle, che gli si avvolgevano in vita, creando un incastro perfetto. Tutto di lei lo accendeva, rendendolo bramoso, senza oscurare però la tenerezza e la dolcezza che solo lì, tra le sue braccia, si sposavano meravigliosamente con il desiderio impellente e la sensualità pura.
Usagi si lasciò condurre nel piacere, in giochi di passione e grovigli sensuali nuovi, stupendosi di come quelle sensazioni, mai provate prima, fossero così profonde e del tutto incomparabili, meravigliandosi per come il suo corpo reagisse inarcandosi verso di lui e chiedendo sempre di più.
Mamoru si immerse dentro di lei, catturato dal suono dei suoi respiri cadenzati e dal sapore della sua pelle. Usagi lo accolse, calda e bagnata, mentre il suono del suo nome usciva dalle proprie labbra, come un invito a non fermarsi.
Erano insieme nella magia del momento, nel lento e morbido scivolare dei movimenti, nella dolce sensazione di possedersi, nel folle crescere del desiderio, fino all’apice del piacere da cui iniziava la precipitosa discesa.
E quando caddero, caddero l’uno negli occhi dell’altra.
  
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