E’ tutto bianco.
Sono rinchiuso in questa monotona, piccola stanza
da… non so più quanto tempo ormai…
Non tengo più il conto dei giorni sempre
uguali: la mattina, sveglia alle sette nella mia fredda prigione, colazione,
toilette e poi, fino all’ora di pranzo, il niente assoluto, immobile sul
letto; certo, non posso muovermi molto, dato che il pavimento della mia cella
è percorso da alta tensione, negli intervalli di tempo tra
un’attività e l’altra, per impedirmi di fare qualsiasi cosa.
Mi viene servito il pranzo, come in precedenza la colazione e successivamente
la cena, da una botola quasi invisibile nella parete e solo per quei pochi
secondi necessari a raggiungere l’apertura dal mio letto il pavimento
torna normale: se ritardassi anche di un solo istante, finirei fulminato. Ma
non posso neanche restare a digiuno: se non prendo il cibo, la scossa mi arriva
ugualmente tramite le gambe del letto. Quindi non posso neanche morire di fame… sarebbe la cosa migliore
in questo squallido posto, dove si viene trattati da animali. Dopo il pranzo,
altre 3 ore di niente, fino al momento dell’attività del giorno:
vanno a turni, per giorni della settimana e sono l’unica cosa che mi
danno ancora un minimo di cognizione del tempo. Oggi, per esempio, è
martedì. Lo so, perché il martedì è il giorno della
biblioteca: fanno uscire dalla stanza e, tramite una voce all’alto
parlante, guidano
verso la biblioteca. Anche in questo caso, se non seguiamo le istruzioni della
voce, prendiamo una scossa. Le letture della biblioteca sono molto varie, ma non
sono libere: a seconda di quando si è arrivati, assegnano dei livelli.
Io sono nel livello intermedio, ciò significa letture come “Alice
nel paese delle meraviglie” o cose simili. Romanzetti per bambini. Solo
quando si è veri e propri “veterani” si può aspirare
ad autori di un altro livello, come Edgar Allan Poe,
per esempio, autore che legge sempre il mio vicino di posto e del quale ho
scoperto la grande bravura. Ma nessuno arriva mai a leggere manoscritti ad alto
livello culturale, come opere di Platone o Omero, perché le considerano
letture ad un livello troppo elevato per quelli come me.
Finito il tempo, la voce riconduce alle proprie
camere e si resta dentro per un’ora.
Dopo quel tempo, si viene condotti dalla voce
alla sala medica, dove ci somministrano i medicinali quotidiani e, subito dopo,
entra nella stanza uno psicologo che fa domande di routine. Bisogna sempre
assecondarli se non si vuole incorrere in qualche guaio.
-Buongiorno
signor Righini. Come va?-
Ormai si risponde sempre alla stessa maniera: a
loro va bene così.
-Bene.-
Poi, fa domande riferite
all’attività del giorno.
-Allora?
Cos’ha letto oggi?-
-Alice Nel
Paese Delle Meraviglie.-
-Ah,
bel libro. Gradita la lettura?-
-Si.
–
Ho imparato che non bisogna mai parlare
più del necessario: il loro obbiettivo è quello di ridurci ad
amebe. Facciamoglielo credere.
-Molto
bene,- risponde dopo aver scritto qualcosa nella sua
stramaledetta cartellina- può andare. Buon proseguimento
di giornata.-
E le porte automatiche della stanza di aprono e la voce mi riconduce alla mia camera.
Dopo aver cenato, si dovrebbe fare niente fino
alla mattina seguente, ma io non intendo passare un’altra giornata come
questa. Sono stanco di essere trattato come un animale, di essere creduto pazzo
quando non lo sono. Sono in grado di vedere gli altri, loro sono diversi da me:
non sembrano capaci di pensare, di ragionare e di fare tutte le cose che sanno
fare gli altri uomini come me.
IO sono perfettamente sano e non intendo
mischiarmi ancora in questa marmaglia di cenciosi orripilanti. Voglio uscire di
qui.
Una volta spente le luci, mi tolgo le coperte con
uno strattone e salto sul pavimento. Sono sano e salvo. Nessuna scossa, nessun
dolore. Non sono certo stupido, IO. Non visto dai controllori, durante
l’ora di lettura, mentre giravo tra gli scaffali riguardanti il genere
che mi spettava, ho preso due libri, quelli apposta per bambini, dalla
copertina di gomma abbastanza grande e l’ho strappata, infilandomele poi
sotto la maglietta. Me le sono fissate ai piedi con dei pezzi di lenzuolo a
forma di strisciolina. IN questo modo, l’elettricità non arriva al
mio corpo, perché la gomma è isolante. L’ho imparato
sbirciando sul libro di un altro mio vicino di posto del martedì,
intento a leggere Agatha Christie, altra autrice molto famosa in questo posto.
Sgattaiolo soddisfatto fino alla porta, che si
apre automaticamente. In punta di piedi percorro tutto il corridoio fino ad
arrivare all’uscita. Ma non sono ancora salvo. Spalanco le porte , ma molto in silenzio, e mi trovo davanti
all’immenso cortile erboso e ben curato di quest’edificio orribile.
Mi accorgo di avere i piedi viola per il nodo troppo stretto che ho fatto, ma
meglio avere i piedi viola piuttosto che essere fulminati. Comincio ad
attraversare il prato, ma ad un tratto sento abbaiare furiosi i cani che loro
sguinzagliano solo di notte e una sirena comincia a suonare: mi hanno scoperto.
Dannazione, mi ero dimenticato delle telecamere! Come ho fatto a non pensarci?
Beh, ai miei tempo non esistevano…
Comincio a correre a perdifiato verso il muro che
divide la casa di cura dal resto del mondo e mi sento pervadere il corpo da
un’adrenalina mai provata prima: sento che sto per farcela, DEVO FARCELA!
NE VA DELLA MIA VITA! Ma per la fretta, non noto che un cane sta arrivando dal
mio latro destro. Mi fermo e , senza pensarci, mi
tolgo una delle mie protezioni ai piedi per difendermi per usarla come scudo,
ma un attimo prima di rimettere a terra la pianta nuda, mi ricordo del suolo
pervaso da elettricità e mi fermo appena prima di commettere il fatale
errore. Sbatto con violenza la copertina di gomma sulla faccia del cane e lo
faccio indietreggiare di parecchi metri, stordendolo con la potenza che avevo
messo nel colpo. Non ho più tempo di rimettermela e così mi
riduco a saltellare fino all’enorme portone in ferro battuto del posto.
Ci sono quasi, assaporo
già la mia futura, sudata libertà, sono ad un passo
dal ritorno alla vita normale. Mi
basta quel momento di distrazione per non accorgermi di un ennesimo cane che
sta arrivando a velocità inaudita verso di me. Me ne rendo conto quando
sento affondare i denti affilati della bestia nella carne della gamba che mi
sostiene , facendomi provare un male allucinante. Non
ci vedo più per il dolore e agito con violenza la protezione di plastica
per tentare di colpire l’animale feroce e mi accorgo di esserci riuscito al sentire i
guaiti del cane, che indietreggia. Dolorante, cerco di spingere il portone con
tutte le mie forze, tirando spallate violente e alla fine, con la forza della
disperazione, ci riesco. Sono fuori finalmente! Immediatamente, mi richiudo il
portone alle spalle e metto già la gamba senza protezione per
sorreggermi meglio. Errore fatale. Non avrei mai immaginato che
l’elettricità corresse anche per qualche metro all’esterno
del manicomio. Una scossa mi percorre tutto il corpo e, dopo diversi minuti in
agonia, disattivano l’alta tensione e cado a terra. Mi esce sangue dalle
orecchie, dalla bocca, dalle orbite (dato che gli occhi mi sono caduti,
praticamente fritti) e dal naso. Stanno venendo a prendermi. Non sento
più niente, ma ne sono sicuro. Non possono abbandonare uno come me al
suolo. Anche i libri della biblioteca parlano di me. Sono troppo importante per
essere dimenticato. Non io, non il grande Napoleone Bonaparte.