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Autore: Sheego Watakuri    22/05/2008    2 recensioni
Un uomo, un'ossessione, una fuga disperata. Sono qui, fuori dal mio terreno abituale, per postare una one-shot che ho meditato molto e che è approdata grazie al consiglio di una mia amica (Grazie Faerie!!^^). Spero che piaccia: non ho mai scritto una storia del genere. Buona lettura e grazie per eventuali commenti^^.
Genere: Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E’ tutto bianco

E’ tutto bianco.

Sono rinchiuso in questa monotona, piccola stanza da… non so più quanto tempo ormai…

Non tengo più il conto dei giorni sempre uguali: la mattina, sveglia alle sette nella mia fredda prigione, colazione, toilette e poi, fino all’ora di pranzo, il niente assoluto, immobile sul letto; certo, non posso muovermi molto, dato che il pavimento della mia cella è percorso da alta tensione, negli intervalli di tempo tra un’attività e l’altra, per impedirmi di fare qualsiasi cosa. Mi viene servito il pranzo, come in precedenza la colazione e successivamente la cena, da una botola quasi invisibile nella parete e solo per quei pochi secondi necessari a raggiungere l’apertura dal mio letto il pavimento torna normale: se ritardassi anche di un solo istante, finirei fulminato. Ma non posso neanche restare a digiuno: se non prendo il cibo, la scossa mi arriva ugualmente tramite le gambe del letto. Quindi non posso neanche morire  di fame… sarebbe la cosa migliore in questo squallido posto, dove si viene trattati da animali. Dopo il pranzo, altre 3 ore di niente, fino al momento dell’attività del giorno: vanno a turni, per giorni della settimana e sono l’unica cosa che mi danno ancora un minimo di cognizione del tempo. Oggi, per esempio, è martedì. Lo so, perché il martedì è il giorno della biblioteca: fanno uscire dalla stanza e, tramite una voce all’alto parlante,  guidano verso la biblioteca. Anche in questo caso, se non seguiamo le istruzioni della voce, prendiamo una scossa. Le letture della biblioteca sono molto varie, ma non sono libere: a seconda di quando si è arrivati, assegnano dei livelli. Io sono nel livello intermedio, ciò significa letture come “Alice nel paese delle meraviglie” o cose simili. Romanzetti per bambini. Solo quando si è veri e propri “veterani” si può aspirare ad autori di un altro livello, come Edgar Allan Poe, per esempio, autore che legge sempre il mio vicino di posto e del quale ho scoperto la grande bravura. Ma nessuno arriva mai a leggere manoscritti ad alto livello culturale, come opere di Platone o Omero, perché le considerano letture ad un livello troppo elevato per quelli come me.

Finito il tempo, la voce riconduce alle proprie camere e si resta dentro per un’ora.

Dopo quel tempo, si viene condotti dalla voce alla sala medica, dove ci somministrano i medicinali quotidiani e, subito dopo, entra nella stanza uno psicologo che fa domande di routine. Bisogna sempre assecondarli se non si vuole incorrere in qualche guaio.

       -Buongiorno signor Righini. Come va?-

Ormai si risponde sempre alla stessa maniera: a loro va bene così.

       -Bene.-

Poi, fa domande riferite all’attività del giorno.

       -Allora? Cos’ha letto oggi?-

       -Alice Nel Paese Delle Meraviglie.-

        -Ah, bel libro. Gradita la lettura?-

        -Si. –

Ho imparato che non bisogna mai parlare più del necessario: il loro obbiettivo è quello di ridurci ad amebe. Facciamoglielo credere.

       -Molto bene,- risponde dopo aver scritto qualcosa nella sua stramaledetta cartellina- può andare. Buon           proseguimento di giornata.-

E le porte automatiche della stanza di aprono e la voce mi riconduce alla mia camera.

Dopo aver cenato, si dovrebbe fare niente fino alla mattina seguente, ma io non intendo passare un’altra giornata come questa. Sono stanco di essere trattato come un animale, di essere creduto pazzo quando non lo sono. Sono in grado di vedere gli altri, loro sono diversi da me: non sembrano capaci di pensare, di ragionare e di fare tutte le cose che sanno fare gli altri uomini come me.

IO sono perfettamente sano e non intendo mischiarmi ancora in questa marmaglia di cenciosi orripilanti. Voglio uscire di qui.

Una volta spente le luci, mi tolgo le coperte con uno strattone e salto sul pavimento. Sono sano e salvo. Nessuna scossa, nessun dolore. Non sono certo stupido, IO. Non visto dai controllori, durante l’ora di lettura, mentre giravo tra gli scaffali riguardanti il genere che mi spettava, ho preso due libri, quelli apposta per bambini, dalla copertina di gomma abbastanza grande e l’ho strappata, infilandomele poi sotto la maglietta. Me le sono fissate ai piedi con dei pezzi di lenzuolo a forma di strisciolina. IN questo modo, l’elettricità non arriva al mio corpo, perché la gomma è isolante. L’ho imparato sbirciando sul libro di un altro mio vicino di posto del martedì, intento a leggere Agatha Christie, altra autrice molto famosa in questo posto.

Sgattaiolo soddisfatto fino alla porta, che si apre automaticamente. In punta di piedi percorro tutto il corridoio fino ad arrivare all’uscita. Ma non sono ancora salvo. Spalanco le porte , ma molto in silenzio, e mi trovo davanti all’immenso cortile erboso e ben curato di quest’edificio orribile. Mi accorgo di avere i piedi viola per il nodo troppo stretto che ho fatto, ma meglio avere i piedi viola piuttosto che essere fulminati. Comincio ad attraversare il prato, ma ad un tratto sento abbaiare furiosi i cani che loro sguinzagliano solo di notte e una sirena comincia a suonare: mi hanno scoperto. Dannazione, mi ero dimenticato delle telecamere! Come ho fatto a non pensarci? Beh, ai miei tempo non esistevano…

Comincio a correre a perdifiato verso il muro che divide la casa di cura dal resto del mondo e mi sento pervadere il corpo da un’adrenalina mai provata prima: sento che sto per farcela, DEVO FARCELA! NE VA DELLA MIA VITA! Ma per la fretta, non noto che un cane sta arrivando dal mio latro destro. Mi fermo e , senza pensarci, mi tolgo una delle mie protezioni ai piedi per difendermi per usarla come scudo, ma un attimo prima di rimettere a terra la pianta nuda, mi ricordo del suolo pervaso da elettricità e mi fermo appena prima di commettere il fatale errore. Sbatto con violenza la copertina di gomma sulla faccia del cane e lo faccio indietreggiare di parecchi metri, stordendolo con la potenza che avevo messo nel colpo. Non ho più tempo di rimettermela e così mi riduco a saltellare fino all’enorme portone in ferro battuto del posto. Ci sono quasi, assaporo  già la mia futura, sudata libertà, sono ad un passo dal ritorno alla vita  normale. Mi basta quel momento di distrazione per non accorgermi di un ennesimo cane che sta arrivando a velocità inaudita verso di me. Me ne rendo conto quando sento affondare i denti affilati della bestia nella carne della gamba che mi sostiene , facendomi provare un male allucinante. Non ci vedo più per il dolore e agito con violenza la protezione di plastica per tentare di colpire l’animale feroce e mi accorgo di esserci riuscito  al sentire i guaiti del cane, che indietreggia. Dolorante, cerco di spingere il portone con tutte le mie forze, tirando spallate violente e alla fine, con la forza della disperazione, ci riesco. Sono fuori finalmente! Immediatamente, mi richiudo il portone alle spalle e metto già la gamba senza protezione per sorreggermi meglio. Errore fatale. Non avrei mai immaginato che l’elettricità corresse anche per qualche metro all’esterno del manicomio. Una scossa mi percorre tutto il corpo e, dopo diversi minuti in agonia, disattivano l’alta tensione e cado a terra. Mi esce sangue dalle orecchie, dalla bocca, dalle orbite (dato che gli occhi mi sono caduti, praticamente fritti) e dal naso. Stanno venendo a prendermi. Non sento più niente, ma ne sono sicuro. Non possono abbandonare uno come me al suolo. Anche i libri della biblioteca parlano di me. Sono troppo importante per essere dimenticato. Non io, non il grande Napoleone Bonaparte.

  
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