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Autore: memi    22/05/2008    1 recensioni
[“N o n r i d e r e n o n r i d e r e n o n r i d e r e.”
Il pavimento era freddo. Poteva sentirlo sotto di sé, mentre silenzioso e viscido si faceva largo nella sua pelle con estrema ma assiomatica lentezza. Ecco, aveva già raggiunto gli arti e si era spinto molto più in là, fino ai polmoni. L’aria si era fatta pesante e forse in un’altra occasione ne avrebbe risentito. Ma non quel giorno dove persino la nuvoletta di vapore che fuoriusciva a tradimento dalla sua bocca screpolata dal freddo, la faceva sorridere.]
Terza classificata al concorso Neji/Hinata/Kiba indetto da HopeToSave e Kurenai88.
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hinata Hyuuga, Neji Hyuuga
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Autore: Memi
- Titolo della storia: 27 December
- Genere: One-shot
- Personaggi: Neji Hyuga; Hinata Hyuga
- Rating: Verde
- Avvertimenti: Nessuno
- Trama:
“N o n r i d e r e n o n r i d e r e n o n r i d e r e.”

Il pavimento era freddo. Poteva sentirlo sotto di sé, mentre silenzioso e viscido si faceva largo nella sua pelle con estrema ma assiomatica lentezza. Ecco, aveva già raggiunto gli arti e si era spinto molto più in là, fino ai polmoni. L’aria si era fatta pesante e forse in un’altra occasione ne avrebbe risentito. Ma non quel giorno dove persino la nuvoletta di vapore che fuoriusciva a tradimento dalla sua bocca screpolata dal freddo, la faceva sorridere.

 

 

27 December

(What about the date?)

 

 

“N o n r i d e r e n o n r i d e r e n o n r i d e r e.”

Il pavimento era freddo. Poteva sentirlo sotto di sé, mentre silenzioso e viscido si faceva largo nella sua pelle con estrema ma assiomatica lentezza. Ecco, aveva già raggiunto gli arti e si era spinto molto più in là, fino ai polmoni. L’aria si era fatta pesante e forse in un’altra occasione ne avrebbe risentito. Ma non quel giorno dove persino la nuvoletta di vapore che fuoriusciva a tradimento dalla sua bocca screpolata dal freddo, la faceva sorridere.

E si sforzò di mantenere le labbra chiuse, schiacciandole sotto i denti per contenere lo scroscio di risate pronte dietro l’angolo.

Ma era così forte, che le faceva male il fisico per la tensione a cui si stava sottoponendo. Era completamente irrigidita nel tentativo disperato di placare l’allegria ilare che a sprazzi si andava sempre più intensificando, anche se era una cosa stupida. Ridere non faceva rima con errore, o no?

Intanto la luce dorata del sole agli albori del giorno picchiettava sempre più fitta sui vetri opachi della finestra e anche quello, nonostante fosse una cosa piuttosto normale, le faceva venire voglia di ridere.

“Ich”

Sbarrò gli occhi e la mano cercò senza preavviso la bocca a voler nascondere l’artefice del misfatto dietro i graffi dell’allenamento.

Non poteva lasciarsi andare, non potev-

“Ich!”

Un altro. Più forte del precedente. La mano che incapace non riusciva a contenere il fiotto di singhiozzi. Ma era solo un altro sintomo di debolezza a deturpare il nobile casato degli Hyuga e a macchiare indelebilmente la sublime severità dei suoi sguardi di ghiaccio. Lei lo sapeva e avrebbe voluto essere diversa, per una volta almeno, ma era più forte persino della sua volontà. Voleva ridere, voleva lasciarsi andare, voleva gridare, aprire le braccia e festeggiare, come non aveva mai osato fare. Come non aveva mai saputo fare. La verità era che lei, non era mai stata brava con i desideri. Troppo complicati per essere gestiti da una ragazza pallida ed insignificante come lei. Meglio lasciarli a chi li sapeva sfruttare, a chi davvero li meritava (Sakura Haruno, per esempio. Lei li meritava. Sul serio, li meritava).

“Ich”

E l’ennesimo segno della sua inettitudine, della sua inguaribile incapacità di controllarsi. Di ‘autogestirsi’, quella parola che non aveva mai seriamente capito, dopotutto. Ma adesso era diverso. Insomma, per una volta… Poteva essere diverso per una volta, giusto? Per quel giorno… Almeno per quel giorno?

“N o n r i d e r e n o n r i d e r e n o n r i d e r e.”

Intanto la sua mente incontrollata e incontrollabile continuava ad elaborare la stessa, cantilenante preghiera. Un mantra per ripararsi da ciò che avrebbe dovuto essere e per ricordarsi, invece, di ciò che era. Eppure non c’era niente di male, nel ridere. Non poteva esserci niente di sbagliato ad essere felici. Allora perché il suo corpo continuava a fare male? Perché continuava a imporsi di resistere alla voglia di ridere? Perché continuava a spostare inquieta lo sguardo nel tentativo ultimo di controllarsi, se non c’era niente di male?

Toc

Toc

Toc

“Hinata-sama, siete sveglia?”

Lei sobbalzò, risvegliata dal dolce torpore. Le risate, ad un tratto, avevano smesso di spingere, spegnendosi semplicemente sotto la voce autoritaria dell’intruso.

“A-arrivo subito”, balbettò, puntellando i gomiti e sollevandosi a guardare il cielo adamantino all’esterno.

Sembrava un quadro visto attraverso i quattro quadranti della finestra. Le tinte ombrose della notte avevano lentamente lasciato il posto al chiarore del mattino e adesso una sfilata di colori pastello dalle tonalità dell’oro e del porpora si intrecciavano in intricate composizioni. Molto più in là, oltre le alture, il disco arancio del sole iniziava ad uscire dal letargo per librarsi in cielo con rinnovata vigoria.

Ne rimase affascinata e per un istante si dimenticò persino del motivo di tanta allegria. Ma tutti i sogni, prima o dopo, giungono ad una fine e quello di certo non avrebbe fatto eccezione. Si rimise in piedi e con una pedanteria che non le era mai appartenuta si rassettò i pantaloni neri.

Non c’erano pieghe, il suo corpo riempiva in modo perfetto gli indumenti che aveva indossato e questo non giovò alla sua codardia.

Prese la spazzola dalla toeletta e allora si impose di lisciare i capelli con cura maniacale. Erano cresciuti notevolmente da quando aveva deciso di non tagliarli più, di assomigliare un po’ di più agli Hyuga (a ciò che avrebbe dovuto essere). Ino le diceva spesso che aveva dei bellissimi capelli, lisci e scuri, e lei di solito sorrideva imbarazzata dal complimento, mentre nel profondo covava un senso di orgoglio. Quel giorno però non trovava nei suoi capelli alcuna caratteristica per cui sentirsi inorgogliti. Troppo, davvero troppo lisci per catturare più tempo di quello. Così rimise a posto la spazzola e sospirò.

Stava soltanto temporeggiando ed era tutto perfettamente inutile. Quel giorno che fino a quel momento era stato la causa di tanta allegria, adesso era il motivo di altrettanta angoscia. Non sapeva se ce la faceva, non era una novità che era una debole anche se si stava seriamente sforzando di mettercela tutta.

“Puoi farcela, Hinata. Puoi, puoi, puoi, puoi, puoi! Puoi farcela.”

Sorrise e per un attimo si sentì quasi ottimista. Sarebbe trascorso come tutti i giorni che compongono un anno, era certa di questo. Non sarebbe cambiato niente. Non era una data così particolare d’altronde. Erano anni che quel giorno non era più tanto particolare, d’altro canto. Se lo sarebbero ricordati, ovvio, era pur sempre la legittima discendente del clan. Le avrebbero anche dato gli auguri, ma niente più di quello. Nemmeno un sorriso, neppure quello, e forse era meglio così perché lei era una schiappa anche a ricevere soltanto quelli (i sorrisi).

Scosse la testa e con veemenza, afferrò la maniglia della porta e la spalancò.

Suo cugino Neji la aspettava con le braccia conserte e gli occhi chiusi. Sembrava dormisse, ma Hinata sapeva che quella era soltanto la sua tipica posizione di attesa. Chissà, magari si era preparato ad un’attesa infinita prima che lei si decidesse ad uscire dalla barricata in cui si era rinchiusa.

Decise di non pensarci e con un sorriso sincero, sperò di riuscire a mettere a tacere il battito frenetico del suo cuore. Non si illudeva di riuscire a fermarlo, quanto meno però pregava affinché lui non potesse udirlo. Anche se le sembrava già dalla partenza una preghiera vuota perché il battito cardiaco era così forte che era un miracolo, non fosse balzato fuori dal petto.

Intanto Neji aveva riaperto gli occhi, affondando il bianco delle iridi in quello timoroso della cugina a tradimento. Lei allora voltò il capo, spostando il centro della propria attenzione verso un punto indefinito del corridoio, ma anche così non era difficile sentire quel candore bruciarle addosso. Le sembrava di stare soffocando e di nuovo il corpo si era irrigidito, come sempre quando si sforzava di vincere una tentazione sbagliata. O almeno, che tutti avrebbero reputato sbagliata (lei era troppo insignificante per avanzare valutazioni).

Era sicura che se non avesse avuto il buonsenso di intrecciare le dita e di nasconderle dietro la schiena, avrebbe con orrore visto le sue mani tremare sotto lo sguardo di ghiaccio spesso di Neji.

Con la coda dell’occhio, cercò il volto del cugino alla ricerca di indizi che avrebbero rivelato la sua perspicacia nell’individuarle le debolezze. Senza tuttavia riuscire a scovarvi altro che non fosse la solita espressione imperscrutabile, con il cipiglio severo e le labbra perfette contratte in una linea sottile che raramente si sforzava di allungare in un sorriso. Per un istante Hinata si ritrovò a pregare che lui le sorridesse, anche se poi lei non avrebbe saputo che fare e sarebbe arrossita impietosamente.

Ma Neji le negò ogni forma di cortesia e anzi le diede la schiena, voltandosi a farle strada verso la cucina dove li attendeva la colazione.

Hinata sospirò ma non si lasciò abbattere da quel suo comportamento. Suo cugino, anche se era cambiato notevolmente dai tempi in cui si arrampicava allo spettro del destino per giustificare l’ingiustizia della vita, non era mai stato tagliato per i rapporti umani. Per le dimostrazioni d’affetto, in particolare, e anche così dopotutto era perfetto.

 

~#◊#~

 

La bustina filtrava l’infuso di the alla menta che, sciogliendosi, macchiava l’acqua calda serbata nella tazza di un delizioso ambrato dalle tonalità sempre più cupe.

Hinata osservava il semplice ma attraente meccanismo con forse più concentrazione di quanta in realtà ne servisse e allo stesso tempo senza riuscire a vederlo davvero.

Il suo corpo era teso come la corda di un violino, pronto a scattare al minimo segno, e intanto nello sforzo di controllarsi era costretta a ricorrere ad una considerevole dose di forza interiore.

Tum

Tum

Tum

Sobbalzò, serrando i pugni al suono ovattato che le arrivò alle orecchie. Istintivamente, senza nemmeno accorgersene, i suoi occhi candidi andarono a cercare l’unica persona al di fuori di lei presente nella stanza. Neji, suo cugino.

Stava bevendo il suo the normale con calma invidiabile, sorreggendo la tazza con entrambe le mani mentre i gomiti facevano leva dal ripiano del tavolo. Sul viso manteneva la solita espressione imperscrutabile di sempre ma gli occhi, socchiusi, sembravano persi in tutt’altri pensieri. Hinata avrebbe voluto saperli leggere, era da tempo che desiderava saperlo fare, ma senza riuscire mai a riuscirci. Certe volte si scopriva palpitante di fronte alla perenne inafferrabilità di Neji. Avrebbe voluto afferrarlo, stringere quella mano che distava tanto poco, troppo poco dalla sua, ma non ne era capace. Quasi che lui appartenesse ad un’altra realtà, ad un altro mondo distante ed irraggiungibile dal suo. O forse, semplicemente, era lei ad appartenere ad un altro mondo…

“Cosa volete fare oggi, Hinata-sama?”

La domanda la colpì, facendole sgranare gli occhi prima ancora di afferrare il cambiamento nei suoi occhi di ghiaccio. Neji infatti aveva aperto gli occhi e si era voltato a guardarla, senza però mostrare alcuna espressione particolare che potesse lasciarle intendere il corso dei suoi pensieri. Lei lo fissò per un istante, troppo sbalordita per rendersi conto di avere i suoi occhi addosso e per imbarazzarsene, prima di provare a formulare una qualche forma di frase coerente con la domanda.

“V-voglio f-fare?”, ripeté, ma senza riuscire tuttavia ad acciuffarne il senso.

“Sì”, confermò Neji, il tono di voce talmente piatto che se non avesse avuto l’inoppugnabile presenza del suo volto in quelle iridi candide, avrebbe anche potuto illudersi che non era con lei che stava parlando. “C’è qualcosa in particolare che vi piacerebbe fare, oggi?”

Hinata abbassò lo sguardo, incapace di sostenere oltre quegli occhi che sembravano volessero privarla di ogni cosa, mentre il cuore palpitava al suono dell’ultima parola. Era una sua impressione, oppure aveva usato un tono diverso per dire quell’oggi? Il solo fatto di avere quel dubbio era abbastanza per farle accelerare di nuovo il battito cardiaco e imporporare visibilmente le guance altresì pallide.

“I-io n-non saprei”, balbettò, dandosi della stupida per tutti quei suoi inopportuni farfugliamenti.

Aveva sedici anni, adesso! Sedici, non era più una bambina che s’imbarazzava per nulla. Cercò di metabolizzare e applicare il pensiero, ma nonostante gli sforzi non riuscì a smettere di sentirsi imbarazzata e inorgoglita insieme, come quando Ino le faceva i complimenti per i suoi capelli.

Di nascosto sfiorò lo sguardo di Neji giusto per vedere la sua reazione, ma il cugino era perfettamente immobile in attesa della sua risposta. Scostò di nuovo l’attenzione da lui alla tazza dinanzi a lei, sorprendendosi appena del modo in cui l’acqua adesso era diventata del tutto scura. Avrebbe dovuto sfilare via la bustina ormai inutile e aggiungere dello zucchero all’infuso, ma il suo corpo non sembrava intenzionato a voler rispondere agli ordini del cervello. Aveva di nuovo i brividi dovuti allo sforzo di rimanere a sua volta immobile per non lasciarsi vincere dalla voglia di scappare via. La verità era che il suo sguardo, ancora, riusciva a farla sentire disarmata, spogliata di ogni cosa a cui avrebbe con facilità potuto aggrapparsi. Ed era strana, come sensazione. Ancora di più la consapevolezza e la certezza che soltanto con lui, avrebbe mai provato simili percezioni.

Afferrò con una mano un lembo della stoffa del suo pantalone, stringendo talmente forte da avere le nocche ceree.

“M-mi piacerebbe vedere l-le farfalle”, balbettò infine, dopo un istante che parve infinito.

Senza riuscire ad alzare lo sguardo ma desiderando ardentemente d’individuare la reazione di Neji, Hinata lo cercò con la coda dell’occhio e il suo cuore perse più di qualche battito nello scontrarsi con quelle sue pozze di un incredibile candore.

Lui la stava fissando ma contrariamente alle aspettative, non c’era traccia di derisione sul suo volto ieratico.

La guardava, basta. Come si guarda un quadro prima di emetterne il verdetto. Il pensiero la colpì e si trovò a chiedersi con apprensione quale sarebbe stato il suo verdetto, ma lui la spiazzò ancora una volta, chinando il capo per socchiudere gli occhi nella stessa identica espressione imperturbabile di prima.

“Va bene, allora. Andremo a vedere le farfalle”, decretò, irremovibile, e lei lo sentì stavolta lo stomaco contrarsi al suono della sua voce.

Era sbagliato, forse, ma non per questo delebile il sentore lasciato dalle sue parole.

Il cuore batteva forte e di sicuro le guance erano infiammate da un antico imbarazzo, mentre affondava il sorriso nel liquido ambrato e terribilmente caldo.

La voglia di ridere che aveva con ogni mezzo tentato di annientare, era ritornata con più prepotenza di prima e le scuoteva il fisico con tanti piccoli brividi. Nemmeno il bruciore causato dal the bollente riuscì a reprimere quel ritrovato buonumore. Hinata era felice, sul serio, e non le importava nemmeno più di essere ancora imbarazzata per via del suo sguardo di ghiaccio che, anche se indirettamente, la stava scrutando.

“Andremo insieme. Noi… Neji verrà con me.”

Lo guardò di sottecchi ancora una volta, a volersi assicurare che lui fosse ancora lì, che non stava semplicemente sognando. Ma Neji era ancora al suo posto, la tazza vuota riposta sul piattino in ceramica, e la stava fissando. A lei, che non meritava tutti quegli sguardi, e le stava sorridendo, un accennato incresparsi di labbra che andava ad infrangere la corazza imperturbabile del suo volto perfetto.

Ad un tratto le sembrò che nessuno di tutti i sorrisi che avrebbe potuto ricevere, avrebbe mai potuto essere bello almeno la metà di quanto lo era quel sorriso lieve ed infrequente, raro come le pietre più preziose.

Come si faceva, si chiese con un groppo alla gola e il corpo vibrante per l’emozione, a chiedere alla luna di apparire più spesso?!

 

~#◊#~

 

“Siamo arrivati?”, Hinata era impaziente, il fiato smorzato per la corsa e per qualche altra cosa indistinta nel suo petto.

“Quasi”, le rispose calmo Neji. “È oltre quegli alberi”

Lui allungò un braccio in avanti, per farle segno, e lei seguendo il suo dito si scoprì ad un tratto spaventata. Non poteva fermarsi, non poteva smettere di correre. Fare attività fisica a quel modo, seppur faticosa (erano ore che correvano a quel modo senza neppure una sosta), perlomeno le impediva di concentrarsi sul fluire dei pensieri che veleggiavano alla deriva nella sua testa. Se solo si fosse fermata, anche se per una manciata di secondi, non avrebbe più saputo resistere al pensiero trasecolante della vicinanza che la legava a Neji.

Erano soli, nel bel mezzo di una foresta di cui all’improvviso non ricordava nemmeno più l’inizio.

Oh, certo, c’erano state altre volte in cui si era ritrovata sola con lui ma in ogni altra occasione sarebbe bastato fare qualche passo per non esserlo più. Adesso, invece, non sapeva nemmeno più come si faceva a tornare indietro, nel caso avesse voluto. Era bloccata lì, con lui, il suo unico appiglio in quel momento.

In più c’era quell’altra sensazione, quella meno definita e più complessa. Quella che già da diverso tempo si sforzava di comprendere, di classificare. Quella che la notte le toglieva il sonno e la mattina, ogni santa mattina, le smorzava il respiro perché puntuale tornava ad affacciarsi come primo pensiero alla sua mente intorpidita.

Il fatto era che quando stava con Neji, anche se solo per pochi istanti, qualcosa scattava in lei a ricordarle all’improvviso di essere una donna, oltre che una kunoichi dalle capacità discutibili. Era un po’ come risvegliarsi da un sogno durato una vita e rispecchiarsi in quegli occhi di ghiaccio che da soli bastavano a farle accendere una fiamma proprio in fondo a quello stomaco sottosopra. Era in quei momenti che tutto diventava distorto e allo stesso tempo acuto ai suoi sensi ipersensibili. Il respiro che aumentava d’intensità finendo addirittura per incanalarsi nell’iperventilazione; il cuore che perdeva qualche battito per poi riacquistarne più del dovuto; le gambe che tremavano come gelatina pronte a cedere da un momento all’altro; le mani che si cercavano spasmodiche, incapaci di stare ferme ad aspettare; il corpo che semplicemente s’irrigidiva, in tensione.

E poi c’era dell’altro, ovviamente.

C’era il volto di Neji, che diventava all’improvviso perfetto come se non lo fosse già stato abbastanza. C’erano gli occhi di Neji, così bianchi e penetranti da lasciare un segno indelebile al loro passaggio, che lei conservava quasi con avidità. C’erano le sue mani, così grandi che era impossibile non soffermarsi a pensare a con quanta facilità avrebbero potuto avvolgere entrambe le proprie.

Ma poi si rendeva conto della tipologia di pensieri che la assordavano ed imbambolavano, e tutto diventava più cupo, tormentato.

Era sbagliato, si ripeteva tesa e nervosa nello sforzo di controllarsi. Era maledettamente sbagliato. Avrebbe dovuto scappare e avrebbe voluto, sul serio, ma non ne era capace. Il desiderio di dividere ancora qualche attimo con lui, di saggiare ancora quelle sensazioni per quanto sbagliate potessero essere, era troppo forte per non scavalcare la pavida voglia di fuggire da tutto quello.

Stare con Neji era provare una marea di emozioni antitetiche che si andavano puntualmente contrastando tra loro. Equivaleva a voler fuggire e a volerlo abbracciare per non dovere allo stesso tempo mai separarsene, per poi preoccuparsi di una possibile sua reazioni e ritrattare tutto con esasperante tortura. Significava palpitare e tremare insieme, sorridere e piangere nello stesso istante, gridare e azzittirsi nel contempo.

Ma in tutte quelle volte, non erano mai stati soltanto loro due. Non in quelle condizioni, almeno. Questo la impensieriva più di quando avrebbe potuto fare in altri casi, perché Hinata non sapeva fino a che punto avrebbe seguito una strada anziché un’altra.

“Siamo arrivati”

La voce di Neji arrivò all’improvviso, cogliendola come sempre in uno dei suoi lunghi ed estenuanti viaggi personali. Hinata riaprì gli occhi, quasi fossero stati chiusi, per mettere a fuoco l’immagine che si estendeva dinanzi a lei. Non si era neppure accorta, intanto, di essersi fermata.

Si trattava di una radura seminascosta dagli alti arbusti sempreverdi, delimitata su un fianco dallo scorrere lento ma piacevole di un ruscello. L’erbetta fresca e profumata, si nascondeva sotto i variopinti colori di una moltitudine di fiori dalle tipologie e dalle tinte più disparate. L’inebriante effluvio le entrava prepotente nel naso, ubriacandola a tal punto che se Neji non gliele avesse fatte notare, non avrebbe neppure notato il motivo di tanta ben ripagata fatica.

“Le farfalle. Sono come le volevi vedere tu?”

Hinata riaprì gli occhi e il cuore batté impazzito nel petto nell’incrociare con lo sguardo la multietnica popolazione di farfalle.

Il viola, il verde, il giallo, il blu, il nero, il rosso, l’azzurro… I colori si sfumavano l’uno con l’altro con estrema facilità, talmente tanto che era difficile riuscire a distinguerli effettivamente. Hinata si sforzò di seguire il mosaico indefinito impresso sulle ali delle farfalle, ma come in un sogno era difficile decidere da che parte iniziare.

“È… È anche meglio!”, sorrise, raggiante, incapace di contenere la vibrante gioia bruciante nel petto.

Poi, come una bambina, si ritrovò a correre felice per il prato piroettando sulle punte con invidiabile eleganza. Le mani aperte a delineare ali invisibili e gli occhi, candidi, macchiati del colore di tutte quelle farfalle. La testa girava ma lei instancabile continuava a volteggiare, perdendosi nel dolce profumo dei fiori che ben poco si addicevano al clima rigido dell’inverno (ed era quello il regalo, no? Averle portato una macchia di colore in una vita fin troppo bianca). Le farfalle che intanto avevano ripreso a veleggiarle attorno, mischiandosi alla sua nobile danza, e il cielo plumbeo a disegnare immagini fatte solo di vapore e di sbuffi.

Ma Hinata non sembrò fare caso a null’altro che non fosse la libertà impregnata nel posto, liberando i muscoli tenuti in tensione fino a quel momento. Si sentiva più leggera, adesso, e forse avrebbe persino avuto il cuore meno febbricitante se non fosse stata per la costante presenza del ghiaccio a trapassarla impietosamente.

“Neji.”

Si fermò, la scusa ufficiale di riprendere fiato, e i suoi occhi all’istante cercarono la figura del cugino. Lui era nell’esatto punto in cui l’aveva lasciato, nascosto nell’angolo d’ombra garantito dalla boscaglia tutt’intorno. Nemmeno la posizione era cambiata e il cipiglio era quello severo ma imperscrutabile di sempre. La guardava senza remore, incurante della possibilità di metterla in imbarazzo, pronto con ogni presumibile previsione a scattare al minimo segno di pericolo per lei. Dimenticando del tutto che un tempo era stato lui, il primo pericolo per lei.

Neji la stava vedendo. Hinata lo stava vedendo. E senza bisogno di parole, erano già andati oltre, scorrendo immagini che entrambe sapevano ma si tacevano di poter vedere.

La linea era netta.

La linea che li divideva, era netta.

Talmente netta che ci si stupiva di come ogni giorno si fingesse di non vederla.

Era semplicemente lì, tra il limitare della foresta (lui) e l’inizio del campo di fiori (lei). E faceva male al cuore tanto era visibile, chiara ai loro occhi che dalla nascita sapevano scorgere cose al di là di un semplice occhio umano. Hinata cercò senza volerlo lo sguardo di Neji e per una volta si costrinse a sostenerne lo sguardo, rimanendo immobile nella stessa malinconia di chi si crogiolava nella consapevolezza dell’impossibilità di fare ciò che più gli preme.

Nessuno dei due seppe dire con precisione quanto tempo passò da che i loro sguardi si erano incontrati, si erano davvero incontrati. Il tempo all’improvviso era diventato marginale, quasi superfluo, e lo spazio, che fino a poco prima li aveva ancorati alla sua devastante bellezza, sembrava relegato in un angolo remoto come un quadro bello da contemplare ma terribilmente distante dalla realtà. Il frusciare pallido del vento, i colori delle farfalle e il profumo inebriante dei fiori avevano perso di consistenza, quasi fossero divenuti tutto ad un tratto inanimate e intangibili sfumature di occhi che si rifiutavano adesso di guardare altro che non fossero gli occhi dell’altro.

La linea semplicemente era scomparsa (c’era mai stata?! Sembrava impossibile, adesso).

Ma poi, osando troppo forse, Hinata mosse qualche passo nella sua direzione a volersi forse assicurare che quello sguardo fosse stato davvero presente e non frutto di uno degli innumerevoli sogni che le animavano le nottate. Lei avanzò e come avrebbe dovuto immaginare, fu automatico inciampare tra i propri piedi (altro sintomo di debolezza ad aggiungersi alla già nutrita lista). L’aria fresca di dicembre le schiaffeggiò il volto delicato e l’ultima cosa che vide furono i puntini azzurri della farfalla librante sotto i suoi occhi. Il resto fu un tutt’uno inscindibile e inqualificabile di emozioni, di sentimenti contrastanti e di palpiti che facevano male al petto tanto erano intensi.

Si voltò che ancora le braccia di Neji la sostenevano per la vita, sorprendendosi di non riuscire a sorprendersi per quella vicinanza indiscreta.

E poi gli sorrise, perché era così facile sorridere in sua presenza che era impossibile spiegarlo a parole.

Il cuore che martellante non osava chiedere di più e forse fu un bene perché la delusione fu cocente, scottante nel petto quando lui la liberò con freddezza nei modi.

“È impossibile, Hinata”, decretò, scostando lo sguardo per celarle la fiammella che si spegneva in fondo a quegli occhi ora opachi e impedendosi così al contempo di scorgere le lacrime che invece avevano intaccato la perfezione degli occhi di lei. “Torniamo a casa”

Neji si voltò, pronto ad andarsene, ed Hinata lo bloccò prima ancora di accorgersene, spinta solo dalla voglia di non perdere quel momento acquistato con tanta difficoltà (la linea, la linea era scomparsa, scomparsa!).

Gli occhi appena scalfiti da una nota di stupore di lui la fecero sussultare, impreparata ad una tale mancanza della solita imperturbabilità, ma subito si ricompose.

Hinata aveva delle cose da dire e per una volta il corretto uso delle parole poteva anche andare a farsi benedire.

“I-Ieri sono riuscita a fermare la meteora d’insetti di Shino. N-Non c’ero mai riuscita… Non ne sono mai stata capace”, sorrise e di nuovo sul volto di Neji si condensò una strana (e un po’ buffa a dire il vero) espressione di stupore. “Ma ieri ci sono riuscita… Cioè, alcuni insetti no, ma la maggior parte… Io li ho fermati, ecco. Con il Byakugan, sai. È…è stato difficile e…e ad un certo punto quasi impossibile e…e avrei voluto arrendermi, ma poi vedevo te e tu non hai mai smesso di allenarti, perciò volevo provarci anch’io. A d-dare di più, intendo. P-Perciò, ecco… Ce l’ho fatta alla fine. Ecco. Ma non ce l’avrei mai fatta se…se non avessi provato. S-Se mi fermavo prima. Cioè all’impossibile”

L’aveva detto tutto d’un fiato, mangiandosi le parole e articolando frasi sconnesse. Ma l’aveva detto. E anche se era arrossita, non aveva nulla da recriminarsi per una volta (poteva essere orgogliosa di se stessa, una volta tanto).

Gli occhi di Hinata erano ancora puntati in quelli di Neji, senza avere la forza sul serio di lasciar andare quel contatto. Senza averne il coraggio. Non, sapendo quanto poteva essere sfuggente il niisan. E pensare che era stata proprio lei, appena qualche istante prima, ad aver avuto paura della sua vicinanza. A non aver saputo riconoscere in quel tormento, il bandolo della matassa. Perché il punto era proprio quello, alla fine: non era per timore e nemmeno la scusa di essere tremendamente sbagliato reggeva più il gioco. Chissà come aveva fatto a non capirlo prima, poi! Era così lampante adesso che era sorprendente pensare di aver afferrato tutto semplicemente da uno sguardo. Scioccante sapere che era bastato così poco, per dissipare i dubbi intricati di sempre.

Anche lui la guardava, ma non c’era attesa nel suo sguardo. Soltanto, lo sguardo di Neji era smarrito, perso in meandri e in meccanismi di un cervello troppo geniale per avere soli diciassette anni. Lui la guardava e per una volta i suoi occhi non sembravano più tanto glaciali (cos’era successo?! Non riusciva a capirlo, nonostante gli sforzi).

Poi, però, all’improvviso una scintilla animò quel viso ieratico e quando le mani di Neji le si poggiarono con fermezza sulle guance, Hinata stava ancora valutando imbarazzata il lieve increspamento apparso su quelle labbra perfette.

Il cuore si fermò, tutto ad un tratto, e l’aria smise di circolare, punto, quando lui schiacciò il proprio volto contro quello di lei. Labbra contro labbra a riscoprire un ardore che nessuno dei due aveva mai saputo di possedere né di saper provare. Il fuoco che divampava nei loro corpi quasi li bruciò mentre con la forza della disperazione e della passione si cercavano frenetici, desiderando sempre di più, affondando nel nero dei capelli e nella morbidezza dei vestiti.

Le mani di Neji le sfioravano inappagate il collo, la vita sottile, le spalle mingherline, per poi risalire su ai capelli e riscendere di nuovo alla schiena.

Le mani di Hinata, invece, scorrevano tremanti i dettagli delle braccia, ripercorrendo i graffi sulle mani e scoprendo segni che non aveva mai saputo esistessero.

Le labbra che affamate non smettevano di cercare quelle dell’altro, fino a quando il bisogno d’aria non divenne tale da diventare soffocante. Solo allora si separarono, col il fiato corto e il corpo scosso da tanti piccoli brividi eccitati. Le labbra rosse del peccato.

Come sempre fu Neji a riscuotersi per primo, a riacquistare altresì la compostezza di cui si andava tanto decantando.

E si voltò, quasi ad ignorare ciò che era appena successo (come se fosse stato possibile), mentre lei lo fissava impaurita e sgomenta.

“Torniamo a casa, adesso”, ripeté di nuovo, incapace di dire alcunché, vinto dalla sua stessa passione.

Hinata lo guardò e dal movimento irregolare delle sue spalle capì che Neji era disarmato. Non si infierisce su chi è disarmato. Era una regola fondamentale e di vitale importanza, quella.

“Sì, Neji”, rispose e per una volta si sentì libera di non dover più demarcare la linea che li separava attraverso inutili suffissi.

Ma prima ancora che il rumore dei loro passi echeggiasse per la boscaglia, la voce di lui si diffuse armoniosa per l’aria a sferzare il silenzio tormentoso intercalato.

“Hinata?”

“S-Sì?”, il cuore che batteva, impazzito (niente suffissi, neppure lui).

“Buon compleanno”

Ma era più di quello. Era molto di più che un banale augurio, quello. Lei lo sapeva e anche lui, lo sapeva.

“Ti amo anch’io, niisan. Adesso lo so.”

 

 

 

 

 

Note: quella è la fanfiction che mi ha permesso di arrivare terza al concorso indetto da HopeToSave e Kurenai88 su Neji/Hinata/Kiba. Ovviamente non ho saputo resistere e perciò ho scelto di basarmi su una NejiHina. Animo Hyugacest, eh! Che volete farci?

Scherzi ringrazio sinceramente le ideatrici del concorso e la loro invidiabile velocità nel fornire i risultati. Grazie, infinite, e scusate se vi ho fatto penare fino all’ultimo per la consegna!

La storia l’ho lasciata come all’originale, perciò eventuali errori potrebbero capitare. Scusate anche per questo.

Dedico questa storia a chi ha creduto in me e alle amanti dello Hyugacest, che ormai e per fortuna vanno ad aumentare.

Alla prossima! Baci.

Memi J

 

  
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