- Autore: Memi
- Titolo della storia: 27 December
- Genere: One-shot
- Personaggi: Neji Hyuga; Hinata Hyuga
- Rating: Verde
- Avvertimenti: Nessuno
- Trama: “N o n r i d e r e n
o n r i d e r e n o n r i d e r e.”
Il
pavimento era freddo. Poteva sentirlo sotto di sé, mentre silenzioso e viscido
si faceva largo nella sua pelle con estrema ma assiomatica lentezza. Ecco,
aveva già raggiunto gli arti e si era spinto molto più in là, fino ai polmoni.
L’aria si era fatta pesante e forse in un’altra occasione ne avrebbe risentito.
Ma non quel giorno dove persino la
nuvoletta di vapore che fuoriusciva a tradimento dalla sua bocca screpolata dal
freddo, la faceva sorridere.
27 December
(What about the date?)
“N o n r i d e r e n o n r i d e r e n
o n r i d e r e.”
Il
pavimento era freddo. Poteva sentirlo sotto di sé, mentre silenzioso e viscido
si faceva largo nella sua pelle con estrema ma assiomatica lentezza. Ecco,
aveva già raggiunto gli arti e si era spinto molto più in là, fino ai polmoni.
L’aria si era fatta pesante e forse in un’altra occasione ne avrebbe risentito.
Ma non quel giorno dove persino la
nuvoletta di vapore che fuoriusciva a tradimento dalla sua bocca screpolata dal
freddo, la faceva sorridere.
E
si sforzò di mantenere le labbra chiuse, schiacciandole sotto i denti per
contenere lo scroscio di risate pronte dietro l’angolo.
Ma
era così forte, che le faceva male il fisico per la tensione a cui si stava
sottoponendo. Era completamente irrigidita nel tentativo disperato di placare
l’allegria ilare che a sprazzi si andava sempre più intensificando, anche se
era una cosa stupida. Ridere non faceva rima con errore, o no?
Intanto
la luce dorata del sole agli albori del giorno picchiettava sempre più fitta
sui vetri opachi della finestra e anche quello, nonostante fosse una cosa
piuttosto normale, le faceva venire voglia di ridere.
“Ich”
Sbarrò
gli occhi e la mano cercò senza preavviso la bocca a voler nascondere
l’artefice del misfatto dietro i graffi dell’allenamento.
Non
poteva lasciarsi andare, non potev-
“Ich!”
Un
altro. Più forte del precedente. La mano che incapace non riusciva a contenere
il fiotto di singhiozzi. Ma era solo un altro sintomo di debolezza a deturpare
il nobile casato degli Hyuga e a macchiare indelebilmente la sublime severità
dei suoi sguardi di ghiaccio. Lei lo sapeva e avrebbe voluto essere diversa,
per una volta almeno, ma era più forte persino della sua volontà. Voleva
ridere, voleva lasciarsi andare, voleva gridare, aprire le braccia e
festeggiare, come non aveva mai osato fare. Come non aveva mai saputo fare. La verità era che lei, non
era mai stata brava con i desideri. Troppo complicati per essere gestiti da una
ragazza pallida ed insignificante come lei. Meglio lasciarli a chi li sapeva
sfruttare, a chi davvero li meritava (Sakura Haruno, per esempio. Lei li
meritava. Sul serio, li meritava).
“Ich”
E
l’ennesimo segno della sua inettitudine, della sua inguaribile incapacità di
controllarsi. Di ‘autogestirsi’, quella parola che non aveva mai seriamente
capito, dopotutto. Ma adesso era diverso. Insomma, per una volta… Poteva essere
diverso per una volta, giusto? Per quel giorno… Almeno per quel giorno?
“N o n r i d e r e n o n r i d e r e n
o n r i d e r e.”
Intanto
la sua mente incontrollata e incontrollabile continuava ad elaborare la stessa,
cantilenante preghiera. Un mantra per ripararsi da ciò che avrebbe dovuto
essere e per ricordarsi, invece, di ciò che era. Eppure non c’era niente di
male, nel ridere. Non poteva esserci niente di sbagliato ad essere felici.
Allora perché il suo corpo continuava a fare male? Perché continuava a imporsi
di resistere alla voglia di ridere? Perché continuava a spostare inquieta lo
sguardo nel tentativo ultimo di controllarsi, se non c’era niente di male?
Toc
Toc
Toc
“Hinata-sama,
siete sveglia?”
Lei
sobbalzò, risvegliata dal dolce torpore. Le risate, ad un tratto, avevano
smesso di spingere, spegnendosi semplicemente sotto la voce autoritaria
dell’intruso.
“A-arrivo
subito”, balbettò, puntellando i gomiti e sollevandosi a guardare il cielo adamantino
all’esterno.
Sembrava
un quadro visto attraverso i quattro quadranti della finestra. Le tinte ombrose
della notte avevano lentamente lasciato il posto al chiarore del mattino e
adesso una sfilata di colori pastello dalle tonalità dell’oro e del porpora si
intrecciavano in intricate composizioni. Molto più in là, oltre le alture, il
disco arancio del sole iniziava ad uscire dal letargo per librarsi in cielo con
rinnovata vigoria.
Ne
rimase affascinata e per un istante si dimenticò persino del motivo di tanta
allegria. Ma tutti i sogni, prima o dopo, giungono ad una fine e quello di
certo non avrebbe fatto eccezione. Si rimise in piedi e con una pedanteria che
non le era mai appartenuta si rassettò i pantaloni neri.
Non
c’erano pieghe, il suo corpo riempiva in modo perfetto gli indumenti che aveva
indossato e questo non giovò alla sua codardia.
Prese
la spazzola dalla toeletta e allora si impose di lisciare i capelli con cura
maniacale. Erano cresciuti notevolmente da quando aveva deciso di non tagliarli
più, di assomigliare un po’ di più agli Hyuga (a ciò che avrebbe dovuto
essere). Ino le diceva spesso che aveva dei bellissimi capelli, lisci e scuri,
e lei di solito sorrideva imbarazzata dal complimento, mentre nel profondo
covava un senso di orgoglio. Quel giorno però non trovava nei suoi capelli
alcuna caratteristica per cui sentirsi inorgogliti. Troppo, davvero troppo lisci per catturare più tempo di
quello. Così rimise a posto la spazzola e sospirò.
Stava
soltanto temporeggiando ed era tutto perfettamente inutile. Quel giorno che
fino a quel momento era stato la causa di tanta allegria, adesso era il motivo
di altrettanta angoscia. Non sapeva se ce la faceva, non era una novità che era
una debole anche se si stava seriamente sforzando di mettercela tutta.
“Puoi farcela, Hinata. Puoi, puoi,
puoi, puoi, puoi! Puoi farcela.”
Sorrise
e per un attimo si sentì quasi ottimista. Sarebbe trascorso come tutti i giorni
che compongono un anno, era certa di questo. Non sarebbe cambiato niente. Non
era una data così particolare d’altronde. Erano anni che quel giorno non era
più tanto particolare, d’altro canto. Se lo sarebbero ricordati, ovvio, era pur
sempre la legittima discendente del clan. Le avrebbero anche dato gli auguri,
ma niente più di quello. Nemmeno un sorriso, neppure quello, e forse era meglio
così perché lei era una schiappa anche a ricevere soltanto quelli (i sorrisi).
Scosse
la testa e con veemenza, afferrò la maniglia della porta e la spalancò.
Suo
cugino Neji la aspettava con le braccia conserte e gli occhi chiusi. Sembrava
dormisse, ma Hinata sapeva che quella era soltanto la sua tipica posizione di
attesa. Chissà, magari si era preparato ad un’attesa infinita prima che lei si
decidesse ad uscire dalla barricata in cui si era rinchiusa.
Decise
di non pensarci e con un sorriso sincero, sperò di riuscire a mettere a tacere
il battito frenetico del suo cuore. Non si illudeva di riuscire a fermarlo,
quanto meno però pregava affinché lui non potesse udirlo. Anche se le sembrava
già dalla partenza una preghiera vuota perché il battito cardiaco era così
forte che era un miracolo, non fosse balzato fuori dal petto.
Intanto
Neji aveva riaperto gli occhi, affondando il bianco delle iridi in quello
timoroso della cugina a tradimento. Lei allora voltò il capo, spostando il
centro della propria attenzione verso un punto indefinito del corridoio, ma
anche così non era difficile sentire quel candore bruciarle addosso. Le
sembrava di stare soffocando e di nuovo il corpo si era irrigidito, come sempre
quando si sforzava di vincere una tentazione sbagliata. O almeno, che tutti
avrebbero reputato sbagliata (lei era troppo insignificante per avanzare
valutazioni).
Era
sicura che se non avesse avuto il buonsenso di intrecciare le dita e di
nasconderle dietro la schiena, avrebbe con orrore visto le sue mani tremare
sotto lo sguardo di ghiaccio spesso di Neji.
Con
la coda dell’occhio, cercò il volto del cugino alla ricerca di indizi che
avrebbero rivelato la sua perspicacia nell’individuarle le debolezze. Senza
tuttavia riuscire a scovarvi altro che non fosse la solita espressione
imperscrutabile, con il cipiglio severo e le labbra perfette contratte in una
linea sottile che raramente si sforzava di allungare in un sorriso. Per un
istante Hinata si ritrovò a pregare che lui le sorridesse, anche se poi lei non
avrebbe saputo che fare e sarebbe arrossita impietosamente.
Ma
Neji le negò ogni forma di cortesia e anzi le diede la schiena, voltandosi a
farle strada verso la cucina dove li attendeva la colazione.
Hinata
sospirò ma non si lasciò abbattere da quel suo comportamento. Suo cugino, anche
se era cambiato notevolmente dai tempi in cui si arrampicava allo spettro del
destino per giustificare l’ingiustizia della vita, non era mai stato tagliato
per i rapporti umani. Per le dimostrazioni d’affetto, in particolare, e anche
così dopotutto era perfetto.
~#◊#~
La
bustina filtrava l’infuso di the alla menta che, sciogliendosi, macchiava
l’acqua calda serbata nella tazza di un delizioso ambrato dalle tonalità sempre
più cupe.
Hinata
osservava il semplice ma attraente meccanismo con forse più concentrazione di
quanta in realtà ne servisse e allo stesso tempo senza riuscire a vederlo
davvero.
Il
suo corpo era teso come la corda di un violino, pronto a scattare al minimo
segno, e intanto nello sforzo di controllarsi era costretta a ricorrere ad una
considerevole dose di forza interiore.
Tum
Tum
Tum
Sobbalzò,
serrando i pugni al suono ovattato che le arrivò alle orecchie. Istintivamente,
senza nemmeno accorgersene, i suoi occhi candidi andarono a cercare l’unica
persona al di fuori di lei presente nella stanza. Neji, suo cugino.
Stava
bevendo il suo the normale con calma invidiabile, sorreggendo la tazza con
entrambe le mani mentre i gomiti facevano leva dal ripiano del tavolo. Sul viso
manteneva la solita espressione imperscrutabile di sempre ma gli occhi, socchiusi,
sembravano persi in tutt’altri pensieri. Hinata avrebbe voluto saperli leggere,
era da tempo che desiderava saperlo fare, ma senza riuscire mai a riuscirci.
Certe volte si scopriva palpitante di fronte alla perenne inafferrabilità di
Neji. Avrebbe voluto afferrarlo, stringere quella mano che distava tanto poco, troppo poco dalla sua, ma non ne era
capace. Quasi che lui appartenesse ad un’altra realtà, ad un altro mondo
distante ed irraggiungibile dal suo. O forse, semplicemente, era lei ad
appartenere ad un altro mondo…
“Cosa
volete fare oggi, Hinata-sama?”
La
domanda la colpì, facendole sgranare gli occhi prima ancora di afferrare il
cambiamento nei suoi occhi di ghiaccio. Neji infatti aveva aperto gli occhi e
si era voltato a guardarla, senza però mostrare alcuna espressione particolare
che potesse lasciarle intendere il corso dei suoi pensieri. Lei lo fissò per un
istante, troppo sbalordita per rendersi conto di avere i suoi occhi addosso e
per imbarazzarsene, prima di provare a formulare una qualche forma di frase
coerente con la domanda.
“V-voglio
f-fare?”, ripeté, ma senza riuscire tuttavia ad acciuffarne il senso.
“Sì”,
confermò Neji, il tono di voce talmente piatto che se non avesse avuto
l’inoppugnabile presenza del suo volto in quelle iridi candide, avrebbe anche
potuto illudersi che non era con lei che stava parlando. “C’è qualcosa in
particolare che vi piacerebbe fare, oggi?”
Hinata
abbassò lo sguardo, incapace di sostenere oltre quegli occhi che sembravano
volessero privarla di ogni cosa, mentre il cuore palpitava al suono dell’ultima
parola. Era una sua impressione, oppure aveva usato un tono diverso per dire quell’oggi? Il solo fatto di avere quel dubbio
era abbastanza per farle accelerare di nuovo il battito cardiaco e imporporare
visibilmente le guance altresì pallide.
“I-io
n-non saprei”, balbettò, dandosi della stupida per tutti quei suoi inopportuni
farfugliamenti.
Aveva
sedici anni, adesso! Sedici, non era
più una bambina che s’imbarazzava per nulla. Cercò di metabolizzare e applicare
il pensiero, ma nonostante gli sforzi non riuscì a smettere di sentirsi
imbarazzata e inorgoglita insieme, come quando Ino le faceva i complimenti per
i suoi capelli.
Di
nascosto sfiorò lo sguardo di Neji giusto per vedere la sua reazione, ma il
cugino era perfettamente immobile in attesa della sua risposta. Scostò di nuovo
l’attenzione da lui alla tazza dinanzi a lei, sorprendendosi appena del modo in
cui l’acqua adesso era diventata del tutto scura. Avrebbe dovuto sfilare via la
bustina ormai inutile e aggiungere dello zucchero all’infuso, ma il suo corpo
non sembrava intenzionato a voler rispondere agli ordini del cervello. Aveva di
nuovo i brividi dovuti allo sforzo di rimanere a sua volta immobile per non
lasciarsi vincere dalla voglia di scappare via. La verità era che il suo
sguardo, ancora, riusciva a farla
sentire disarmata, spogliata di ogni cosa a cui avrebbe con facilità potuto
aggrapparsi. Ed era strana, come sensazione. Ancora di più la consapevolezza e
la certezza che soltanto con lui, avrebbe mai provato simili percezioni.
Afferrò
con una mano un lembo della stoffa del suo pantalone, stringendo talmente forte
da avere le nocche ceree.
“M-mi
piacerebbe vedere l-le farfalle”, balbettò infine, dopo un istante che parve
infinito.
Senza
riuscire ad alzare lo sguardo ma desiderando ardentemente d’individuare la
reazione di Neji, Hinata lo cercò con la coda dell’occhio e il suo cuore perse
più di qualche battito nello scontrarsi con quelle sue pozze di un incredibile
candore.
Lui
la stava fissando ma contrariamente alle aspettative, non c’era traccia di
derisione sul suo volto ieratico.
La
guardava, basta. Come si guarda un quadro prima di emetterne il verdetto. Il
pensiero la colpì e si trovò a chiedersi con apprensione quale sarebbe stato il
suo verdetto, ma lui la spiazzò ancora una volta, chinando il capo per
socchiudere gli occhi nella stessa identica espressione imperturbabile di
prima.
“Va
bene, allora. Andremo a vedere le farfalle”, decretò, irremovibile, e lei lo
sentì stavolta lo stomaco contrarsi al suono della sua voce.
Era
sbagliato, forse, ma non per questo delebile il sentore lasciato dalle sue
parole.
Il
cuore batteva forte e di sicuro le guance erano infiammate da un antico
imbarazzo, mentre affondava il sorriso nel liquido ambrato e terribilmente
caldo.
La
voglia di ridere che aveva con ogni mezzo tentato di annientare, era ritornata
con più prepotenza di prima e le scuoteva il fisico con tanti piccoli brividi.
Nemmeno il bruciore causato dal the bollente riuscì a reprimere quel ritrovato
buonumore. Hinata era felice, sul serio, e non le importava nemmeno più di
essere ancora imbarazzata per via del suo sguardo di ghiaccio che, anche se
indirettamente, la stava scrutando.
“Andremo insieme. Noi… Neji verrà con
me.”
Lo
guardò di sottecchi ancora una volta, a volersi assicurare che lui fosse ancora
lì, che non stava semplicemente sognando. Ma Neji era ancora al suo posto, la
tazza vuota riposta sul piattino in ceramica, e la stava fissando. A lei, che non meritava tutti quegli
sguardi, e le stava sorridendo, un accennato incresparsi di labbra che andava
ad infrangere la corazza imperturbabile del suo volto perfetto.
Ad
un tratto le sembrò che nessuno di tutti i sorrisi che avrebbe potuto ricevere,
avrebbe mai potuto essere bello almeno la metà di quanto lo era quel sorriso
lieve ed infrequente, raro come le pietre più preziose.
Come
si faceva, si chiese con un groppo alla gola e il corpo vibrante per
l’emozione, a chiedere alla luna di apparire più spesso?!
~#◊#~
“Siamo
arrivati?”, Hinata era impaziente, il fiato smorzato per la corsa e per qualche
altra cosa indistinta nel suo petto.
“Quasi”,
le rispose calmo Neji. “È oltre quegli alberi”
Lui
allungò un braccio in avanti, per farle segno, e lei seguendo il suo dito si
scoprì ad un tratto spaventata. Non poteva fermarsi, non poteva smettere di
correre. Fare attività fisica a quel modo, seppur faticosa (erano ore che
correvano a quel modo senza neppure una sosta), perlomeno le impediva di
concentrarsi sul fluire dei pensieri che veleggiavano alla deriva nella sua
testa. Se solo si fosse fermata, anche se per una manciata di secondi, non
avrebbe più saputo resistere al pensiero trasecolante della vicinanza che la
legava a Neji.
Erano
soli, nel bel mezzo di una foresta di cui all’improvviso non ricordava nemmeno
più l’inizio.
Oh,
certo, c’erano state altre volte in cui si era ritrovata sola con lui ma in
ogni altra occasione sarebbe bastato fare qualche passo per non esserlo più.
Adesso, invece, non sapeva nemmeno più come si faceva a tornare indietro, nel
caso avesse voluto. Era bloccata lì, con lui, il suo unico appiglio in quel
momento.
In
più c’era quell’altra sensazione, quella meno definita e più complessa. Quella
che già da diverso tempo si sforzava di comprendere, di classificare. Quella
che la notte le toglieva il sonno e la mattina, ogni santa mattina, le smorzava
il respiro perché puntuale tornava ad affacciarsi come primo pensiero alla sua
mente intorpidita.
Il
fatto era che quando stava con Neji, anche se solo per pochi istanti, qualcosa
scattava in lei a ricordarle all’improvviso di essere una donna, oltre che una
kunoichi dalle capacità discutibili. Era un po’ come risvegliarsi da un sogno
durato una vita e rispecchiarsi in quegli occhi di ghiaccio che da soli
bastavano a farle accendere una fiamma proprio in fondo a quello stomaco
sottosopra. Era in quei momenti che tutto diventava distorto e allo stesso
tempo acuto ai suoi sensi ipersensibili. Il respiro che aumentava d’intensità
finendo addirittura per incanalarsi nell’iperventilazione; il cuore che perdeva
qualche battito per poi riacquistarne più del dovuto; le gambe che tremavano
come gelatina pronte a cedere da un momento all’altro; le mani che si cercavano
spasmodiche, incapaci di stare ferme ad aspettare; il corpo che semplicemente s’irrigidiva,
in tensione.
E
poi c’era dell’altro, ovviamente.
C’era
il volto di Neji, che diventava all’improvviso perfetto come se non lo fosse
già stato abbastanza. C’erano gli occhi di Neji, così bianchi e penetranti da
lasciare un segno indelebile al loro passaggio, che lei conservava quasi con
avidità. C’erano le sue mani, così grandi che era impossibile non soffermarsi a
pensare a con quanta facilità avrebbero potuto avvolgere entrambe le proprie.
Ma
poi si rendeva conto della tipologia di pensieri che la assordavano ed
imbambolavano, e tutto diventava più cupo, tormentato.
Era
sbagliato, si ripeteva tesa e nervosa nello sforzo di controllarsi. Era
maledettamente sbagliato. Avrebbe dovuto scappare e avrebbe voluto, sul serio,
ma non ne era capace. Il desiderio di dividere ancora qualche attimo con lui,
di saggiare ancora quelle sensazioni per quanto sbagliate potessero essere, era
troppo forte per non scavalcare la pavida voglia di fuggire da tutto quello.
Stare
con Neji era provare una marea di emozioni antitetiche che si andavano
puntualmente contrastando tra loro. Equivaleva a voler fuggire e a volerlo
abbracciare per non dovere allo stesso tempo mai separarsene, per poi
preoccuparsi di una possibile sua reazioni e ritrattare tutto con esasperante tortura.
Significava palpitare e tremare insieme, sorridere e piangere nello stesso
istante, gridare e azzittirsi nel contempo.
Ma
in tutte quelle volte, non erano mai stati soltanto loro due. Non in quelle
condizioni, almeno. Questo la impensieriva più di quando avrebbe potuto fare in
altri casi, perché Hinata non sapeva fino a che punto avrebbe seguito una
strada anziché un’altra.
“Siamo
arrivati”
La
voce di Neji arrivò all’improvviso, cogliendola come sempre in uno dei suoi
lunghi ed estenuanti viaggi personali. Hinata riaprì gli occhi, quasi fossero
stati chiusi, per mettere a fuoco l’immagine che si estendeva dinanzi a lei.
Non si era neppure accorta, intanto, di essersi fermata.
Si
trattava di una radura seminascosta dagli alti arbusti sempreverdi, delimitata
su un fianco dallo scorrere lento ma piacevole di un ruscello. L’erbetta fresca
e profumata, si nascondeva sotto i variopinti colori di una moltitudine di
fiori dalle tipologie e dalle tinte più disparate. L’inebriante effluvio le
entrava prepotente nel naso, ubriacandola a tal punto che se Neji non gliele
avesse fatte notare, non avrebbe neppure notato il motivo di tanta ben ripagata
fatica.
“Le
farfalle. Sono come le volevi vedere tu?”
Hinata
riaprì gli occhi e il cuore batté impazzito nel petto nell’incrociare con lo
sguardo la multietnica popolazione di farfalle.
Il
viola, il verde, il giallo, il blu, il nero, il rosso, l’azzurro… I colori si
sfumavano l’uno con l’altro con estrema facilità, talmente tanto che era
difficile riuscire a distinguerli effettivamente. Hinata si sforzò di seguire
il mosaico indefinito impresso sulle ali delle farfalle, ma come in un sogno
era difficile decidere da che parte iniziare.
“È…
È anche meglio!”, sorrise, raggiante, incapace di contenere la vibrante gioia
bruciante nel petto.
Poi,
come una bambina, si ritrovò a correre felice per il prato piroettando sulle
punte con invidiabile eleganza. Le mani aperte a delineare ali invisibili e gli
occhi, candidi, macchiati del colore di tutte quelle farfalle. La testa girava
ma lei instancabile continuava a volteggiare, perdendosi nel dolce profumo dei
fiori che ben poco si addicevano al clima rigido dell’inverno (ed era quello il
regalo, no? Averle portato una macchia di colore in una vita fin troppo
bianca). Le farfalle che intanto avevano ripreso a veleggiarle attorno,
mischiandosi alla sua nobile danza, e il cielo plumbeo a disegnare immagini
fatte solo di vapore e di sbuffi.
Ma
Hinata non sembrò fare caso a null’altro che non fosse la libertà impregnata
nel posto, liberando i muscoli tenuti in tensione fino a quel momento. Si
sentiva più leggera, adesso, e forse avrebbe persino avuto il cuore meno
febbricitante se non fosse stata per la costante presenza del ghiaccio a
trapassarla impietosamente.
“Neji.”
Si
fermò, la scusa ufficiale di riprendere fiato, e i suoi occhi all’istante
cercarono la figura del cugino. Lui era nell’esatto punto in cui l’aveva
lasciato, nascosto nell’angolo d’ombra garantito dalla boscaglia tutt’intorno.
Nemmeno la posizione era cambiata e il cipiglio era quello severo ma
imperscrutabile di sempre. La guardava senza remore, incurante della
possibilità di metterla in imbarazzo, pronto con ogni presumibile previsione a
scattare al minimo segno di pericolo per lei. Dimenticando del tutto che un
tempo era stato lui, il primo pericolo per lei.
Neji
la stava vedendo. Hinata lo stava vedendo. E senza bisogno di parole, erano già
andati oltre, scorrendo immagini che entrambe sapevano ma si tacevano di poter
vedere.
La
linea era netta.
La
linea che li divideva, era netta.
Talmente
netta che ci si stupiva di come ogni giorno si fingesse di non vederla.
Era
semplicemente lì, tra il limitare della foresta (lui) e l’inizio del campo di fiori (lei). E faceva male al cuore tanto era visibile, chiara ai loro
occhi che dalla nascita sapevano scorgere cose al di là di un semplice occhio
umano. Hinata cercò senza volerlo lo sguardo di Neji e per una volta si
costrinse a sostenerne lo sguardo, rimanendo immobile nella stessa malinconia
di chi si crogiolava nella consapevolezza dell’impossibilità di fare ciò che
più gli preme.
Nessuno
dei due seppe dire con precisione quanto tempo passò da che i loro sguardi si
erano incontrati, si erano davvero
incontrati. Il tempo all’improvviso era diventato marginale, quasi superfluo, e
lo spazio, che fino a poco prima li aveva ancorati alla sua devastante
bellezza, sembrava relegato in un angolo remoto come un quadro bello da
contemplare ma terribilmente distante dalla realtà. Il frusciare pallido del
vento, i colori delle farfalle e il profumo inebriante dei fiori avevano perso
di consistenza, quasi fossero divenuti tutto ad un tratto inanimate e
intangibili sfumature di occhi che si rifiutavano adesso di guardare altro che
non fossero gli occhi dell’altro.
La
linea semplicemente era scomparsa (c’era mai stata?! Sembrava impossibile,
adesso).
Ma
poi, osando troppo forse, Hinata mosse qualche passo nella sua direzione a
volersi forse assicurare che quello sguardo fosse stato davvero presente e non
frutto di uno degli innumerevoli sogni che le animavano le nottate. Lei avanzò
e come avrebbe dovuto immaginare, fu automatico inciampare tra i propri piedi
(altro sintomo di debolezza ad aggiungersi alla già nutrita lista). L’aria
fresca di dicembre le schiaffeggiò il volto delicato e l’ultima cosa che vide
furono i puntini azzurri della farfalla librante sotto i suoi occhi. Il resto
fu un tutt’uno inscindibile e inqualificabile di emozioni, di sentimenti
contrastanti e di palpiti che facevano male al petto tanto erano intensi.
Si
voltò che ancora le braccia di Neji la sostenevano per la vita, sorprendendosi
di non riuscire a sorprendersi per quella vicinanza indiscreta.
E
poi gli sorrise, perché era così facile sorridere in sua presenza che era
impossibile spiegarlo a parole.
Il
cuore che martellante non osava chiedere di più e forse fu un bene perché la
delusione fu cocente, scottante nel petto quando lui la liberò con freddezza
nei modi.
“È
impossibile, Hinata”, decretò, scostando lo sguardo per celarle la fiammella
che si spegneva in fondo a quegli occhi ora opachi e impedendosi così al
contempo di scorgere le lacrime che invece avevano intaccato la perfezione
degli occhi di lei. “Torniamo a casa”
Neji
si voltò, pronto ad andarsene, ed Hinata lo bloccò prima ancora di
accorgersene, spinta solo dalla voglia di non perdere quel momento acquistato
con tanta difficoltà (la linea, la linea era scomparsa, scomparsa!).
Gli
occhi appena scalfiti da una nota di stupore di lui la fecero sussultare,
impreparata ad una tale mancanza della solita imperturbabilità, ma subito si
ricompose.
Hinata
aveva delle cose da dire e per una volta il corretto uso delle parole poteva
anche andare a farsi benedire.
“I-Ieri
sono riuscita a fermare la meteora d’insetti di Shino. N-Non c’ero mai
riuscita… Non ne sono mai stata capace”, sorrise e di nuovo sul volto di Neji
si condensò una strana (e un po’ buffa a dire il vero) espressione di stupore.
“Ma ieri ci sono riuscita… Cioè, alcuni insetti no, ma la maggior parte… Io li
ho fermati, ecco. Con il Byakugan, sai. È…è stato difficile e…e ad un certo
punto quasi impossibile e…e avrei voluto arrendermi, ma poi vedevo te e tu non
hai mai smesso di allenarti, perciò volevo provarci anch’io. A d-dare di più,
intendo. P-Perciò, ecco… Ce l’ho fatta alla fine. Ecco. Ma non ce l’avrei mai fatta
se…se non avessi provato. S-Se mi fermavo prima. Cioè all’impossibile”
L’aveva
detto tutto d’un fiato, mangiandosi le parole e articolando frasi sconnesse. Ma
l’aveva detto. E anche se era arrossita, non aveva nulla da recriminarsi per
una volta (poteva essere orgogliosa di se stessa, una volta tanto).
Gli
occhi di Hinata erano ancora puntati in quelli di Neji, senza avere la forza
sul serio di lasciar andare quel contatto. Senza averne il coraggio. Non, sapendo quanto poteva essere sfuggente il niisan. E
pensare che era stata proprio lei, appena qualche istante prima, ad aver avuto
paura della sua vicinanza. A non aver saputo riconoscere in quel tormento, il
bandolo della matassa. Perché il punto era proprio quello, alla fine: non era
per timore e nemmeno la scusa di essere tremendamente sbagliato reggeva più il
gioco. Chissà come aveva fatto a non capirlo prima, poi! Era così lampante
adesso che era sorprendente pensare di aver afferrato tutto semplicemente da
uno sguardo. Scioccante sapere che era bastato così poco, per dissipare i dubbi
intricati di sempre.
Anche
lui la guardava, ma non c’era attesa nel suo sguardo. Soltanto, lo sguardo di
Neji era smarrito, perso in meandri e in meccanismi di un cervello troppo
geniale per avere soli diciassette anni. Lui la guardava e per una volta i suoi
occhi non sembravano più tanto glaciali (cos’era successo?! Non riusciva a
capirlo, nonostante gli sforzi).
Poi,
però, all’improvviso una scintilla animò quel viso ieratico e quando le mani di
Neji le si poggiarono con fermezza sulle guance, Hinata stava ancora valutando
imbarazzata il lieve increspamento apparso su quelle labbra perfette.
Il
cuore si fermò, tutto ad un tratto, e l’aria smise di circolare, punto, quando
lui schiacciò il proprio volto contro quello di lei. Labbra contro labbra a
riscoprire un ardore che nessuno dei due aveva mai saputo di possedere né di
saper provare. Il fuoco che divampava nei loro corpi quasi li bruciò mentre con
la forza della disperazione e della passione si cercavano frenetici, desiderando
sempre di più, affondando nel nero dei capelli e nella morbidezza dei vestiti.
Le
mani di Neji le sfioravano inappagate il collo, la vita sottile, le spalle
mingherline, per poi risalire su ai capelli e riscendere di nuovo alla schiena.
Le
mani di Hinata, invece, scorrevano tremanti i dettagli delle braccia,
ripercorrendo i graffi sulle mani e scoprendo segni che non aveva mai saputo
esistessero.
Le
labbra che affamate non smettevano di cercare quelle dell’altro, fino a quando
il bisogno d’aria non divenne tale da diventare soffocante. Solo allora si
separarono, col il fiato corto e il corpo scosso da tanti piccoli brividi
eccitati. Le labbra rosse del peccato.
Come
sempre fu Neji a riscuotersi per primo, a riacquistare altresì la compostezza
di cui si andava tanto decantando.
E
si voltò, quasi ad ignorare ciò che era appena successo (come se fosse stato
possibile), mentre lei lo fissava impaurita e sgomenta.
“Torniamo
a casa, adesso”, ripeté di nuovo,
incapace di dire alcunché, vinto dalla sua stessa passione.
Hinata
lo guardò e dal movimento irregolare delle sue spalle capì che Neji era
disarmato. Non si infierisce su chi è disarmato. Era una regola fondamentale e
di vitale importanza, quella.
“Sì,
Neji”, rispose e per una volta si sentì libera di non dover più demarcare la
linea che li separava attraverso inutili suffissi.
Ma
prima ancora che il rumore dei loro passi echeggiasse per la boscaglia, la voce
di lui si diffuse armoniosa per l’aria a sferzare il silenzio tormentoso
intercalato.
“Hinata?”
“S-Sì?”,
il cuore che batteva, impazzito (niente suffissi, neppure lui).
“Buon
compleanno”
Ma
era più di quello. Era molto di più
che un banale augurio, quello. Lei lo sapeva e anche lui, lo sapeva.
“Ti amo anch’io, niisan. Adesso lo
so.”
Note: quella
è la fanfiction che mi ha permesso di arrivare terza al concorso indetto da
HopeToSave e Kurenai88 su Neji/Hinata/Kiba. Ovviamente non ho saputo resistere
e perciò ho scelto di basarmi su una NejiHina. Animo Hyugacest, eh! Che volete
farci?
Scherzi
ringrazio sinceramente le ideatrici del concorso e la loro invidiabile velocità
nel fornire i risultati. Grazie, infinite, e scusate se vi ho fatto penare fino
all’ultimo per la consegna!
La
storia l’ho lasciata come all’originale, perciò eventuali errori potrebbero
capitare. Scusate anche per questo.
Dedico questa storia a chi ha creduto
in me e alle amanti dello Hyugacest, che ormai e per fortuna vanno ad
aumentare.
Alla
prossima! Baci.
Memi
J