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Autore: Will P    22/05/2008    3 recensioni
«Non ci gioco a poker con te, Genma,» mormorò distrattamente Raidou, mordicchiando il fondo della matita mentre la malefica quattro verticale lo faceva dannare. «"Una delle qualità necessarie per diventare Kage", cinque lettere, la penultima è una T?»«"Tette"»[Raidou/Genma; missing moment dal cap. 210]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Genma Shiranui, Raido Namiashi
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Naruto prima serie
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Ambientata intorno al capitolo 210, durante lo scontro col Quartetto del Suono

Ambientata intorno al capitolo 210, durante lo scontro con il Quartetto del Suono. Genma e Raidou, picchiati e convalescenti, in ospedale con Tsunade…? Su, fate mente locale.

Ecco, bravi.

 

 

Post-mission

 

Durante tutto il tragitto verso Konoha non fecero altro che ridacchiare. Benché fossero stati profusamente picchiati, feriti, sbeffeggiati in ogni maniera, e benché le costole facessero un male cane e Raidou continuasse a sputare sangue sulla spalla di Iwashi, si scambiarono battute e risatine per tutto il tempo, sordi prima ai consigli e poi alle minacce di Shizune.

C’era tanto da dire, molte cose per cui preoccuparsi, ma in quel momento riuscivano solo a dare fiato alle sciocchezze più stupide che gli venissero in mente, per sdrammatizzare e non pensare ad Orochimaru, o magari per non ricordare il pericolo fortuitamente scampato.

Alla quinta barzelletta sull’Hokage, Iwashi fu costretto a fermare Shizune - già slanciata in uno dei suoi pugni micidiali, sedativi universali - e spiegarle che quello era il loro modo di affrontare il dopo-battaglia. Le raccontò della volta delle ustioni, di come Genma avesse ripetuto la stessa penosa storiella sui kunai un’infinità di volte a Raidou, privo di sensi sulla sua schiena, e delle sue risate isteriche che si erano spente solo una volta seduto sulle rigide sedie fuori dalla sala emergenze dell’ospedale, quando aveva finalmente convinto i medinin a lasciare in pace i suoi graffi superficiali ed era infine rimasto da solo senza niente a distrarlo dai pensieri.

Shizune guardò sorpresa Iwashi, e dopo una lunga occhiata ai due stupidi in fin di vita che rantolavano tra un ghigno e l’altro si rilassò, sciolse i pugni, e aumentò l’andatura, fingendo anche di non sentire una battutaccia sul suo Tom-Tom.

 

La prima cosa che Raidou vide, aprendo gli occhi, fu il seno dell’Hokage; erano due cose talmente enormi che sarebbe stato difficile non notarle, anche se non fossero state praticamente schiacciate contro il suo naso. Uh, non portava il reggiseno?

La prima cosa che sentì furono le lamentele di Shizune sul fatto che Genma non avrebbe dovuto alzarsi, perché doveva rimanere a letto e riposare per minimo tre giorni e, brutto sconsiderato, se si alzava di nuovo e si riaprivano i punti stavolta l’avrebbe ricucito direttamente al materasso, maledetto idiota.

«Se già mi fissi la scollatura, vuol dire che vi siete ripresi piuttosto in fretta, no Namiashi?» fece Tsunade, incrociando le braccia sotto il seno come per sottolineare l’imponenz- cioè, il suo sarcasmo. Se Raidou ne avesse avuto la forza, e la quantità di sangue nel suo corpo fosse stata sufficiente, sarebbe probabilmente arrossito. «Siate così gentili da spiegare in poche parole quello che è successo e poi cadere in letargo e fare i bravi convalescenti.»

Genma fissava in rancoroso silenzio la schiena di Shizune, affaccendata intorno a qualche altro moribondo della camerata, così Raidou dovette raccontare dell’incontro, dello scontro, e della loro clamorosa sconfitta ad opera di quei quattro stramboidi del Suono. Perché toccava sempre a lui rapportare i fallimenti e prendersi le lavate di capo? Comodo per Genma starsene a far finta di niente sul suo lettino, fingendo di non guardare il sedere di Shizune ed essere offeso. La prossima volta toccava a lui sorbirsi la sgridata, sicuro.

Solo quando Maito Gai arrivò urlando - urlando, santo cielo! Nemmeno in ospedale quell’uomo sapeva darsi un contegno - e piangendo lacrime di (nell’ordine) preoccupazione sollievo panico e orrore, i due valorosi ricoverati vennero lasciati da soli, non prima però di aver ricevuto occhiatacce d’ammonimento da tutti gli infermieri del reparto.

Neanche dieci secondi e Genma era già in piedi che arrancava per arrivare al letto di Raidou, con il sorriso compiaciuto di un bambino che va a rubare le caramelle di nascosto dal barattolo in cucina. Raidou si spostò un po’ a lato per fargli spazio sul letto troppo piccolo e Genma si accasciò al suo fianco, mettendogli un braccio attorno alla vita e stringendolo forte, il naso nascosto nella sua maglia. Fu la prima cosa a cui Raidou sorrise.

 

«Sei, sei e mezzo ad essere buoni. Con i capelli in quel modo è spaventosa.»

«Che carogna, non è vero!»

«Ma dico, l’hai guardata? Sembra che le sia morto un procione in testa. Anko?»

«Otto meno, troppo agitata per i miei gusti.»

«Non per quelli di Ibiki, mi sa…»

«Cos- Ibiki?!»

«Ah-ah. Li ha beccati Iruka dietro l’Accademia.»

«Oddio… pensa quei poveri bambini…»

«Pensa al povero Iruka.»

«No, non ci voglio pensare. No nononono non ci sto pensando! Va bene, allora… Shizune?»

«Otto e mezzo. Bel corpo.»

«Pff, tutto il mondo si è accorto di come le fissi il sedere ogni giorno.»

«Sono un ninja, Raidou. Se volessi essere discreto, lo sarei

«Quando voi due avrete finito di compilare, discretamente, la pagella di tutti i culi di Konoha, potreste per favore chiudere il becco e prendere queste dannate medicine? Grazie, tesori.»

 

Raidou era solo a metà del secondo schema di parole crociate quando Genma raggiunse il punto di apatia massima e decise di meritarsi tutta la sua completa e devota attenzione, sicuramente più di un pezzo di carta a scacchetti.

«Non ci gioco a poker con te, Genma,» mormorò distrattamente Raidou, mordicchiando il fondo della matita mentre la malefica quattro verticale lo faceva dannare. «“Una delle qualità necessarie per diventare Kage”, cinque lettere, la penultima è una T?»

«“Tette”,» gli tirò un cuscino che Raidou parò col cruciverba. «Mi annoio. Okay, che oggetto sto pensando?»

«Tette,» ripeté Raidou, e schivò di poco il nuovo cuscino. «Non mi interessa cosa pensi, Genma.»

«Certo che ti interessa cosa penso, ti interessa tutto di me perché sono l’uomo della tua vita e non vedi l’ora di prendere il mio cognome e diventare la signora Shiranui. È un oggetto della stanza.»

Raidou abbassò sconsolato il cruciverba, arrendendosi all’evidenza che Genma si sarebbe zittito solo quando lui avesse scoperto il fantomatico oggetto e gliel’avesse infilato in gola. «Inizia con la S?»

«Nah.» Genma si accoccolò contro l’ultimo cuscino rimasto, contento.

 

La seconda notte di degenza, Raidou venne svegliato dai lamenti di Genma. Erano brevi, a mala pena più forti del vento che soffiava di fuori, ma quella cadenza nel respiro di Genma, quegli ansiti terrorizzati che gli facevano montare l’angoscia in gola ogni volta che Genma aveva un incubo, per lui erano inconfondibili.

Strisciò fuori dalle coperte, rabbrividendo per il freddo delle piastrelle del pavimento e per quello che si stava trasformando in un pianto di Genma. Non era mai stato così brutto, di solito si agitava solo nel sonno e basta, niente piagnucolii, niente incoerenti bisbigli spezzati.

Si sedette sull’orlo del suo letto e, incerto, gli posò una mano su una spalla. Genma sussultò e si voltò di scatto, gli occhi lucidi sbarrati per la sorpresa. Strinse forte la mano di Raidou nella propria quando il più grande fece per alzarsi, o forse stava solo scivolando a terra, facendogli sbiancare le nocche. Raidou si sistemò e iniziò ad accarezzargli la fronte, scostando le ciocche umidi e passandogli le dita tra i capelli, rassicurante.

«È stato peggio del solito?» chiese in un soffio, portandogli un ciuffo dietro l’orecchio; Genma annuì appena. «Vuoi parlarne?» mormorò, ma Genma scosse la testa con foga, come un ragazzino dagli occhi grandi e colmi di fin troppe brutte esperienze, illuminati solo dalla luce della luna.

«Vuoi che resti?» Stavolta Genma esitò un secondo, poi annuì e, come un ripensamento, strinse la mano di Raidou nella sua e lo trascinò giù, l’altra mano ad arpionagli al maglia per tenerlo fermo mentre lo baciava.

Nonostante fosse Raidou quello che ci rimetteva di più in missione e quello che tornava sempre conciato peggio, era Genma a portarsi tutto dentro, a mantenere una facciata impassibile con quel suo senbon onnipresente e a farsi venire gli incubi. Spesso erano su di lui, Raidou lo sapeva, perché l’aveva sentito chiamarlo nel sonno qualche volta. Genma era così fragile nella sua forza, pensò mentre si infilava sotto le sue coperte e si lasciava baciare, a labbra chiuse ma con urgenza.

Spettava a lui sostenerlo, si disse stringendolo tra le braccia così da poter sentire il suo cuore rimbombare nella propria cassa toracica, mentre la sua lingua gli si insinuava in bocca.

Era a questo che servivano gli amici, no? Sostegno. Peccato che avrebbe tanto voluto essere qualcosa in più di un appiglio a cui aggrapparsi, per quell’amico.

Quando le mani di Genma si infilarono sotto la sua maglia, nei suoi pantaloni, lo lasciò fare.

 

L’infermiera fu meravigliosa nel suo far finta di nulla trovandoli avvinghiati nello stesso letto, comportandosi come al solito e riuscendo a farli sentire persino più a disagio di come avrebbe fatto altrimenti. Come se ci fosse stato bisogno di altra tensione, tra loro due.

Genma venne dimesso, con gran commozione dei medinin che avevano dovuto assisterlo; gli augurarono tutti di stare sempre bene e in salute, oppure di morire sul colpo trafitto da mille shuriken piuttosto che tornare da loro a rompere i coglioni.

Raidou dovette aspettare di fare tutta una serie di controlli, esami e prove del nove, e solo a pomeriggio inoltrato lo lasciarono tornare a casa tra i calorosi saluti (e un paio di richieste d’appuntamento) di tutte le infermiere. Genma lo stava aspettando fuori dall’ospedale; lo accompagnò verso casa in silenzio, e una volta lì non si fece problemi ad accompagnarlo anche dentro, restando a chiacchierare del più e del meno e nient’altro fino a tarda sera.

«Ti va un caffè?» domandò Raidou con un’occhiata veloce all’orologio a muro che segnava le undici passate da un pezzo, grato che i cerotti nascondessero il rossore sulle sue guance. Non attese una risposta per mettersi a trafficare nervosamente con i fornelli, solo per avere qualcosa a distrarlo da Genma, che dal suo divano lo fissava intensamente.

«Vorrei passare la notte con te,» disse senza preavviso, facendo versare a Raidou acqua bollente un po’ ovunque. Aveva un’espressione così dolorosamente sincera che Raidou credette, per un attimo, di non aver visto troppo in quella richiesta.

«Capisco che ieri è stato…» Si appoggiò al ripiano della cucina, stringendo le nocche intorno al bordo tanto da farle sbiancare. «Sì, insomma, ma non mi sembra che ci sia di nuovo bisogno, se… tanto era stato solo per conforto, no?»

«No.» Stessa espressione distante di sempre, stesso tono, ma Raidou non poté fare a meno di trasalire. «Se fosse stata solo una cosa del momento, non avrei mai messo in pericolo la nostra amicizia solo per una scopata. Sarei andato a cercare una ragazza qualsiasi, come faccio ogni volta che ti comporti da coglione come ora.»

Raidou lo fissò con la bocca semi-aperta, senza nulla di sensato da dire, non un pensiero coerente in testa. «…allora è per questo che eri tanto pronto sui voti.»

Genma gli lanciò un sorrisetto amaro da attorno al senbon, evitando di guardarlo negli occhi. Si alzò, spolverandosi immaginaria polvere via dai pantaloni poi aggiustandosi il coprifronte, e tutta una serie di gesti piuttosto inutili e nervosi. Raidou non riusciva a staccargli gli occhi di dosso, era così a disagio e tenero allo stesso tempo.

«Beh, ci vediamo domani-»

«Non ho detto che non puoi restare qui,» l’interruppe Raidou, «Voglio dire, se hai ancora voglia.»

Genma lo scrutò, illeggibile, per lunghi secondi, prima di togliersi il coprifronte gettandolo sul divano e andare verso Raidou con un accenno di sorriso sul volto, pronto a dimostrargli quanto ancora aveva, e avrebbe avuto per molto tempo, voglia di restare.

 

 

 

 

---

…in realtà ho fatto tutta ‘sta cosa solo per scrivere di loro due che giocano a Indovina Cosa Sto Pensando durante la convalescenza, oh. Anche se il titolo mi ha fatto dannare per secoli, e fa comunque schifo. u_u

GENMA E RAIDOU SONO AMORE! Non ci sarà mai abbastanza di questo pairing, argh, argh. *manda messaggi subliminali all’incauto lettore per far scrivere GenRai anche a lui*

By the way, yo fandom, quanto tempo. <3

Will

   
 
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