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Autore: Piumadoro    30/12/2013    1 recensioni
"Pensa, manca solo un altro lunedì."
"E' più corta vista così!" Sorrisi ma il mio groppo in gola crebbe.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno
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Non volevo annoiare i miei figli con una lunga lista delle mansioni affidatemi in quel ristorante, anche se non erano poi così tante, oltretutto io stessa non le ricordavo tutte. Ricordavo solo che la prima cosa che Sutosh mi chiese di fare fu pelare delle patate, e me lo ricorderò sempre perché era uno di quei lavori che adoravo fare perché era semplice e ripetitivo. Mi dava il tempo di guardarmi intorno e studiare la situazione.
Raccontai ai miei figli solo le cose più importanti...
Come il fatto che non riuscii a conoscere bene tutti i dipendenti del ristorante, soprattutto di quelli tra il personale di sala. Però in cucina dovetti ringraziare molte volte Sutosh e Nicola che mi aiutarono spesso e mi spiegarono con pazienza passo per passo.
Io e Helen avevamo gli stessi orari basati su due turni uno il mattino e uno la sera avevamo qualche ora di pausa pomeridiana e i primi giorni la bruciammo per andare a comprare cose inutili ma che ci aiutarono a risollevarci il morale come patatine e biscotti.
Pranzavamo e cenavamo insieme a tutti i dipendenti ed era uno dei momenti che più adoravo ma solo se in tavola non c’era Menestrelli in quei casi evitavo di respirare come al solito temendo di incrociare il suo sguardo anche se lui in quei momenti era sempre rilassato e dalla battuta pronta.
In cucina mi piaceva stare solo nelle ore precedenti al servizio, quando Sutosh e Nicola mi indicavano i miei lavori ed io li svolgevo ma poi Enrico veniva a controllarci e io tremavo, ho sempre avuto la paura tremenda di sbagliare ed essere rimproverata.
Le botte o la violenza non mi toccavano ma sapere di essere rimproverata per un mio sbaglio mi uccideva di vergogna perché sentivo crescere dentro me una voce che gridava sempre più forte che non sarei mai riuscita nella vita e che non avevo alcuna speranza. Enrico impersonava quella voce a pennello, sapevo che aveva ragione a rimproverarmi e questo mi atterriva ancora di più. Se mi avesse sgridato per qualcosa che non era colpa mia non avrei esitato a tirare fuori tutto il mio coraggio e la mia voce ma lui sapeva sempre colpire nel segno e la mia voce non venne mai fuori in quei giorni e il mio coraggio si trovò una tana comoda nel fondo del mio cuore e non osò mai mettere fuori un piede.
Ogni volta che in cucina sentivo il mio nome saltavo come uno stambecco senza però riuscire ad essere veloce ed efficiente come desideravo, ero sempre piena di dubbi, dubbi che mi portavano ad impedire di capire subito ciò che mi era richiesto.
Cominciavo a chiamare casa sempre più spesso raccontando tutto a mia madre, era bello sentire la sua voce e sapere che almeno lei non mi stava rimproverando, che almeno lei era un adulto dalla mia parte. I giovani dicono di non avere bisogno dei loro genitori anche io lo pensavo quando i miei avevano prenotato l’aereo per venirmi a trovare durante i miei primi due giorni di pausa: la domenica sera e il lunedì. Prima di partire pensavo di non averne bisogno ma già il giovedì, mentre tentavo di trovare il coraggio di rientrare in quella cucina, iniziavo a contare le ore che mancavano a quell’incontro.
Durante il servizio tutto diventava caotico e un più piccolo sbaglio da parte di chiunque avrebbe portato ad un’eterna sfuriata da parte di Enrico che si sarebbe lanciato con slancio sullo sfortunato di turno facendo cadere tutti i Santi dal Cielo.
Io cercavo di fare il mio dovere in fretta e di non dimenticarmi di nulla e soprattutto tentavo di essere invisibile, se lui non poteva vedermi io non potevo sbagliare.
 
“Mamma, quando scendi ricordati di portarmi la crema per le ustioni.” Dissi quel pomeriggio al telefono.
“Perché tesoro?” Sapeva che c’era qualcosa sotto, qualcosa che andava al di là di una semplice scottatura che bruciava sulla pelle, sapeva che io stavo bruciando dentro.
“Volevo prendere i peperoni dal forno per aiutare Sutosh ma credo di non aver preso bene la placca e mi è scivolata. Ho fatto cadere tutto ed Enrico si è, giustamente, arrabbiato molto.” Spiegai e i ricordi di quel tono e di quello sguardo bruciarono nelle mie viscere. Avevo fallito. Ancora.
Dovevo ricordarmi di ringraziare anche Sutosh per il tentativo di calmarmi quando Enrico aveva smesso di rimproverarmi. Dovevo avere un aspetto pietoso, forse tremavo pure. Mi sentivo così persa.
Avevo sbagliato alla grande.
“Ah, accidenti questo chef! Si darà una calmata?” Tentativo inutile. Sapevo che era colpa mia. Solo mia.
Fallito.
“Ci sentiamo domani.”
“A domani tesoro.”
Helen si girò incuriosita.
“Allora è questo che è successo? Avevo sentito le urla dalla sala.”
“Già.” Affermai. Eh, si era ancora colpa mia. Ancora una volta avevo sbagliato.
Mentre camminavamo verso l’appartamento il mare ci salutava, era inverno ma le giornate erano così soleggiate che una bella gita sulla spiaggia sarebbe stata il massimo.
“Se un giorno finiamo presto andiamo al mare e facciamo un po’ di foto.” Propose Helen.
Mi sarebbe piaciuto ma iniziavo a pensare che non ci sarebbero mai stati giorni buoni o giorni in cui avremmo finito presto.
Terzo errore.
Il sabato finalmente arrivo e con esso l’atteso servizio al giornalista che ci fece anche delle foto e sì, finimmo presto.
Appena rientrate a casa io e Helen prendemmo una borsa della spesa piena di bibite e patatine e con le macchine fotografiche a tracolla partimmo per il mare. Riuscimmo anche a ricordarci di portare via la spazzatura, cosa che da una settimana rimandavamo in continuo.
La spiaggia era bellissima e non mi preoccupai più del fatto che quella sera avremmo avuto quindici persone e l’indomani ben trentadue.
Lo scrosciare delle onde ebbe il miglior effetto di tutti, quello di darmi forza. Mi sentivo come Percy Jackson e non era male. Gridai contro il sole che scendeva veloce tuffandosi nel mare e tingendo la mia mareggiata di rosso e arancio e le onde mi spruzzarono e l’acqua era salta sulle mie labbra.
Chiamai Ivy e le raccontai di aver gridato contro il mare “Infinito” e sapevo che capiva che ero esaltata ed eravamo felici entrambe perché ero tornata un po’ me stessa.
Tornammo a casa, io e Helen, con un pizzico di forza in più. Con quella forza affrontammo la serata che ci stava davanti ed io, che mangiavo poco già da giorni, quella sera dovetti obbligarmi ad ingoiare tutto il cibo nel mio piatto mentre le mani mi tremavano.
Gertrude, l’anziana lavapiatti lo capì. Adoravo quella signora era così giovanile anche se sembrava essere vissuta molti secoli prima di ora e forse era così. La adoravo perché anche lei si prendeva la sua dose di sgridate ma aveva sempre il coraggio di canticchiare.
Giuseppe, il gestore della sala fu il mio salvatore quella sera.
Incredibilmente riuscii a stare dietro al servizio con l’unica dimenticanza del pane ad un tavolo e li entrò in scena Giuseppe che mi avvertì in tempo senza far sapere nulla ad Enrico. Era bellissimo sapere di poter contare su qualcuno e nonostante il mio morale ebbe un crollo per l’errore sapere di essere stata rimproverata da una persona con il sorriso sulle labbra mi fece sentire meglio. E venne l’ora dei chiudi pasto e ce l’avevo fatta e avevo anche anticipato alcune cose. Mi sentivo soddisfatta e sembrava che anche Enrico fosse soddisfatto di me.
Mentre pulivo mi sentivo felice e sapevo che l’indomani sarebbero arrivati i miei genitori e la cosa mi rese ancora più rilassata.
 “Come sono andata questa sera?” Chiesi trepidante a Enrico prima di andare a cambiarmi.
“Molto bene. Mi ha piacevolmente stupito questa sera.” Mi rispose lui senza alzare gli occhi dal suo portatile se non per un breve sguardo furtivo.
Volevo inginocchiarmi cantando inni alla gloria ma pensai che forse era meglio evitare.
Eppure senza pensarci feci un piccolo inchino come avevo visto fare dai giapponesi nei manga quando ringraziavano. “Grazie.”
Avrei voluto dirgli che era stato un onore lavorare con lui quella sera e che tutto era stato come mi ero sempre immaginata questa esperienza.
Uscii dalla cucina convinta che potevo farcela che se ero migliorata solo in una settimana le successive sarebbero state lisce come l’olio.
Ma l’olio è scivoloso. Dovevo ricordarlo.
Feci il mio quarto sbaglio.
 
La domenica cominciò con la rivelazione della mia fobia a Giuseppe. Oltre al fatto che tutti notarono la mia agitazione nella fase di preparazione ed Enrico mi chiese di uscire a prendere una boccata d’aria prima che svenissi lì. Claudia di sala mi aiutò a respirare a fondo e a calmarmi rispiegandomi tutto ciò che avrei dovuto fare. Il servizio cominciò e finì; non fu esplosivo come la sera precedente ma ne fui felice egualmente, infondo non era andata poi malissimo contando tutta la gente che c’era. Era andata piuttosto bene e la cosa mi piaceva.
Stavamo cominciando a pulire la cucina quando Enrico mi chiamò.
Trafelata corsi verso il bancone del pass dietro al quale si erigeva la sua figura.
“C’è qualcuno per te.” Mi disse sorridendo.
Capii che erano arrivati i miei genitori. Lo aiutai a servire loro il dolce avanzato dal banchetto di Battesimo e poi fui libera di andare via insieme ad Helen.
Vederli mi riempì il cuore di gioia.
Ci portarono a mangiare fuori facendoci fare una camminata in un paesino lì vicino in riva al mare. Era bellissimo sostenere una discussione incentrata sugli ultimi giorni e la cosa mi fece andare di traverso il cibo. Man mano che le ore passavano in fretta sapevo che avevo sempre meno tempo da passare con loro.
Siccome Helen ed io eravamo assurdamente stanche, ci riportarono in appartamento lasciandoci dormire.
Il calendario appeso nel muro accanto a me mi guardò minaccioso, era finita la prima settimana ma noi ne avevamo altre due e poi lunedì ventitré saremmo finalmente ripartite. I giorni di questa settimana erano passati con tale lentezza che credetti di essere condannata ad un limbo.
Almeno l’indomani l’avrei passato con i miei genitori.
Ci portarono in un altro paesello e mi piacque molto camminare tra le rustiche casette di montagna. Sapevamo che c’erano molte cose da vedere a Roma ma noi non eravamo mai stati turisti come gli altri. Soprattutto io e mio padre.
Passammo in una chiesetta costruita in onore di Santa Rita da Cascia.
Io e mia madre eravamo molto devote a quella Santa, io la chiamavo la “Protettrice dei Casi Disperati”.
Sentii di avere bisogno di un suo aiuto. Accesi una candela e dissi una specie di preghiera, mi infilai in tasca il Santino con la sua immagine e poi ce ne andammo.
Era così bella camminare e mangiare in pace ma sentivo sempre l’ombra della stanchezza accumulata e il mio orologio interno ticchettava sempre più veloce avvicinandomi al momento in cui mi sarei dovuta separare di nuovo dai miei genitori. Da quelle persone che prima di partire credevo di non voler vedere durante questa esperienza.
Finimmo il nostro giro un po’ troppo in fretta e tornammo verso la macchina che i miei genitori avevano noleggiato. Camminavo con il braccio di mio padre sulle spalle come facevamo sempre quando visitavamo le città. Mi teneva così da quando ero piccolina perché nessuno mi portasse via e anche per scaldarmi quando camminavamo in montagna.
“Sei stanca?” Mi chiese gentile.
“Si.” Che senso aveva fingersi coraggiosi e duri ora? Ora era il momento delle coccole. Mi sarei ribellata in modo adolescenziale in un'altra occasione.
“Pensa: manca solo un altro lunedì.” Mio padre e la sua logica disarmante. Non diceva mai nulla che non avesse un senso eppure sapeva farti stare bene anche nella realtà.
“E’ più corta vista così!” Sorrisi ma il mio groppo in gola crebbe.
Ci riportarono in appartamento dopo una breve spesa per la cena.
Ancora una volta io e Helen dormimmo fino alle nove e poi le portai le bistecche a letto.
Guardai il calendario e vidi che lei aveva segnato con una croce tutti i giorni passati scrivendo in grande sul ventitré “PARTENZA!”.
Mi voltai verso di lei che mi guardò assonnata.
“Tuo padre ha ragione: manca solo un altro lunedì.”
 
 
Seconda sera libera = Fettine di maiale cucinate in una padella che era unta ancora prima che la prendessi in mano, insalata e cartoni. Le luci sono sempre rimaste spente.
 
Fine prima settimana.
  
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