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Autore: Alexandra_ph    31/12/2013    7 recensioni
"... Il fatto è che non so spiegarti cos’è successo. Non razionalmente, almeno.”
“Spiegamelo, allora, alla tua maniera irrazionale.”.
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harmon 'Harm' Rabb, Sarah 'Mac' MacKenzie
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-2-

 (svolgere le indagini preliminari)

 

 

 

Dev’essere accaduto durante la notte. Probabile che l’eclissi di luna abbia influito.
Ma perché?
E dove sei, Mac?
Il mio IO ha prevaricato il tuo e ora sei sempre qui, nel tuo corpo, che in questo momento contiene entrambi? (Del resto lo dici sempre che la mia personalità è travolgente e che voglio averla sempre vinta io.)
Oppure anche tu sei finita altrove? E chi ha preso possesso del mio corpo?

Come vorrei che una volta tanto ci fossi tu nei miei panni…

All’improvviso un ricordo mi assale: la tua frase di ieri.
Ed ecco che tutto, nella sua assurdità, acquista un senso. Una certa logica.
Non può che essere così: se io sono nel tuo corpo, Mac, tu devi essere finita nel mio.
Poco alla volta i pezzi di questo puzzle surreale trovano ognuno il proprio posto e tutto si fa finalmente più chiaro e comprensibile…
Forse.
Ieri ci siamo lasciati dopo un ennesimo battibecco. Non facciamo altro, ormai. Da mesi. Se fossi del tutto onesto, aggiungerei che i nostri rapporti sono ulteriormente peggiorati da quando stai con Webb.
E io non lo sopporto.
Non sopporto neanche l’idea che tu faccia l’amore con un uomo che non sia io. Ma ancora di più credo di non riuscire a sopportare quello che è diventata la nostra amicizia.
Sempre che esista ancora tra noi qualcosa che possa definirsi tale.
In questi giorni siamo alle prese con un caso di molestie sessuali. Il solito caso rognoso, dove i fatti si riducono alle versioni diametralmente opposte delle due parti in causa e le prove sono pressoché inesistenti.
Tutto si gioca sul sottile equilibrio delle testimonianze e del nostro istinto.
Lo so, Mac: a volte mi odi quando uso questo termine. Eppure è sempre l’istinto che per primo mi guida, anche nelle situazioni più disparate. 
E l’istinto mi dice che Brian Ferrell è più subdolo di quanto appaia.
Ovviamente tu sostieni che la mia sia solo gelosia maschile: l’accusato è un uomo piacente, gentile e molto educato, mentre a quanto dicono, Melinda Parker, colei che lo ha denunciato, è una donna che ama il potere; è aggressiva, disinvolta e disinibita. Difficile crederla oggetto di molestie sessuali.
Non l’ho ancora conosciuta, dovrei essere sulla Seahawk proprio per questo, oltre che per le consuete prove di due giorni per le qualificazioni.
Avrei dovuto osservarla nel suo ambiente, prima di condurla con me a Washington, per interrogarla. E avrei dovuto trovare qualche testimone. Sempre ammesso che ce ne siano.
Eppure… prima ancora di averle parlato, prima ancora di aver svolto qualunque indagine, l’istinto mi dice che Ferrell sta mentendo. Su qualcosa, ma sta mentendo.
Tu, invece, sei rimasta affascinata da lui.
Ferrell ti lusinga, e tu ti lasci lusingare.
Quando mi hai detto che soffro di gelosia maschile, ho ribattuto che è Webb quello che dovrebbe essere geloso…
Sei diventata una iena: non sopporti che ti rinfacci le tue debolezze. Eppure è tipico di te lasciarti abbindolare da due moine fatte al momento giusto. Soprattutto se a farle è qualcuno gentile e che ci sa fare con le donne.
Ma Ferrell è realmente gentile? O è quello che vuole apparire?
E ci sa davvero fare con le donne? Oppure le usa soltanto?
Come ultimamente ci accade, siamo di parere discorde. E a volte non so più capire se lo siamo perché davvero la pensiamo diversamente o semplicemente per farci un dispetto a vicenda.
Perché ci sta accadendo tutto questo?
Come siamo giunti a neppure più sopportarci?
Ricordo con nostalgia i bei tempi quando lavoravamo assieme, quasi sempre di comune accordo. E anche quando non lo eravamo, sfruttavamo le nostre divergenze per conoscerci e, senza neppure rendercene conto, risolvevamo comunque il caso. Insieme. Non importava che uno vincesse e l’altro no. La sensazione era sempre quella d’essere stati una squadra.
Ora, invece…
Comunque, quando ho tirato in ballo Webb e la sua probabile gelosia, il discorso è degenerato, come sempre, su fatti personali. Ultimamente non facciamo che rinfacciarci i nostri difetti, peggio di una coppia sposata in piena crisi matrimoniale.

- Sei sempre la solita, Mac. Basta un sorriso e tu diventi un’altra.
- Una che tu non sopporti, vero?
- Io non sopporto come ti lasci sedurre dagli uomini. La tua intelligenza va a farsi benedire…
- Parli così solo perché ti ho detto che tra noi non avrebbe mai funzionato.
- Oh, lascia perdere…
- Ecco, tu sai sempre e solo lasciar perdere, vero? Ma cosa vuoi da me, Harm?

Ho preferito non rispondere.
Cosa avrei dovuto dirti? Che voglio solo te, e niente altro? Che da te non voglio nulla… ma che desidero te, semplicemente?
Che ti voglio così come sei, con tutte quelle stesse contraddizioni che ti critico sempre, perché non sopporto che sia un altro a poterle amare?
Te l’ho già fatto capire, eppure non hai voluto saperne.

- Con gli uomini ti metti sempre in situazioni difficili…
- Oh, ma che ne sai tu? Lo sai cosa si prova ad essere una donna in ambiente militare? Ogni sorriso, ogni frase… tutto deve essere sempre calibrato, perché altrimenti chiunque si sente autorizzato a metterti le mani addosso… e se non fanno quello, l’alternativa è essere giudicata una che se la fa con tutti… E’ sempre la stessa storia.
- Io non penso questo di te.
- No? Ma se lo hai appena detto.
- Io ho detto solo che se un uomo ti fa gli occhi dolci e due complimenti, tu ti senti lusingata. Non ho detto che te la fai con tutti.
- E che male c’è? Solo perché tu non mi rivolgi mai un complimento, ciò non significa che a me non piacciano. O che non sia obiettiva per questo.
- Non credevo volessi i miei complimenti…
- Lascia perdere, tu non sei il tipo.
- E se anche lo fossi, hai chiarito per bene che da me non vuoi nulla…

Per un attimo sei rimasta in silenzio. Sembrava che non sapessi più cosa dire. Poi te ne sei uscita con una frase, che lì per lì non ho capito. E che, a ben pensarci, continuo a non capire neppure ora. Ma che forse è stata la chiave di tutto. L’hai detta e poi te ne sei andata, senza neppure aspettare la mia risposta.

 - Come vorrei che per una volta tanto ci fossi tu nei miei panni…

 

 

***

 

 

Attraverso i tuoi stessi occhi, osservo il tuo volto sorridermi e riesco a provare, nonostante tutto, una sensazione strana, indefinibile, identica all’emozione che mi travolge ogni volta che sfoderi il tuo sorriso. Ed è strano, perché ero convinta che certe sensazioni che mi trasmetti fossero legate soprattutto ad una reazione puramente fisica, e io so perfettamente che la reazione del mio corpo al tuo fascino maschio è intensa. Sempre.
Ma in questo momento, io non mi trovo nel mio corpo… sono addirittura nel tuo. Eppure sento comunque qualcosa.
Devo pensare, allora, che il tuo volto, le tue braccia, la tua pelle… tutto di te… siano in grado di scuotermi molto più nel profondo di quanto avessi mai immaginato?
Deve essere così. Altrimenti non so spiegarmi come riesco a percepire fisicamente quel certo sfarfallio alla bocca dello stomaco e il cuore accelerare di un battito, nonostante sia il tuo stesso corpo a trasmettermi questi fremiti, mentre ti guardo attraverso i tuoi occhi.
Per un attimo la paura dell’incomprensibile scompare… Tu sai sempre tranquillizzarmi e questa sensazione non mi abbandona neppure ora, forse grazie al fatto che è proprio il tuo corpo a contenere la mia essenza.
Mi lascio trasportare da queste sensazioni: quando mai potrò avere un’occasione simile? Per poterti guardare con tutta calma, permettendo alle tue mani, che in questo momento mi appartengono, di sfiorare finalmente le tue labbra, di accarezzare la tua pelle… come avrei desiderato fare da sempre.
Io non so cosa stia succedendo.
Non lo so e in questo momento, forse, non voglio neppure saperlo.
Sono rapita dai tuoi occhi che mi stanno guardando a lungo, senza distogliere lo sguardo come invece fai tu di solito.
Non riesco a smettere di osservarti riflesso nello specchio… avevo scordato che dormi con soltanto i boxer. Credevo lo facessi unicamente quando sei in casa tua. Invece, a quanto sembra, dormi così ovunque…
O forse è un caso? (Un fortuito caso, per me, oserei dire).
Oddio…
Quanto sei bello, Harm!
Lo sguardo passa dalle tue spalle al torace muscoloso, scivolando rapidamente più giù, alle tue lunghe gambe, non osando quasi soffermarsi su quell’unica parte di te celata da un indumento.
Eppure… non è forse quella parte che più mi è proibita, a stuzzicare maggiormente la mia curiosità e la mia fantasia?
Ma mi sembrerebbe quasi di violare la tua intimità, spogliandoti.
Che stupida, vero?
Anche perché, se dovessi rimanere ancora a lungo nella tua pelle, dubito che potrò resistere molto senza essere costretta a svelarti, non fosse altro per permettere al tuo organismo di sopravvivere soddisfacendo le sue esigenze fisiologiche.
Però… forse…
E perché no?
Magari un pensierino potrei farcelo anche prima.

 

 

***

 

 

E’ tardi. Sono le 6.15 e fra poco più di un’ora devi essere dall’ammiraglio per aggiornarlo sulla situazione. Poi dovresti interrogare Mike Forde, il primo teste a favore di Ferrell.
Devo sbrigarmi… Ma prima un caffè.
Nero, forte e bollente, proprio come piace a me.
No.
Proprio come piace a te.
E’ un desiderio fisico. Ed è tuo. Solo tuo.
Eppure, in questo preciso istante, sembra che sia anche la mia mente a volerlo.
E mentre lascio che gesti meccanici, che non ricordo d’aver fatto, preparino il caffè come piace a te, mi soffermo a pensare quanta parte delle cose che facciamo ogni giorno è pura e semplice abitudine, se non addirittura obbligo, e quanto, invece, ciò che desideriamo davvero.
Per te il caffè è una necessità fisica, quasi una droga. Me ne rendo conto perché, mentre il liquido bollente entra nel tuo corpo, lentamente sento placarsi quel bisogno che mi aveva assalito fin da quando ero nel letto.
E, dopotutto, il caffè non è neppure male!
Basta indugiare. Sento i minuti scorrere via, rapidi e insidiosi…
Sono già le 6.33.
Guardo distrattamente l’orologio della cucina (digitale, come tutti i tuoi orologi: benché tu sappia perfettamente sempre anche il centesimo di secondo, hai bisogno di vedere scritto ora e minuti e le lancette non fanno per te) e osservo che stamani sono io che spacco letteralmente il minuto.
E’ una sensazione strana, soprattutto per uno che ha sempre avuto solo una vaga idea del tempo che passa e che odia profondamente tutto ciò che glielo ricorda, anche se devo ammettere che se non esistessero gli orologi, probabilmente a quest’ora sarei ancora in Accademia!
Comunque è strano essere presente al tempo, addirittura sentire fisicamente il trascorrere degli attimi.
OK, basta indugiare.
Prepariamoci. (il “Noi” mi sembra d’obbligo, in questa situazione).
Mi levo al volo la lunga t-shirt che indossi per dormire, la getto sul letto e mi dirigo rapidamente verso il bagno, per una breve doccia. Nonostante me ne fossi dovuto accorgere prima, realizzo solo ora che sotto la maglia non porti null’altro…
Interessante.
Ma ancora più interessante è la visione che mi rimanda lo specchio quando transito davanti al lavandino.
L’immagine fugace del tuo corpo nudo.
Troppo intrigante per far finta di nulla.
Torno sui miei passi  e mi soffermo davanti allo specchio e, mentre osservo, una sensazione strana si propaga dal basso ventre e mi stringe la gola…
Il tuo seno è pieno, morbido… è bellissimo.
E’ la Tentazione per ogni uomo. E, credo, l’Invidia di ogni donna.
Risalta sul tuo corpo snello ancora più di quanto avessi mai immaginato (e di fantasia, credimi, ne ho spesa molta sull’argomento!).
La dolce curva dei tuoi fianchi e i glutei ben delineati, scolpiti dalla costante attività fisica, lo mettono maggiormente in evidenza, richiamando su di esso tutta l’attenzione.
Sono i tuoi occhi a guardarlo, a trasmettere alla mia mente l’immagine provocante dei tuoi capezzoli scuri che spiccano sullo sfondo della pelle più chiara attorno… Tuttavia è la mia mente a trasmettere alle tue mani l’irrefrenabile desiderio di sfiorarli.
Sento la tua gola improvvisamente secca, e mi rendo conto di deglutire, quasi cercassi l’aria per respirare.
E’ tardi… devo fare la doccia…
Poco male.
Dovrò pur toccare quelle morbide curve per lavare il tuo corpo, no?

 

 

***

 

 

Ho superato lo choc iniziale di scoprire di non essere più nella mia pelle. Ho superato anche – almeno in parte – la sorpresa di trovarmi proprio nel corpo dell’uomo che più mi fa impazzire di desiderio e la curiosità di poterti osservare liberamente. Ora, finalmente, la mia mente comincia di nuovo a ragionare e tento di dare una spiegazione a quanto è accaduto, benché mi renda conto che tutta questa faccenda ha dell’incredibile.
Ma, forse proprio perché già ci sono, provo “a mettermi nei tuoi panni” e tento di ragionare come faresti tu.
Conoscendoti, sono assolutamente certa che se fossi al mio posto non ti lasceresti sopraffare dalle emozioni, ma cercheresti immediatamente una spiegazione logica. A volte non te ne rendi neppure conto, ma sai trovare un senso anche a cose che un senso non l’hanno. A situazioni assolutamente inverosimili.
A ben pensarci, però, io non sono poi così diversa da te: chi ha avuto la visione utile a localizzarti quando eri sperduto in mezzo all’oceano?
La prima domanda logica da porsi è la seguente: se io sono nel corpo di Harm, dov’è finito lui?
Un lieve bussare alla porta blocca all’improvviso il flusso del mio ragionamento.
“Harm…”
Una voce di donna.
Chi potrebbe volerti alle…
Accidenti… CHE ORE SONO?
Mi guardo attorno, in preda al panico, alla disperata ricerca di un orologio. Non sono abituata a non sapere sempre perfettamente l’ora.
Scorgo sul tavolino che funge da scrivania il tuo orologio da polso… dannazione, le lancette!
Le 6.30, secondo più, secondo meno…
Chi potrebbe volerti alle 6.30 del mattino?
E una donna, per di più.
“Harm…”
La voce è bassa, ma insistente.
Benché su una portaerei l’attività non cessi mai, neppure di notte, le 6.30 a.m. sono comunque presto.
Ancora dei brevi colpetti alla porta… Niente da fare. Insiste. Mi tocca aprire.
Lo faccio senza neppure rendermi conto che sono ancora in boxer.
E’ il volto stupito del tenente Elizabeth Hawkes che fissa con insistenza il mio… no, il tuo… corpo, a farmi realizzare che mi sono presentata… no, che ti ho presentato… oh, insomma!... che abbiamo (io, tu… NOI) aperto la porta praticamente in mutande.
E lei…
Bè… lei guarda.
Insiste nel guardare e sorride all’immagine che le si è parata davanti.
Perché accidenti non la smette di divorarti con gli occhi?
“Ciao!”
Finalmente incontra il mio sguardo e io riesco a scorgere nel suo un fugace lampo di malizia.
Ma non è sposata? O fidanzata, non ricordo.
“Tenente Hawkes… che sorpresa…”
Sono un’imbecille.
Non appena le ho pronunciate, mi accorgo che ho scelto le parole sbagliate.
Come scusa per la mia mancata prontezza di riflessi ho solo il fatto che mi scopro assai infastidita da come ti sta guardando. Eppure, proprio io, dovrei capirla!
“Harm… che cosa ti succede?”
Grande domanda.
A me lo chiede?
“Nulla, nulla…” rispondo con tono distratto. Immediatamente mi rendo conto, mentre mi accorgo che sto sollevando una mano come se stessi scacciando un insetto fastidioso dai pensieri, che ho il tuo solito tono distratto… credo di averti fatto assumere pressappoco la stessa aria svanita che avevi qualche anno fa, quando cadesti dalla sedia dell’ammiraglio e sbattesti la testa. Quel giorno, ogni volta che ti comparivo davanti, mi guardavi come se avessi appena visto un fantasma… Non hai mai voluto dirmi cosa ti passasse per la mente…
“Volevo informarti che ho appena saputo che sarò io il tuo RIO”.
Elizabeth Hawkes tenta di portare la conversazione su un piano meno imbarazzante, anche se continua a lanciare rapide occhiate dove non dovrebbe.
Il problema è che quello che mi sta dicendo mi fa rabbrividire: avevo scordato che, tra le altre cose, sei qui per volare.
Devo aver fatto una faccia strana, perché mi domanda preoccupata:
“Non sei d’accordo?”
A dirla tutta, non sarei d’accordo su parecchie cose, in questo momento. E volare è tra le prime della lista.
Ma non è il caso che incasini peggio il Tenente Hawkes, già turbata a sufficienza dalla visione del Comandante Rabb in mutande.
“No, no, tranquilla. Va benissimo.”
“Ok, allora. Ci vediamo tra un’ora”.
Mi fredda con quella frase e poi si allontana. Non prima d’averti rivolto un’altra occhiata.
Un’ora?
E adesso che cosa faccio?

  
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