Salve!
Questa storia partecipa
alla III Disfida di Criticoni, Brainstorming. Ci sono stati assegnati 6
temi, tirati a sorte, più uno jolly, a scelta, sui quali costruire la
storia.
I miei prompt erano
questi:
* Minuetto - Mia Martini
* Fighter - Christina Aguilera (canzone + video)
* Immagine 14 e immagine 23.
* Il ricordo è un modo di incontrarsi.
(Jibran Khalil Jibran)
* La guerra è
un gioco che si gioca sorridendo. Se non sai sorridere, sogghigna. Se non sai
sogghignare levati di mezzo, finché puoi. (Winston Churchill)
PROMPT
JOLLY: The reports of my death are
greatly exaggerated. (Mark Twain)
Spero di
averli usati abbastanza decentemente, in modo che possiate rintracciarli nella
storia. Il tentativo è stato quello di “inseguire” la trama attraverso questi
“indizi”...
Una delle
realtà nominate in questa storia esiste davvero. Non la conosco benissimo, ma
per i contatti che ci ho avuto mi affascina tanto e mi piace davvero, quindi
l’ho infilata nella mia storia. Sia chiaro - non ci sono riferimenti a nessuna persona precisa. E naturalmente, i protagonisti sono tutti inventatissimi. E se a S. Giovanni V.no esiste qualcuno che si chiama Luciani di cognome, mi perdoni: io non lo conosco e il cognome del protagonista è stato scelto a caso!XD
Con il
teatro, invece, di rapporti ne ho parecchi, e mi è venuto molto naturale
sceglierlo come scenario per questa strana vicenda.
Buona
lettura!
Nella nostra terra
invisibile
14
aprile
- No, così non va bene.
Togliti di lì, Caterina. Non lo so, non riesco a capire... Provate a spostarvi
sulla sinistra. Oh, e levate di mezzo quel vaso di fiori, sembra di
essere...-
Non si venne mai a sapere
dove sembrava di essere. L’eloquio della giovane donna che sbraitava, in piedi
su una sedia, si prosciugò all’improvviso. Scese a terra, con aria depressa, e
andò a cercare rifugio dalle crudeltà del mondo nei suoi pensieri. Si accoccolò
su una delle poltroncine rosse del teatro e scivolò in un profondo
silenzio.
Sul palco, quattro
persone rimasero a fissare la loro regista in preda a una crisi di identità, con
l’aria di chi è ormai abituato e rassegnato a quel genere di
cosa.
- Dieci minuti di
pausa...- annunciò lei. I quattro si scambiarono un’occhiata e poi, lentamente,
sparirono dietro le quinte, lasciando il palco deserto e la regista sempre più
distante dalla realtà.
- O la sua sindrome
premestruale dure tutto il mese, o sta dando fuori di testa!- esclamò uno dei
fuggiaschi del palco, gettandosi su una polverosa poltrona, che non gradì
l’improvviso arrivo del suo peso.
- Non dire così.-
protestò Caterina, l’attrice protagonista.
- Ehi, mica ho offeso
te...- si difese l’altro, affondando ancora di più nella
poltrona.
- Non è una bella cosa da
dire!-
- Senti, non sarà bello,
ma è vero.- insisté lui. – E’ completamente andata! Non ci sta con la testa! Ma
hai visto che...-
- Piantala,
Andrea.-
Dal basso della sua
poltrona, Andrea guardò con stupore l’uomo che aveva sentito parlare sempre e
solo sul palco, Cosimo.
- Ora è colpa mia perché
quella è pazza!- sbottò Andrea, alzando la voce oltre i toni del
civile.
- Non è colpa tua, ma noi
la conosciamo da molto più tempo di te, e non ci va che tu ne parli così.-
rispose Cosimo.
- Il fatto che la
conosciate non giustifica il vostro rifiuto di ammettere che è
pazza.-
- Non è pazza!- disse con
forza Caterina. – E prima non era così. E’ una ragazza in gamba. Ha messo su
questa compagnia da sola, quando era ancora all’università, e insieme abbiamo
fatto cose meravigliose.- La giovane donna aveva le lacrime agli occhi. – E per
me è doloroso vedere che qualcosa l’ha ridotta in questo
stato!-
- Sì, sì, va bene,
scusate.- si affrettò a borbottare Andrea. – Però si può sapere cos’è, che l’ha
ridotta in questo stato?- Ma prima che gli altri tre potessero rispondergli, si
infilò in uno dei camerini, forse per sbollire il nervoso in
solitudine.
- Non vorrei fare ipotesi
avventate, ma forse un’idea ce l’ho.-
Tutti si voltarono verso
il quarto attore, Giovanni, che come era suo solito si era mimetizzato con il
nero dei tendaggi che dividevano il palco dalle tenebre del
retroscena.
- Vai a dirlo ad Andrea.
Così magari si calma un po’.- commentò Cosimo.
- Invece non ho
assolutamente intenzione di farlo. Se la ragione è quella che penso io...
Preferisco che lo sappiano gli amici, e basta.-
- Ma di cosa stai
parlando?- domandò Caterina.
Giovanni tirò fuori di
tasca un piccolo ritaglio di giornale, un trafiletto di cronaca delle pagine
cittadine, datato un paio di settimane prima.
- Di
questo.-
La promessa del teatro
giovane della Toscana giaceva ripiegata su se stessa, in una triste poltroncina
della platea del piccolo teatro dove la sua compagnia era solita provare.
Arianna Chiari era una
persona impulsiva, testarda ed emotiva, e di tutto questo era sempre stata
consapevole. Si faceva un certo vanto della propria autocoscienza, anzi.
Conoscendo propri difetti, negli anni aveva elaborato innumerevoli strategie per
imparare a vincerli. Sapeva come prendersi, come addolcire le proprie fissazioni
e come allentare le tensioni, quando i sentimenti avevano la meglio su di
lei.
Mai e poi mai si sarebbe
aspettata di andare a finire in quella situazione.
Eppure, di cose
complicate, dolorose e inaspettate ne aveva affrontate tante! E a dire la
verità, quella cosa non era né complicata né dolorosa.
Solo inaspettata, ecco.
Non ci si poteva ridurre
così, sui confini dell’isteria, solo per una cosa
inaspettata.
Infierì spietatamente sui
suoi ricci castani, tirandoli indietro, annodandoli e arruffandoli furiosamente,
e infine raccogliendoli in una crocchia precaria tenuta su da una matita
verde.
Forse era meglio dire ai
ragazzi che per un paio di settimane le prove erano sospese. Tanto erano
perfettamente in pari con la tabella di marcia. E i suoi attori erano bravi.
Andrea, la new entry, era un po’
troppo sicuro di sé e convinto di essere un figo irresistibile, ma c’era tutto
il tempo del mondo per fargli capire con dolcezza che l’umiltà è una delle più
belle virtù del mondo. E poi...
... e poi non aveva senso
sospendere le prove. Insomma, il teatro era anche un modo per sfogarsi e
liberarsi dei pesi della vita, no? Bene, e allora trovato il modo di liberarsi
da quella stupida cosa
inaspettata!
- Fine pausa!- chiamò,
cercando di mantenere salda la voce. Qualche istante dopo i suoi quattro attori
riemersero dalle quinte.
- Caterina, vieni
avanti.-
L’attrice fece qualche
passo. Era robusta, ma aveva imparato a muoversi con una grazia unica. Si fermò
sul proscenio, speranzosa, aspettando indicazioni dalla sua
regista.
- Dobbiamo trovare un
modo per esprimere i sentimenti di questa donna. Ci vuole qualcosa di
particolare. Di simbolico.-
Caterina scosse la testa,
come per dire che non capiva.
- Non ho mai esagerato
con i simbolismi e le stranezze.- continuò Arianna. – Ma credo sia arrivato il
momento di lanciarsi. Di osare. No?-
- Uhm... Se ti viene
qualche buona idea...- balbettò Caterina.
- La storia d’amore della
protagonista è finita nel peggiore dei modi.-
- Da quando c’è una
storia d’amore, in questo spettacolo?- domandò Giovanni, emergendo dalla sua
mimesi con la scenografia.
- Da adesso.- rispose
Arianna. – Credo che riscriverò alcune cose.-
- Ma abbiamo già
imparato...- tentò di protestare Andrea. La donna non gli diede tempo di
finire.
- Saranno pochissimi
cambiamenti, e per la maggior parte cose inerenti alla scenografia e ai
movimenti. Sono sicura che ce la farete benissimo! Allora, stavamo dicendo... si
parla di una situazione cupa. Senza poesia. Dobbiamo trovare un modo di rendere
le cose grigie, spente...-
- Eliminando il puff
arancione, magari.- borbottò Andrea, dando un calcio all’oggetto appena
nominato.
- I fiori!-
I quattro attori
trasalirono, avvicinandosi istintivamente come per proteggersi dall’improvviso
moto di follia della loro regista.
- Toglieremo i fiori.
Cioè, lasceremo gli steli.-
Silenzio
imbarazzato.
- Lasceremo il vaso con
gli steli dei fiori. Niente corolle. Vuoto, grigio, spento, senza
speranza.-
- ... ehm...- iniziò
Caterina, decidendo di rinunciare un attimo dopo, di fronte allo sguardo
leggermente maniacale di Arianna.
Quel commento denso di
significato fu l’unica risposta che la regista ebbe dai suoi attori. Ma le
bastò.
- Tagliate le corolle,
subito!-
- I fiori sono finti,
Arianna.- le ricordò pazientemente Cosimo.
- Tanto
meglio.-
- Fuori di testa...-
borbottò Andrea, avventandosi sui poveri fiori plastificati per iniziare ad
accanirsi su di loro con un temperino estratto da una
tasca.
Caterina si impose di
sorridere, per non mettersi a gridare. Cosimo si lasciò scivolare sul puff
arancione. Giovanni fu l’unico a non distogliere lo sguardo da Arianna, ma lei
si era già proiettata di nuovo in uno dei suoi mondi, del tutto ignara di ciò
che accadeva lì sul palco.
Giovanni l’aspettava
fuori dal teatro, dopo le prove. Se n’erano andati tutti in fretta, e lei era
rimasta sola a chiudere il teatro. Si domandò per quale motivo le avesse teso
un’imboscata, invece di rimanere con lei mentre chiudeva, se aveva qualcosa da
dirle.
- Ehi. Posso disturbarti
un minuto?-
Era alto e magrissimo,
con un viso inquietante e una massa di capelli neri e ricci. Come sempre era
pensieroso e cupo, e sembrava certo che la sua presenza fosse un disturbo per
l’intero sistema solare. Arianna sorrise, per metterlo a suo
agio.
- Ma certo! Tutto bene?-
gli chiese.
- Era quello che volevo
chiedere io a te.-
- Volevi chiederlo a me?
Come mai?-
- Sei molto
strana.-
- Non è niente, non devi
preoccuparti.- minimizzò lei, seccata dal fatto che lui volesse indagare su
fatti che non lo riguardavano.
- Sei davvero molto strana. Scusami, ma... Sei
sovreccitata. Non è da te.-
Arianna si fece seria e
subito dopo gelida.
- E non è da te, invece,
interessarsi di cose che voglio tenere per me.-
Giovanni fece un piccolo
passo indietro, un movimento istintivo di quelli che fanno le persone abituate
ad essere ferite.
- Scusami. Hai ragione.
Non dovevo permettermi.-
Le voltò le spalle, ma
sembrò ripensarci un attimo dopo. Si fermò e tirò fuori dalla tasca il ritaglio
di giornale. Glielo porse, senza una parola.
-
Cosa...-
- E’ per
questo?-
Non doveva importargli.
Non era autorizzato ad entrare nei suoi segreti! Ora gliene avrebbe dette
due.
Ma poi si calmò, incapace
di fare male all’amico.
- Probabilmente sì.-
ammise, con un briciolo di voce. – Ma passerà in fretta. E’ stata solo una cosa
inaspettata. Solo quello.-
- Non c’è niente di male
nell’essere sconvolti per una cosa del genere.-
- Ma io non sono
sconvolta!-
- E’
che...-
- Stai tranquillo, non
voglio scappare da questa cosa.- tentò di rassicurarlo lei, tornando a
sorridere. – Anzi, ti dimostrerò che voglio affrontarla. E’ per questo che ho
deciso di modificare un po’ lo spettacolo. Vedrai, utilizzerò il teatro in modo
terapeutico!-
Giovanni fece un sorriso
timido.
- Niente gambi senza
corolle, però, vero?-
Arianna sembrò rendersi
conto solo in quel momento dell’assurdità della sua idea. Scoppiò a ridere,
facendo cenno di no.
- Promesso. Niente gambi
senza corolle. La prossima volta tirerò fuori un’idea
dignitosa.-
Gambi senza corolle.
Questi registi moderni sono allucinanti.
E’ solo una fase
transitoria. Passerà.
Nel buio silenzio che
riempiva il teatro c’erano voci provenienti da altri tempi e altri mondi, che
echeggiavano, nei grandi spazi. Le cose, lì nell’oscurità, perdevano
consistenza. I gambi senza corolle abbandonati sul palco, come i ricordi
abbandonati ovunque.
I vecchi spettri del
teatro discutevano sulla follia della regista.
Il tempo si
cristallizzava in momenti eterni, nei luoghi pieni di
memorie.
E tutto questo si
scioglieva in miriadi di immagini confuse, nel sogno di
Arianna.
17
aprile
- Crisalidi e
farfalle?-
-
Esattamente.-
Questa volta c’era tutta
la compagnia presente, e nemmeno uno dei suoi quindici membri era sicuro di aver
capito bene.
- Cioè tu vorresti
che...- iniziò titubante Laura, facendosi piccola piccola in un angolino
(considerando le sue dimensioni, non era un’operazione
facile.)
- Che noi...- la aiutò
Elisa, quasi indignata.
- Ci vestissimo da
crisalidi e farfalle?- concluse Margherita, quasi
gridando.
- Solo in un intermezzo.
Sarà una cosa particolare, aiuterà il pubblico a cogliere il significato della
storia.-
Arianna sembrava così
tremendamente convinta di sé e certa che quella fosse una buona
idea...
- A me sfugge il senso.-
affermò Andrea.
- Rappresenta la
rinascita della protagonista.- spiegò Arianna. – Ciò che nella sua vita è andato
a finire male non è per lei un blocco. Lei è diventata più forte, ha imparato a
combattere. Il significato della farfalla mi sembra abbastanza evidente,
qui.-
Silenzio. Stava diventando una
reazione sempre più frequente.
- A parte che così
dovresti rimaneggiare la storia di nuovo .- le fece notare
cortesemente Lorenzo, il più giovane dei suoi attori. – Ma non ti sembra un po’
esagerato inserire un intermezzo di crisalidi e farfalle? Potremmo, che so,
magari dipingere le farfalle da qualche parte. Insomma, ci sarà un modo meno...
estremo... di simboleggiare questa cosa?-
Arianna sembrò non
gradire quell’intervento, nonostante fosse stato espresso con la massima
calma.
- Posso sapere perché vi
urta tanto l’idea?-
- Perché questo è uno
spettacolo tendenzialmente realistico, non qualcosa di surreale o simbolico!-
insisté il ragazzo. – Non dico che non possa essere una buona idea, ma non in
questo caso. Insomma, dovresti saperlo: uno spettacolo nasce in un certo modo,
c’è un progetto coerente. Se continui a infilarci dentro cose senza
collegamento, non è più uno spettacolo, è un minestrone!-
- Bene, sarò la prima
fautrice del teatro-minestrone.
Voglio una protagonista che rinasce e impara dal passato. E voglio farfalle e
crisalidi. –
Staccò l’interruttore
generale e tutte le luci si spensero, all’unisono. Ma era un pomeriggio di
aprile, e una luce azzurrina, tenue e triste, trovava il modo di filtrare
all’interno del teatro, da mille passaggi e finestre.
Si affacciò sul palco e
vide le carcasse di stoffa e fil di ferro di cui aveva voluto popolare la sua
storia. Crisalidi e farfalle. Erano due settimane che provavano quella nuova
versione dello spettacolo, e non funzionava nemmeno un
po’.
No, a dire la verità, faceva proprio
schifo.
Le sembrava di sentire il
coro tragico dei personaggi di secoli e secoli di teatro, evocati dal nulla, che
le urlavano il loro sdegno. Probabilmente, da qualche parte, c’erano gli spettri
del teatro che tramavano per farle cadere addosso un pezzo della scenografia, e
cancellare per sempre dal mondo quell’essere che insozzava l’essenza stessa del
teatro!
Avanzò a tentoni e
inciampò su una crisalide particolarmente aggressiva. A terra, sconfitta, si
lasciò andare ai pensieri.
Non aveva proprio
senso.
Un mese prima – sì,
perché era già passato un mese – aveva letto sul giornale della morte eroica di
un uomo, che era salito su un cornicione per recuperare una bambina che era
finita lì chissà come. L’uomo l’aveva presa e passata alla madre, ma poi aveva
perso l’equilibrio ed aveva fatto un’orribile fine.
Gloria e lodi all’eroe e
al suo sacrificio.
Benedetto Luciani, 35
anni, nato a *** (Arezzo.)
Già, e anche un maledetto
approfittatore, stupido e pieno di sé, e scostante, irritante, pretenzioso,
lunatico e fuori da ogni logica! Ma tutto questo sul giornale non c’era
scritto.
Non c’era scritto nemmeno
di quel tipo dall’aria stranamente fragile e strafottente allo stesso tempo, che
era arrivato all’improvviso nella sua esistenza. Quel tipo che sapeva farti
parlare per ore di cose che non credevi potessero essere nemmeno lontanamente
interessanti. Lo stesso che ti istigava a leggere autori semisconosciuti, a non
avere pregiudizi sul cibo del mondo, e neanche sui suoi più bizzarri abitanti.
E poi, la cultura
smisurata di quell’uomo, il suo modo pacato di discutere, le sue malinconie
improvvise, capaci di congelare l’aria attorno a loro... E quegli ultimi
orribili mesi, in cui lui spariva per giorni, non dava notizie, poi lasciava
cadere mezze frasi inquietanti sul bisogno di chiudere quella storia... salvo
poi ricomparire la notte, e chiederle, con uno sguardo implorante, di esserci,
per lui, di nuovo. E lei, incapace di ribellarsi, lo lasciava entrare, di
nuovo.
Si era sempre chiesta
com’era avvenuto che una persona come lei avesse aperto il suo mondo a quello
strano viandante. L’idea che gli artisti siano tutti dei folli eccentrici era un
pregiudizio. Lei era quieta e modesta. Niente follie, niente eccentricità. Una
casa piccolina, un atteggiamento timido. Prima di lui aveva avuto solo un’altra
storia, all’università – perché i
sentimenti sono una cosa seria, e non ci si può legare alle persone per
scherzo.
E si era lasciata
rivoluzionare da lui. Aveva cambiato abitudini, principi, colori, tutto per
quella persona. Forse era stato lo sguardo di lui, a vincerla. Se il mondo di
lei era piccolo, non lo era il suo modo di osservare le cose. Forse aveva visto
in lui qualcuno capace di abbracciare interi universi con lo
sguardo.
Aveva cercato di capirlo
e aveva intuito che nascondeva delle ferite profondissime, oltre il fascino e la
quiete. E aveva provato con tutta se stessa ad essere un po’ casa, sperando forse di
guarirlo...
Ma lui, dopo mesi di un
rapporto folle, frammenti di sentimento e parole incerte, malinconia sempre più
struggente e apparizioni notturne odiate e desiderate, se n’era
andato.
Erano passati due anni
dall’ultima volta in cui lo aveva visto. In quei due anni aveva tentato di dare
un senso al pezzo di vita che lui aveva segnato, ma non le era riuscito. Si era
detta che, prima o poi, avrebbe dovuto cercarlo, chiedergli la verità. Un
confronto diretto era l’unico modo per sciogliere finalmente tutti i
dubbi.
E ora quell’immenso
idiota aveva deciso di chiudere davvero, non solo con lei, ma con il mondo
intero, uscendo di scena da eroe! Non era giusto! Era una
fuga!
L’aveva saputo dal
giornale. Lui l’aveva estromessa dalla sua esistenza al punto che nessuno dei
suoi conoscenti aveva pensato di avvisarla. Tre anni della sua vita, un
trafiletto nelle pagine di cronaca locale di un giornale.
Davvero triste,
sì.
Eppure non era stato né
doloroso né sconvolgente. Solo inaspettato. Perché ridursi così,
sull’orlo dell’isteria, per una cosa del genere?
Crisalidi e
farfalle.
Era tutto molto stupido e
confuso.
Si alzò in piedi,
calciando una crisalide. Avrebbe cambiato tutto di nuovo. Non era con queste
metafore patetiche che si superavano i problemi! No, ci voleva qualcos’altro,
qualcosa di forte, che le permettesse di sfogare il groviglio di sensazioni che
l’avevano assalita.
Uscì in fretta,
restituendo al teatro il suo silenzio. Gli spettri ripresero a bisbigliare,
scuotendo la testa. I confini del reale si confusero di nuovo, il palco si
preparò a diventare, ancora una volta, il campo di battaglia di
un’anima.
19
aprile
- Una tuta
mimetica?-
Caterina era sul punto di
urlare.
- Certo. Cambiamo di
nuovo tutta l’impostazione dello spettacolo.-
E questo, di per sé, non
era un problema. Generalmente i cambiamenti di Arianna portavano sempre a
qualcosa di nuovo, di migliore. Il problema era la tuta mimetica che le aveva
gettato tra le braccia. E i mitra appoggiati ad un angolo del
palco.
- Sarà tutto basato sulla
metafora della guerra.- spiegò Arianna, sembrando molto sicura di sé. – Tra i
protagonisti è in corso una guerra di sentimenti. Una guerra che si combatte
sorridendo. Una sfida di sguardi. Sorriso falso contro sorriso falso, e chi
riesce a sorridere di più ha vinto la battaglia.-
Caterina gettò una rapida
occhiata alle persone sul palco. Andrea si era messo a bisbigliare qualcosa
all’orecchio di Laura. Lesse chiaramente le labbra di Margherita: io non ce la faccio più! Perfino Cosimo
sembrava sul punto di esplodere.
Un’ondata di rabbia la
colse. Rabbia contro il segreto misterioso che stava mangiando il cuore di
Arianna, rendendola quella creaturina scossa e irragionevole.
- Avete
capito?-
Caterina lasciò cadere la
mimetica a terra.
- Ho capito. Scusami un
attimo.-
Corse via, per non dover
spiegare ad Arianna come mai stava piangendo.
I suoi amici,
evidentemente, avevano deciso che era una buona idea tenderle
agguati.
- Caterina, che ci fai
qui? C’è qualcosa che non va?-
- No. Sì.- Abbassò gli
occhi. – Sì, c’è qualcosa che non va e l’unica che non se ne accorge sei
tu!-
- Ma no, dai. Non è
niente...-
- Visto che lo sai anche
tu, allora?-
- Io... Insomma, sono
momenti che capitano...-
- Certo. Come le
crisalidi e le tute mimetiche.-
- Ti sembro a corto di
buone idee?-
- No, mi sembra che tu
stia tentando di arrivare da qualche parte, tramite queste idee, ma non è come
le altre volte, in cui davvero hai in mente una direzione. Questa volta sei
strana. Sei presa dalla tua fissazione e... Oh, scusami, probabilmente sto
dicendo solo un mucchio di sciocchezze e ti sto facendo perdere tempo. E’
che...-
Le rispondo male?
O le dico la
verità?
Il più delle volte, i
momenti fondamentali della nostra vita prendono avvio da scelte di questo
genere...
- Sali in
macchina.-
-
Cosa?-
- Ti spiego tutto.
Andiamo, dai.-
Per un quarto d’ora non
parlarono. Quando Arianna fu sicura di essersi persa, nel labirinto della
periferia cittadina, cominciò, lentamente, quasi sottovoce, a parlarle di ciò
che era successo. Poche pennellate per riportare davanti agli occhi di entrambe
la figura sfuggevole di Benedetto. E i suoi sogni, la sua tristezza mai guarita,
la sua fuga.
La sua morte, e il senso
di incompiutezza che aveva lasciato.
- Ho capito.- disse alla
fine Caterina. Arianna aveva abbandonato l’auto in una piazzetta desolata, e le
due donne sostavano appoggiate al veicolo, capelli e gonne in balia del vento
prepotente della primavera appena iniziata.
- Hai capito
cosa?-
- Stai cercando di
incontrarlo di nuovo. Attraverso lo spettacolo.-
Meraviglioso, il dono
della sintesi che quella ragazza aveva sempre posseduto.
- Forse è
così.-
- Però... c’è qualcosa
che non va. C’è un altro posto, dove dovresti cercarlo.-
- Ah sì? Dovrei
contattare un medium, magari?-
- No. E’ molto più
semplice. Dovresti provare ad incontrarlo dov’è ad aspettarti. Nei
ricordi.-
- Ti sembra che non lo
stia ricordando abbastanza? Non riesco a farlo sparire dai pensieri, sto
mandando a monte lo spettacolo per la mia fissa di affrontarlo, e tu mi dici
che...-
- Tu non stai cercando di
rivivere la vostra storia, nello spettacolo.- La voce di Caterina era
dolcissima, e precisa come una lama. Arianna sentì tutta la forza della sua
personalità indocile che si sollevava e protestava. Ma cercò di resistere, e
rimase in silenzio. – Tu stai cercando di riscriverla.-
Arianna abbassò gli
occhi. Quando sollevò di nuovo lo sguardo e riprese a parlare, il cielo era
diventato completamente blu intenso.
- Non è sempre così? Non
finiamo sempre per raccontarci le storie del passato come preferiamo
noi?-
- Un po’.- rispose
Caterina. Sorrideva: aveva detto la parte peggiore, e poteva permettersi di
essere nuovamente affettuosa. – Le libere interpretazioni sono un classico. Ma a
volte, sai, è giusto dare valore al testo originale. Diciamo
così.-
- Cosa devo fare,
mettermi a pensare ossessivamente a lui, sperando che i ricordi mi dicano qual è
stato il senso di tutto?-
- Pensare a lui, sì.
Ossessivamente no, però. Prova a capire qualcosa di lui in questo tempo in cui
non l’hai visto, magari.-
Arianna sollevò una mano
e carezzò il viso dell’amica.
- Al solito, senza di te
mi perderei a metà strada.-
- Non dire sciocchezze. E
muoviti, a risolvere questa cosa. Devi riprendere in mano il tuo spettacolo e
dimostrare al mondo che sai ancora raccontare una storia come si
deve!-
27
aprile
I frammenti di una vita,
raccolti da esperienze e occhi differenti, non vanno mai insieme. L’immagine non
si ricompone perfettamente: restano sempre margini incerti, punti senza
incastro, vuoti e linee che non si completano.
Questa volta, poi, era
davvero incredibile. Ogni passo della sua vita, quell’uomo, sembrava averlo
fatto in una direzione diversa.
Era stata nella
parrocchia dove Benedetto aveva trascorso gran parte del suo tempo, in quei due
anni. C’era scritto sul giornale: il funerale si era tenuto nel paese vicino a quello dove Benedetto era nato, perché lì, a quanto pareva, aveva
creato dei legami.
La canonica era diventata
una specie di casa di accoglienza, e Benedetto faceva qualsiasi cosa, dal cuoco
all’autista, dall’infermiere al baby sitter. Non c’era una singola persona, in
quell’affascinante caos multicolore di culture e linguaggi, che non avesse un
ricordo di lui da offrirle. Benedetto era divertente, era intelligente. Voleva
imparare qualcosa da tutti. L’inglese e il francese li aveva sempre parlati
bene, ma lì aveva imparato addirittura l’indiano e il rumeno. E fin qui, le cose
quadravano. Il mondo gli era sempre piaciuto così tanto...
Poi le avevano detto che
andava alla Messa ogni mattina. Ecco, questo era quanto mai sorprendente. Tra i
due, era sempre stata lei, quella più spirituale. Però non faceva la comunione,
quasi mai, le avevano precisato. Insomma, cercava Dio e poi gli metteva dei
limiti. In questo era molto coerente con se stesso.
Niente donne, no. Se
parlava delle sue ex? Non particolarmente. Una parola, magari, un aneddoto. Una
volta aveva detto qualcosa su una delle donne più belle che avesse amato e su i
suoi splendidi capelli ricci. Ma chissà se parlava di lei o di una delle tante
donne del passato...
Sembrava avere una specie
di ansia di fare qualcosa di buono. E questa era una novità. Ansioso non lo era
mai stato. Era anche troppo calmo, a volte. E le sue malinconie? Sì, c’erano
ancora. Nessuno sapeva niente del suo passato.
Una volta, però, aveva
detto che poco prima di arrivare lì aveva rinunciato a qualcosa di molto buono,
e che si sentiva un ingrato. Il prete a cui aveva regalato quelle parole gli
aveva risposto che poteva sempre tornare sui suoi passi. Lui aveva risposto che
prima o poi l’avrebbe fatto.
- Non so se questo ti
servirà a qualcosa.- aveva concluso il prete.
Certo che le sarebbe
servito. A confondere ancora di più l’immagine.
15 maggio
Il teatro faceva parte di
un edificio molto grande, che un tempo era stato una scuola. Adesso alcuni piani
erano stati trasformati in uffici, mentre tutte le stanze sullo stesso piano del
teatro erano in disuso. Le si raggiungevano superando i camerini, oltre un lungo
corridoio pieno di mobili ammucchiati.
Le stanze abitate solo
dagli spettri non avevano il fascino dei luoghi antichi, ma solo l’aria
deprimente dei luoghi vecchi e trasandati. Non era mai stata brava a giudicare
l’età degli edifici, soprattutto recenti, ma Benedetto una volta le aveva detto
che quei pavimenti con le piastrelle di graniglia, bianche e nere, andavano di
moda negli anni cinquanta. Eppure... A quelle stanze si era attaccata addosso
una malinconia così forte che sembravano rovine. Almeno ai suoi
occhi.
A volte, quando rimaneva
sola, dopo le prove, ci passava del tempo. Solo per sentirsi la gola piena di
polvere e sogni svaniti, e immaginare solitudini insanabili e storie
intrappolate lì dentro per sempre.
Aveva conosciuto
Benedetto perché era finito, per una serie di intrecci e casualità, a darle una
mano con lo spettacolo che stava preparando. Curioso e intelligente com’era,
aveva scoperto quelle vecchie stanze nel giro di pochi giorni, e aveva scoperto
anche la strana passione della regista per quel mondo decadente. Le aveva
chiesto perché le piacessero quelle stanze. Lei aveva riso, minimizzato. E lui
se l’era quasi presa: se non prendi sul
serio tu stessa le cose che ami, come pretendi che lo facciano gli
altri?
Ah, che meraviglia, gli
uomini che ti conquistano con la filosofia...
Se doveva pensare ad un
luogo significativo per loro, quello era il primo che le veniva in mente. E
tutti gli altri posti che amavano erano, per qualche verso, in declino,
silenziosi, pallidi.
Una volta erano finiti in
un cantiere abbandonato. Era un vecchio quartiere, del quale era stato iniziato
il restauro, poi interrotto.
Perché la gente si ostina
a lasciare a metà tutto quel che fa?, aveva chiesto
lei.
Lui aveva riso, senza
derisione, con la sua solita cortesia un po’ distaccata, dicendole che se tutto
fosse stato completo, si sarebbe persa per sempre la magia delle rovine. Un po’
sconcertata da quel punto di vista, lo aveva seguito tra le mura innalzate a
metà. Avevano salito una scala, sbirciato attraverso finestre senza vetri,
spiato negli angoli.
Io ci ho abitato.
Così,
all’improvviso. Mesi che tentava di estorcergli una goccia del suo passato, e
ora glielo offriva in quel modo. Questo
posto era vivo, fino a non molto tempo fa. E’ che le cose che sono accadute qui
dentro sono così tremende che hanno fatto crollare ogni cosa.
Non le aveva mai detto
più di quello.
Avevano quella strana
attrazione per le cose al margine. Forse perché lui ci aveva vissuto per anni, e
lei aveva il desiderio di ridare vita alle cose distrutte.
Ma non c’era riuscita,
con lui.
Le aveva costruito un
castello in rovina, pieno di magia e ombre. Poi aveva spezzato i legami ed era
svanito, prima che lei potesse chiedergli l’ultima cosa.
Che senso ha questa
pagina della mia vita?
Una volta, in quelle
stanze, lui le aveva raccontato la storia degli spettri del teatro. Erano due,
Edgar e Michelle. Uno non riusciva ad andare nell’aldilà perché ancora non aveva
visto la sua opera preferita,
A volte, quando la
malinconia di quel posto era troppa, lei pensava ai due vecchi spettri e al loro
sguardo bonario, e si sentiva sollevata.
Benedetto riusciva a
colorare tutte le cose, a modo suo.
Forse aveva lasciato la
finestra aperta...
Si sedette sul letto,
senza ben capire che fine avesse fatto la sua stanza. Adesso era in un luogo
strano, con le mura ricoperte di immagini che non riusciva a
comprendere.
Ehi.
- Ma
cosa...-
Non ti dispiace se ho
messo a fare il tè?
- Ma no, figurati. Solo,
mi chiedevo... dove sei?-
Qui. Dietro. Non importa.
Ci sono, e questo basta, no?
- Credo di sì. Cosa
volevi?-
Un
tè.
- Mh. Va bene. A
proposito. Non mi sono ancora congratulata per la tua grande uscita di
scena.-
In che
senso?
- Non far finta di non
capire. L’eroe. Mi hai decisamente sorpresa.-
In realtà queste cronache
sulla mia morte sono decisamente esagerate, sai. Niente di che. Una cosa molto improvvisa, un
caso. Non è che ho progettato accuratamente di sparire dalla faccia della terra
salvando una bambina e facendomi ricordare dai
posteri.
- A me sembra di
sì.-
A te sembra.
Probabilmente perché ce l’hai con me.
- Esatto. Ce l’ho con te.
Sei morto da eroe e hai chiuso la questione con me in modo molto
vigliacco.-
Te l’ho detto, dire che
ho fatto l’eroe è un’esagerazione. E non era certo un modo per chiudere la
questione con te.
- Mah. Lasciamo perdere.
Stai bene?-
Sto bene.
Finalmente.
- Sai che non è una cosa
bella da dire?-
Perché? Avresti preferito
sapermi tormentato, a scontare le mie colpe?
- No, no. E’ che... Vuol
dire che con me non stavi bene.-
Non ho detto questo. E’
un’altra cosa. E...
- Non lo voglio sapere.
Non voglio proprio farti rompere i tabù sull’aldilà e cose del genere. Comunque,
posso sapere perché volevi un tè, stanotte?-
Mi sembrava un’idea
buona.
- Il tè. E’ uno di quei
gusti che collegherei a te, sai? Se dovessi rimettere insieme voci, colori,
sapori, immagini di quel tempo... Tutti i tipi di tè così strani che mi portavi
in casa. E le sciarpe che mi regalavi. I tuoi schizzi sui miei copioni. I miei
spettacoli avevano sempre quell’aria esotica... Asiatica a volte. O dell’Est
europeo. Non so. Ma, sai... Vorrei proprio capire cos’hai conservato tu, della
nostra epoca.-
Io? Io ho una terra
intera. Un regno tutto mio.
- Che stai
dicendo?-
La nostra terra
invisibile. Tutto ciò che abbiamo visto e respirato.
- Dovrei averla anch’io,
allora. Ma mi sembra di avere solo un mucchio di nomi, e cose, e tutto è così
confuso, e...-
Sono passato anche per
questo. Per lasciarti la chiave.
- La chiave di
cosa?-
Della nostra
terra.
- E cosa pensi che dovrei
farmene?-
Quello che si fa con ogni
terra dentro di noi. Farci un giro ogni tanto, rivedere quei
colori.
- Colori. E’ questo che
rimane, alla fine di qualcosa? Colori?-
Sì. Colori. Il mio tè è
finito. E la chiave è lì sul tuo tavolo.
- Colori... Sai che tutto
questo non ha proprio senso?-
Ne avrà,
vedrai.
16
maggio
L’alba era stranamente
vivida, mentre le si riversava in camera dalla finestra rimasta aperta tutta la
notte. Non sentiva il peso del sonno, anche se non doveva aver dormito molto. E
non le faceva nemmeno freddo, anche se era solo aprile e il vento ancora aveva
in sé note invernali.
Sul tavolo della cucina
c’era una tazza vuota e un foglio. E tutte le sue matite
sparse.
- Ma
cosa...-
Sul foglio, una mano
misteriosa aveva tracciato delle linee colorate. Una specie di arcobaleno dove i
colori si mischiavano, intrecciandosi.
Il tè. La chiave. I
colori.
Doveva averlo fatto lei,
quello strano disegno, in una sorta di trance sonnambula. Per forza. Che cosa
voleva significare?
Che è ciò che guadagni da
ogni pagina della tua vita. Una manciata di colori. E una terra invisibile dove
andare a passeggio, ogni tanto, per ricordare e salvare qualcosa.
Spaventata si voltò di
scatto, come per sorprendere chi stesse mettendo nella sua testa quei pensieri
strani. Ma era sola, sola con l’alba e il vento.
E una manciata di colori:
quelli del tè, e del mondo, e dei paesaggi decadenti e che andavano a cercare ai
margini dell’esistenza.
Le risposte sono tutte
nella nostra terra invisibile.
E la chiave sono i
colori.
13
gennaio
La notte fredda, fuori
dal teatro, le luci cittadine e le voci che si complimentavano, ridevano,
chiedevano, tutto insieme. Era stanca ed eccitata, e ne voleva ancora. Come ogni
volta che uno spettacolo finiva e cominciavano i meravigliosi momenti in cui ci
si gode il risultato. La gente le si accalcava attorno, amici e perfetti
sconosciuti, ognuno con qualcosa da dirle, e lei doveva sorridere a tutti – e
non le costava nemmeno un po’ di sforzo.
Quando fu a casa, mentre
preparava una tisana di erbe e osservava l’alba, le tornarono in mente alcune
parole che aveva colto nella folla ammirata, che una voce aveva fatto rimbalzare
tra le altre.
I colori erano
splendidi.
I colori, sempre
quelli.
- Suppongo di doverti
ringraziare...- disse, ad alta voce. La risposta fluttuò attraverso il tempo e
le dimensioni e la raggiunse, in qualche modo.
Niente male, per
davvero!
La ragazzina è rinsavita.
Questa volta c’erano proprio delle buone idee, lo devo
ammettere.
All’alba Edgar e
Michelle, i vecchi spettri, licenziarono i personaggi e i demoni, venuti a
festeggiare anche loro, dopo lo spettacolo. Poi chiusero il teatro e tornarono
ad infestare le loro stanze e la loro storia, inventata una sera come tante, per
colorare le rovine e i giorni.
Fine
... se volete maggiori
info sull’uso dei temi, qui c’è un dietro le quinte.
Sembra che gli spettri mi
seguano ovunque vada.
Dedicata a S. e G.