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Autore: BecauseIsKlaine    31/12/2013    23 recensioni
tratto dal testo:
«Le nostre labbra vicine abbastanza da non riuscire a respirare, cosi' pazzi d'amore da non avere altro nelle vene, con il cuore rivolto verso il cielo e l'anima dipinta di mille colori, e pensare a quanta pioggia e' dovuta cadere per poter formare quell'arcobaleno»
[Harry Styles/Louis Tomlinson]
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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tratto dal testo
Le nostre labbra vicine abbastanza da non riuscire a respirare, cosi' pazzi d'amore da non avere altro nelle vene, con il cuore rivolto verso il cielo e l'anima dipinta di mille colori, e pensare a quanta pioggia e' dovuta cadere per poter formare quell'arcobaleno

                                                                                                                                     23 Novembre 1951, Londra.

 

Caro Louis,

Sto cercando un modo per salutarti, non so da dove cominciare poiché sai, qualsiasi cosa io scriva su questo foglio sarebbe troppo riduttiva per te, quindi lascio spazio alla tua immaginazione.

Ci sono tanto cose che vorrei  dirti ma partiamo dall’inizio. Ieri è stata la prima volta che sono uscito da quando te ne sei andato, da quando sei partito per Manchester; sono andato dove mi portava il vento, sono partito senza una meta precisa, e senza neanche pensarci mi sono diretto verso la biblioteca di Padre Alfred. Mi ha fatto uno strano effetto entrare lì, l’ultima volta in cui ci passai avevo undici… forse dodici anni, ero un semplice fanciullo e andavo da Alfred insieme al mio amico Robert, ci incantava stare le ore ad ascoltare le sue favole bizzarre per poi fantasticare sui finali: non esistono racconti senza lieto fine, è questo che mi piace delle fiabe.

Ebbene ti dicevo di esserci tornato, il profumo era sempre lo stesso: muschio bianco; mi ricordo che Alfred ne vendeva delle piccole boccette per finanziare la sua biblioteca. All’inizio non credevo mi avesse riconosciuto eppure mi ha trattato come un amico di vecchia data, mi ha offerto del caffe nero in una di quelle adorabili tazzine di ceramica che vedevo esposte nell’armadio di legno d’acero, affianco alla raccolta delle enciclopedie.

Mi ha anche invitato a dare un’occhiata sulle varie mensole di legno, così mi sono messo a frugare sfacciatamente tra i vari volumi impolverati senza farmelo ripetere più volte; Padre Alfred però si accorse di qualcosa, magari dopotutto mi aveva riconosciuto, magari quel giorno si accorse che non mi brillava la solita luce nelle pupille, così intervenne con un semplice: «Cosa c’è che non va giovane?» Raccontai con poche parole la mia storia, o forse è meglio dire “la nostra storia”. È così che decise di darmi un paio di fogli da lettere e una stilografica imbrattata di inchiostro marrone ormai secco, mi ha detto che servivano più a me che a lui, mi ha detto di scriverti.

E ora sono qui, ho undici pezzi di carta di riso e tal numero di buste da lettera, ho trovato del vecchio inchiostro in soffitta, quello che mi regalò zia Melody quando iniziai a frequentare la scuola

Lo so, mi sto dilungando troppo nei dettagli, il fatto è che mi ero promesso che non avrei pianto anche su questo foglio, ma senza di te sono debole, troppo debole. So che siamo sbagliati, so anche di aver deluso tutti per questo amore impossibile; solo che io non voglio arrendermi, non ho né una spada né uno scudo ma combatterò a mani nude per te, se potessi partirei ora a piedi scalzi e attraverserei tutto il paese pur di perdermi un’ultima volta nei tuoi occhi color ghiaccio.

Se vuoi dimenticami, fai ciò che vuoi con il mio cuore, ti offro questo perché non ho altro ora che ho perso te.

Ritorna, io ti aspetterò

Per sempre tuo, Harry

 

 

 

                                                                                                                                 

                                                                                                                                    08 Dicembre 1951, Londra.

Caro Louis,

sinceramente mi ero promesso che avrei aspettato una tua risposta prima di scrivere un’altra lettera, ma purtroppo non ci riesco.

Oggi è festa in città per cui sono andato a camminare sulle sponde del Tamigi, l’acqua ha un effetto calmante su di me: mi ricorda i tuoi occhi, mi ricorda quanto amavo perdermici dentro, stare le ore ad osservarli.

Poi tutto d’un tratto ho buttato lo sguardo sull’altra sponda e ho visto Robert mano nella mano con una fanciulla dai capelli rossi, e le persone che li guardavano con gli occhi pieni d’amore. Sai che ti dico? Se avessimo potuto passeggiare stringendoci per mano, noi due, avremmo fatto invidia al mondo intero… Ma noi non possiamo, certo, noi  non potevamo e non potremmo neanche ora, forse perché siamo un errore, di certo non abbiamo diritto di essere trattati come una normale coppia.

Eppure l’amore non dovrebbe avere delle regole o un senso, se ami, ami una persona, non una donna o un uomo. Questo non è solo uno stupido gioco, non ha bisogno di essere controllato; l’amore è cieco e sordo eppure vede e sente più di ogni altra cosa, percepisce le melodie più belle e scorge gli arcobaleni più sgargianti.

L’amore è capace di sopravvivere per giorni sazio di un solo bacio, un po’ come me: io potrei dissetarmi con il mare dentro i tuoi occhi.

Noi non eravamo quelli che potevano superare ogni ostacolo? Ogni capriccio che la vita ci poneva davanti? Il mio cuore sa che quella scintilla nei tuoi occhi non è scomparsa, tutti noi abbiamo un fuoco dentro e lo stiamo lasciando bruciare, stiamo lasciando che ci laceri le ossa per alimentare la fiamma e non sarà la distanza a spegnere quello dentro di noi.

Boo, io ti raggiungerò

Per sempre tuo, Harry

 

 

 

 

                                                                                                                                    24 Dicembre 1951, Londra.

Caro Louis,

oggi è la vigilia di Natale e siamo agli antipodi del paese, bell inizio.

Nella piazza cittadina del nostro quartiere qualche anziano ha montato un alberello decorato con dei mandarini secchi appesi alle foglie. I bambini vanno lì con gli amichetti, trotterellando, per lasciare un piccolo desiderio, ho passato l’intera giornata di ieri seduto sulla panchina ad ascoltare le loro voci: c’è chi chiedeva una macchinina in legno, un pallone di pezza per poter giocare con i compagni oppure semplicemente una famiglia felice.

Poi mi sono lasciato alle spalle la panchina scricchiolante e al tramonto mi sono diretto pure io verso il centro dello slargo, ho fatto per parlare, per raccontare il mio desiderio ma un’ anziana signora mi ha riferito di essere «Troppo cresciuto per queste cose». Così mi sono incamminato via e ho raggiunto casa.

La notte, però, non riuscivo a dormire così mi sono riavviato verso la piazza e, con alla mano una candela accesa quasi tutta consumata dalla fiamma, mi sono fatto strada nel buio, la luce fioca illuminava a stenti il mio viso ma nonostante ciò sono riuscito a raggiungere il piccolo abete, mi sono seduto schiena al tronco e sono riuscito a esprimere il mio desiderio, quello di farti tornare. Ho mandato un urlo straziato che pronunciava il tuo nome, dopotutto solo il silenzio poteva udirmi in quel momento.

È stata la fiamma la prima ad abbandonarmi, si è spenta lasciando sotto di se solo della cenere ancora scotta. In questi momenti più che mai ti assale la voglia di buttare gli occhi al cielo, anche nel buio più totale perché si sa che lui da lì non si muove e anche se non lo vedi sai che lui veglia su di te, sempre e comunque.

Questo mi ricorda, ogni tanto, di mettere una mano sul cuore; quando lo faccio sento i battiti come scalpiti, scalpiti perché lì dentro ci sei tu, tu che vorresti uscire ma non puoi e ogni battito sento che è un tuo tentativo per tornare, e a volte sembra che possa far più male di qualsiasi altra tortura sapere che tu sei intrappolato dentro di me mentre io, qui fuori, sono solo.

E pensare a tutte quelle volte in cui la gabbia era aperta, tutte quelle volte in cui l’insicurezza e l’incertezza ci hanno bloccato, tutte le carezze mancate lasciate a marcire lungo la nostra strada, le folate di vento intrufolatesi nei nostri baci a fior i labbra, le parole non dette destinate a sciogliersi come ghiaccio che lascia spazio alla primavera.

Noi eravamo persi, senza un passato, con l’intento di creare un futuro. E io ci spero ancora in questo futuro caro Boo, dopotutto se ami qualcuno l’ultima speranza è sempre la penultima

Ci rincontreremo Louis, te lo prometto

Per sempre tuo, Harry

 

 

 

 

                                                                                                                                      01 Gennaio 1952, Londra.

Caro Louis,

sì, sono sempre io, sempre solito posto, solita casa, solita scrivania. Solo una cosa è cambiata e sarebbe strano che tu non lo abbia notato: 1952, già.

Ieri ho fatto dei bei propositi per il nuovo anno: ho promesso che ti avrei rincontrato, almeno in uno dei tanti attimi che andranno a comporre come pezzi di puzzle questo nuovo anno, destinati a essere dimenticati quasi fossero granelli sabbia trasportati dal vento d’inverno.

La città è in festa, adorabili sono i battelli a vapore che in questi giorni solcano il Tamigi come se fossero in una di quelle favole festose; dopotutto non è cambiato così tanto dall’ultima volta che sono venuto a passeggiare qui in centro.

Oggi nevica, i fiocchi bianchi non smettono la loro discesa; a volte però mi distraggo, fisso per troppo tempo il cielo fino a che i batuffoli bianchi sembrano salire verso le nuvole, dopotutto con l’immaginazione si può arrivare ovunque anche se non è la stessa cosa… la fantasia illude troppo, è capace di raddrizzare i tuoi pensieri ma anche di storpiarti le ali; la cosa più pericolosa di ciò è che sei tu ad avere in mano il manubrio, sei tu a decidere quando sbandare, quando accelerare e quando cambiare strada. A volte la stessa fantasia è così bastarda che quando non vuoi fa si che tu veda tutto in bianco e nero senza lasciare spazio a i colori.

La neve è riuscita facilmente a prendere il sopravvento sulle strade del paese, eppure c’è qualcosa che mi ha spinto ad uscire, in questo gelido pomeriggio. mentre camminavo mettevo i piedi nelle tracce lasciate da i bambini che giocavano allegramente con quel soffice mantello bianco, ho lasciato che il vento prendesse le redini del mio corpo, mi sono lasciato trasportare inconsapevolmente nella periferia campagnola e mentre passeggiavo a testa bassa i fiocchi di neve poggiatisi nei miei ricci iniziavano a sciogliersi lasciando qualche goccia umida sul mio capo.

Mi piaceva il silenzio che si era creato attorno a me perché riusciva, in qualche modo, a farmi sentire la potenza dei miei pensieri, dei miei ricordi; un vecchio saggio diceva che non si dimentica niente, semplicemente si impara a convivere con la memoria, memoria che ha volte diventa così pesante che fai fatica a portarla sulle spalle per tutta la vita e ci sono posti dove, i ricordi in più riposano, aspettano solo che qualcuno arrivi da loro per risvegliarli… Beh, questo è uno di quei posti.

Si potrebbe dire che è un semplice albero, troppo poco simbolico per nascondere un segreto eppure io ancora sento nell’aria l’umidità che sovrastava quel giorno di settembre, ti ricordi tu, Louis?

Le immagini si sono fatte più chiare, ho chiuso gli occhi, ripercorso le stagioni e due visi fin troppo familiari mi sono comparsi davanti, ho potuto rivivere dentro di me quegli istanti così perfetti, quelli per cui ho passato una vita e lì con me c’eri tu, le nostre labbra vicine abbastanza da non riuscire a respirare, così pazzi d’amore da non avere altro nelle vene, con il cuore rivolto verso il cielo e l’anima dipinta di mille colori, e pensare a quanta pioggia è dovuta cadere per poter formare quell’arcobaleno.

E solo perché è calata la notte non vuol dire che non tornerà a risplendere il sole nei nostri cuori, niente farà però tramontare il mio amore, sarò con te fino all’ultimo battito, fino all’ultima speranza.

Per sempre tuo, Harry

 

 

 


                                                                                                                                      22 Febbraio 1952, Londra

Caro Louis,

devo ammettere di essere sempre stato attratto dai colori del cielo, eppure fino ad oggi c’era sempre qualcosa o qualcuno che, in un modo o nell’altro, si aggiungeva alla gravità per tenermi ben saldo a terra; sì, perché spesso neanche la forza più potente dell’universo riesce a combattere contro un uomo.

E non vedere tutto questo come se io stessi cadendo, vedilo come un tentativo per volare più in alto di dove sono ora. Il perché è più semplice di quanto pensi; è proprio quando rimani solo che ti inizi ad accorgere della tua impotenza, e le persone che continuano a usare le parole come lame affilate quanto basta per lasciare cicatrici indelebili nel profondo della pelle.

Io sono fin troppo stanco di chiudere ferita per ferita, tutte quelle iridi di cui si dimentica facilmente il colore. D’ora in poi io sarò una di quelle nuvole nel cielo, quella che ti ritrovi più vicina. sono felice perché mi potrò reinnamorare  di te, potrò riguardarti negli occhi quando mi sentirò perso, proprio come la prima volta.

E questa non considerarla come l’ultima strada, ma piuttosto come l’unica via che esiste per appropriarsi dell’eternità.

Ti chiedo solo di non permettere alla tristezza di lacerarti gli occhi con le lacrime, il mondo fisico è un ostacolo troppo grande per due semplici uomini e non pensare che mi sia arreso, lo faccio per lasciare che la mia anima sia libera di volare da te, Boo.

Sappi che da oggi in poi io sono con te, non ti lascio piccolo

Tuo, Harry.

 

 

 


~ 10 anni dopo… ~

 

Uno, due, tre tiri, seduto sulla panchina in plastica rossa dentro la stazione quando, tutto d’un tratto, dai vagoni si iniziarono a vedere attraverso il buio del tunnel; raccolsi da terra la valigia di cuoio e lasciai cadere la sigaretta nel porta cenere accanto a me.

Un piede avanti all’altro, con una calma poco fondata, mi avviai verso la porta scorrevole e presi posto affianco al finestrino. Stavo finalmente per partire. Dopo tutto il tempo passato a casa a singhiozzare, ora ero libero di vivere quello per cui avevo aspettato tutto questo tempo.

Mi misi a guardare il cielo da dietro la finestra quasi completamente appannata: la pioggia scendeva a dirotto e poco si riusciva a vedere del paesaggio, così poggiai qualche dita sulla superfice umida, farfugliai delle parole e lasciai la mia mano muoversi come voleva; tracciai una delicata impronta del mio palmo, disegnando, a lato, una “h” molto difficile da distinguere, dopotutto sono io che dovevo saperne il significato, non ho bisogno di dimostrare niente.

Il tintinnio dell’orologio si faceva più forte e rimbombante mano a mano che passavano i minuti, fino ad arrivare allo sfinimento, lasciai il mio corpo a riposare per potermi rifugiare nel mondo dei sogni.

Londra ormai era alle porte quando mi svegliai, presi tutto il coraggio che avevo e misi un piede a terra, mi lasciai persuadere dal fresco odore di campagna che si respirava.

A me e a Harry piaceva tanto venire qui, ci sedevamo su una panchina all’uscita della stazione e restavamo immobili ad osservare i passanti. Che bei ricordi…

Camminavo distrattamente strusciando i piedi contro la ghiaia della stradino. Tutto d’un tratto mi ritrovai davanti a quel palazzo, non ci pensai due volte e entrai. Attraversai tutto il buio corridoio, salii le scale e mi ritrovai ancora una volta difronte a quella porta di legno color porpora, era socchiusa, la scostai di poco e feci per entrare senza fare rumore, ma mi fermai sotto il cordolo, mi fermai a pensare a cosa sarebbe successo “E se Harry avesse già dimenticato tutto?” “E se non mi avesse riconosciuto?” ma nulla mi importava più di tanto, poteva anche respingermi, volevo solo vederlo per l’ultima volta, volevo solo avere per l’ultima volta la sensazione di essere senza respiro, non potevo più stare così vuoto da non riuscire a provare emozioni e lui era l’unico capace di risvegliare il mio cuore dal letargo, sarebbe bastato anche solo un accenno di sorriso per poter andare avanti altri dieci anni così.

Mi feci spazio tra i mobili impolverati e buttai un occhiata in giro

«Harry?» sussurrai quando vidi una figura imponente nell’altra parte della stanza, mi avvicinai con cautela al divano, le luci erano fioche e non riuscivo a riconoscere il viso dell’uomo

«In realtà io sono Alfred, piacere» guardai meglio il suo viso, non era familiare, aveva dei folti capelli grigi e parecchie rughe sulla faccia.

«Piacere, quando torna Harry?» domandai cortesemente all’anziano signore, lui aggrottò la fronte e mi guardò con compassione

«Tu cerchi Harry?...» balbettò il vecchio

«Si, mi sembra ovvio» mi iniziavo a innervosire

«Posso chiederti come ti chiami?»

«Louis» risposi confuso

«Tu sei Louis?» mi chiese stupito «Credo che queste spettino a te» disse, si alzò goffamente dal divano per poi raggiungere la scrivania, aprì il cassetto e estrasse dei fogli di carta consumati dalla polvere, me li porse per poi tornare a sedersi senza di altro.

Sfogliai con foga quelle pagine prima di mettermi a leggere nel dettaglio, mi appoggiai alla sedia di vimini e iniziai... Parole dopo parole, lettere dopo lettere, tutto sembrava smontare l’emozione di quel giorno, è tutto fin troppo forte, come un uragano che ti travolge, come una mare in piena.

Non ci misi molto ad arrivare al finale e non riuscii a fermare le lacrime, caddi a peso morto sul pavimento, forse il mio corpo aveva compreso prima del mio cervello.

Fu in quel momento che constatai che non sarei più riuscito ad andare avanti, e tutto quel viaggio, e le speranze, e la voglia che avevo di buttare giù tutto, la mia vita passata ad aspettare di poter assaporare ancora per l’ultima volta quelle labbra, eppure io ero abituato a soffrire.

Ad un certo punto, mentre avevo ancora gli occhi affondati nelle lacrime, Alfred si avvicinò di soppiatto e si sedette accanto a me

«Sai, lui è felice, scommetto che ora è qui seduto affianco a noi» mi disse dandomi una pacca sulla spalla «Lui non c’è più» commentai a bassa voce «Tu però come mai sei qui?»

«Ogni tanto vengo qui, mi siedo e fingo di raccontargli una fiaba, dopotutto lui mi sente; a volte mi rivolgo a una sua foto, altre volte al nulla» Raccontò con tono rassicurante.

Non risposi niente, dopotutto il mio cuore lo sentiva, sentiva che questo era un modo per essere sempre uniti, senza nessuno ostacolo davanti, neanche la morte si sarebbe potuta mettere fra di noi. Fu come se un raggio di sole mi avesse appena trapassato il corpo, uno di quei raggi che non si vedono ma che illuminano dove cala la notte.

Mi alzai e mi strofinai le palpebre, camminai lentamente fino alla finestra e alzai gli occhi al cielo fissando quella piccola, adorabile, nuvola.

 

 

 

 EHIII PIPOL

Sono io ^.^ 

ringrazio tutte le anime che sono arrivate fino a qui, vi amo

sono qui per dire che non mi ritengo responsabile per qualunque danno psicologico

Ho scritto questa storia con l'intento di mandare emozioni, spero di esserci riuscita, ho messo tutto il mio cuore dentro questa one shot

ringrazio anche tutte le ragazze che su facebook mi hanno aiutato, consigliato e betato (?) la storia

addio pipol

PS. accetto ogni tipo di critica, fatevi avanti <3

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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